Cass. pen. n. 19367/2020
E' manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 443, comma 4, cod proc. pen., per contrasto con gli artt. 3, 101, 111, primo comma, e 117, primo comma Cost., in relazione all'art. 6 par. 1 della Convenzione EDU, come interpretato della giurisprudenza della Corte Europea dei Diritti dell'Uomo, nella parte in cui, nel rinviare alle forme previste dall'art. 599 cod. proc. pen., non prevede che il giudizio di appello relativo ad un processo svoltosi in primo grado con rito abbreviato possa essere celebrato in pubblica udienza quando ne facciano richiesta tutti gli imputati, in quanto le particolari forme semplificate del giudizio abbreviato, con componente premiale in caso di condanna, giustificano la compressione del principio di pubblicità nel giudizio di impugnazione, ove sia riconosciuta la possibilità di sollecitare l'udienza pubblica in primo grado. (Dichiara inammissibile, CORTE ASSISE APPELLO LECCE, 03/12/2018).
Cass. pen. n. 5959/2020
In tema di giudizio di appello, la violazione del termine a comparire di venti giorni stabilita dall'art. 601, comma 3, cod. proc. pen., integra una nullità di ordine generale relativa all'intervento dell'imputato che deve essere rilevata o dedotta entro i termini previsti dall'art. 180 cod. proc. pen., e cioè prima della deliberazione della sentenza d'appello. (Rigetta, CORTE APPELLO MESSINA, 28/02/2019).
Cass. pen. n. 10508/2019
La volontà di comparire all'udienza da parte del detenuto, manifestata tempestivamente, produce i suoi effetti non solo in relazione all'udienza per la quale essa sia formulata, ma anche, qualora non si verifichi una espressa rinuncia, per quelle successive, fissate a seguito di rinvio a udienza fissa, sicchè, in tal caso, la mancata traduzione del detenuto all'udienza di rinvio determina la nullità della relativa sentenza. (Annulla con rinvio, GIUDICE DI PACE GENOVA, 20/02/2019).
Cass. pen. n. 27245/2019
Nel giudizio camerale di appello avverso la sentenza pronunciata in esito a giudizio abbreviato, la presenza dell'imputato non è necessaria e, pertanto, è onere dello stesso, ove detenuto (nella specie, per altra causa), comunicare il proprio legittimo impedimento e la volontà di comparire all'udienza, onde, in mancanza di tale comunicazione, il giudice non è tenuto a disporre la traduzione o a rinviare l'udienza. (Dichiara inammissibile, CORTE APPELLO GENOVA, 03/11/2017).
Cass. pen. n. 25777/2019
In tema di giudizio di appello, la violazione del termine a comparire di venti giorni stabilita dall'art. 601, comma 3, cod. proc. pen., non risolvendosi in una omessa citazione dell'imputato, costituisce una nullità a regime intermedio che risulta sanata nel caso in cui non sia eccepita entro i termini previsti dall'art. 180, richiamato dall'art. 182 cod. proc. pen. (Nel caso di specie, attesa l'assenza dell'imputato nel giudizio d'appello che si era celebrato in contumacia, la Corte ha ritenuto fondata l'eccezione difensiva). (Annulla in parte con rinvio, CORTE APPELLO ANCONA, 14/07/2016).
Cass. pen. n. 55171/2018
Nel giudizio d'appello, l'inosservanza del termine di comparizione dell'imputato di cui dall'art. 601 cod. proc. pen. costituisce una nullità relativa, che è sanata se non eccepita nei termini di cui all'art. 181, comma 3, cod. proc. pen., e, precisamente, subito dopo l'accertamento della costituzione delle parti. (Dichiara inammissibile, CORTE APPELLO LECCE, 06/06/2016).
Cass. pen. n. 7425/2018
In tema di decisioni assunte dalla Corte di appello in camera di consiglio (nella specie, impugnazione di sentenza resa all'esito di giudizio abbreviato), il termine a comparire è quello di venti giorni stabilito dall'art. 601 comma 3, cod. proc. pen. dovendosi ritenere che questa norma, per la sua collocazione e per il suo contenuto specifico, disciplini in via generale, quanto agli atti preliminari, lo svolgimento del giudizio di impugnazione, sia per il dibattimento, sia per le forme camerali, riguardando il rinvio all'art. 127 cod. proc. pen., di cui dall'art. 599, comma 1 dello stesso codice, il solo svolgimento dell'udienza camerale e non anche il più breve termine di comparizione.
Cass. pen. n. 18620/2017
È affetta da vizio di motivazione, per mancato rispetto del canone di giudizio "al di là di ogni ragionevole dubbio", la sentenza di appello che, su impugnazione del pubblico ministero, affermi la responsabilità dell'imputato, in riforma di una sentenza assolutoria emessa all'esito di un giudizio abbreviato non condizionato, operando una diversa valutazione di prove dichiarative ritenute decisive, senza che nel giudizio di appello si sia proceduto all'esame delle persone che abbiano reso tali dichiarazioni. (In motivazione, la S.C. ha affermato che la decisione liberatoria di primo grado travalica ogni pretesa esigenza di automatica "simmetria" tra primo e secondo grado di giudizio, imponendo in appello il ricorso al metodo di assunzione della prova caratterizzato da oralità e immediatezza, in quanto incontestabilmente più affidabile per l'apprezzamento degli apporti dichiarativi).
Cass. pen. n. 10509/2017
In tema di giudizio di appello, una volta che l'imputato lamenti con l'atto di gravame la mancanza di prova in ordine alla sussistenza in uno o più elementi costitutivi del reato, nessun rilievo può avere il fatto che, nel corso del giudizio di primo grado, detta mancanza di prova non sia stata espressamente contestata dall'imputato, nessuna preclusione in tal senso prevedendo le norme (ferma restando, ovviamente, la necessità di impugnare il relativo punto della sentenza), e non essendo previsto, nell'ordinamento processuale penale, un onere probatorio a carico dell'imputato modellato sui principi propri del processo civile. (Fattispecie di omesso versamento delle ritenute operate sulle retribuzioni dei dipendenti - di cui all'art.10-bis del D.Lgs. n. 74 del 2000 nel testo vigente prima delle modifiche apportate dall'art.7 del D.Lgs. n. 158 del 2015 che ha esteso la penale rilevanza della condotta, anteriormente limitata alle sole ritenute "certificate", anche alle ritenute "dovute" sulla base della dichiarazione annuale di sostituto di imposta - nella quale la Corte ha escluso che la mancata contestazione da parte dell'imputato, nel corso del giudizio di primo grado, dell'avvenuto rilascio della certificazione, esonerasse per ciò solo la Pubblica Accusa dall'onere di prova e il giudice dell'appello dal relativo accertamento).
Cass. pen. n. 10840/2012
Nel giudizio di appello instaurato a seguito dell'impugnazione della sentenza emessa nel giudizio abbreviato l'impedimento a comparire del difensore dell'imputato non può dare luogo al rinvio dell'udienza camerale, in quanto quest'ultima è espressamente disciplinata dagli artt. 599 e 127 cod. proc. pen., con conseguente inapplicabilità dell'art. 420 ter, comma quinto.
Cass. pen. n. 4694/2012
Nel giudizio d'appello avverso la sentenza pronunciata all'esito del rito abbreviato la richiesta di partecipazione da parte dell'imputato impedito può essere tratta anche da "facta concludentia" da cui possa desumersi la sua inequivoca manifestazione di volontà di comparire all'udienza camerale.
Cass. pen. n. 35399/2010
La mancata traduzione all'udienza camerale d'appello, perché non disposta o non eseguita, dell'imputato che abbia tempestivamente manifestato in qualsiasi modo la volontà di comparire e che si trovi detenuto o soggetto a misure limitative della libertà personale, determina la nullità assoluta e insanabile del giudizio camerale e della relativa sentenza.
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Nel giudizio camerale d'appello l'imputato, detenuto o comunque soggetto a misure limitative della libertà personale, ha diritto di richiedere al giudice competente l'autorizzazione a recarsi in udienza o di essere ivi accompagnato o tradotto e, in difetto di quest'ultima o in caso di rigetto della medesima da parte del giudice competente, a fronte della tempestiva richiesta dell'imputato di presenziarvi, v'è l'obbligo del giudice d'appello procedente, a pena di nullità assoluta, di disporne la traduzione, essendo inibita la celebrazione del giudizio in sua assenza.
Cass. pen. n. 4976/2010
È legittima la sentenza, pronunciata dopo l'entrata in vigore dell'art. 2, comma primo, lett. i), D.L. 23 maggio 2008, n. 92 che ha abrogato i commi quarto e quinto, dell'art. 599, c.p.p., con la quale il giudice d'appello, su accordo delle parti perfezionatosi prima dell'entrata in vigore della norma abrogatrice, ha accolto i motivi d'impugnazione, in tutto o in parte e con rinuncia agli altri eventuali motivi.
Cass. pen. n. 3391/2010
Dopo la definizione concordata della pena in appello a norma dell'art. 599, comma quarto, c.p.p. non può essere dedotta l'estinzione del reato per prescrizione, tanto nel caso in cui il relativo termine sia decorso prima della pronuncia del giudice di appello, quanto in quello in cui sia decorso successivamente ad essa.
Cass. pen. n. 27842/2009
Nel giudizio camerale d'appello disciplinato dall'art. 599 c.p.p. l'adesione del difensore all'astensione dalle udienze non può costituire causa di rinvio, né sotto il profilo del «legittimo impedimento» né sotto quello (esclusa l'invocabilità del diritto di sciopero) dell'esercizio di un «diritto di libertà» riconducibile, come affermato dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 171 del 1996, al diritto di associazione di cui all'art. 18 della Costituzione.
