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Articolo 156 Codice Civile

(R.D. 16 marzo 1942, n. 262)

[Aggiornato al 25/09/2024]

Effetti della separazione sui rapporti patrimoniali tra i coniugi

Dispositivo dell'art. 156 Codice Civile

Il giudice, pronunziando la separazione(1), stabilisce a vantaggio del coniuge [38] cui non sia addebitabile la separazione [151] il diritto di ricevere dall'altro coniuge quanto è necessario al suo mantenimento(2), qualora egli non abbia adeguati redditi propri [548, 585].

L'entità di tale somministrazione è determinata in relazione alle circostanze e ai redditi dell'obbligato.

Resta fermo l'obbligo di prestare gli alimenti di cui agli articoli 433 e seguenti [438](3).

[omissis](8)

[omissis](8)

[omissis](8)

Qualora sopravvengano giustificati motivi il giudice, su istanza di parte, può disporre la revoca o la modifica dei provvedimenti di cui ai commi precedenti [710 c.p.c.](7).

Note

(1) Solamente al coniuge cui non venga addebitata la separazione, e che non abbia redditi propri sufficienti per conservare un tenore di vita analogo a quello goduto in costanza di matrimonio, spetterà il diritto previsto al comma 1 (diversamente, se la separazione è addebitata ad entrambi, nessuno dei due avrà diritto all’assegno; ed indipendentemente dalla circostanza che la separazione sia stata o meno addebitata all’altro coniuge).
(2) In relazione ai casi di scioglimento del matrimonio, appare utile un raffronto con gli art. 5 comma 6 e art. 6 comma 1 e 3 della relativa legge, la l. 1 dicembre 1970, n. 898.
(3) Fondamentale e ribadita nel presente articolo è la differenza tra il diritto agli alimenti, obbligazione di natura patrimoniale che trae fondamento dal principio di solidarietà familiare ed ha copertura costituzionale (art. 2 Cost.), e che presuppone uno stato di totale assenza di mezzi di sostentamento dell'eventuale beneficiario, nonché l’impossibilità di trovarne attraverso un lavoro adeguato alle sue attitudini, condizioni fisiche, età e posizione sociale - e il diritto al mantenimento, che consiste in una prestazione comprensiva di tutto ciò che risulti necessario alla conservazione del tenore di vita goduto dai coniugi prima della separazione, prescindendo da uno stato di bisogno.
(4) L'art. 8 comma 1 (commi 1 e 3) della L. 1 dicembre 1970, n. 898 sui casi di scioglimento del matrimonio dispone che: "Il tribunale che pronuncia lo scioglimento o la cessazione degli effetti civili del matrimonio può imporre all'obbligato di prestare idonea garanzia reale o personale se esiste il pericolo che egli possa sottrarsi all'adempimento degli obblighi di cui agli articoli 5 e 6. La sentenza costituisce titolo per l'iscrizione dell'ipoteca giudiziale ai sensi dell'art. 2818 del c.c.. Il coniuge cui spetta la corresponsione periodica dell'assegno, dopo la costituzione in mora a mezzo raccomandata con avviso di ricevimento del coniuge obbligato e inadempiente per un periodo di almeno trenta giorni, può notificare il provvedimento in cui è stabilita la misura dell'assegno ai terzi tenuti a corrispondere periodicamente somme di denaro al coniuge obbligato con l'invito a versargli direttamente le somme dovute, dandone comunicazione al coniuge inadempiente".
(5) Controversa è la natura del provvedimento di cui al comma 6: secondo la più recente giurisprudenza nomofilattica non avrebbe natura cautelare in quanto, a differenza del sequestro conservativo, presuppone un credito già dichiarato, sia pure in via provvisoria, e non richiede il periculum in mora, ma solamente l’inadempimento. Per attuarsi il sequestro deve dunque sussistere l'inadempienza; la norma comunque non esclude il mantenimento del provvedimento e la successiva convalida per il caso in cui l'inadempimento dell'obbligato venga meno in un momento successivo alla concessione della misura cautelare, attesa la funzione di garanzia del creditore sui beni del debitore. Evidente l'analogia con la norma dell'art. 148 comma II, per il concorso dei coniugi agli oneri familiari e dall'art. 8, comma 3, della l. 898/1970 in materia di assegno di divorzio.
(6) Il sesto comma dell’articolo in esame è stato dichiarato costituzionalmente illegittimo nella parte in cui non prevede che le disposizioni ivi contenute si applichino a favore dei figli di coniugi consensualmente separati (Corte Cost. 12 maggio 1983, n. 144), nonché dei coniugi stessi consensualmente separati (Corte Cost. 19 gennaio 1987, n. 5), e nella parte in cui non prevede:
- che il giudice istruttore della causa di separazione possa adottare il provvedimento di ordinare, ai terzi debitori del coniuge obbligato al mantenimento, di versare una parte delle somme direttamente all’avente diritto (Corte Cost. 6 luglio 1994, n. 278), e
- il provvedimento di sequestro di parte dei beni del coniuge obbligato al mantenimento (Corte Cost. 19 luglio 1996, n. 258).
Inoltre, la Corte Cost. con sent. n. 99 del 18 aprile 1997 ha ritenuto la norma relativa al sequestro dei beni del coniuge tenuto alla corresponsione dell’assegno di mantenimento applicabile per analogia anche alle controversie concernenti il mantenimento dei figli naturali, dato che tale sequestro consiste in un ulteriore mezzo di tutela speciale, ma non eccezionale, della prole.
(7) Le sentenze in tema di fissazione degli assegni alimentari e di mantenimento hanno natura che viene definita dalla dottrina "determinativa": così, esse conservano i loro effetti fino a quando, per eventi successivi, non si verifichi un mutamento oggettivo della situazione su cui verte il loro accertamento, e tale mutamento non sia riconosciuto da una nuova decisione (Cass. n. 4612/1983). Pertanto la variazione della situazione economica anche di un solo coniuge giustificherà l’accoglimento di una richiesta di modifica del quantum (Cass. n. 4570/1999) e, per altro verso, il coniuge al quale non sia stato attribuito alcun assegno di mantenimento potrà ben chiedere il riconoscimento del diritto e la conseguente attribuzione di un assegno qualora sia peggiorata la propria situazione economica, ovvero sia sensibilmente migliorata quella dell’altro, rapportandolo al tenore di vita che avrebbe avuto nel caso in cui la separazione non fosse intervenuta (poiché, si ricordi, la funzione è assistenziale e non risarcitoria).
Infine, compito del giudice sarà di stabilire un criterio di adeguamento automatico dell’assegno di separazione, anche esaminato il variare del potere d'acquisto della moneta.
(8) Comma abrogato dal D. Lgs. 10 ottobre 2022 n. 149 (c.d. "Riforma Cartabia"), come modificato dalla L. 29 dicembre 2022 n. 197.

Spiegazione dell'art. 156 Codice Civile

La legge di riforma è intervenuta in tema di attuazione dei provvedimenti di contenuto economico che possono essere pronunciati nel nuovo rito unificato in materia di persone, minorenni e famiglie.
In particolare, la Legge Delega invitava il legislatore della riforma a procedere ad un riordino della disciplina di cui all’art. 156 c.c. (oltreché dell’art. 8 della legge divorzio, dell’articolo 3 della L. 10 dicembre 2012 n. 219 e dell’art 316 bis c.c.), introducendo un unico modello processuale.
In armonia con tale intento, il D. Lgs. 149/2022 ha effettivamente introdotto, nel rito unificato, l’art. 473 bis 36 del c.p.c., che prevede alcune garanzie a tutela del credito vantato dal beneficiario di prestazioni a contenuto economico (assegno a favore del coniuge o della prole).
L’art. 156 c.c., infatti, prevede la possibilità che il coniuge a cui non sia addebitabile la separazione, ove non abbia adeguati redditi propri, si veda attribuito un assegno di mantenimento, allorquando non sia in grado (diversamente da quanto accade con l’assegno di divorzio) di mantenere un tenore di vita analogo a quello offerto dalle potenzialità economiche di entrambi gli ex coniugi e nel caso in cui versi in condizioni economiche deteriori rispetto all’altro coniuge.
La separazione personale, a differenza dello scioglimento o della cessazione degli effetti civili del matrimonio, presuppone la permanenza del vincolo coniugale, sicché i redditi adeguati cui va rapportato l’assegno di mantenimento a favore del coniuge sono quelli necessari a mantenere il tenore di vita goduto in costanza di matrimonio. Il dovere di assistenza materiale, in una situazione del genere, che è necessariamente temporanea, è ancora attuale, potendosi soltanto sospendere gli obblighi di natura personale di fedeltà, convivenza e collaborazione.
Per quanto attiene ai parametri del mantenimento, la dottrina e la giurisprudenza ritengono che il giudice debba prendere in considerazione tutti gli elementi fattuali di ordine economico diversi dal reddito idonei ad incidere sulle condizioni economiche delle parti, essendo sufficiente una ricostruzione verosimile delle complessive situazioni patrimoniali dei coniugi, anche in assenza dell’esatta determinazione e quantificazione dei redditi nel loro esatto ammontare.
Ebbene, prima della riforma, l’art. 156 conteneva al suo interno la previsione di specifiche garanzie in caso di inadempimento del coniuge obbligato al mantenimento.
Attualmente, la riforma ha riorganizzato e trasposto tali garanzie all’interno del nuovo art. 473 bis 36 del c.p.c., il quale, sul punto, prevede che “I provvedimenti, anche se temporanei, in materia di contributo economico in favore della prole o delle parti sono immediatamente esecutivi e costituiscono titolo per l'iscrizione dell'ipoteca giudiziale”.
Tutti i provvedimenti quindi, compresi quelli a carattere meramente temporaneo, costituiscono valido titolo per l’iscrizione dell’ipoteca giudiziale ex art. 2818 del c.c.. In tal modo, attraverso tale intervento, il legislatore ha posto fine al contrasto giurisprudenziale da tempo in atto in ordine alla forma e alla natura, oltreché alla durata, del titolo da cui deriva l’obbligazione di carattere economico.
Anche l’accordo di negoziazione assistita, ex art. 5 D.L. n. 132/2014, costituisce titolo esecutivo per l’iscrizione di ipoteca giudiziale.
Oltre alla garanzia costituita dall’iscrizione dell’ipoteca giudiziale, l’art. art. 473 bis 36 del c.p.c. prevede la possibilità, per il giudice, di imporre al soggetto obbligato idonea garanzia personale o reale, oltreché di disporre il sequestro dei beni mobili, immobili o crediti del debitore.
Tale sequestro non ha funzione cautelare, ma soltanto di garanzia dell’adempimento degli obblighi patrimoniali stabiliti dal provvedimento del giudice (cfr. Cass. Civ. sez. I, 19 febbraio 2003, n. 2479, la quale - sul punto - ha affermato che la strumentalità del sequestro dei beni del debitore per l’attuazione dei provvedimenti di contenuto economico in materia di famiglia è resa ancor più evidente dalla carenza della funzione della strumentalità, avendo piuttosto tale sequestro una “valenza che, secondo la migliore dottrina, sarebbe di natura psicologica, in quanto servirebbe essenzialmente ad indurre l’onerato ad effettuare pagamenti regolari degli assegni periodici”).
Naturalmente, è sempre possibile chiedere ed ottenere la “revisione” di tali provvedimenti, quali il sequestro dei beni del debitore, allorquando sopravvengano giustificati motivi (v. art. 473 bis 36 c.p.c.).
Se tali provvedimenti non sono stati richiesti già in seno al procedimento in corso, sarà senz'altro possibile richiederli secondo le forme del nuovo procedimento unitario in materia di persone, minorenni e famiglie.

