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Articolo 37 Costituzione

[Aggiornato al 22/10/2023]

Dispositivo dell'art. 37 Costituzione

La donna lavoratrice ha gli stessi diritti e, a parità di lavoro, le stesse retribuzioni che spettano al lavoratore.

Le condizioni di lavoro devono consentire l'adempimento della sua essenziale funzione familiare [31] e assicurare alla madre e al bambino una speciale adeguata protezione.

La legge stabilisce il limite minimo di età per il lavoro salariato (1).

La Repubblica tutela il lavoro dei minori con speciali norme e garantisce ad essi, a parità di lavoro, il diritto alla parità di retribuzione (4).

Note

(1) Si prevede qui una riserva di legge. La disciplina è oggi costituita dalla l. 17 ottobre 1967 n. 977, così come modificata dal d.lgs. 4 agosto 1999 n. 345 e stabilisce che il minore non è ammesso a lavorare prima di aver ottemperato all'obbligo di istruzione (art. 34 Cost.) e, comunque, prima dei 15 anni. Analoga previsione viene disposta dal'art. 32 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione Europea.

Ratio Legis

La previsione si spiega con il fatto che donne e minori costituiscono le categorie di lavoratori più deboli e, quindi, più bisognose di protezione.

Brocardi

Par condicio

Spiegazione dell'art. 37 Costituzione

Il titolo III della Costituzione disciplina in generale i rapporti economici e contiene le disposizioni fondamentali in materia di rapporti di lavoro e di regime giuridico della proprietà.

L'affermazione dello Stato sociale ed il riconoscimento dei suoi principi va integrata e resa compatibile con la logica dell'economia di mercato proclamata dal costituente.
L'articolo in esame sancisce innanzitutto il principio di parità tra uomo e donna in ambito lavorativo. Al fine di evitare qualsiasi forma di discriminazione di genere, è stata introdotta la L. n. 903/1977. Quest'ultima introduce varie regole dirette ad attuare il principio, tra cui la:

  • parità di retribuzione, quando le prestazioni siano di pari quantità e qualità;

  • parità di progressione nella carriera;

  • parità di diritti in merito all'assunzione degli oneri famigliari.

Fondamentale importanza ha assunto anche il D.Lgs. n. 5/2010, il quale vieta “qualsiasi discriminazione per quanto riguarda l'accesso al lavoro, in forma subordinata, autonoma o in qualsiasi altra forma, compresi i criteri di selezione e le condizioni di assunzione, nonché la promozione, indipendentemente alle modalità di assunzione e qualunque sia il settore o il ramo di attività, a tutti i livelli della gerarchia professionale”.

Per conseguire i medesimi scopi il legislatore ha adottato una serie di disposizioni normative, tra le quali assumono particolare importanza quella che sancisce il divieto di licenziamento della lavoratrice a causa di matrimonio e durante gravidanza e puerperio nonchè quelle che le consentono di conciliare la posizione lavorativa ed il rapporto genitoriale, ad esempio fruendo di congedi o aspettative di lavoro retribuiti. In relazione a questo ultimo aspetto, peraltro, il dettato ordinario ha subito una progressiva evoluzione che ha tenuto conto dell'evoluzione della società: i congedi parentali, ad esempio, sono stati estesi al padre ed anche a genitori non sposati.

Anche il lavoro minorile è circondato da particolari cautele, volte a garantire sia che lo sviluppo fisico e mentale del minore non sia pregiudicato sia che la sua prestazione lavorativa non possa essere sfruttata (pertanto, ad esempio, non può essere utilizzato per lavori pericolosi, faticosi o insalubri, ed ha diritto, a parità di ore di lavoro, alla medesima retribuzione corrisposta agli adulti). E' importante considerare che il lavoro minorile gode di una tutela autonoma, cioè diversa da quella predisposta, pur nella medesima norma, per il lavoro femminile, e speciale rispetto a quella ordinaria dei lavoratori. Anche a livello comunitario si registra una apposita disciplina, in particolare nell'art. 32 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione Europea.