Cass. pen. n. 5332/2008
È illegittima la decisione del giudice di appello, che, a fronte dell'accordo delle parti di cui all'art. 599, comma quarto c.p.p., subordinato alla concessione dei benefici di legge ovvero anche solo accompagnato dalla richiesta degli stessi, accolga detto accordo solo in ordine alla pena concordata senza concedere i benefici suddetti, non potendo il giudice fuoriuscire dall'alternativa tra l'accogliere il patto nella sua integrità, ove legittimo, ed il procedere con il rito ordinario prescindendo dal concordato.
Cass. pen. n. 25199/2007
In tema di definizione concordata della pena in appello, la rinuncia dell'imputato ai motivi di impugnazione ben può ricomprendere anche le doglianze relative alla costituzione di parte civile.
Cass. pen. n. 2811/2007
Qualora nel giudizio di appello, celebrato in camera di consiglio ai sensi dell'art. 599, comma secondo, c.p.p., venga presentato un certificato medico che attesti l'assoluto impedimento a comparire dell'imputato, l'udienza deve essere rinviata, dovendosi equiparare la documentazione prodotta ad una manifestazione univoca della volontà di partecipare.
Cass. pen. n. 39952/2006
In tema di patteggiamento in appello, è inammissibile il ricorso in cassazione che deduca la carenza o insufficienza della motivazione in ordine alla mancata applicazione dell'art. 129 c.p.p., allorquando la rinuncia ai motivi in punto di responsabilità comporta, per l'effetto devolutivo, che il giudice sia investito dei soli motivi non rinunciati, che riguardano il regime sanzionatorio; resta comunque in capo al giudice l'obbligo di verificare che non sussistano le condizioni che impongano il proscioglimento dell'imputato, e di tale adempimento ben può dare conto con motivazione sintetica. (Fattispecie in cui la Corte ha ritenuto che tale requisito sia soddisfatto dalla sentenza che affermi «Non sussistono i presupposti per l'applicazione dell'art. 129 c.p.p.»).
Cass. pen. n. 2711/2006
E' legittima la decisione con cui il giudice di appello nel rigettare la richiesta di pena patteggiata, ai sensi dell'art. 599, comma quarto, c.p.p. — formulata nella fase introduttiva del giudizio dal difensore munito di procura speciale, in contumacia dell'imputato ritualmente citato — non disponga il rinvio del dibattimento e una nuova citazione a comparire dell'imputato, in quanto, in tal caso, la previsione di cui all'art. 599, comma quinto, c.p.p. deve essere coordinata con quella di cui all'art. 602, comma secondo, c.p.p., per la quale il giudice, ove non accolga l'istanza di patteggiamento, dispone per la prosecuzione del dibattimento.
Cass. pen. n. 211/2006
Nel procedimento che definisce il concordato in appello (art. 599, comma quarto, c.p.p.), la motivazione del giudice sull'assenza dei presupposti che legittimano l'operatività dell'art. 129 c.p.p., analogamente a quanto avviene per il patteggiamento in primo grado, può essere anche implicita o meramente enunciativa, considerato che il giudice può pronunciare sentenza di proscioglimento solo se risultino dagli atti elementi idonei a superare la presunzione di colpevolezza che il legislatore ricollega alla formulazione di una richiesta di applicazione della pena o, comunque, manchi un quadro probatorio idoneo a definire il fatto come reato.
Cass. pen. n. 36638/2005
In tema di pena concordata tra le parti in sede di appello ai sensi dell'art. 509, comma 4, c.p.p., nell'ipotesi che l'accordo sia subordinato alla concessione della sospensione condizionale della pena al giudice che non ritenga concedibile il beneficio non è consentita altra via se non quella di procedere con le forme ordinarie, senza dar luogo al concordato. (Mass. redaz.).
Cass. pen. n. 18996/2005
Nel c.d. «patteggiamento della pena in appello» ai sensi dell'art. 599, comma 4, c.p.p., le parti esercitano il potere dispositivo loro riconosciuto dalla legge, dando vita a un negozio processuale liberamente stipulato che, una volta consacrato nella decisione del giudice, non può essere unilateralmente modificato — salva l'ipotesi di illegalità della pena concordata — da chi lo ha promosso o vi ha aderito, mediante proposizione di apposito motivo di ricorso per cassazione. (Mass. redaz.).
Cass. pen. n. 36028/2004
In tema di c.d. “patteggiamento in appello”, il giudice, pur essendo indubbiamente tenuto a rilevare l'eventuale sussistenza di condizioni che impongano il proscioglimento dell'imputato ai sensi dell'art. 129 c.p.p., non è tuttavia tenuto, nell'accogliere la richiesta delle parti, a motivare circa la mancata adozione di siffatta pronuncia in quanto, a causa dell'effetto devolutivo, una volta che lo stesso imputato abbia rinunciato ai motivi d'impugnazione, la cognizione del giudice d'appello è limitata esclusivamente ai motivi non rinunciati, relativi al regime sanzionatorio.
Cass. pen. n. 22689/2004
Non costituisce causa di incompatibilità e di ricusazione il fatto che il giudice, nei confronti di imputati dello stesso reato, abbia pronunciato o concorso a pronunciare sentenza d'appello emessa ai sensi dell'art. 599, comma 4, c.p.p. (c.d. «patteggiamento in appello»), quando detta sentenza, secondo quanto ricavabile dalla relativa motivazione, non contenga alcuna valutazione sulla responsabilità di terzi.
Cass. pen. n. 22308/2004
L'impedimento del difensore a comparire, mentre può essere causa di rinvio dell'udienza nel giudizio abbreviato di primo grado (sia che questo si svolga in camera di consiglio che in pubblica udienza), in virtù del richiamo operato dall'art. 441, comma primo, c.p.p. alle disposizioni previste per l'udienza preliminare, ivi comprese quelle di cui all'art. 420 ter stesso codice (da riguardarsi come sicuramente compatibili con la natura del giudizio abbreviato), non può, invece, dar luogo a rinvio dell'udienza camerale fissata per la discussione dell'appello, ai sensi del combinato disposto degli artt. 443, comma quarto, e 599 c.p.p., sui quali non hanno inciso, sotto il profilo che qui interessa, nè la legge di riforma del giudizio abbreviato 16 dicembre 1999 n. 479 nè quelle successive, per cui rimane valido il principio secondo cui l'udienza camerale d'appello può essere rinviata, ai sensi del citato art. 599, comma primo(nella parte in cui richiama l'art. 127 c.p.p.) e comma secondo, solo se sussiste un legittimo impedimento dell'imputato il quale abbia chiesto di essere sentito personalmente o abbia manifestato la volontà di comparire.
Cass. pen. n. 35557/2003
In tema di «patteggiamento in appello», il giudice, nell'accogliere la richiesta avanzata a norma dell'art. 599, quarto comma, c.p.p., non è tenuto a motivare sul mancato proscioglimento dell'imputato per taluna delle cause previste dall'art. 129 c.p.p., in quanto a causa dell'effetto devolutivo, una volta che l'imputato abbia rinunciato ai motivi di impugnazione, la sua cognizione è limitata esclusivamente ai motivi non rinunciati (nella specie, il motivo non rinunciato era attinente alla misura della pena).
Cass. pen. n. 35108/2003
In tema di c.d. patteggiamento in appello il giudice d'appello nell'accogliere la richiesta avanzata a norma dell'art. 599, comma 4, c.p.p., non è tenuto a motivare sul mancato proscioglimento dell'imputato per taluna delle cause previste dall'art. 129 c.p.p. né sull'insussistenza di cause di nullità assoluta o di inutilizzabilità della prova, in quanto a causa dell'effetto devolutivo, una volta che l'imputato abbia rinunciato ai motivi d'impugnazione, la cognizione del giudice deve limitarsi ai motivi non rinunciati, essendovi peraltro una radicale diversità tra l'istituto dell'applicazione della pena su richiesta delle parti e quello disciplinato dal citato art. 599 c.p.p.
Cass. pen. n. 34244/2003
L'istituto del cosiddetto «patteggiamento in appello» di cui all'art. 599 c.p.p. non è ammissibile al giudizio speciale disciplinato dagli artt. 444 ss. c.p.p., che per la sua specificità, è caratterizzato da regole del tutto atipiche rispetto a quelle del procedimento ordinario. Ne consegue che ad esso, in assenza di espresso rinvio, non è estensibile la disposizione di favore stabilita dall'art. 445, secondo comma, c.p.p., in base alla quale la sentenza di cui all'art. 444, secondo comma, c.p.p. non può essere titolo valido per la revoca della sospensione condizionale in precedenza concessa.
Cass. pen. n. 16965/2003
In tema di concordato in appello, allorché le parti abbiano, ex art. 599, comma 4, c.p.p., patteggiato sulla determinazione dell'entità della pena, previa rinuncia a tutti gli altri motivi di appello, il giudice dell'appello non ha alcun obbligo di motivare in ordine alle questioni rinunciate riguardanti nullità rilevabili di ufficio e inutilizzabilità di elementi di prova, posto che i motivi con i quali esse sono state dedotte sono stati espressamente oggetto di rinuncia delle parti e, quindi, non essendogli più devoluti, non possono formare oggetto della relativa pronuncia.