Relazione al Codice Civile

(Relazione del Ministro Guardasigilli Dino Grandi al Codice Civile del 4 aprile 1942)

107 E' stato criticato il sistema del progetto per quanto riguarda gli obblighi del mantenimento e degli alimenti in caso di separazione tra coniugi, osservandosi che esso pone sullo stesso piano il coniuge non colpevole, che ha ottenuto la separazione, e il coniuge colpevole, contro il quale la separazione è stata dichiarata, in quanto che attribuisce in ogni caso al coniuge separato il diritto agli alimenti nella misura dello stretto necessario (articoli 428 e 433 del progetto definitivo). Ciò costituirebbe un'innovazione rispetto al codice del 1865, secondo il quale il coniuge colpevole aveva diritto, a norma dell'art. 156 del c.c., agli alimenti in caso di bisogno, mentre il coniuge incolpevole conservava sempre il diritto al mantenimento, diritto assai più ampio e dl diverso fondamento, poiché prescinde dal bisogno e può allargarsi fino a comprendere le spese voluttuarie. Devesi rilevare in proposito che il progetto non intendeva portare innovazioni al sistema del codice. Come, pur mancando una esplicita norma, si riteneva, secondo il vecchio codice, che il coniuge separato senza sua colpa conservasse i1 diritto al mantenimento, così lo stesso principio si sarebbe potuto dedurre dal sistema del progetto, il quale nell'art. 161 si limitava a disciplinare l'ipotesi del coniuge separato per propria colpa. Comunque, nella redazione dell'art. 156, corrispondente all'art. 161 del progetto, si è tenuto largo conto dei suggerimenti avuti, aggiungendosi una disposizione sui diritti del coniuge incolpevole e ponendosi questa disposizione al principio dell'articolo, sembrando più esatto prevedere per prima questa ipotesi, nella quale la posizione giuridica del coniuge subisce mutamenti meno rilevanti per effetto della separazione. Nel regolare la posizione del coniuge colpevole, è stato espressamente enunciato il diritto agli alimenti, senza peraltro parlare di alimenti strettamente necessari, per non creare un regime alimentare del tutto particolare al coniuge colpevole, che non sarebbe stato opportuno.

Massime relative all'art. 156 Codice Civile

Cass. civ. n. 6933/2023

Le spese straordinarie non assolvono ad un'esigenza anche perequativa, come l'assegno di mantenimento, perché hanno la funzione di assicurare la provvista per specifiche esigenze dei figli, ove concordate tra i genitori e da questi ritenute proporzionate all'interesse dei minori, e ciò, evidentemente, tende a riverberarsi nello specifico apprezzamento che il giudice di merito deve compiere per stabilirne la ripartizione, il quale va motivato separatamente rispetto all'assegno di mantenimento.

Cass. civ. n. 6176/2023

La separazione personale presuppone la permanenza del vincolo coniugale, sicchè i "redditi adeguati" cui va rapportato, ai sensi dell'art. 156 c.c., l'assegno di mantenimento a favore del coniuge, in assenza della condizione ostativa dell'addebito, sono quelli necessari a mantenere il tenore di vita goduto in costanza di matrimonio, essendo ancora attuale il dovere di assistenza materiale.

Cass. civ. n. 1076/2023

In tema di iscrizione ipotecaria, il giudice avanti al quale è proposta una istanza di cancellazione dell'ipoteca, disposta ai sensi dell'art. 156, comma 5, c.c., è tenuto a verificare la sussistenza o meno del pericolo di inadempimento dell'obbligato e a disporre, in mancanza, l'emanazione del corrispondente ordine di cancellazione, ai sensi dell'art. 2884 c.c.

Cass. civ. n. 952/2023

Il riconoscimento di un assegno di mantenimento deve avvenire considerando, piuttosto che la cessazione del godimento diretto di particolari beni, il generale tenore di vita goduto in costanza della convivenza, da identificarsi avendo riguardo allo standard di vita reso oggettivamente possibile dal complesso delle risorse economiche dei coniugi e tenendo conto, quindi, di tutte le potenzialità derivanti dalla titolarità del patrimonio in termini di redditività, di capacità di spesa, di garanzie di elevato benessere e di fondate aspettative per il futuro.

È indubbiamente vero che la separazione può determinare (e normalmente determina) la cessazione di una serie di benefici e di consuetudini di vita, strettamente collegati alla posizione patrimoniale, reddituale, professionale e sociale dell'uno o dell'altro coniuge, che non sono riproducibili durante la separazione, cosicché il venir meno della possibilità di godere di singoli beni appartenenti a uno dei coniugi costituisce la fisiologica conseguenza della scelta di questi ultimi di dividere le loro sorti. Ciò nonostante, il riconoscimento di un assegno di mantenimento deve avvenire considerando, piuttosto che la cessazione del godimento diretto di particolari beni, il generale tenore di vita goduto in costanza della convivenza, da identificarsi avendo riguardo allo standard di vita reso oggettivamente possibile dal complesso delle risorse economiche dei coniugi e tenendo conto, quindi, di tutte le potenzialità derivanti dalla titolarità del patrimonio in termini di redditività, di capacità di spesa, di garanzie di elevato benessere e di fondate aspettative per il futuro.

Cass. civ. n. 32914/2022

In tema di assegno di mantenimento separativo e divorzile, ove si accerti nel corso del giudizio - nella sentenza di primo o secondo grado - l'insussistenza "ab origine", in capo all'avente diritto, dei presupposti per il versamento del contributo, ancorché riconosciuto in sede presidenziale o dal giudice istruttore in sede di conferma o modifica, opera la regola generale della "condictio indebiti" che può essere derogata, con conseguente applicazione del principio di irripetibilità, esclusivamente nelle seguenti due ipotesi: ove si escluda la debenza del contributo, in virtù di una diversa valutazione con effetto "ex tunc" delle sole condizioni economiche dell'obbligato già esistenti al tempo della pronuncia, ed ove si proceda soltanto ad una rimodulazione al ribasso, di una misura originaria idonea a soddisfare esclusivamente i bisogni essenziali del richiedente, sempre che la modifica avvenga nell'ambito di somme modeste, che si presume siano destinate ragionevolmente al consumo da un coniuge, od ex coniuge, in condizioni di debolezza economica.

Cass. civ. n. 32212/2022

In tema di rapporti patrimoniali tra coniugi separati, la prescrizione del diritto di credito volto ad ottenere la metà del valore dei beni rientranti nella comunione "de residuo" non è sospesa durante la separazione personale, poiché non è configurabile alcuna riluttanza a convenire in giudizio il coniuge, essendo oramai conclamata la crisi della coppia e cessata la convivenza, a seguito dell'esperimento delle relative azioni; ne consegue che la prescrizione del menzionato credito comincia a decorrere dal momento in cui si scioglie la comunione legale per effetto della separazione e, dunque, da quando il presidente del tribunale autorizza i coniugi a vivere separati, ovvero dalla data di sottoscrizione, davanti al medesimo presidente, del processo verbale di separazione consensuale, poi omologato.

Cass. civ. n. 31348/2022

Il giudice deve determinare la misura dell'assegno tenendo conto non solo dei redditi delle parti ma anche di altre circostanze non indicate specificatamente, nè determinabili a priori, ma da individuarsi in tutti quegli elementi fattuali di ordine economico, o comunque apprezzabili in termini economici, diversi dal reddito ed idonei ad incidere sulle condizioni economiche delle parti, la cui valutazione, peraltro, non richiede necessariamente l'accertamento dei redditi nel loro esatto ammontare, essendo sufficiente un'attendibile ricostruzione delle complessive situazioni patrimoniali e reddituali dei coniugi.

Cass. civ. n. 30412/2022

La addebitabilità della separazione al coniuge richiedente, non determina automaticamente il riconoscimento dell'assegno di mantenimento in favore dell'altro coniuge, dovendo concorrere anche gli altri presupposti, previsti dall'art. 156 c.c., costituti dalla mancanza, per il beneficiario, di adeguati redditi propri e nella sussistenza di una di disparità economica fra i due coniugi.

Cass. civ. n. 29865/2022

In tema di separazione personale dei coniugi, la convivenza stabile e continuativa, intrapresa con altra persona, è suscettibile di comportare la cessazione o l'interruzione dell'obbligo di corresponsione dell'assegno di mantenimento che grava sull'altro, dovendosi presumere che le disponibilità economiche di ciascuno dei conviventi "more uxorio" siano messe in comune nell'interesse del nuovo nucleo familiare; resta salva, peraltro, la facoltà del coniuge richiedente l'assegno di provare che la convivenza di fatto non influisce in melius sulle proprie condizioni economiche e che i propri redditi rimangono inadeguati.

L'assegno di separazione presuppone la permanenza del vincolo coniugale, e, conseguentemente, la correlazione dell'adeguatezza dei redditi con il tenore di vita goduto in costanza di matrimonio, essendo ancora attuale il dovere di assistenza materiale, che non presenta alcuna incompatibilità con tale situazione temporanea, dalla quale deriva solo la sospensione degli obblighi di natura personale di fedeltà, convivenza e collaborazione e che ha una consistenza ben diversa dalla solidarietà post-coniugale, presupposto dell'assegno di divorzio.

