Al fine di pervenire a tale soluzione, la Corte ha fornito una sintetica ricostruzione del contesto normativo in cui tale questione si colloca.
Giova ricordare dunque che l’istituto della sostituzione della pena detentiva fu introdotto nel nostro ordinamento nel 1981 con l’obiettivo di evitare gli effetti c.d. desocializzanti della carcerazione di breve durata (quali la brusca lacerazione dei rapporti familiari, sociali e lavorativi con conseguente difficoltà di un loro ripristino successivo e il contatto con persone condannate per reati assai più gravi con effetto “criminogeno”), assicurando al contempo – in conseguenza del loro contenuto comunque afflittivo – un risultato di intimidazione e ammonimento del reo, che dovrebbe distoglierlo dalla commissione di nuovi reati in futuro.
In particolare, il secondo comma dell’art. 53 della legge n. 689 del 1981 prevede un sistema di determinazione della pena pecuniaria sostitutiva per tassi giornalieri: il giudice, cioè, individua il valore giornaliero al quale può essere assoggettato l’imputato e lo moltiplica per i giorni di pena detentiva, tenendo conto – ai fini della determinazione di tale valore giornaliero – «della condizione economica complessiva dell’imputato e del suo nucleo familiare». Tale valore giornaliero non può, tuttavia, essere inferiore alla somma indicata dall’articolo 135 del codice penale, cioè a € 250,00.
Ciò premesso, la Consulta ha dichiarato fondate le questioni sollevate dal giudice rimettente, in riferimento agli artt. 3 e 27 Cost., sull’eccessività di tale limite minimo. I Giudici delle Leggi hanno evidenziato:
- che la discrezionalità di cui dispone il legislatore nella quantificazione delle pene incontra il proprio limite, ai sensi del combinato disposto degli artt. 3 e 27, terzo comma, Cost. nella manifesta sproporzione della singola scelta sanzionatoria rispetto alla gravità oggettiva e soggettiva del reato;
- che – come già affermato in Corte Cost. 131 del 1979 – la pena detentiva comprime la libertà personale, che è «bene primario posseduto da ogni essere vivente», mentre la pena pecuniaria incide sul patrimonio, bene che «non inerisce naturalmente alla persona umana», sicchè la pena pecuniaria naturalmente comporta l’inconveniente di una disuguale afflittività: una multa del medesimo importo, infatti, può risultare più o meno afflittiva secondo le disponibilità reddituali e patrimoniali del singolo condannato;
- che il principio di eguaglianza sostanziale impone di rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che limitano di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini (art. 3, secondo comma, Cost.);
- che “una quota giornaliera di 250 euro è, all’evidenza, ben superiore a quella che la gran parte delle persone che vivono oggi nel nostro Paese sono ragionevolmente in grado di pagare, in relazione alle proprie disponibilità reddituali e patrimoniali. Moltiplicata poi per il numero di giorni di pena detentiva da sostituire, una simile quota conduce a risultati estremamente onerosi”;
- che – come aveva già evidenziato la richiamata Corte. Cost. n. 15 del 2020, – una quota giornaliera di conversione così elevata ha determinato, nella prassi, una drastica compressione del ricorso alla sostituzione della pena pecuniaria e “ha finito per trasformare la sostituzione della pena pecuniaria in un privilegio per i soli condannati abbienti”, in contrasto con l’art. 3 Cost.