Cass. pen. n. 11756/2003
Per la manifestazione della volontà di comparire all'udienza, di cui al secondo comma dell'art. 599 c.p.p. non è necessaria una richiesta formale di audizione, essendo sufficiente che la volontà sia esternata in qualsiasi modo, purché anteriormente all'inizio dell'udienza della quale si chiede il rinvio. La dichiarazione relativa, una volta effettuata, ancorché per mezzo del difensore (ai sensi del quarto comma dell'art. 100 c.p.p.), per una determinata udienza, conserva i suoi effetti anche per quella cui il procedimento sia eventualmente rinviato a nuovo ruolo, con la conseguenza che, se quest'ultima udienza venga comunque celebrata senza la presenza dell'imputato, deve ritenersi la nullità di tutti gli atti e della sentenza, ai sensi dell'art. 178, lett. c), c.p.p.. (Fattispecie in cui l'imputato, agli arresti domiciliari, non era stato tradotto all'udienza successiva, alla quale era stato rinviato il processo per impedimento a comparire dell'imputato e del difensore, nonostante risultasse presentata istanza di partecipazione al dibattimento, depositata dal difensore).
Cass. pen. n. 43535/2002
Il giudice competente per l'esecuzione, nell'ipotesi di sentenza emessa a norma dell'art. 599, comma 4, c.p.p., il cui tema di indagine e di decisione è circoscritto nell'ambito dei motivi non rinunciati, deve essere individuato caso per caso in relazione all'effettivo contenuto della deliberazione, nel senso che, qualora la decisione sia stata riformata soltanto in ordine alla misura della pena la competenza appartiene al giudice di primo grado, mentre spetta al giudice d'appello quando, per effetto dell'accordo delle parti, siano state riconosciute circostanze attenuanti o siano state escluse circostanze aggravanti ovvero sia stato modificato il giudizio di comparazione o sia stata applicata la continuazione tra più reati.
Cass. pen. n. 8687/2002
In tema di pena concordata tra le parti in sede di appello ai sensi dell'art. 599, comma 4, c.p.p., nell'ipotesi che l'accordo sia subordinato alla concessione della sospensione condizionale della pena al giudice che non ritenga concedibile il beneficio non è consentita altra via se non quella di procedere con le forme ordinarie, senza dar luogo al concordato. (Fattispecie in cui la Corte ha annullato con rinvio la sentenza con cui la Corte aveva applicato la pena concordata omettendo di dichiarare la stessa condizionalmente sospesa).
Cass. pen. n. 209/2002
L'imputato detenuto, in qualunque istituto si trovi ristretto, il quale abbia tempestivamente manifestato la volontà di comparire nel giudizio camerale di appello disciplinato dagli artt. 127 e 599 c.p.p., ha diritto di presenziare all'udienza, sicché ne deve essere disposta ed eseguita la traduzione, a pena di nullità assoluta e insanabile ai sensi degli artt. 178 lett. c) e 179 c.p.p., difettando, in caso contrario, una vocatio in ius idonea ad instaurare validamente il contraddittorio.
Cass. pen. n. 40767/2001
In tema di c.d. «patteggiamento in appello», l'imputato non può riproporre in sede di legittimità questioni, ancorché rilevabili d'ufficio, che abbiano formato oggetto di motivi di appello ai quali, con la richiesta e la successiva definizione del giudizio di appello a norma dell'art. 599, comma 4, c.p.p., ha rinunciato.
Cass. pen. n. 14151/2001
Attese le profonde differenze tra il c.d. «patteggiamento in appello», previsto dall'art. 599, comma 4, c.p.p. (nel testo novellato dall'art. 1 della legge 19 gennaio 1999 n. 14), e quello ordinario disciplinato dagli artt. 444 ss. c.p.p., è da escludere che nel primo di essi possa trovare applicazione la regola dettata dal terzo comma del citato art. 444 secondo cui il giudice deve respingere la richiesta di applicazione della pena qualora, avendo la parte esplicitamente subordinato la sua efficacia alla concessione della sospensione condizionale, non ritenga di concedere tale beneficio. Il giudice d'appello, quindi, pur quando le parti, oltre ad essersi accordate su di una rideterminazione della pena (con rinuncia agli altri eventuali motivi), abbiano anche avanzato richiesta di sospensione condizionale, può limitarsi a ratificare soltanto l'accordo sulla pena senza concedere il beneficio, fermo restando che tale mancata concessione deve risultare comunque adeguatamente motivata, anche con riguardo al giudizio prognostico richiesto dalla legge.
Cass. pen. n. 20944/2001
Analogamente a quanto accade per la definizione di procedimento mediante sentenza di patteggiamento ai sensi dell'art. 444 c.p.p., anche nel giudizio d'appello definito ai sensi dell'art. 599, comma 4, c.p.p., nel quale le parti abbiano dichiarato di concordare sulla determinazione della pena, il giudice, richiesto di definizione del procedimento mediante sentenza che accolga la proposta concordata, dopo aver escluso sulla base degli atti che debba essere pronunciato proscioglimento ai sensi dell'art. 129 c.p.p., in relazione alla fattispecie sottoposta al suo esame, non può nella fase in cui valuta, nelle sue componenti, l'accordo raggiunto dalle parti per l'applicazione della pena, essere restituito nell'esercizio di un potere che ha già consumato; ne consegue che anche l'indicazione nel patto di circostanze attenuanti generiche, vale solo per la determinazione della pena da infliggere in concreto e non già per farne conseguire anche la dichiarazione di estinzione del reato per prescrizione, non essendo consentita l'utilizzazione dell'accordo medesimo per finalità incompatibili con il suo contenuto e con gli scopi alla cui realizzazione era preordinato.
Cass. pen. n. 1/2000
In tema di giudizio abbreviato, pur mancando nell'art. 599 c.p.p. una disposizione analoga a quella dell'art. 442, terzo comma, stesso codice, anche la sentenza emessa a conclusione del giudizio di appello tenutosi con le forme camerali deve essere notificata all'imputato non comparso, a norma degli artt. 127, settimo comma, e 128 stesso codice, e dalla data della notificazione decorre il termine per impugnare.
Cass. pen. n. 7379/2000
È illegittima la sentenza di appello che disattenda la censura proposta dall'imputato, concernente la richiesta di revoca della sospensione condizionale della pena, applicata di ufficio dal giudice di primo grado, motivata con il rilievo della riferibilità del beneficio a pena pecuniaria derivante dalla sostituzione di corrispondente pena detentiva, sussistendo l'interesse alla sua eliminazione.
Cass. pen. n. 4946/2000
Alla rinuncia ai motivi di appello ai sensi dell'art. 599 c.p.p. consegue la inammissibilità del ricorso per cassazione fondato sulla riproposizione degli stessi motivi che sono stati oggetto del patteggiamento in appello. (Nella specie la Corte ha dichiarato inammissibile l'impugnazione relativa alla violazione dell'art. 178 c.p.p. per non avere il difensore ricevuto notifica in merito alla trattazione del processo di primo grado, già dedotta come motivo di appello).
Cass. pen. n. 5893/2000
Allorché l'appellante concorda con il procuratore generale la misura della pena, ai sensi dell'articolo 599, comma quarto, c.p.p., rinunciando a tutti gli altri motivi di impugnazione, non può poi dolersi della omessa o illogica motivazione in ordine ai motivi oggetto della rinuncia. Ed invero, la rinuncia ad alcuni dei motivi d'appello ha per effetto di ridurre l'effetto devolutivo dell'appello ai motivi residui non rinunciati, con l'ulteriore conseguenza di precludere, ai sensi del terzo comma dell'articolo 606 c.p.p., la deduzione in sede di legittimità dei motivi rinunciati, a meno che non riguardino questioni rilevabili d'ufficio in ogni stato e grado del processo ex articolo 609, comma secondo, c.p.p.
Cass. pen. n. 388/2000
In tema di appello, con riferimento alla decisione assunta in camera di consiglio, il rinvio dell'udienza è possibile solo in presenza di un legittimo impedimento dell'imputato quando questi abbia però manifestato la volontà di comparire. (Sotto quest'ultimo profilo la Corte non ha ritenuto adeguata e sufficiente la mera richiesta di rinvio avanzata dal difensore, poiché in tal modo non si sarebbe espressa in modo incontrovertibile la volontà di comparire da parte dell'imputato).
Cass. pen. n. 13484/1999
All'istituto del patteggiamento in appello di cui all'art. 599 c.p.p. (ed all'istituto provvisorio del patteggiamento in Cassazione di cui all'art. 3 della legge 19 gennaio 1999 n. 14) non è estensibile la disposizione di favore stabilita dall'art. 445 c.p.p. per il patteggiamento in primo grado di cui agli artt. 444 e segg. c.p.p., secondo cui la sentenza che applica la pena su richiesta delle parti non comporta la applicazione delle pene accessorie e delle misure di sicurezza, fatta eccezione per la confisca. Infatti l'esclusione delle pene accessorie e delle misure di sicurezza è strettamente connessa al carattere di premialità attribuito dal legislatore al patteggiamento di cui all'art. 444, come contropartita alla economia processuale che la scelta delle parti consente. Al patteggiamento in secondo grado non è collegato alcun profilo premiale: né la riduzione sino ad un terzo della pena principale, né la esclusione delle pene accessorie e delle misure di sicurezza, né l'estinzione del reato se entro i termini previsti l'imputato non ne commette un altro. Mancando la eadem ratio tra i due istituti non è possibile estendere a questo i benefici previsti a favore dell'imputato per il patteggiamento in primo grado. Tutto al più nel patteggiamento di secondo grado le parti possono concordare la determinazione non solo della pena principale, ma anche di quelle accessorie, purché sempre entro i limiti edittali previsti.