Cass. civ. n. 27599/2022

In materia di quantificazione dell'assegno di mantenimento a seguito della separazione dei coniugi, deve attribuirsi rilievo anche all'assegnazione della casa familiare che, pur essendo finalizzata alla tutela della prole e del suo interesse a permanere nell'ambiente domestico, indubbiamente costituisce un'utilità suscettibile di apprezzamento economico, come del resto espressamente precisato dall'art. 337 sexies c.c., e tale principio trova applicazione anche qualora il coniuge separato assegnatario dell'immobile ne sia comproprietario, perché il suo godimento del bene non trova fondamento nella comproprietà del bene, ma nel provvedimento di assegnazione, opponibile anche ai terzi, che limita la facoltà dell'altro coniuge di disporre della propria quota dell'immobile e si traduce in un pregiudizio economico, anch'esso valutabile ai fini della quantificazione dell'assegno dovuto.

Cass. civ. n. 26890/2022

L'assegno di separazione, presupponendo la permanenza del vincolo coniugale, richiede la correlazione dell'adeguatezza dei redditi con il tenore di vita goduto in costanza di matrimonio. Ciò posto, i "redditi adeguati", ai quali va rapportato l'assegno di mantenimento a favore del coniuge separato, in assenza della condizione ostativa dell'addebito, sono quelli necessari a mantenere il tenore di vita goduto in costanza di matrimonio nella fase temporanea della separazione, a differenza di quanto accade con l'assegno divorzile che postula lo scioglimento del vincolo coniugale.

I "redditi adeguati" cui va rapportato, ai sensi dell'art. 156 c.c., l'assegno di mantenimento a favore del coniuge separato, in assenza della condizione ostativa dell'addebito, sono quelli necessari a mantenere il tenore di vita goduto in costanza di matrimonio nella fase temporanea della separazione, stante la permanenza del vincolo coniugale e l'attualità del dovere di assistenza materiale, derivando dalla separazione - a differenza di quanto accade con l'assegno divorzile che postula lo scioglimento del vincolo coniugale - solo la sospensione degli obblighi di natura personale di fedeltà, convivenza e collaborazione.

Cass. civ. n. 18820/2022

In tema di separazione personale dei coniugi, l'attitudine al lavoro proficuo dei medesimi, quale potenziale capacità di guadagno, costituisce elemento valutabile ai fini della determinazione della misura dell'assegno di mantenimento da parte del giudice, dovendosi verificare la effettiva possibilità di svolgimento di un'attività lavorativa retribuita, in considerazione di ogni concreto fattore individuale ed ambientale, senza limitare l'accertamento al solo mancato svolgimento di un 'attività lavorativa e con esclusione di mere valutazioni astratte e ipotetiche.

Cass. civ. n. 9798/2019

Il richiamo, nell'ambito dell'accordo con il quale i coniugi fissano consensualmente le condizioni della separazione, ad un precedente atto di costituzione di fondo patrimoniale, non determina il venir meno della natura gratuita di quest'ultimo, il quale, pertanto, è suscettibile di revocatoria ordinaria ai sensi dell'art. 2901, comma 1, n. 1, c.c., non trovando tale azione ostacolo né nell'avvenuta omologazione dell'accordo suddetto - cui resta estranea la funzione di tutela dei terzi creditori e che, comunque, lascia inalterata la natura negoziale della pattuizione -, né nella pretesa inscindibilità di tale pattuizione dal complesso delle altre condizioni della separazione, né, infine, nella circostanza che la costituzione del fondo patrimoniale sia stata pattuita in funzione solutoria dell'obbligo di mantenimento del coniuge economicamente più debole o di contribuzione al mantenimento dei figli, venendo nella specie in contestazione non già la sussistenza dell'obbligo in sé, di fonte legale, ma le concrete modalità di assolvimento del medesimo, convenzionalmente stabilite dalle parti. (Rigetta, CORTE D'APPELLO MILANO, 21/01/2016)

Cass. civ. n. 16982/2018

In tema di separazione personale dei coniugi, la convivenza stabile e continuativa, intrapresa con altra persona, è suscettibile di comportare la cessazione o l'interruzione dell'obbligo di corresponsione dell'assegno di mantenimento che grava sull'altro, dovendosi presumere che le disponibilità economiche di ciascuno dei conviventi "more uxorio" siano messe in comune nell'interesse del nuovo nucleo familiare; resta salva, peraltro, la facoltà del coniuge richiedente l'assegno di provare che la convivenza di fatto non influisce "in melius" sulle proprie condizioni economiche e che i propri redditi rimangono inadeguati.

Cass. civ. n. 12196/2017

La separazione personale, a differenza dello scioglimento o cessazione degli effetti civili del matrimonio, presuppone la permanenza del vincolo coniugale, sicché i "redditi adeguati" cui va rapportato, ai sensi dell'art. 156 c.c., l'assegno di mantenimento a favore del coniuge, in assenza della condizione ostativa dell'addebito, sono quelli necessari a mantenere il tenore di vita goduto in costanza di matrimonio, essendo ancora attuale il dovere di assistenza materiale, che non presenta alcuna incompatibilità con tale situazione temporanea, dalla quale deriva solo la sospensione degli obblighi di natura personale di fedeltà, convivenza e collaborazione, e che ha una consistenza ben diversa dalla solidarietà post-coniugale, presupposto dell'assegno di divorzio.

Cass. civ. n. 5251/2017

Nel giudizio di separazione personale, diversamente da quello di divorzio, ove le ragioni della decisione e più genericamente le condizioni dei coniugi assumono rilievo ai fini della determinazione dell'assegno insieme con numerosi altri elementi, le condizioni alle quali sono sottoposti il diritto al mantenimento ed il suo concreto ammontare consistono soltanto nella non addebitabilità della separazione al coniuge in favore del quale viene disposto il mantenimento, nella mancanza, per il beneficiario, di adeguati redditi propri e nella sussistenza di una disparità economica fra i due coniugi, con la conseguenza che a quello cui non sia stata addebitata la separazione il mantenimento spetta nel concorso delle altre condizioni, a prescindere dal fatto che la prima sia stata promossa con o senza addebito alla controparte.

Cass. civ. n. 2960/2017

L'assegno di mantenimento a favore del coniuge, fissato in sede di separazione personale, decorre dalla data della relativa domanda, in applicazione del principio per il quale un diritto non può restare pregiudicato dal tempo necessario per farlo valere in giudizio.

Cass. civ. n. 1162/2017

In tema di separazione personale dei coniugi, alla breve durata del matrimonio non può essere riconosciuta efficacia preclusiva del diritto all'assegno di mantenimento, ove di questo sussistano gli elementi costitutivi, rappresentati dalla non addebitabilità della separazione al coniuge richiedente, dalla non titolarità, da parte del medesimo, di adeguati redditi propri, ossia di redditi che consentano di mantenere un tenore di vita analogo a quello goduto in costanza di matrimonio, e dalla sussistenza di una disparità economica tra le parti. Al più, alla durata del matrimonio può essere attribuito rilievo ai fini della determinazione della misura dell'assegno di mantenimento.

Cass. civ. n. 605/2017

L'art. 156, comma 2, c.c., stabilisce che il giudice debba determinare la misura dell'assegno tenendo conto non solo dei redditi delle parti ma anche di altre circostanze non indicate specificatamente, né determinabili “a priori”, ma da individuarsi in tutti quegli elementi fattuali di ordine economico, o comunque apprezzabili in termini economici, diversi dal reddito ed idonei ad incidere sulle condizioni economiche delle parti, la cui valutazione, peraltro, non richiede necessariamente l'accertamento dei redditi nel loro esatto ammontare, essendo sufficiente un'attendibile ricostruzione delle complessive situazioni patrimoniali e reddituali dei coniugi.

Cass. civ. n. 23263/2016

In tema di determinazione dell'assegno di mantenimento in sede di scioglimento degli effetti civili del matrimonio, l'esercizio del potere del giudice che, ai sensi dell'art. 5, comma 9, della l. n. 898 del 1970, può disporre - d'ufficio o su istanza di parte - indagini patrimoniali avvalendosi della polizia tributaria, costituisce una deroga alle regole generali sull'onere della prova; l'esercizio di tale potere discrezionale non può sopperire alla carenza probatoria della parte onerata, ma vale ad assumere, attraverso uno strumento a questa non consentito, informazioni integrative del "bagaglio istruttorio" già fornito, incompleto o non completabile attraverso gli ordinari mezzi di prova; tale potere non può essere attivato a fini meramente esplorativi, sicché la relativa istanza e la contestazione di parte dei fatti incidenti sulla posizione reddituale del coniuge tenuto al predetto mantenimento devono basarsi su fatti specifici e circostanziati.

Cass. civ. n. 19605/2016

Qualora venga proposta istanza di revisione delle condizioni economiche della separazione consensuale, il giudice procede alla richiesta modificazione quando l'equilibrio economico, risultante dai patti della suddetta separazione e dalle parti voluto con riguardo alle circostanze in quel momento esistenti, risulti alterato per la sopravvenienza di circostanze che le parti stesse non avrebbero potuto tener presenti nel fissare quei patti. (Nella specie, la S.C. ha cassato il decreto con il quale il giudice di merito, ritenendo che la cessazione del contratto di lavoro dell'obbligato - la cui natura di contratto a tempo determinato era nota al tempo della separazione - assurgesse, di per sé sola, a fattore modificativo "in peius" del complessivo assetto della sua situazione economica, ne aveva affermato il conseguente diritto ad ottenere una riduzione dell'entità dell'assegno di mantenimento in favore del figlio minore).

Cass. civ. n. 15186/2015

In tema di separazione personale, la riduzione dell'assegno di mantenimento in favore del coniuge e dei figli decorre dal momento della pronuncia giudiziale che ne modifica la misura, non essendo rimborsabile quanto percepito dal titolare di alimenti o mantenimento.

Cass. civ. n. 6864/2015

Nella determinazione dell'assegno di mantenimento deve tenersi conto del tenore di vita "normalmente" godibile in base ai redditi percepiti dalla coppia, e, pertanto, colui al quale è riconosciuto il diritto a quell'assegno può chiedere, per tale titolo, le somme necessarie ad integrare entrate sufficienti a soddisfare le sue esigenze di vita personale in relazione al medesimo livello già raggiunto durante il matrimonio, dovendosi, peraltro, escludere, di regola, importi che consentano atti di spreco o di inutile prodigalità del suo destinatario.