Relazione al Progetto della Costituzione

(Relazione del Presidente della Commissione per la Costituzione Meuccio Ruini che accompagna il Progetto di Costituzione della Repubblica italiana, 1947)

37 Sono direttive generali anche il criterio di rimunerazione del lavoro e la parificazione, a tali effetti, della lavoratrice al lavoratore; con che si completa in questa costituzione la conquistata eguaglianza della donna.

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Consulenze legali
relative all'articolo 37 Costituzione

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L. C. chiede
giovedì 17/04/2025
“Sono una docente nata nel 1969 con 31 anni di anzianità contributiva. Ho anche qualche mese di lavoro nella gestione separata che ho aperto nel 1996 e chiuso nel 2005. Vorrei conoscere le tipologie di pensione di cui potrei usufruire soprattutto alla luce di un eventuale riscatto della laurea agevolato che però mi precluderebbe alcune modalità di pensionamento e l’uscita dal misto.
Ho constatato molta confusione nei vari caf a cui mi sono rivolta.
Cordialmente

Consulenza legale i 27/04/2025
Il sistema pensionistico italiano si fonda sul principio della ripartizione, secondo il quale i contributi versati dai lavoratori attivi finanziano le prestazioni erogate ai pensionati.

Il metodo di calcolo della pensione varia in base alla data di inizio dell’attività lavorativa: per coloro che hanno iniziato a versare contributi prima del 1° gennaio 1996 si applica il sistema cosiddetto misto, che combina il metodo retributivo (per l’anzianità maturata fino al 31 dicembre 1995) con il metodo contributivo (per i periodi successivi); al contrario, chi ha iniziato la propria attività lavorativa a partire dal 1° gennaio 1996 rientra nel sistema contributivo integrale, introdotto dalla riforma Dini (Legge n. 335/1995), che ha avviato il progressivo superamento del metodo retributivo. Successivamente, con la riforma Fornero (Legge n. 214/2011), è stato esteso il calcolo contributivo pro quota a tutti i lavoratori e sono state introdotte ulteriori modifiche al sistema, tra cui la soppressione della pensione di anzianità.

Attualmente, il sistema previdenziale prevede diverse modalità di accesso al pensionamento, disciplinate da requisiti anagrafici e contributivi specifici. In linea generale, sulla base delle informazioni finora acquisite, non risulta maturato, allo stato attuale, alcun diritto al pensionamento, né ordinario né anticipato. Si procederà tuttavia a illustrare sinteticamente le tipologie di pensioni, al fine di consentire una valutazione puntuale e completa da parte dell’interessato.

La pensione di vecchiaia richiede il compimento del 67° anno di età e almeno 20 anni di contributi, comprensivi anche di quelli da riscatto di laurea, servizio militare, maternità e contribuzione figurativa legata alla NASpI.

La pensione anticipata ordinaria non prevede un'età minima, ma necessita di un’anzianità contributiva di almeno 41 anni e 10 mesi per le donne. È accessibile ai soli iscritti alle gestioni INPS e si applica in presenza di contribuzione sia anteriore che successiva al 1995, rientrando nel sistema di calcolo misto o contributivo.

La pensione anticipata contributiva, destinata a chi ha contributi versati esclusivamente dopo il 31 dicembre 1995, consente il pensionamento a 64 anni con almeno 20 anni di contributi effettivi (esclusi i figurativi), a condizione che l'importo della pensione raggiunga almeno tre volte l’assegno sociale, con soglie leggermente ridotte per le donne con figli.
Accanto a queste forme ordinarie, esistono strumenti per il pensionamento anticipato in situazioni particolari.

L’APE Sociale permette l’uscita dal lavoro a 63 anni per soggetti in condizioni di particolare fragilità (disoccupati, caregiver, o impiegati in lavori gravosi), con almeno 30 o 36 anni di contributi, secondo la categoria.

La RITA (Rendita Integrativa Temporanea Anticipata) consente l’accesso anticipato alla pensione a fronte di requisiti specifici e in presenza di forme di previdenza complementare.