Cass. pen. n. 2241/1999
Nel giudizio di legittimità è consentito all'imputato ed al pubblico ministero formulare davanti al collegio, nei preliminari dell'udienza, una richiesta di applicazione della pena concordata ancorché sulla precedente diversa proposta del medesimo imputato non sia intervenuto il consenso della parte pubblica; e ciò in quanto la nuova richiesta deve considerarsi ammissibile ed efficace essendo decaduta, per il mancato assenso dell'ufficio requirente, solo la precedente prospettazione come tale e non già la manifestazione di volontà di esercitare la facoltà accordata dall'art. 3 della legge 19 gennaio 1999 n. 14.
Cass. pen. n. 9563/1999
Nel giudizio camerale in grado di appello (art. 599 c.p.p.), l'imputato detenuto in luogo posto fuori della circoscrizione del giudice che procede non ha diritto di essere presente all'udienza ma può soltanto richiedere di essere sentito dal magistrato di sorveglianza della circoscrizione del luogo di detenzione; né, per tale audizione, la normativa vigente prevede — al contrario di quanto accade nel procedimento camerale de libertate — che sia dato avviso al difensore: il magistrato di sorveglianza, infatti, si limita a raccogliere le dichiarazioni dell'imputato destinate ad essere successivamente valutate nel giudizio, ed in tale sede il difensore può svolgere eventuali osservazioni e difese. (In applicazione di tale principio la Corte ha rigettato il ricorso con il quale l'imputato aveva dedotto la nullità per non essere stato tradotto in udienza nonostante l'espressa richiesta di presenziarvi e per essere stato sentito dal magistrato di sorveglianza del luogo di detenzione in assenza del difensore, non avvisato).
Cass. pen. n. 8874/1999
Alla disciplina transitoria dettata per il giudizio di cassazione dall'art. 3 della L. 19 gennaio 1999, n. 14, non è applicabile la norma dell'art. 599, comma 5, c.p.p., nella parte in cui prevede la possibilità di riproporre nel dibattimento la richiesta di patteggiamento già respinta dal giudice. (Nella specie, proposta tempestivamente una prima richiesta di applicazione della pena, il procuratore generale aveva negato il consenso. Rinviata la discussione del ricorso ad udienza fissa, nel corso di questa ultima si realizzava tra le parti l'accordo sulla misura della pena, che veniva peraltro ritenuto inammissibile per le ragioni di cui in massima).
Cass. pen. n. 1824/1999
Poiché la sentenza di applicazione della pena ai sensi dell'art. 599, comma quarto, c.p.p., presuppone un giudizio di congruità della pena proposta dalle parti e una valutazione che non può essere considerata meramente confermativa della decisione di primo grado, in caso di c.d. patteggiamento in appello giudice dell'esecuzione è la corte d'appello, alla quale, pertanto, va presentata l'istanza di applicazione della continuazione in executivis.
Cass. pen. n. 6300/1999
In tema di modifiche apportate dalla legge 19 gennaio 1999 n. 14 all'art. 599 c.p.p., e con riferimento ai compiti della Corte di cassazione previsti nella disciplina transitoria, deve ritenersi che la Corte debba valutare: che il caso sottoposto al proprio esame rientri tra quelli temporalmente previsti dall'art. 3 della legge 14/1999; che la richiesta sia stata tempestivamente presentata nei termini di cui al quarto comma dell'art. 585 c.p.p.; che la parte ricorrente abbia rinunciato a tutti i motivi di gravame ad esclusione di quello relativo alla determinazione della pena; che le parti abbiano concordato la misura della stessa e che la pena indicata non risulti illegale, in ordine sia alla sua specie e quantità correlate al reato cui inerisce, che alla metodologia di determinazione della stessa secondo i criteri indicati dal vigente codice penale. Non è consentita, per contro qualsivoglia valutazione da parte del giudice di legittimità in ordine alla congruità della pena indicata dalle parti, dal momento che un apprezzamento sul punto comporta necessariamente un giudizio sul fatto, riservato in via esclusiva al giudice del merito e non pure a quello di legittimità.
Cass. pen. n. 4125/1999
In tema di patteggiamento in appello, la richiesta concordata tra difesa e pubblico ministero in ordine alla misura finale della pena vincola il giudice nella sua integrità, in quanto la richiesta accolta deve essere basata, oltre che sulla esatta quantificazione del fatto, anche sulla condivisione di ogni altra circostanza influente sul calcolo della pena medesima, senza che il giudice possa prendere in considerazione elementi diversi da quelli prospettati.
Cass. pen. n. 13561/1998
Le questioni già dedotte con l'atto di appello ed in quella sede investite da motivi cui l'appellante abbia definitivamente rinunziato concludendo l'accordo previsto dall'art. 599 quarto comma c.p.p., sono improponibili con il ricorso per cassazione. Fanno eccezione le questioni rilevabili di ufficio in ogni stato e grado del giudizio, o concernenti vizi dello stesso procedimento camerale di appello. (Fattispecie in tema di eccepita revoca implicita della costituzione di parte civile, che la Corte non ha ritenuto far parte delle questioni rilevabili di ufficio).
Cass. pen. n. 13022/1998
Nella fase di appello del giudizio abbreviato, che si svolge in camera di consiglio ai sensi degli artt. 443 ult. comma e 599 c.p.p., l'udienza è rinviata se sussiste un legittimo impedimento dell'imputato, che ha manifestato la volontà di comparire. La condizione di persona sottoposta allo speciale programma di protezione previsto dalla legge n. 82/91 non configura una causa impeditiva permanente, ma postula soltanto la necessità di coordinare e rendere compatibile il regolare corso della giustizia con le esigenze di sicurezza delle persone protette. (Nella fattispecie gli organi di polizia preposti alla tutela avevano assicurato tempestivamente l'accompagnamento in udienza del prevenuto).
Cass. pen. n. 3099/1998
Nel caso in cui il procedimento d'appello si svolga con il rito camerale, secondo la previsione dell'art. 599, comma primo, c.p.p. non si verifica alcuna nullità se l'imputato appellante che sia detenuto non sia stato tradotto in udienza, nel caso in cui egli non abbia fatto espressa richiesta di partecipare all'udienza stessa e tale richiesta non sia stata portata a conoscenza dell'autorità che procede in tempo utile.
Cass. pen. n. 2023/1998
Qualora il giudice dell'appello ritenga di non accogliere la richiesta concordata tra difesa e pubblico ministero in punto di pena con rinunzia agli altri motivi, ai sensi degli artt. 599, comma quarto, e 602, comma secondo, c.p.p., non è necessaria l'adozione di un provvedimento decisorio del collegio di esplicitazione della reiezione della richiesta, essendo sufficiente l'ordine di prosecuzione del dibattimento per portare a conoscenza delle parti che la rinunzia agli altri motivi deve intendersi caducata, onde ben possono sostenerli in prosieguo e nella discussione.
Cass. pen. n. 2689/1998
L'accordo sulla pena in appello tra le parti che, a norma dell'art. 599 c.p.p., rinuncino agli altri motivi, comporta il passaggio in giudicato della sentenza in tema di responsabilità, senza che in alcun modo la decisione possa connotarsi diversamente da una qualsiasi sentenza di condanna. Ne consegue che le limitazioni alla concessione dei permessi premio ai detenuti per i delitti indicati dal primo comma dell'art. 4 bis della legge n. 354 del 1975 (c.d. ordinamento penitenziario) valgono anche nell'ipotesi in cui la detenzione sia determinata da sentenza emessa a seguito di cosiddetto «patteggiamento» della pena in appello. (In motivazione, la S.C. ha ritenuto applicabili le limitazioni in parola anche in caso di espiazione di pena per delitti c.d. ostativi derivante da applicazione a norma dell'art. 444 c.p.p., sul rilievo che il patteggiamento in primo grado è di portata ben più ampia rispetto a quello previsto dall'art. 599 stesso codice, in quanto implicante accordo anche in punto responsabilità, e la relativa sentenza è equiparata a una pronuncia di condanna, salve diverse disposizioni di legge, tra le quali nessuna la esclude ai fini dei benefici previsti dall'ordinamento penitenziario).
Cass. pen. n. 6558/1998
Nel caso in cui, nel procedimento di appello, uno dei coimputati scelga il rito cui all'art. 599, comma quarto (cosiddetto patteggiamento in appello), raggiungendo l'accordo sull'accoglimento in tutto o in parte dei motivi di ricorso, con rinuncia agli altri motivi proposti, la posizione di tale imputato viene ad essere del tutto particolare e diversa da quella degli altri coimputati che non abbiano impugnato o la cui impugnazione sia stata dichiarata inammissibile, con la conseguenza che per questi ultimi deve ritenersi sempre e comunque precluso l'effetto estensivo dell'impugnazione, inteso nel senso di intervento attivo nel giudizio di impugnazione, venendo addirittura meno il presupposto alla base di tale istituto, giacché la decisione che si fonda sull'accordo non può, neppure in astratto, porsi in contrasto con altri giudicati. Peraltro, se resta preclusa, in tale caso, per il non impugnante, la possibilità di partecipare al giudizio di impugnazione, lo stesso potrà comunque giovarsi dell'effetto estensivo della sentenza in caso di decisione favorevole all'imputato impugnante.
Cass. pen. n. 6384/1998
L'art. 599, comma secondo c.p.p., che disciplina la partecipazione all'udienza camerale dell'imputato che abbia manifestato la sua volontà in tal senso, si colloca in una posizione intermedia tra la stessa disciplina dettata dall'art. 486 cpv. per il rito ordinario e quella stabilita dall'art. 127, comma secondo, per tutti i casi di procedimenti in camera di consiglio e trova la sua spiegazione col fatto che il legislatore ha cercato di contemperare la semplificazione derivante dal rito adottato con l'esigenza di una maggiore tutela del diritto di autodifesa nell'ambito di un giudizio destinato ad accertare nel merito la sussistenza o meno della responsabilità dell'imputato.