Cass. civ. n. 18538/2013

In tema di separazione personale tra coniugi, le opzioni culturali e spirituali del richiedente l'assegno di mantenimento, quali le considerazioni relative allo stile di vita, non possono costituire legittima ragione di discriminazione del contributo attraverso la negazione del suo diritto a conseguirlo, pur in presenza dei prescritti requisiti.

Cass. civ. n. 17199/2013

L'art. 156, secondo comma, c.c., stabilisce che il giudice debba determinare la misura dell'assegno non solo valutando i redditi dell'obbligato, ma anche altre circostanze non indicate specificatamente, né determinabili a priori, ma da individuarsi in tutti quegli elementi fattuali di ordine economico, o comunque apprezzabili in termini economici, diversi dal reddito dell'obbligato, suscettibili di incidere sulle condizioni economiche delle parti.

Cass. civ. n. 15486/2013

In tema di determinazione dell'assegno di mantenimento, nei casi di assoluta brevità della convivenza che non consentono di ricorrere al riscontro di altri comportamenti abituali dei coniugi, l'elemento costituito dalla consistenza patrimoniale, dall'ammontare dei redditi dei coniugi e della loro presumibile imputazione di spesa, assume un rilievo centrale nella determinare il tenore di vita della coppia.

Cass. civ. n. 9671/2013

È inammissibile il ricorso straordinario in cassazione ex art. 111 Cost. avverso il provvedimento di corresponsione diretta di assegno a carico del terzo debitore ex art. 156 c.c., atteso che non risolve una controversia sull'esistenza del diritto del coniuge all'assegno, ma attiene solo alle modalità di attuazione del diritto stesso, ed è privo dei requisiti di decisorietà e definitività, perché è suscettibile, ove le circostanze mutino, di essere modificato.

In tema di assegno di mantenimento, la disposizione legislativa di cui all'art. 156 c.c., nel caso in cui eventuali terzi risultino obbligati a versare (anche periodicamente) somme di danaro al coniuge onerato dell'assegno, individua il soggetto obbligato non necessariamente nel datore di lavoro, potendo essere, come nella specie, un ente erogatore di pensione, ovvero il conduttore di un immobile di proprietà del coniuge onerato; tuttavia tale terzo, pur dovendo essere individuato esattamente, non è parte del procedimento, con la conseguenza che, qualora egli si rifiuti di adempiere, resta a carico del coniuge promuovere, nelle forme ordinarie, giudizio di accertamento del debito.

L'art. 156 c.c. prevede varie garanzie in caso d'inadempimento all'obbligo di mantenimento verso il coniuge o i figli: l'ordine a terzi, tenuti a corrispondere anche periodicamente somme di denaro all'obbligato, che una parte venga direttamente versata all'avente diritto, ovvero il sequestro dei beni del coniuge obbligato, garanzie che possono essere concesse anche contemporaneamente a carico del medesimo obbligato.

Cass. civ. n. 3502/2013

In tema di separazione personale dei coniugi, l'attitudine al lavoro proficuo dei medesimi, quale potenziale capacità di guadagno, costituisce elemento valutabile ai fini della determinazione della misura dell'assegno di mantenimento da parte del giudice, che deve al riguardo tenere conto non solo dei redditi in denaro ma anche di ogni utilità o capacità dei coniugi suscettibile di valutazione economica. Peraltro, l'attitudine del coniuge al lavoro assume in tal caso rilievo solo se venga riscontrata in termini di effettiva possibilità di svolgimento di un'attività lavorativa retribuita, in considerazione di ogni concreto fattore individuale ed ambientale, e non già di mere valutazioni astratte ed ipotetiche. (In applicazione di tale principio la S.C. ha cassato la sentenza del giudice di merito che aveva negato un contributo al mantenimento alla moglie in considerazione della sua giovane età, delle sue buone condizioni di salute, del possesso di un diploma di laurea, dell'esperienza professionale pregressa, senza, tuttavia, valutare le condizioni reddituali e patrimoniale al momento dell'accertamento della sussistenza del diritto).

Cass. civ. n. 10380/2012

In tema di determinazione dell'assegno di mantenimento, sono irrilevanti le elargizioni a titolo di liberalità ricevute dal coniuge obbligato dai propri genitori o, comunque, da terzi, ancorché regolari e continuate dopo la separazione, in quanto il carattere di liberalità impedisce di considerarle reddito ai sensi dell'art. 156, secondo comma, c.c., così come non costituiscono reddito, ai sensi del primo comma dello stesso articolo, analoghi contributi ricevuti dal coniuge titolare del diritto al mantenimento.

Cass. civ. n. 1779/2012

In materia di assegno di mantenimento, i mutamenti reddituali verificatisi in pendenza del giudizio di divorzio restano oggetto di valutazione del giudice investito della domanda di modifica delle condizioni di separazione, essendo queste ultime destinate alla perdurante vigenza fino all'introduzione di un nuovo regolamento patrimoniale per effetto della sentenza di divorzio.

Cass. civ. n. 1518/2012

È inammissibile il ricorso straordinario in cassazione ex art. 111 Cost. avverso l'ordinanza della corte d'appello di rigetto del gravame proposto avverso il decreto di sequestro ex art.156 c.c., trattandosi di provvedimento di natura cautelare, non decisorio, nè definitivo.

Cass. civ. n. 785/2012

Nella determinazione dell'assegno di mantenimento, occorre tenere conto degli eventuali miglioramenti della situazione economica del coniuge nei cui confronti si chieda l'assegno, qualora costituiscano sviluppi naturali e prevedibili dell'attività svolta durante il matrimonio (Nella specie, la S.C. ha ritenuto rappresentare il prevedibile sviluppo della carriera notarile l'incremento di reddito collegato all'esperienza acquisita, all'aumento dei clienti, allo spostamento da una piccola località ad una città più grande).

Cass. civ. n. 19349/2011

Tra le condizioni per il sorgere del diritto al mantenimento in favore del coniuge cui non sia addebitabile la separazione, l'art. 156 c.c. non pone l'instaurazione di un'effettiva convivenza fra i coniugi; la mancata convivenza può, infatti, trovare ragione nelle più diverse situazioni o esigenze, e va comunque intesa, in difetto di elementi che dimostrino il contrario, come espressione di una scelta della coppia, di per sè non escludente la comunione spirituale e materiale, dalla quale non possono farsi derivare effetti penalizzanti per uno dei coniugi ed alla quale comunque non può attribuirsi efficacia estintiva dei diritti e doveri di natura patrimoniale che nascono dal matrimonio.

Cass. civ. n. 11062/2011

In tema di separazione personale dei coniugi, l'art. 156, sesto comma, c.c., nell'attribuire al giudice, in caso d'inadempimento dell'obbligo di corrispondere l'assegno di mantenimento, il potere di ordinare ai terzi, tenuti a corrispondere anche periodicamente somme di denaro al coniuge obbligato, che una parte di esse venga versata direttamente agli aventi diritto, postula una valutazione di opportunità che implica esclusivamente un apprezzamento in ordine all'idoneità del comportamento dell'obbligato a suscitare dubbi circa l'esattezza e la regolarità del futuro adempimento e, quindi, a frustrare le finalità proprie dell'assegno di mantenimento. La relativa valutazione resta affidata in via esclusiva al giudice di merito e, se adeguatamente motivata, non è sindacabile in sede di legittimità.

Cass. civ. n. 9079/2011

L'art. 156, secondo comma, c.c. stabilisce che il giudice debba determinare la misura dell'assegno "in relazione alle circostanze ed ai redditi dell'obbligato", mentre l'assegnazione della casa familiare, prevista dall'art. 155 quater c.c., è finalizzata unicamente alla tutela della prole e non può essere disposta come se fosse una componente dell'assegno previsto dall'art. 156 c.c.; tuttavia, allorché il giudice del merito abbia revocato la concessione del diritto di abitazione nella casa coniugale (nella specie, stante la mancanza di figli della coppia), è necessario che egli valuti, una volta in tal modo modificato l'equilibrio originariamente stabilito fra le parti e venuta meno una delle poste attive in favore di un coniuge, se sia ancora congrua la misura dell'assegno di mantenimento originariamente disposto.

Cass. civ. n. 21649/2010

Ai fini della determinazione dell'ammontare dell'assegno di mantenimento è sufficiente un'attendibile ricostruzione delle complessive situazioni patrimoniali e reddituali delle parti che, nel caso d'immobili, viene desunta dalla disponibilità concreta di essi e dal vantaggio economico connesso alla possibilità di fruirne; ne consegue che l'indicata titolarità di diritti su beni immobili nella pronuncia relativa alla determinazione dell'assegno non costituisce l'antecedente logico-giuridico indispensabile della decisione che abbia accordato l'assegno in questione ed è, quindi, insuscettibile di assumere valenza di giudicato sul punto e di essere come tale invocato in diverso giudizio.

Cass. civ. n. 9719/2010

In tema di separazione fra i coniugi, la valutazione in ordine alle capacità economiche del coniuge obbligato ai fini del riconoscimento e della determinazione dell'assegno di mantenimento a favore dell'altro coniuge non può che essere operata sul reddito netto e non già su quello lordo, poiché in costanza di matrimonio, la famiglia fa affidamento sul reddito netto ed ad esso rapporta ogni possibilità di spesa.

Cass. civ. n. 9718/2010

In tema di separazione personale dei coniugi, al fine della determinazione del "quantum" dell'assegno di mantenimento, occorre considerare ogni utilità economicamente valutabile, ivi compresa la rendita INAIL, la quale, attesa la natura previdenziale, non esaurisce i suoi effetti esclusivamente nei confronti dell'assicurato, ma è finalizzata anche al sostentamento della famiglia.

Cass. civ. n. 6200/2009

In tema di separazione, il coniuge tenuto al versamento dell' assegno di mantenimento non può ritenersi esonerato del relativo obbligo nei confronti dell'altro coniuge, qualora questi riceva delle forme di aiuto dalla famiglia d'origine, specie allorché tale aiuto sia reso necessario dalla esiguità dei redditi del beneficiario e dalla modesta entità del contributo al mantenimento stesso.