La Quota 103, misura transitoria prevista per il triennio 2023-2025, consente il pensionamento con almeno 62 anni di età e 41 anni di contributi, ma potrebbe essere modificata o prorogata in futuro, non avendo carattere strutturale.

L'Opzione Donna, infine, consente alle lavoratrici con almeno 61 anni di età (riducibili fino a due anni in presenza di figli) e 35 anni di contribuzione di accedere alla pensione anticipata solo se appartenenti a categorie specifiche: disoccupate, caregiver conviventi con familiari disabili, invalide civili con almeno il 74% di invalidità, o madri con almeno due figli. In mancanza di tali condizioni, il beneficio non è attualmente accessibile, ma potrebbe esserlo in futuro in caso di modifiche normative.

Come anticipato, allo stato attuale, nessuna delle opzioni di pensionamento previste dalla normativa vigente risulta praticabile nel caso esaminato.

Per quanto riguarda il riscatto del periodo di studi universitari, tale operazione può contribuire ad incrementare l’anzianità contributiva. Tuttavia, è rilevante sottolineare che, pur determinando un aumento dell’anzianità stessa, il riscatto, nel caso in esame, non incide sulla tempistica del pensionamento a breve termine.

La scelta del riscatto della laurea deve essere valutata con la dovuta attenzione, in particolare per quanto concerne la modalità adottata, in quanto essa incide direttamente sul calcolo della prestazione pensionistica. Il riscatto ordinario, pur comportando un onere economico maggiore, consente di incrementare l’importo della pensione. Viceversa, il riscatto agevolato, sebbene comporti costi inferiori, potrebbe avere un impatto negativo sul calcolo della prestazione pensionistica, riducendo l’importo finale spettante.

Per avere un quadro chiaro della propria posizione contributiva, si consiglia di richiedere l'Estratto Conto Certificativo (ECOCERT) all'INPS. Questo documento fornirà una ricostruzione ufficiale della propria posizione assicurativa, confermando il sistema di calcolo applicabile e facilitando una pianificazione pensionistica più precisa. Inoltre, l'INPS offre la possibilità di eseguire una simulazione del riscatto, che consente di valutare l’impatto economico dell’operazione e di prendere una decisione più consapevole prima di procedere.

Anonimo chiede
giovedì 09/11/2023
“Buongiorno,
la mia compagna è alla 35 settimana di gestazione. Per l'epoca del parto è stato fissato il colloquio di un bando di selezione pubblica per titoli e colloquio emanato da un' azienda ospedaliera pubblica. Vorremmo conoscere - dato che nel bando specifico non si fa menzione a tale ipotesi - se sussistono delle norme che ammettono la possibilità di richiedere una posticipazione o riinvio della prova di esame. Siamo a conoscenza che esistono delle sentenze del tar favorevoli ma volevamo sapere se esistono, a prescindere dalla possibilità di adire a concorso, delle norme da citare eventualmente nella richiesta di posticipazione della prova.”
Consulenza legale i 17/11/2023
Oltre ai principi generali di cui agli art. 31 e 37 della Costituzione, si potrebbe citare l’art. 7, comma 7, del decreto del Presidente della Repubblica 9 maggio 1994, n. 487 (concernente norme sull'accesso agli impieghi nelle pubbliche amministrazioni e le modalità di svolgimento dei concorsi, dei concorsi unici e delle altre forme di assunzione nei pubblici impieghi), prevede che “Le amministrazioni assicurano la partecipazione alle prove, senza pregiudizio alcuno, alle candidate che risultino impossibilitate al rispetto del calendario previsto dal bando a causa dello stato di gravidanza o allattamento, anche attraverso lo svolgimento di prove asincrone e, in ogni caso, la disponibilità di appositi spazi per consentire l'allattamento. In nessun caso il ricorrere di tali condizioni può compromettere la partecipazione al concorso. A tal fine i bandi di concorso prevedono specifiche misure di carattere organizzativo e modalità di comunicazione preventiva da parte di chi ne abbia interesse. Per l'ammissione ad eventuali prove fisiche le amministrazioni possono richiedere la produzione di certificazione sanitaria attestante l'idoneità del candidato al loro svolgimento”.