Cass. pen. n. 1760/1998
L'istituto del c.d. «patteggiamento in appello» disciplinato dagli artt. 599, comma quarto, e 602, comma secondo, c.p.p. che consente — previa rinunzia contestuale dell'imputato a tutti gli altri motivi di appello sulle questioni di merito, ad eccezione di quello relativo alla pena, «patteggiata» fra le parti e conformemente applicata dal giudice di appello — la definizione concordata del procedimento soltanto nei casi elencati nel primo comma dell'art. 599, è cosa ben diversa dal patteggiamento regolato dagli artt. 444-448 c.p.p., non comportando il primo, in contropartita dell'economia processuale, diminuzioni di pena o vantaggi premiali di alcun genere. In particolare, l'accordo tra le parti previsto dall'art. 599 citato non svolge alcuna efficacia sulle statuizioni concernenti il pagamento delle spese del procedimento, l'applicazione di pene accessorie e di misure di sicurezza, conseguenti all'affermazione di responsabilità e alla condanna dell'imputato, disposte dal giudice di primo grado. (Fattispecie relativa all'applicazione, in primo grado, della misura di sicurezza della casa di lavoro ai sensi dell'art. 7, ultimo comma, della legge n. 575 del 1965, in relazione alla quale la S.C. ha ritenuto corretto l'operato del giudice d'appello che, nell'applicare la pena concordata, aveva confermato il capo relativo alla predetta misura di sicurezza).
Cass. pen. n. 2788/1998
La procedura della definizione concordata della pena, di cui all'art. 599, comma quarto, c.p.p. presuppone che l'imputato, nel concordare con il pubblico ministero la nuova determinazione della pena, rinunzi contestualmente a tutti gli altri eventuali motivi di appello sulle questioni di merito, ad eccezione di quello relativo alla pena, «patteggiata» fra le parti e conformemente applicata dal giudice di appello. Sicché deve intendersi preclusa la riproposizione e il riesame, in sede di legittimità, di ogni questione relativa ai motivi oggetto della rinuncia e alla misura della pena inflitta, fatte salve quelle relative all'applicabilità dell'art. 129 c.p.p. o rilevabili in ogni stato e grado del giudizio, ovvero riguardanti invalidità afferenti il medesimo procedimento camerale di appello: con la conseguenza che, in ipotesi di riproposizione di una delle questioni di merito già investite con il motivo di appello oggetto di rinuncia, la relativa impugnazione deve essere dichiarata inammissibile a norma dell'art. 606, comma terzo, ult. parte, c.p.p. (Fattispecie in cui, positivamente apprezzato l'accordo delle parti sulla rideterminazione della pena, la S.C. ha ritenuto improponibile il motivo di ricorso concernente l'erronea qualificazione giuridica del fatto come omicidio doloso anziché preterintenzionale, siccome coinvolto irretrattabilmente nella definizione concordata).
Cass. pen. n. 2368/1998
La indebita celebrazione del giudizio d'appello nelle forme di cui all'art. 599 c.p.p. anziché in quello dell'udienza pubblica dà luogo, per il combinato disposto di cui agli artt. 598 e 471, comma 1, c.p.p., ad una nullità da qualificarsi, peraltro, come relativa, e quindi soggetta alle previsioni di cui all'art. 182 c.p.p.; ne consegue che detta nullità, se non tempestivamente eccepita dalle parti presenti nel giudizio di appello, non può essere poi dedotta come motivo di ricorso per cassazione.
Cass. pen. n. 5369/1997
Il procedimento di appello celebrato in camera di consiglio è disciplinato dall'art. 127 c.p.p.: ne consegue che, non prevedendo tale norma la presenza obbligatoria delle parti, l'irritualità della notificazione della citazione non produce una nullità assoluta ex art. 179 c.p.p., ma una nullità che, se non tempestivamente dedotta al momento della verifica della regolare costituzione delle parti, è sanata ai sensi dell'art. 184 comma primo, c.p.p.
Cass. pen. n. 6879/1997
In sede di definizione del procedimento mediante il c.d. patteggiamento in appello, il giudice di appello non può esercitare il potere di applicare d'ufficio, con la sentenza, la sospensione condizionale della pena, la non menzione della condanna, una o più circostanze attenuanti, nonché di effettuare, ove occorra, il giudizio di comparazione ai sensi dell'art. 69 c.p. Anche in sede di rinvio la cognizione del giudice di appello è limitata dai termini del “patteggiamento” intervenuto nella precedente fase di appello. (Nella specie, relativa a rigetto di ricorso con il quale si chiedeva l'applicazione di una diminuente, la S.C. ha ritenuto che la Corte territoriale non poteva né prospettarsi d'ufficio la questione della relativa applicabilità né motivare sulla stessa).
Cass. pen. n. 11029/1996
Poiché a norma dell'art. 599, comma secondo, c.p.p., l'udienza in camera di consiglio è rinviata se sussiste un legittimo impedimento dell'imputato che ha manifestato la volontà di comparire, dal dato testuale appare evidente che la richiesta di partecipazione all'udienza deve precedere il momento di allegazione dell'impedimento. La contemporaneità delle richieste, pertanto, contraddice la disposizione di legge. (Nella fattispecie la corte di appello aveva negato il rinvio dell'udienza camerale richiesto dal difensore il quale coevamente aveva asserito verbalmente che l'appellante intendeva partecipare alla stessa ed aveva esibito certificazione medica volta a dimostrare l'impedimento alla realizzazione di tale intento).
Cass. pen. n. 1320/1996
Con riguardo al giudizio d'appello che si svolga nelle forme di cui all'art. 599 c.p.p., l'ipotesi del legittimo impedimento dell'imputato, al fine dell'obbligo del rinvio dell'udienza, rileva ogni qualvolta il predetto abbia manifestato la volontà di comparire: l'estrinsecazione de qua può avvenire anche a mezzo del difensore, in modo non formale, purché univoco. (Fattispecie nella quale il difensore il giorno prima dell'udienza per l'appello avverso sentenza emessa a seguito di giudizio abbreviato aveva richiesto rinvio per legittimo impedimento suo e dell'imputato, allegando certificato di malattia di quest'ultimo. Affermando il principio di cui sopra la Cassazione ha ritenuto che la decisione della corte di appello di considerare irrilevante l'impedimento dell'imputato per ritenuta mancanza della manifestazione della volontà di presenziare all'udienza, avesse realizzato una nullità generale di ordine intermedio riverberantesi sugli atti successivi sino alla sentenza di secondo grado).
Cass. pen. n. 9616/1996
Nel giudizio di appello con il rito camerale di cui all'art. 599 c.p.p., per la limitatezza di tale rito e per la mancanza di dibattimento, che esclude ogni possibilità di contestazione nuova del P.M., la corte di appello ha poteri ben limitati di cognizione e non può, come avviene nel giudizio di appello con il rito ordinario, qualora ritenga che il fatto sia diverso e più grave rispetto all'imputazione, annullare la sentenza di primo grado e trasmettere gli atti al P.M. per quanto di competenza in ordine alla nuova contestazione.
Cass. pen. n. 9447/1996
Nell'ipotesi in cui il giudizio in primo grado si sia svolto nella forma del rito abbreviato, l'inosservanza in appello del procedimento in camera di consiglio non può comportare la nullità del giudizio: infatti la celebrazione del medesimo in pubblico dibattimento, con pienezza del più ampio contraddittorio, con comporta alcun pregiudizio del diritto della difesa.
Cass. pen. n. 8637/1996
La sentenza emessa nel procedimento svoltosi con il rito abbreviato in camera di consiglio, deve essere pubblicata, come tutte le sentenze, mediante lettura del dispositivo in udienza, e non mediante deposito in cancelleria ex art. 128 c.p.p.: ciò in virtù dell'art. 442 comma primo c.p.p. che rinvia per la «decisione» nel giudizio abbreviato alle norme dettate, dagli artt. 529 ss. stesso codice, per la sentenza emessa a seguito del dibattimento, norme tra le quali sono da ricomprendere quelle concernenti la redazione e la pubblicazione della sentenza. Detto principio si applica anche per le sentenze emesse in appello a seguito di giudizio abbreviato in primo grado, posto che il rinvio all'art. 127 c.p.p. — contenuto nell'art. 599 comma primo in relazione all'art. 443 ultimo comma c.p.p. — riguarda solo le forme del procedimento camerale, e non tutti i provvedimenti ed in particolare la sentenza che lo conclude. Peraltro, in ossequio al principio della tassatività della nullità sancito nell'art. 177 c.p.p., la mancata lettura del dispositivo in udienza, nei casi in cui la disposizione dell'art. 442 comma primo in relazione all'art. 545 comma primo c.p.p. sia stata inosservata per essersi uniformato il giudice alle regole previste per la pubblicazione dei provvedimenti camerali diversi dalle sentenze, non comporta alcuna nullità — né di ordine generale, né assoluta e neppure relativa — in virtù del disposto dell'art. 546 comma terzo c.p.p. che, occupandosi proprio delle nullità dovute alla mancanza dei requisiti che la sentenza deve contenere, non vi include quella derivante dalla mancata lettura del dispositivo in udienza.
Cass. pen. n. 8493/1996
Qualora il giudizio di appello debba svolgersi in camera di consiglio nelle forme previste dall'art. 127 c.p.p., richiamato dall'art. 599 c.p.p., sussiste ipotesi di nullità per mancata presenza del difensore dell'imputato solamente in quanto la stessa sia conseguenza dell'omissione della notifica dell'avviso della data dell'udienza; una volta notificato tale avviso è irrilevante l'assenza del difensore, anche se determinata da legittimo impedimento, essendo questo previsto quale causa di rinvio solo per il dibattimento.