Cass. civ. n. 28990/2008

In tema di assegno di mantenimento, deve ritenersi ammissibile, stante l'opportunità del "simultaneus processus" innanzi allo stesso giudice per la definizione delle questioni patrimoniali connesse, la proposizione della domanda di adeguamento dell'assegno di separazione nel corso del giudizio di divorzio, poiché questo è dovuto fino al passaggio in giudicato della sentenza che definisce detto giudizio; con la conseguenza che può convertirsi il contributo al mantenimento del coniuge separato in assegno provvisorio ai sensi dell'art. 4 della legge 1 dicembre 1970, n. 898 e con l'ulteriore conseguenza che, in pendenza del giudizio di divorzio, deve ritenersi preclusa dal divieto del "ne bis in idem" la medesima richiesta proposta in sede di modifica dei patti della separazione.

Cass. civ. n. 18613/2008

Nella determinazione dell'assegno di mantenimento, deve tenersi conto del tenore di vita "normalmente" godibile in base ai redditi percepiti dalla coppia, e, pertanto, colui al quale è riconosciuto il diritto a tale assegno, potrà chiedere, per tale titolo, le somme necessarie ad integrare entrate sufficienti a soddisfare le sue esigenze di vita personale ed in relazione al medesimo livello già raggiunto nel corso del matrimonio, non dovendosi nell'assegno comprendere, di regola, somme che consentano atti di spreco o di inutile prodigalità del suo destinatario; ne discende che non rilevano eventuali atti di liberalità eccezionali o straordinari dell'obbligato durante la vita coniugale, non qualificabili come esborsi destinati ordinariamente alla vita anche sociale o di relazione dei coniugi o dell'avente diritto; nè il mantenimento è destinato allo svolgimento di attività diverse da quelle strettamente inerenti allo sviluppo della vita personale, fisica, culturale e di relazione del coniuge che lo riceve, e, quindi, non serve per gli investimenti o per consentire una eventuale attività imprenditoriale di chi ne beneficia.

Cass. civ. n. 16575/2008

In tema di determinazione dell'assegno di mantenimento, l'esercizio del potere di disporre indagini patrimoniali avvalendosi della polizia tributaria, che costituisce una deroga alle regole generali sull'onere della prova, rientra nella discrezionalità del giudice di merito; l'eventuale omissione di motivazione sul diniego di esercizio del relativo potere, pertanto, non è censurabile in sede di legittimità, ove, sia pure per implicito, tale diniego sia logicamente correlabile ad una valutazione sulla superfluità dell'iniziativa per ritenuta sufficienza dei dati istruttori acquisiti.

Cass. civ. n. 11488/2008

In materia di assegno di mantenimento, i «giustificati motivi», la cui sopravvenienza consente di rivedere le determinazioni adottate in sede di separazione dei coniugi, sono ravvisabili nei fatti nuovi sopravvenuti, modificativi della situazione in relazione alla quale la sentenza era stata emessa o gli accordi erano stati stipulati, con la conseguenza che esulano da tale oggetto i fatti preesistenti alla separazione, ancorché non presi in considerazione in quella sede per qualsiasi motivo.

Cass. civ. n. 28/2008

In materia di revisione dell'assegno di mantenimento, il diritto a percepirlo di un coniuge ed il corrispondente obbligo a versarlo dell'altro, nella misura e nei modi stabiliti dalla sentenza di separazione o dal verbale di omologazione, conservano la loro efficacia, sino a quando non intervenga la modifica di tali provvedimenti, rimanendo del tutto ininfluente il momento in cui di fatto sono maturati i presupposti per la modificazione o la soppressione dell'assegno, con la conseguenza che, in mancanza di specifiche disposizioni, in base ai principi generali relativi all'autorità, intangibilità e stabilità, per quanto temporalmente limitata (rebus sic stantibus), del precedente giudicato impositivo del contributo di mantenimento, la decisione giurisdizionale di revisione non può avere decorrenza anticipata al momento dell'accadimento innovativo, rispetto alla data della domanda di modificazione.

Cass. civ. n. 25618/2007

La durata del matrimonio ed il contributo apportato da un coniuge alla formazione del patrimonio dell'altro coniuge sono elementi valutabili al fine di stabilire l'importo dell'assegno di mantenimento.

Cass. civ. n. 17643/2007

In materia di separazione, quanto all'incidenza della convivenza more uxorio di un coniuge sul diritto all'assegno di mantenimento nei confronti dell'altro coniuge, in riferimento alla persistenza delle condizioni per l'attribuzione dello stesso, deve distinguersi tra semplice rapporto occasionale e famiglia di fatto, sulla base del carattere di stabilità, che conferisce grado di certezza al rapporto di fatto sussistente tra le persone, tale da renderlo rilevante giuridicamente.

Cass. civ. n. 17055/2007

In tema di assegno di mantenimento e di concreta determinazione del relativo ammontare, è incensurabile in sede di legittimità, perché formulato in maniera non illogica, l'apprezzamento del giudice di merito fondato sui seguenti elementi: il canone di locazione a carico del genitore affidatario, per le necessità abitative sue e del figlio, ne riduce il reddito disponibile; l'aumento delle esigenze economiche del figlio è notoriamente legato alla crescita e non ha bisogno di specifica dimostrazione; la detraibilità fiscale da parte dell'affidatario dell'assegno per il figlio è irrilevante ai fini dell'assegno, che è dedicato nella sua interezza a soddisfare i bisogni della prole; il contributo per il figlio minore è determinato in una somma fissa mensile in funzione delle esigenze della prole rapportate all'anno e quindi prescinde dalle modalità di visita e soggiorno presso il genitore non affidatario.

Cass. civ. n. 23668/2006

In tema di separazione personale dei coniugi, l'art. 156, sesto comma, c.c., nell'attribuire al giudice, in caso d'inadempimento dell'obbligo di corrispondere l'assegno di mantenimento, il potere di ordinare ai terzi, tenuti a corrispondere anche periodicamente somme di denaro al coniuge obbligato, che una parte di esse venga versata direttamente agli aventi diritto, postula una valutazione di opportunità che prescinde da qualsiasi comparazione tra le ragioni poste a fondamento della richiesta avanzata da questi ultimi e quelle addotte a giustificazione del ritardo nell'adempimento, implicando esclusivamente un apprezzamento in ordine all'idoneità del comportamento dell'obbligato a suscitare dubbi circa l'esattezza e la regolarità del futuro adempimento, e quindi a frustrare le finalità proprie dell'assegno di mantenimento.

Cass. civ. n. 13592/2006

Le dichiarazioni dei redditi dell'obbligato, in quanto svolgono una funzione tipicamente fiscale, non rivestono, in una controversia, relativa a rapporti estranei al sistema tributario, concernente l'attribuzione o la quantificazione dell'assegno di mantenimento, valore vincolante per il giudice della separazione personale tra coniugi, il quale, nella sua valutazione discrezionale, ben può fondare il suo convincimento su altre risultanze probatorie.

Cass. civ. n. 4204/2006

In tema di separazione personale di coniugi, il riconoscimento del diritto in favore di uno di essi alla corresponsione dell'assegno alimentare a carico dell'altro presuppone lo stato di indigenza del richiedente, il cui onere probatorio — che è a carico dello stesso — non può ritenersi soddisfatto con la sola esibizione di un certificato rilasciato dal Comune dal quale risulti la sua iscrizione nell'elenco delle persone bisognose, non assurgendo tale elemento, di per sé, a dignità di prova, ma costituendo un mero indizio.

Poiché l'art. 156, comma primo, c.c., nel subordinare il diritto di un coniuge all'assegno di mantenimento a carico dell'altro (purché al primo non sia stata addebitata la separazione), alla mancanza di redditi propri, non consente in alcun modo, in caso di addebitabilità della separazione ad entrambi i coniugi, di effettuare una graduazione fra le diverse responsabilità, è illegittimo il provvedimento del giudice del merito che riconosca l'assegno di mantenimento al coniuge al quale sia stata addebitata la separazione, in presenza della addebitabilità della separazione anche all'altro coniuge, fondando tale riconoscimento sulla minore rilevanza causale del comportamento del beneficiario rispetto a quello dell'obbligato nella causazione dell'intollerabilità della convivenza.

Cass. civ. n. 2626/2006

In tema di assegno di mantenimento a favore del coniuge separato privo di adeguati redditi propri, ai sensi dell'art. 156 c.c., il tenore di vita al quale va rapportato il giudizio di adeguatezza dei mezzi a disposizione del coniuge richiedente è quello offerto dalle potenzialità economiche dei coniugi durante il matrimonio, quale elemento condizionante la qualità delle esigenze e l'entità delle aspettative del richiedente; sicché, ai fini dell'imposizione e della determinazione dell'assegno, occorre tener conto dell'incremento dei redditi di uno di essi e del decremento dei redditi dell'altro anche se verificatosi nelle more del giudizio di separazione, in quanto durante la separazione personale non viene meno la solidarietà economica che lega i coniugi durante il matrimonio e che comporta la condivisione delle reciproche fortune nel corso della convivenza.

Cass. civ. n. 23071/2005

In tema di effetti della separazione sui rapporti patrimoniali tra i coniugi, la conservazione del precedente tenore di vita da parte del coniuge beneficiario dell'assegno costituisce un obbiettivo tendenziale (giacché non sempre la separazione, aumentando le spese fisse dei coniugi, ne consente la piena realizzazione), sicché esso va perseguito nei limiti consentiti dalle condizioni economiche del coniuge obbligato, richiamate dall'art. 156, secondo comma, c.c. La determinazione dei limiti entro i quali sia possibile perseguire il suddetto obbiettivo è riservata al giudice di merito, cui spetta la valutazione comparativa delle risorse dei due coniugi al fine di stabilire in quale misura l'uno debba integrare i redditi insufficienti dell'altro.

