(massima n. 1)
L'istituto del c.d. «patteggiamento in appello» disciplinato dagli artt. 599, comma quarto, e 602, comma secondo, c.p.p. che consente — previa rinunzia contestuale dell'imputato a tutti gli altri motivi di appello sulle questioni di merito, ad eccezione di quello relativo alla pena, «patteggiata» fra le parti e conformemente applicata dal giudice di appello — la definizione concordata del procedimento soltanto nei casi elencati nel primo comma dell'art. 599, è cosa ben diversa dal patteggiamento regolato dagli artt. 444-448 c.p.p., non comportando il primo, in contropartita dell'economia processuale, diminuzioni di pena o vantaggi premiali di alcun genere. In particolare, l'accordo tra le parti previsto dall'art. 599 citato non svolge alcuna efficacia sulle statuizioni concernenti il pagamento delle spese del procedimento, l'applicazione di pene accessorie e di misure di sicurezza, conseguenti all'affermazione di responsabilità e alla condanna dell'imputato, disposte dal giudice di primo grado. (Fattispecie relativa all'applicazione, in primo grado, della misura di sicurezza della casa di lavoro ai sensi dell'art. 7, ultimo comma, della legge n. 575 del 1965, in relazione alla quale la S.C. ha ritenuto corretto l'operato del giudice d'appello che, nell'applicare la pena concordata, aveva confermato il capo relativo alla predetta misura di sicurezza).