Cass. pen. n. 4420/1996
Il mancato rinvio del procedimento di appello, svolgentesi col rito della Camera di consiglio ai sensi dell'art. 599 c.p.p., pur in presenza di un impedimento assoluto del difensore, non costituisce causa di nullità: invero il suddetto procedimento è disciplinato, per espresso richiamo, dall'art. 127 c.p.p. il quale prevede, al comma 3, che il pubblico ministero ed i difensori «sono sentiti se compaiono», escludendo che la presenza del difensore sia obbligatoria.
Cass. pen. n. 4192/1996
Anche per la celebrazione del giudizio camerale nelle forme previste dall'art. 599 c.p.p. è necessario, a pena di nullità, notificare all'imputato un formale decreto di citazione e non è sufficiente l'invio di un semplice avviso di fissazione dell'udienza. Le esigenze di semplificazione e di maggiore celerità che caratterizzano il giudizio di appello che si svolge in Camera di consiglio non consentono però di derogare a tale formalità come si evince dal testo dell'art. 601 che prescrive che la celebrazione in Camera di consiglio sia specificata nel decreto di citazione.
Cass. pen. n. 241/1996
Qualora il processo di appello venga celebrato con il rito camerale ex art. 599 c.p.p., è da ritenere irrituale la lettura del dispositivo in udienza. Poiché tale irritualità non dà luogo a nullità, che è sanzione tassativamente prevista dalla legge, è da escludere che la lettura detta possa considerarsi tamquam non esset. Essa, pertanto, in quanto effettuata, equivale ad una notifica del provvedimento con conseguenze relative alla sola decorrenza dei termini di impugnazione. (Nella fattispecie, il dispositivo della sentenza conclusiva del giudizio di appello svoltosi con il rito camerale era stato letto in udienza alla presenza dell'imputato e del difensore. Costoro, benché la motivazione della sentenza fosse stata depositata entro il termine ordinario di quindici giorni non avevano esercitato il loro diritto di impugnazione entro trenta giorni dalla scadenza del quindicesimo giorno).
Cass. pen. n. 582/1996
La rinuncia ai motivi di merito e l'accordo raggiunto, ai sensi dell'art. 599 c.p.p., con il P.G. sulla riduzione della pena, configurano una sostanziale rinuncia dell'imputato a difendersi sul merito dell'accusa, il che equivale ad una forma implicita di ammissione di responsabilità che, se pur non esime il giudice dal valutare se sussistano cause di non punibilità che ne impongono il proscioglimento, gli consente peraltro, in difetto di specifici elementi espressamente dedotti dalla difesa, di fare una delibazione del tutto sommaria che può condensarsi anche nella mera affermazione che non ricorrono ictu oculi le ipotesi di cui all'art. 129 c.p.p.
Cass. pen. n. 868/1996
La procedura di cui all'art. 599, comma 4, c.p.p., comportando rinuncia a tutti i motivi di appello sulle questioni di merito, ad eccezione di quello relativo alla pena, patteggiata fra le parti e conformemente applicata dal giudice di appello, preclude la riproposizione e il riesame in sede di legittimità di ogni questione relativa a motivi oggetto di rinuncia e alla misura della pena inflitta, fatte da quelle relative all'applicabilità dell'art. 129 c.p.p. o rilevabili in ogni stato e grado del giudizio, ovvero riguardanti invalidità afferenti il medesimo procedimento camerale d'appello. Ne consegue che, qualora venga riproposta una delle questioni già investite con il motivo d'appello oggetto di rinuncia, il relativo ricorso deve essere dichiarato inammissibile.
Cass. pen. n. 6081/1996
In tema di impugnazioni, l'intervenuto accordo tra le parti sull'accoglimento in parte dei motivi e di rinuncia agli altri in base al quale in applicazione dell'art. 599 comma quarto c.p.p. sia stata indicata la quantificazione della pena, preclude in modo assoluto la possibilità di prospettare in appello la esistenza di cause di giustificazione e di chiedere la dichiarazione di non punibilità ai sensi dell'art. 129 c.p.p.
Cass. pen. n. 8059/1995
Nel giudizio d'appello, la manifestazione della volontà di non comparire nella udienza camerale (art. 599, comma 2, c.p.p.) è revocabile. Tale revoca — così come la richiesta di essere sentito personalmente — deve essere tempestiva, cioè fatta conoscere in tempo utile per consentire all'autorità giudiziaria competente di disporre ed eseguire la traduzione, al fine di non pregiudicare la sollecita celebrazione del procedimento. L'onere di manifestare tempestivamente la volontà di comparire in udienza è tanto più rigoroso, infatti quando vi sia stata una precedente manifestazione di volontà di segno opposto, in forza della quale l'autorità procedente si sia astenuta dall'adottare qualsiasi provvedimento diretto ad assicurare la presenza del giudicabile in udienza.
Cass. pen. n. 8058/1995
Nel giudizio di appello, quando le parti rinunciano ad ogni altro motivo, ad eccezione di quelli relativi alla pena, che indicano concordemente al giudice (art. 599, comma 4, c.p.p.), se questi consente alla richiesta, è sufficiente che nella motivazione della sentenza faccia comprendere di avere valutato la congruità della pena concordata, senza obbligo di specifica motivazione in ordine alla quantificazione della stessa, in quanto, necessariamente, seppure implicitamente, ritenuta adeguata alla entità del fatto e alla personalità del reo, in conformità ai parametri di cui all'art. 133 c.p. Il giudice ha, invece, l'obbligo di spiegare le ragioni del suo dissenso rispetto all'accordo tra le parti quando lo rifiuti ed ordini la citazione per il dibattimento.
Cass. pen. n. 1124/1995
Nel procedimento camerale disciplinato dall'art. 127 c.p.p. l'interessato detenuto o internato il quale abbia fatto pervenire dichiarazione di rinuncia a comparire ben può validamente revocare detta dichiarazione, chiedendo di presenziare all'udienza, ma non può pretendere, adducendo nel contempo un legittimo impedimento, che venga disposto il rinvio dell'udienza stessa, quando non abbia provveduto a manifestare la sua nuova volontà in tempo utile per consentire all'autorità giudiziaria competente di disporre la traduzione.
Cass. pen. n. 7959/1995
Nell'ipotesi in cui il giudizio in primo grado si sia svolto nella forma del rito abbreviato, l'inosservanza in appello del procedimento in Camera di consiglio non può comportare la nullità del giudizio: infatti la celebrazione del medesimo in pubblico dibattimento, con pienezza del più ampio contraddittorio, non comporta alcun pregiudizio del diritto della difesa.
Cass. pen. n. 7227/1995
Qualora il pubblico ministero non abbia acconsentito alla celebrazione del processo con il rito abbreviato e il giudice abbia ritenuto ingiustificato il suo dissenso applicando, all'esito del dibattimento, la riduzione di pena prevista dall'art. 442 c.p.p., il giudizio di appello deve svolgersi nelle forme ordinarie e non con la procedura camerale di cui all'art. 599 stesso codice.
Cass. pen. n. 5924/1995
Anche nel giudizio abbreviato in fase di appello, l'accertamento dell'imputabilità, quale capacità di intendere e di volere del soggetto, costituisce una verifica doverosa per il giudice, riguardando un presupposto necessario in mancanza del quale nessuno può essere punito per un fatto preveduto dalla legge come reato, e non è, quindi, riconducibile al concetto di acquisizione di nuove prove, per cui esisterebbe la preclusione rappresentata dalla particolarità del rito prescelto, connotato dalla decisione allo stato degli atti. (Nella fattispecie l'imputato aveva sostenuto di essere stato, al momento del fatto, in stato di semiincoscienza dovuto all'etilismo cronico di cui era affetto).
Cass. pen. n. 5734/1994
Nel giudizio di appello celebrato con il rito di cui all'art. 599 c.p.p., una volta espletate le rituali comunicazioni e notifiche, per i principi di speditezza e di concentrazione, che impongono la sua definizione in un'unica udienza in camera di consiglio, non è motivo di nullità del giudizio o causa di rinvio dell'udienza la mancata presenza fisica del P.M., del difensore o dell'imputato che non abbia tempestivamente comunicato l'impedimento assoluto a comparire. La partecipazione del P.M. e dei difensori è necessaria solo nell'ipotesi dell'eventuale rinnovazione della istruttoria dibattimentale. (Nella fattispecie, relativa a giudizio di appello avverso sentenza pronunciata in esito a rito abbreviato, la Corte di cassazione ha escluso che fosse motivo di nullità la mancata traduzione dell'imputato detenuto che non aveva fatto pervenire tempestivamente richiesta fino a cinque giorni prima dell'udienza fissata ai sensi dell'art. 127, comma 2, c.p.p.).
Cass. pen. n. 1/1994
Perché il difensore possa proporre impugnazione avverso una sentenza emessa in assenza dell'imputato nel procedimento camerale di appello ex art. 599 c.p.p. non occorre il conferimento di specifico mandato. (La Cassazione ha ritenuto che ai fini della impugnabilità da parte del difensore la sentenza in questione non può equipararsi ad una sentenza contumaciale, ed ha conseguentemente affermato il principio di cui in massima).