Cass. civ. n. 10344/2005

Anche in materia di separazione di coniugi, con riguardo all'assegno di mantenimento, deve ritenersi applicabile in via analogica - stante l'identità di ratio riconducibile alla funzione eminentemente assistenziale dell'assegno in questione - la norma dell'art. 5, nono comma, della legge 1 dicembre 1970, n. 898, nel testo novellato dall'art. 10 della legge 6 marzo 1987, n. 74, il quale, in tema di riconoscimento e determinazione dell'assegno divorzile, stabilisce che «in caso di contestazioni, il tribunale dispone indagini sui redditi e patrimoni dei coniugi e sul loro effettivo tenore di vita, valendosi, se del caso, anche della polizia tributaria». L'esercizio di tale potere di disporre indagini patrimoniali con l'avvalimento della polizia tributaria, che costituisce una deroga alle regole generali sull'onere della prova, rientra nella discrezionalità del giudice di merito, e non può essere considerato anche come un dovere imposto sulla base della semplice contestazione delle parti in ordine alle loro rispettive condizioni economiche; tale discrezionalità, tuttavia, incontra un limite nella circostanza che il giudice, potendosi avvalere di siffatto potere, non può rigettare le istanze delle parti relative al riconoscimento e alla determinazione dell'assegno sotto il profilo della mancata dimostrazione degli assunti sui quali si fondano, giacché in tal caso il giudice ha l'obbligo di dispone accertamenti d'ufficio (avvalendosi anche della polizia tributaria).

Cass. civ. n. 23378/2004

In tema di separazione personale dei coniugi, alla breve durata del matrimonio non può essere riconosciuta efficacia preclusiva del diritto all'assegno di mantenimento, ove di questo sussistano gli elementi costitutivi, rappresentati dalla non addebitabilità della separazione al coniuge richiedente, dalla non titolarità, da parte del medesimo, di adeguati redditi propri, ossia di redditi che consentano di mantenere un tenore di vita analogo a quello goduto in costanza di matrimonio, e dalla sussistenza di una disparità economica tra le parti. Al più, alla durata del matrimonio può essere attribuito rilievo ai fini della determinazione della misura dell'assegno di mantenimento.

Cass. civ. n. 10273/2004

Il sequestro conservativo sui beni del coniuge obbligato a corrispondere all'altro coniuge un assegno di mantenimento, previsto dall'art. 156, sesto comma, c.c., non ha natura cautelare perché prescinde dal periculum in mora, ma soltanto funzione di garanzia dell'adempimento degli obblighi patrimoniali stabiliti dal giudice della separazione dei coniugi. Pertanto il provvedimento — che per la sua particolare natura, determinata dai presupposti che ne legittimano la concessione e dalla finalità che persegue, può esser emanato anche dopo l'abrogazione dell'art. 673 c.p.c. per effetto dell'art. 89 legge 26 novembre 1990, n. 353 — può esser domandato (o può esserne richiesto l'ampliamento), anche dopo la pronunzia giudiziale di separazione dei coniugi e la chiusura del giudizio di primo grado ogni qual volta l'inadempimento del coniuge obbligato si sia realizzato successivamente, con il limite della proposizione della relativa istanza nel rispetto del principio del contraddittorio.

Cass. civ. n. 1398/2004

In tema di separazione personale dei coniugi, l'art. 156, sesto comma, il quale prevede che, nel caso in cui il coniuge non adempia l'obbligo di versare l'assegno di mantenimento in favore dell'altro coniuge e dei figli, il giudice può ordinare ai terzi, tenuti a corrispondere, anche periodicamente, somme di danaro all'obbligato, che una parte di essa venga versata direttamente agli aventi diritto, si riferisce anche ai trattamenti pensionistici corrisposti in favore del coniuge già dipendente di una pubblica amministrazione, non essendo inoltre applicabili in detta ipotesi i limiti stabiliti dal D.P.R. n. 180 del 1950 in materia di sequestrabilità e pignorabilità degli stipendi, salari e pensioni dei dipendenti delle pubbliche amministrazioni.

Cass. civ. n. 19527/2003

In tema di assegno di mantenimento a seguito di separazione personale tra coniugi, la richiesta di emissione dell'ordine a terzi, ai sensi dell'art. 156, sesto comma, c.c., di versamento diretto a proprio favore di parte delle somme di denaro da essi dovute all'obbligato può essere proposta per la prima volta anche nel corso del giudizio di secondo grado, trovando nel caso applicazione il c.d. principio rebus sic stantibus, purché risulti sempre rispettato il principio del contraddittorio, a garanzia del diritto di difesa del coniuge obbligato in sede di accertamento della sua inadempienza.

Cass. civ. n. 17537/2003

Tra le condizioni per il sorgere del diritto al mantenimento in favore del coniuge cui non sia addebitabile la separazione, l'art. 156 c.c. non pone l'instaurazione di un'effettiva convivenza fra i coniugi. La mancata convivenza può infatti trovare ragione nelle più diverse situazioni o esigenze, e va comunque intesa, in difetto di elementi che dimostrino il contrario, come espressione di una scelta della coppia, di per sè non escludente la comunione spirituale e materiale, dalla quale non possono farsi derivare effetti penalizzanti per uno dei coniugi, ed alla quale comunque non può attribuirsi efficacia estintiva dei diritti e doveri di natura patrimoniale che nascono dal matrimonio.

Cass. civ. n. 13747/2003

Condizioni per il sorgere del diritto al mantenimento in favore del coniuge cui non sia addebitabile la separazione sono la non titolarità di adeguati redditi propri, e cioè di redditi che consentano al richiedente di mantenere un tenore di vita analogo a quello mantenuto in costanza di matrimonio, e la sussistenza di una disparità economica tra le parti. Ai fini della valutazione della adeguatezza dei redditi del soggetto che invoca l'assegno, il parametro di riferimento è costituito dalle potenzialità economiche complessive dei coniugi durante il matrimonio, quale elemento condizionante la qualità delle esigenze e l'entità delle aspettative del medesimo richiedente. Una volta accertato il diritto del richiedente all'assegno di mantenimento, il giudice, ai fini della determinazione del quantum dello stesso, deve tener conto anche degli elementi fattuali di ordine economico, o comunque apprezzabili in termini economici, diversi dal reddito dell'onerato, suscettibili di incidenza sulle condizioni delle parti.

Cass. civ. n. 11720/2003

Il mero acquisto di un cespite, così come la perdita di un bene, non rappresenta, di per sé, indice sufficiente a giustificare la modifica delle condizioni della separazione consensuale in punto di misura del contributo di mantenimento, giacché la valutazione dei motivi sopravvenuti — la prova dell'esistenza dei quali è a carico del coniuge richiedente la modifica — postula sempre un giudizio di relazione da parte del giudice di merito, onde accertare se l'acquisto o la perdita del cespite sia l'espressione di un incremento o decremento patrimoniale dei coniugi di entità tale da mutare l'equilibrio esistente al momento della separazione.

Cass. civ. n. 11224/2003

In tema di separazione personale, la precedente vivenza a carico dei genitori di uno dei coniugi in costanza di matrimonio non comporta, per il coniuge in grado di procurarsi i mezzi di sussistenza, l'esonero dall'obbligo di prestare assistenza al coniuge del tutto inidoneo a provvedere al proprio mantenimento, a nulla rilevando che i genitori di quest'ultimo, evidentemente in difetto dell'adempimento dei primo obbligato a norma dell'art. 433 c.c., vi abbiano interamente provveduto e continuino a farlo. L'ospitalità e lo stesso mantenimento forniti alla coppia di coniugi maggiorenni dai genitori di uno dei due, infatti, ove non siano necessitati da condizioni oggettive e gravi di impossibilità di autonomo mantenimento, sono frutto di mera liberalità, non importano l'assunzione di alcuna obbligazione di mantenimento de futuro, né, di converso, danno luogo ad alcuna stabile condizione di vivenza a carico idonea ad escludere la altrui primaria obbligazione.

Cass. civ. n. 2479/2003

Il decreto della corte di appello, reso in sede di reclamo avverso il provvedimento del tribunale concessivo del sequestro previsto dall' art. 156, sesto comma, c.c., in materia di separazione personale dei coniugi, e dall'art. 8, ultimo comma, legge n. 898 del 1970, in materia di divorzio, non è impugnabile con il ricorso straordinario per cassazione, ai sensi dell'art. 111 Cost., poiché si tratta di provvedimento non decisorio, né definitivo, avendo esso natura strumentale (rispetto al diritto sostanziale al mantenimento spettante al coniuge) ed essendo esso revocabile o modificabile per giustificati motivi.

Cass. civ. n. 14886/2002

L'assegno di mantenimento a favore del coniuge, fissato in sede di separazione personale, decorre dalla data della relativa domanda, in applicazione del principio per il quale un diritto non può restare pregiudicato dal tempo necessario per farlo valere in giudizio. Tale principio attiene soltanto al profilo dell'an debeatur della domanda, e non interferisce, pertanto, sull'esigenza di determinare il quantum dell'assegno alla stregua dell'evoluzione intervenuta in corso di giudizio nelle condizioni economiche dei coniugi, né sulla legittimità di fissare misure e decorrenze differenziate dalle diverse date in cui i mutamenti si siano verificati.

Cass. civ. n. 4800/2002

Condizioni per il sorgere del diritto al mantenimento in favore del coniuge cui non sia addebitabile la separazione sono la non titolarità di adeguati redditi propri, e cioè di redditi che consentano al richiedente di mantenere un tenore di vita analogo a quello mantenuto in costanza di matrimonio, e la sussistenza di una disparità economica tra le parti. Ai fini della valutazione della adeguatezza dei redditi del soggetto che invoca l'assegno, il parametro di riferimento è costituito dalle potenzialità economiche complessive dei coniugi durante il matrimonio, quale elemento condizionante la qualità delle esigenze e l'entità delle aspettative del medesimo richiedente, non avendo invece rilievo il più modesto livello di vita eventualmente subito o tollerato. Una volta accertato il diritto del richiedente all'assegno di mantenimento, il giudice, ai fini della determinazione del quantum dello stesso, deve tener conto anche degli elementi fattuali di ordine economico, o comunque apprezzabili in termini economici, diversi dal reddito dell'onerato, suscettibili di incidenza sulle condizioni delle parti, quali (nella specie) l'obbligo di mantenimento, in misura consona al proprio tenore di vita, dei figli nati da una nuova relazione, le ripercussioni sul piano reddituale della legittima scelta personale del coniuge obbligato al mantenimento di cessare l'attività professionale e il vantaggio derivante al coniuge beneficiario dell'assegno dal godimento della casa coniugale.

Cass. civ. n. 3974/2002

A norma dell'art. 156 c.c., il diritto all'assegno di mantenimento sorge nella separazione personale a favore del coniuge cui essa non sia addebitabile, quando questi non fruisca di redditi che gli consentano di mantenere un tenore di vita analogo a quello esistente durante il matrimonio e sussista disparità economica tra i coniugi; il parametro al quale va rapportato il giudizio di adeguatezza è dato dalle potenzialità economiche complessive dei coniugi durante il matrimonio, quale elemento condizionante la qualità delle esigenze e l'entità delle aspettative del richiedente, senza che occorra un accertamento dei redditi rispettivi nel loro esatto ammontare, essendo sufficiente un'attendibile ricostruzione delle situazioni patrimoniali complessive di entrambi.

Cass. civ. n. 5492/2001

In tema di separazione personale dei coniugi, nel caso in cui il patrimonio immobiliare del coniuge che chiede l'attribuzione dell'assegno di mantenimento e gli eventuali suoi redditi non patrimoniali non siano in grado di assicurargli il mantenimento del pregresso tenore di vita senza doversi ricorrere alla loro, sia pure parziale, alienazione, prima di potergli negare il diritto all'assegno il giudice deve esaminare quale sia la posizione economica complessiva del coniuge nei cui confronti l'assegno sia richiesto, per verificare se sia tale da consentire (nel bilanciamento dei rispettivi interessi, nel quadro di quelli della famiglia nel suo insieme), attraverso la corresponsione di un assegno di mantenimento, di conservare ad entrambi i coniugi il pregresso tenore di vita, senza intaccare il patrimonio di nessuno di loro.

Cass. civ. n. 4099/2001

In tema di competenza per territorio, la domanda di modifica dell'assegno di mantenimento a favore del coniuge consensualmente separato, proposta a norma degli artt. 710 e 711 c.p.c., la quale investe rapporti obbligatori, non è equiparabile alla domanda di separazione personale e si sottrae alle speciali regole di competenza stabilite per il giudizio di separazione. Ciò vale ovviamente rispetto sia alle regole di competenza dettate specificamente per la separazione sia per quelle dettate per il divorzio, ma dichiarate applicabili anche al giudizio di separazione. Inapplicabile sembra anche l'art. 12 quater della legge n. 898 del 1970 sul divorzio, introdotto dall'art. 18 della legge n. 74 del 1987, che regola la competenza per le cause di obbligazione di cui a quella legge. Per tali giudizi di modifica dell'assegno di mantenimento, è territorialmente competente, ai sensi dell'art. 20 c.p.c., anche il giudice del luogo in cui è sorto il debito di mantenimento, che si identifica nel luogo in cui è stata omologata la separazione consensuale e non in quello in cui il matrimonio è stato contratto. Con la riforma del diritto di famiglia, introdotta con la legge 19 maggio 1975 n. 151, infatti, all'obbligo del coniuge di contribuire ai bisogni della famiglia, sussistente durante la convivenza coniugale, subentra, con la cessazione di tale convivenza conseguente alla separazione personale, ove ricorrano le prescritte condizioni (art. 156, primo comma, c.c.), un obbligo di mantenimento, destinato al soddisfacimento dei bisogni individuali dell'altro coniuge. Deve, pertanto, escludersi che, dopo la riforma, l'obbligazione derivante dalla separazione sia la stessa che sussisteva durante la convivenza coniugale. D'altra parte appaiono manifestamente infondati i dubbi di costituzionalità per non essere prevista la sussistenza del medesimo foro alternativo nel giudizio di modifica dell'assegno di divorzio, non comportando il parallelismo dei procedimenti la necessità di adottare le stesse regole di competenza e non potendo estendersi previsioni che fanno eccezione a regole generali a casi non espressamente previsti.

Cass. civ. n. 5253/2000

Poiché durante la separazione personale non viene meno la solidarietà economica che lega i coniugi durante il matrimonio, la quale comporta la condivisione dei reciproci mezzi, economici, a norma dell'art. 156, ultimo comma, c.c., il coniuge al quale non sia stato attribuito nessun assegno di mantenimento, ove la propria situazione economica si sia deteriorata successivamente alla separazione, ovvero sia migliorata quella dell'altro, può chiedere l'attribuzione di un assegno rapportato al tenore di vita che avrebbe avuto ove la separazione non fosse intervenuta, dovendosi, peraltro, tenere conto che tale riferimento non è matematico, ma tendenziale. Al fine di stabilire se l'assegno sia dovuto, ed in quale misura, il giudice di merito non è tenuto ad accertare quale fosse il tenore di vita dei coniugi in costanza di matrimonio, ma unicamente a comparare le condizioni economiche dei coniugi al momento della domanda. (Nella specie, la S.C. ha confermato la decisione della Corte costituzionale che, in riforma della sentenza di primo grado, aveva riconosciuto il diritto della moglie ad ottenere, a modifica delle condizioni patrimoniali stabilite in sede di separazione consensuale dal coniuge, l'attribuzione dell'assegno di mantenimento in considerazione del peggioramento delle sue condizioni economiche dovute al pensionamento).

Cass. civ. n. 1226/2000

Analogamente a quanto accade in materia di divorzio, anche indipendentemente da apposita domanda della parte, il giudice di secondo grado può procedere, anche in tema di separazione personale dei coniugi, all'aggiornamento Istat della misura dell'assegno per il mantenimento del coniuge e/o della prole fissato dal primo giudice.

Cass. civ. n. 944/2000

Il provvedimento di sequestro dei beni del coniuge obbligato all'assegno di mantenimento di cui all'art. 156 comma sesto c.c., che può essere revocato, anche ad opera del giudice di appello, per la sopravvenienza di giustificati motivi (art. 156 ultimo comma), ben può, ricorrendo gli stessi giustificati motivi, e pur sussistendo le condizioni necessarie per la sua concessione (inadempienza dell'obbligato), non venire emesso, e la valutazione discrezionale circa la presenza dei giustificati motivi, ove fondata su congrua motivazione, si sottrae al sindacato di legittimità da parte della S.C.

Cass. civ. n. 13666/1999

Anche in tema di separazione consensuale, i giustificati motivi la cui sopravvenienza consente di rivedere le determinazioni adottate in sede di separazione dei coniugi, non sono ravvisabili nella mera perdita da parte dell'obbligato di un cespite o di un'attività produttiva di reddito, restando da dimostrare, con onere a carico dell'interessato, che la perdita medesima si sia tradotta in una riduzione delle complessive risorse economiche, sì da integrare un effettivo mutamento della situazione rispetto a quella valutata, anche in via consensuale, in sede di determinazione dell'assegno. Infatti durante la separazione non viene meno la solidarietà economica che lega i coniugi durante il matrimonio e che comporta ia condivisione delle reciproche fortune nel caso della convivenza, e d'altronde la finalità considerata dall'art. 156 c.c. (ossia quella di conservare il diritto del coniuge meno provvisto ad un tenore di vita tendenzialmente analogo a quello goduto in costanza di convivenza) permane anche nel caso in cui i coniugi, all'atto della separazione consensuale, abbiano pattuito essi stessi la misura dell'assegno, di talché il giudice, adito per la revisione delle condizioni convenute, non può non tener conto di essa finalità.

Cass. civ. n. 13579/1999

È inammissibile il regolamento di competenza contro il provvedimento con il quale il presidente del tribunale dei minorenni dichiara la propria incompetenza a provvedere in ordine alla domanda di sequestro ex art. 156 c.c., trattandosi di provvedimento cautelare atipico, modificabile e revocabile in ogni tempo su istanza di parte.

Cass. civ. n. 4905/1999

Ai fini della modifica dell'assegno di mantenimento stabilito o concordato in sede di separazione personale dei coniugi, si rende presupposto necessario la sopravvenienza di giustificati motivi la cui sussistenza deve essere provata dal coniuge che detta modifica richieda. In una tale prospettiva, la facoltà di chiedere la revisione dell'assegno in questione, in quanto accordata direttamente dall'art. 156 c.c., non trova ostacolo in un'eventuale clausola degli accordi di separazione consensuale in virtù della quale la misura dell'assegno sia stata fissata attraverso il criterio del riferimento ad una quota del reddito lavorativo coevo del coniuge obbligato, non potendo una tal clausola essere interpretata — di per sé — come rinuncia definitiva alla revisione dell'assegno in conseguenza dell'eventuale successivo aumento dei redditi di detto coniuge.

Cass. civ. n. 4748/1999

Nel caso in cui, in una precedente separazione cui abbia fatto seguito la riconciliazione, un coniuge abbia ricevuto una somma una tantum per il soddisfacimento dei suoi diritti, il giudice della successiva nuova separazione, investito di una domanda di assegno di mantenimento, dovrà esaminare nuovamente il punto, tenendo tuttavia conto dell'effettiva consistenza delle situazioni economico-patrimoniali dei coniugi, e - quindi - anche delle disponibilità esistenti che siano state acquisite per effetto della precedente separazione.

Cass. civ. n. 12204/1998

In tema di assegno di mantenimento, la disposizione legislativa di cui all'art. 156 c.c., per effetto della quale il giudice può dispone, nel caso in cui eventuali terzi risultino obbligati a versare (anche periodicamente) somme di danaro al coniuge onerato dell'assegno, che «una parte» di tali somme venga versata direttamente all'avente diritto, non può essere interpretata nel senso che un tale ordine debba indefettibilmente avere ad oggetto solo una parte delle somme dovute dal terzo, quale che in concreto ne sia la misura e quale che, in concreto, sia l'importo dell'assegno di mantenimento, bensì nel senso (ed in armonia con il più ampio «blocco» normativo costituito, in subiecta materia, dagli artt. 148 e ss. c.c., dall'art. 8 della legge sul divorzio, dagli artt. 3 e 30 della Costituzione) che il giudice possa legittimamente dispone il pagamento diretto dell'intera somma dovuta dal terzo, quando questa non ecceda, ma anzi realizzi pienamente, l'assetto economico determinato in sede di separazione con la statuizione che, in concreto, ha quantificato il diritto del coniuge beneficiario. (Fattispecie nella quale al terzo datore di lavoro del coniuge obbligato, tenuto a corrispondere a quest'ultimo una retribuzione pari ad un milione di lire, era stato ordinato di versare l'intero importo al coniuge avente diritto, e fino a concorrenza della somma di lire 2.400.000, che costituiva l'importo dell'assegno di mantenimento stabilito in sede di separazione giudiziale).