Cass. pen. n. 978/1994
Il cosiddetto patteggiamento in appello non comporta alcuna riduzione premiale della pena né vantaggi di altra natura per l'imputato. Ed infatti né l'art. 602, né l'art. 599, quarto comma, c.p.p., contengono alcun richiamo all'istituto dell'applicazione della pena su richiesta, disciplinato dagli artt. 444 e seguenti, c.p.p. Pertanto, il giudice di appello non ha il potere di non applicare le pene accessorie, poiché tale effetto, previsto dall'art. 445 c.p.p., consegue unicamente alla sentenza resa ai sensi dell'art. 444, secondo comma, c.p.p.
Cass. pen. n. 9984/1993
La pubblicazione (art. 545 c.p.p.) e il deposito (art. 548 c.p.p.) della sentenza hanno finalità diverse. La prima conclude la fase della deliberazione in camera di consiglio e consacra la decisione definitiva non più modificabile, il secondo serve a mettere l'atto a disposizione delle parti e segna i tempi dell'impugnazione in determinati casi. Ne consegue che la pubblicazione delle sentenze attiene al dispositivo che contiene la decisione e garantisce l'immediatezza della deliberazione stabilita dall'art. 525 c.p.p. e che il deposito della sentenza non può essere né assorbente né sostitutivo di tale adempimento anche quando dispositivo e motivazione sono contestuali. Ciò vale anche per le sentenze emesse con la procedura dell'art. 599 c.p.p., che devono essere pubblicate immediatamente, mediante redazione del dispositivo contenente la decisione con la data e la sottoscrizione del giudice e del presidente del collegio. La mancata pubblicazione immediata della sentenza nel procedimento svoltosi con il rito della camera di consiglio rappresenta una irregolarità non sanzionata da nullità, non prevista dagli artt. 525 e 545 c.p.p.
Cass. pen. n. 8854/1993
La mancata comparizione dell'imputato all'udienza camerale per il giudizio di appello di cui all'art. 599 c.p.p. — perché detenuto all'estero — non costituisce un caso di assoluta impossibilità a comparire per legittimo impedimento, non potendo ritenere legittimo un impedimento determinato da un comportamento illecito dell'imputato, che si sia reso responsabile di reati, che hanno provocato la restrizione della sua libertà personale nello Stato estero in cui si è recato: infatti risale ad una sua azione volontaria ed inescusabile l'impedimento a comparire davanti al giudice italiano che lo deve giudicare per altri reati.
Cass. pen. n. 7152/1993
In relazione ai termini per impugnare, la sentenza del giudizio abbreviato è assimilata a quella dibattimentale e, conseguentemente, tali termini decorrono dai diversi momenti specificati nelle lett. b), c) e d) del comma secondo dell'art. 585 c.p.p. ed hanno la diversa durata stabilita dall'art. 585, comma primo, c.p.p. in rapporto al tempo impiegato dal giudice per la redazione della sentenza. Tale soluzione va estesa anche alle sentenze camerali emesse ex art. 599 c.p.p., per identità di ratio e di sistema, ma ciò è ovviamente possibile soltanto allorquando il dispositivo viene letto alle parti in udienza. Quando il giudice, in concreto, riserva la decisione e deposita il dispositivo entro i cinque giorni dalla deliberazione, a norma dell'art. 128 c.p.p., il termine per l'impugnazione non può che decorrere dalla notifica dell'avviso di deposito della sentenza, giacché soltanto con tale atto la decisione viene portata a conoscenza degli interessati.
Cass. pen. n. 6868/1993
Come si desume dal testo dell'art. 599 c.p.p. — che nel primo comma rinvia alle «forme previste dall'art. 127» dello stesso codice, nel secondo comma contempla il rinvio dell'udienza solo per l'impedimento dell'imputato, sempreché abbia manifestato la volontà di comparire e nel terzo comma richiede specificamente in caso di rinnovazione dell'istruzione dibattimentale la partecipazione del difensore e solo in caso di sua assenza stabilisce il rinvio a nuova udienza con notifica al difensore stesso — nel procedimento di appello celebrato in camera di consiglio non è prescritto il rinvio dell'udienza per impedimento del difensore, a norma dell'art. 486, quinto comma, c.p.p.
Cass. pen. n. 6361/1993
Nel caso in cui nel giudizio di appello si sia proceduto, dopo la costituzione delle parti avvenuta nella sala delle pubbliche udienze, alla trasformazione del rito in quello camerale di cui all'art. 599 c.p.p., pur non ricorrendo i casi previsti da detta norma, e nessuna delle parti abbia formulato riserve ed opposizioni a detta trasformazione, deve escludersi che la relativa nullità sia deducibile. Infatti seppur a norma dell'art. 598 c.p.p. valgono per il giudizio di appello le norme relative a quello di primo grado, in quanto applicabili, e fra queste rientri quella di cui all'art. 471, comma primo, c.p.p. secondo la quale «l'udienza è pubblica, a pena di nullità», tuttavia, trattandosi di nullità riconducibile nell'ambito dell'art. 181 c.p.p., la stessa va eccepita dalle parti presenti prima del compimento dell'atto, secondo quanto previsto dal comma secondo dell'art. 182 stesso codice, verificandosi altrimenti la decadenza dalla sua deducibilità, a norma del comma terzo del medesimo articolo.
Cass. pen. n. 500/1993
La trattazione del procedimento camerale ex artt. 599 comma secondo e 127 comma quarto c.p.p. va differita nel caso in cui sia dimostrato il legittimo impedimento a comparire dell'imputato che abbia chiesto espressamente di essere sentito, non dell'imputato che abbia rinunziato ad essere presente nel procedimento.
Cass. pen. n. 11946/1992
Correttamente esprime il proprio dissenso il P.M., ove la parte privata abbia fondato la richiesta di patteggiamento ex art. 599 c.p.p. sull'applicazione della continuazione tra i reati ascritti. Siffatta ipotesi, invero, non figura tra quelle previste dall'art. 599, primo comma c.p.p. che sole consentono il cosiddetto patteggiamento in appello.
Cass. pen. n. 11945/1992
A seguito della sent. 10 ottobre 1990, n. 435 della Corte costituzionale, la corte d'appello provvede in camera di consiglio solo nei casi previsti dall'art. 599, primo comma c.p.p. Di conseguenza, non può in appello applicarsi il rito camerale nelle forme dell'art. 127 c.p.p., ove sia stata avanzata richiesta di assoluzione. Infatti l'inosservanza delle prescrizioni relative al rito si traduce nella violazione delle disposizioni concernenti l'intervento e la difesa dell'imputato, che si atteggiano diversamente nella procedura camerale e nel dibattimento, con la conseguente integrazione della nullità di cui agli artt. 178, lett. c) e 471 c.p.p.
Cass. pen. n. 11078/1992
La sent. n. 443/90 con la quale la Corte costituzionale ha dichiarato l'illegittimità dell'art. 444, secondo comma, secondo periodo, per violazione dell'art. 24, primo comma Cost., nella parte in cui non prevede che il giudice penale possa condannare l'imputato alle spese processuali in favore della parte civile, ove non ritenga di disporne in tutto o in parte la compensazione, pone un principio di carattere generale. Esso esplica, dunque, i suoi effetti anche nel caso in cui le parti abbiano concordato la misura della pena nel grado di appello, con rinuncia dell'appellante agli altri motivi, ai sensi dell'art. 599, quarto comma c.p.p.
Cass. pen. n. 7524/1992
Per i giudizi che in grado di appello si celebrano con la procedura della camera di consiglio a norma dell'art. 599 c.p.p., che richiama le forme previste dall'art. 127 dello stesso codice, il giudice può riservarsi di depositare il provvedimenti in un momento successivo, nel rispetto del termine (non previsto, comunque, a pena di nullità) di cui all'art. 128 e con gli obblighi di comunicazione e notificazione indicati nel medesimo articolo. Non avrebbe, infatti, alcun senso l'obbligo di immediata lettura del dispositivo, considerando che la presenza del pubblico è del tutto esclusa e che la presenza delle parti e dei loro difensori è puramente eventuale.
Cass. pen. n. 6117/1992
A norma dell'art. 589, secondo comma del nuovo codice di procedura penale, la dichiarazione di rinuncia, parziale o totale all'impugnazione può essere fatta personalmente dalla parte privata oppure a mezzo del difensore munito di procura speciale che, ai sensi dell'art. 122, stesso codice, deve, tra l'altro, contenere la determinazione dell'oggetto per cui è conferita e dei fatti ai quali si riferisce. Ne consegue, pertanto, che è nullo il giudizio di patteggiamento della pena celebratosi ex art. 599, quarto comma del nuovo codice di procedura penale, qualora il difensore dell'appellante abbia patteggiato la pena, rinunciando agli altri motivi di gravame, munito di procura speciale rilasciata dall'imputato non in riferimento al procedimento de quo, ma ad un altro procedimento pure pendente presso lo stesso ufficio e fissato per la stessa udienza dibattimentale.
Cass. pen. n. 4789/1992
La nullità di una decisione emessa sulla base degli artt. 599, quarto e quinto comma e 602 secondo comma del nuovo codice di procedura penale, dichiarati illegittimi dalla Corte costituzionale con sentenza 10 ottobre 1990, n. 435, non può essere eccepita da chi vi ha dato causa o ha concorso a darvi causa ovvero non ha interesse all'osservanza della disposizione violata, come è dato desumersi dagli artt. 187 c.p.p. 1930 e 182 del nuovo codice di rito atteso che, l'interesse sussiste solo e in quanto la parte abbia subito un danno illegittimo, essendole direttamente derivato dall'atto nullo uno specifico, concreto ed attuale pregiudizio. (Nella specie, per effetto della pronuncia impugnata il ricorrente aveva soltanto conseguito il beneficio della riduzione della pena nella misura concordata, beneficio che difficilmente potrebbe conseguire a seguito dell'annullamento, tenuto conto della situazione processuale e dei motivi d'appello, ai quali lo stesso ha ritenuto conveniente rinunciare, tranne a quello sulla misura della pena).
Cass. pen. n. 3198/1992
La disciplina dettata dall'art. 601 c.p.p. deve essere riferita solamente all'ordinario giudizio di appello in udienza pubblica, salvo che espressamente sia prevista anche per il giudizio in camera di consiglio, come si verifica in forza del secondo comma dell'art. 601, da cui si ricava che — in deroga all'art. 127 c.p.p. — per introdurre il giudizio di appello in camera di consiglio non è sufficiente l'avviso di udienza, ma è necessario il decreto di citazione, in cui sia fatta menzione di tale forma di procedimento. Al giudizio di appello in camera di consiglio non è, invece, applicabile il comma terzo dell'art. 601 stesso codice, che prevede il termine di comparizione non inferiore a venti giorni, dovendosi applicare il più breve termine di comparizione di cui all'art. 127 c.p.p., essendo la camera di consiglio riservata ai giudizi di appello che non coinvolgono complesse questioni di fatto o di diritto.
Cass. pen. n. 2873/1992
È legittimo il diniego del giudice dell'appello di applicazione della pena nella misura indicata dalle parti. Infatti, se è vero che la «funzione del giudice è limitata a dare esecuzione alla concorde volontà delle parti» solo quando egli condivida le tesi prospettategli in ordine alla qualificazione giuridica del fatto e in relazione alla misura della pena, non altrettanto si può dire qualora egli ritenga di non accogliere le richieste concordate tra difesa e P.G. in punto di pena con rinuncia agli altri motivi per aver ritenuto, libero in tale sua valutazione, non potersi ravvisare i presupposti voluti dalla legge per farvi luogo. (Fattispecie relativa a pretesa violazione dell'art. 599, quarto comma, c.p.p. sotto il profilo di un illegittimo ed immotivato diniego della richiesta di applicazione della pena nella misura concordata tra le parti in forza del loro potere di disposizione sul punto non sindacabile).
Cass. pen. n. 2687/1992
Il richiamo dell'art. 599, n. 1 alle forme previste dall'art. 127 c.p.p. deve intendersi fatto al procedimento, ma non all'atto conclusivo dello stesso. Ne consegue che il provvedimento con cui il giudice d'appello, decidendo in camera di consiglio, in applicazione dell'art. 599 in relazione al precedente art. 597, n. 5, concede una circostanza attenuante per effetto della quale il reato si estingue per amnistia, deve assumere la forma della sentenza, e non quella dell'ordinanza. (Nella specie la Suprema Corte ha ritenuto che la decisione del giudice di merito, pur formalmente qualificata come «ordinanza», potesse essere ritenuta una sentenza, contenendo i requisiti sostanziali della relativa pronuncia nel merito, e pertanto non era accolto — su tale rilievo — il ricorso).
Cass. pen. n. 170/1992
Il procedimento di appello in camera di consiglio, disciplinato dall'art. 599, comma quarto, c.p.p., nella parte non dichiarata incostituzionale dalla sentenza n. 435 del 10 ottobre 1990 della Corte costituzionale, prevede che, ove il giudice non ritenga di accogliere la richiesta concordata delle parti, non può proseguire con le forme previste dalla speciale procedura disciplinata dal citato art. 599, ma deve disporre la prosecuzione del dibattimento. Infatti, la legge processuale — l'art. 602 c.p.p. — ha previsto la prosecuzione del dibattimento nelle forme ordinarie, in caso di mancato accoglimento della richiesta, per restituire alle parti la facoltà ed i diritti che loro competono, sicché all'inosservanza della disposizione citata, comportando la violazione dei diritti assicurati dalla legge alla difesa ed all'accusa, consegue la nullità del procedimento.
Cass. pen. n. 12200/1991
Quando l'appellante, nel dibattimento di appello, concorda con il procuratore generale la misura della pena, rinunciando a tutti gli altri motivi del gravame, la richiesta e la rinuncia ai motivi non hanno effetto soltanto se il giudice decida in modo difforme dall'accordo. Quando, invece, il giudice di appello abbia accolto le richieste concordemente formulate dalle parti, queste ultime non possono dedurre in sede di legittimità difetto di motivazione o altra questione relativa ai motivi rinunciati, ma possono denunciare soltanto quegli eventuali e specifici vizi relativi ad un motivo non espressamente rinunciato, oppure la violazione dell'art. 129, secondo comma, c.p.p. o altra nullità assoluta attinente al rito.
Cass. pen. n. 11973/1991
È inammissibile il ricorso dell'imputato che lamenta il mancato giudizio di prevalenza delle riconosciute attenuanti generiche sulla contestata recidiva se tale punto ha formato legittimamente oggetto dell'accordo intervenuto nel giudizio di appello tra imputato e pubblico ministero, a norma dell'art. 599, comma primo, c.p.p.
Cass. pen. n. 9842/1991
Il cosiddetto patteggiamento in appello — che non comporta alcuna riduzione premiale né vantaggi di altro genere per l'imputato — non vincola il giudice, il quale, quando le parti concordano sull'accoglimento di tutti o di alcuni motivi con l'eventuale rinunzia ad altri, provvede in conformità sempre che ritenga fondati i motivi sui quali c'è accordo e congrua la pena indicata dalle parti.
Cass. pen. n. 6939/1991
In tema di impugnazione, il giudice di appello — come espressamente impone l'art. 605 nuovo c.p.p., fuori dell'ipotesi dell'art. 604 stesso codice (sentenze di annullamento) — emette sentenze che confermano o riformano in tutto o in parte quelle di primo grado: sicché ha natura di sentenza di condanna quella che, sia pure su indicazione concorde delle parti, ai sensi dell'art. 599 c.p.p., modifica il trattamento sanzionatorio con una determinazione del giudice che non si esaurisce in una funzione meramente notarile. (Nella fattispecie, questa corte ha rigettato il ricorso dell'imputato che deduceva violazione di legge perché, con errata terminologia, il giudice di appello lo aveva dichiarato «colpevole», sebbene il provvedimento terminativo di accoglimento del patteggiamento sui motivi non sia inquadrabile tra le sentenze di condanna).
Cass. pen. n. 6580/1991
L'esito della procedura camerale prevista dall'art. 599 comma quarto, nuovo c.p.p. — e, cioè, la conclusione del concordato intervenuto fra le parti sui motivi di appello — quale espressione dell'ampio potere dispositivo concesso alle parti dal nuovo rito preclude la riproduzione nel giudizio di cassazione di tutte le questioni — d'ordine sostanziale e processuale — su cui legittimamente è intervenuta rinuncia, fatte salve le eccezioni riguardanti pregresse nullità assolute e rilevabili in ogni stato e grado del giudizio ovvero invalidità, di ogni tipo, afferenti alla stessa procedura camerale di cui al succitato art. 599 comma quarto nuovo c.p.p.
Cass. pen. n. 5633/1991
Nell'ambito del rito previsto dall'art. 599, quarto comma, c.p.p. — verificandosi una sorta di temporanea devoluzione alle parti del potere discrezionale di graduazione della pena — non è consentito al giudice di procedere ex officio a rettifica, o comunque a modifica, della pena concordata, essendogli riservata soltanto la facoltà, nel caso ritenga di «non poter accogliere, allo stato, la richiesta» delle parti, di disporre la citazione delle stesse al dibattimento (art. 599, quinto comma). Nell'ipotesi che al concordato sulla misura della pena si aggiunga la richiesta dei benefici di legge, è riservato al giudice — diversamente da quanto previsto nel patteggiamento subordinato, regolato dall'art. 444, terzo comma, c.p.p. — il potere di ratificare soltanto il concordato sulla pena richiesta senza che, per ciò solo, si debba procedere al rito ordinario. Diversamente, infatti, da quello concernente la misura della pena, l'efficacia dell'accordo delle parti sulla sospensione della pena e sulla non menzione della condanna risulta originariamente sottoposto alla condizione sospensiva della sussistenza, al momento della ratifica giudiziale dello stesso, dei presupposti tassativamente previsti dagli artt. 163 e 175 c.p., come tali sottratti al potere dispositivo riservato alle parti dall'art. 599 c.p.p. in tema di riduzione di pena.
Cass. pen. n. 5087/1991
La procedura camerale posta in essere nel giudizio di appello, in esito all'accordo intervenuto tra le parti in ordine alla rinuncia ad alcuni motivi di gravame ed all'accoglimento di altri - con conseguente, nuova statuizione sulla pena - deve essere definita con sentenza. Invero il richiamo all'art. 127 del codice contenuto nell'art. 599 c. p.p. riguarda, esclusivamente, la disciplina dell'art. 605 c.p.p. (con l'unica eccezione costituita dai casi previsti dall'art. 604). Nell'ipotesi che tale procedimento di appello venga concluso, invece, con provvedimento erroneamente qualificato come «ordinanza», qualora la stessa contenga in sé tutti gli elementi essenziali della sentenza, dovrà essere ritenuta tale non producendo nullità di alcun genere la sua irrituale denominazione.
Cass. pen. n. 11791/1990
In materia di impugnazioni, l'istanza con la quale le parti richiedono concordemente l'accoglimento, in tutto o in parte, dei motivi d'appello e indicano al giudice la pena, a norma dell'art. 599, comma secondo, nuovo c.p.p., è ammissibile anche se la richiesta è proposta per la prima volta nel dibattimento d'appello, non occorrendo che sia stata già infruttuosamente proposta nella pregressa fase degli atti preliminari.