Cass. civ. n. 4776/1998

Il provvedimento di sequestro di beni del coniuge obbligato all'assegno di mantenimento previsto dall'art. 156 sesto comma c.c. è provvedimento di natura non cautelare in quanto a differenza del sequestro conservativo, presuppone un credito già dichiarato, sia pure in via provvisoria, e non richiede il periculum in mora, bensì solo l'inadempienza; detta «inadempienza» non si configura soltanto in caso di mancato versamento dell'assegno di mantenimento, ma anche nel caso di inadempimento all'obbligo di prestare idonea garanzia reale o personale imposto dal giudice ai sensi del quarto comma del citato art. 156, ed altresì nel caso d'inottemperanza ad eventuali prescrizioni della separazione consensuale volte a garantire l'osservanza dell'obbligo di corrispondere l'assegno di mantenimento nella misura concordata, prescrizioni che, in tali termini, sono equiparabili all'obbligo di prestare idonea garanzia eventualmente imposto dal giudice che pronunzia la separazione giudiziale. (Nella specie, la separazione consensuale prevedeva l'obbligo per il marito di corrispondere il 75 per cento del reddito netto di tutte le partecipazioni societarie, nonché il divieto di cedere a terzi i titoli azionari senza il consenso della moglie; la S.C. ha cassato la decisione di merito che aveva respinto la richiesta di sequestro ex art. 156 c.c. sostenendo che il marito, pur avendo alienato i titoli societari così violando le prescrizioni della separazione, non si era reso inadempiente all'obbligo di mantenimento).

Cass. civ. n. 4323/1998

In presenza di una disposizione quale quella contenuta nell'art. 156, sesto comma c.c., secondo cui, in caso d'inadempienza, su richiesta dell'avente diritto, il giudice può disporre il sequestro di parte dei beni dell'obbligato, legittimamente il giudice del merito lo autorizza e ne dispone la convalida, anche se l'inadempienza sia venuta meno in un momento successivo alla concessione della misura cautelare. La norma in questione — infatti — presuppone, quale condizione necessaria ed imprescindibile per la sua concessione, l'esistenza di un inadempimento dell'obbligato, ma non esclude il suo mantenimento e la successiva convalida, qualora tale inadempienza viene meno, attesa la funzione che all'istituto va riconosciuta, e cioè di garanzia del creditore sui beni del debitore, contro il pericolo di sottrazioni e alienazioni dei beni medesimi.

Cass. civ. n. 3503/1998

Nel caso in cui alla convivenza more uxorio siano riconnesse conseguenze giuridiche, al fine di distinguere tra semplice rapporto occasionale e famiglia di fatto, deve tenersi soprattutto conto del carattere di stabilità che conferisce grado di certezza al rapporto di fatto sussistente tra le persone, tale da renderla rilevante sotto il profilo giuridico, sia per quanto concerne la tutela dei figli minori, sia per quanto riguarda i rapporti patrimoniali tra i coniugi separati ed, in particolare, con riferimento alla persistenza delle condizioni per l'attribuzione dell'assegno di separazione (nella specie, la moglie, a seguito della separazione, aveva ottenuto un assegno di mantenimento a carico del marito che era stato, poi, revocato dal giudice di merito, sul presupposto che la stessa, successivamente alla separazione, aveva intrattenuto una periodica convivenza con altro uomo, a seguito della quale era nato un figlio. La S.C. ha cassato la sentenza impugnata perché il giudice di merito, adeguandosi all'enunciato principio, accertasse se la donna ed il suo convivente avessero costituito o meno un'affidabile e stabile famiglia di fatto, trascendente la mera esistenza di rapporti sessuali, così da stabilire se questa nuova unione avesse fatto venire meno il presupposto per la percezione dell'assegno di mantenimento dal marito).

Cass. civ. n. 3490/1998

L'art. 156 c.c. attribuisce al coniuge al quale non sia addebitabile la separazione il diritto d'ottenere, dall'altro, un assegno di mantenimento, tutte le volte in cui, sussistendo una differenza di redditualità fra i coniugi, egli non sia in grado di mantenere, in costanza della separazione, in base alla proprie potenzialità economiche, il tenore di vita che aveva durante il matrimonio, sempre che questo corrispondesse alle potenzialità economiche complessive dei coniugi, dovendosi altrimenti fare riferimento al tenore di vita che esse avrebbero loro consentito, non avendo rilievo che, prima della separazione, il coniuge richiedente avesse eventualmente tollerato, subito o - comunque - accettato un tenore diverso con l'adozione di particolari criteri di ripartizione delle spese, né avendo rilievo il fatto che fra i coniugi si fosse instaurata un'effettiva convivenza, non condizionando la norma l'assegno di mantenimento alla convivenza, bensì all'esistenza di un matrimonio e di una separazione senza addebito a carico del richiedente, e dovendosi fare riferimento, in caso di mancata instaurazione della convivenza, al tenore di vita che ciascun coniuge aveva diritto di aspettarsi in conseguenza del matrimonio.

Cass. civ. n. 2583/1998

Il fatto che il coniuge al quale non sia addebitabile la separazione e che sia privo di redditi che gli consentano di mantenere un tenore di vita analogo a quello goduto in costanza di matrimonio, abbia diritto ad un assegno di mantenimento, non postula affatto la necessità di un aggancio meccanico dell'entità dell'assegno a criteri di proporzione aritmetica tesi a fondare un rapporto fisso minimo fra l'entità dei redditi del coniuge onerato e quella dell'assegno.

Cass. civ. n. 7770/1997

L'assegno di mantenimento a favore del coniuge, fissato in sede di separazione, decorre dalla data della domanda, se in tale momento esistevano le condizioni per l'emanazione del relativo provvedimento, con la conseguenza che tale decorrenza sussiste anche se la sentenza non abbia espressamente sancito la retroattività dell'assegno, ovvero abbia stabilito soltanto che esso debba essere corrisposto alla fine di ogni mese, trattandosi di modalità riguardanti l'adempimento periodico delle prestazioni non ancora maturate, che non implica dispensa per quelle dovute per il passato e ancora non adempiute.

Cass. civ. n. 7630/1997

L'art. 156 c.c. attribuisce al coniuge al quale non sia addebitabile la separazione, sempreché non fruisca di redditi propri idonei a fargli mantenere un tenore di vita analogo a quello che aveva prima della separazione e sussista una differenza di reddito tra i coniugi, un assegno tendenzialmente idoneo ad assicurargli detto tenore di vita. Tuttavia, poiché non sempre la separazione, aumentando le spese fisse dei coniugi, consente il raggiungimento di tale risultato, il secondo comma dell'art. 156 c.c. stabilisce che il giudice debba determinare la misura dell'assegno «in relazione alle circostanze ed ai redditi dell'obbligato», con ciò riferendosi unicamente alle circostanze di ordine economico che possano influire sulla misura dell'assegno, quali l'assegnazione al coniuge beneficiato della casa coniugale e le maggiori spese alle quali possa andare incontro per tale ragione il coniuge onerato, nonché ogni altro fatto economico, diverso dal reddito dell'onerato, suscettibile d'incidenza sulle condizioni economiche delle parti, come il possesso di beni improduttivi di reddito, ma patrimonialmente rilevanti.

Cass. civ. n. 7127/1997

In tema di separazione personale dei coniugi, il giudice ha facoltà di determinare l'assegno periodico di mantenimento, che un coniuge è obbligato a versare in favore dell'altro, in una somma di danaro unica o in più voci di spesa, le quali, nel loro insieme e correlate tra loro, risultino idonee a soddisfare le esigenze del coniuge in cui favore l'assegno è disposto, rispettando il requisito generale di determinatezza o determinabilità dell'obbligazione (art. 1346 c.c.). Pertanto, il coniuge può essere obbligato a corrispondere, oltre ad un assegno determinato in somma di danaro, anche altre spese, quali quelle relative al canone di locazione per la casa coniugale ed i relativi oneri condominiali, purché queste spese abbiano costituito oggetto di specifico accertamento nel loro ammontare e vengano attribuite nel rispetto dei criteri sanciti dai commi 1 e 2 dell'art. 156 c.c.

Cass. civ. n. 6557/1997

In tema di separazione personale dei coniugi, la previsione di cui all'art. 156, sesto comma, c.c., in base alla quale il giudice ha il potere di ordinare al terzo, tenuto a corrispondere anche periodicamente somme all'obbligato, che una parte di esse venga direttamente versata agli aventi diritto al mantenimento, comporta che, nel caso in cui trattisi di assegno di contributo al mantenimento di minori ed in cui questi ultimi siano stati affidati a soggetti diversi dai genitori (nella specie i nonni), i beneficiari dell'ordine debbano essere gli stessi affidatari.

Cass. civ. n. 5762/1997

A norma dell'art. 156 c.c., il diritto all'assegno di mantenimento a seguito di separazione personale sorge, in favore del coniuge al quale questa non sia addebitabile, ove egli non fruisca di redditi che gli consentano di mantenere un tenore di vita analogo a quello che aveva durante il matrimonio e sussista una disparità economica tra i coniugi. Pertanto, il giudice, al fine di stabilire se l'assegno sia dovuto, deve prioritariamente valutare il suddetto tenore di vita, e, solo successivamente, esaminare se i mezzi economici a disposizione del coniuge che lo abbia richiesto siano tali da consentirgliene la conservazione indipendentemente dall'assegno. In caso contrario, dovrà procedersi alla valutazione comparativa dei mezzi economici di ciascun coniuge al momento della separazione, al fine di stabilire se tra essi vi sia una disparità economica che giustifichi l'imposizione dell'assegno, nonché la misura di esso. (La S.C. ha, così, cassato la sentenza del merito che aveva negato al coniuge l'assegno di mantenimento, sull'erroneo presupposto giuridico che tale assegno non gli spettasse per essere egli fornito di mezzi economici di per sé sufficienti a garantirgli un adeguato tenore di vita, non versando in «stato di bisogno»).

Cass. civ. n. 5024/1997

In sede di determinazione dell'assegno di mantenimento a favore di uno dei coniugi legalmente separati (nella specie in sede di revisione chiesta dal beneficiario), è potenzialmente rilevante una scelta di carattere professionale dell'altro coniuge, che determini (anche se valutato unitamente agli altri elementi rilevanti), un decremento apprezzabile della sua posizione economica, senza che in senso contrario possa valorizzarsi la revocabilità di tale scelta, poiché le potenzialità economiche possono essere prese in considerazione solo in presenza dei requisiti dell'attualità e della concreta valutabilità. (Fattispecie relativa alla opzione di un medico ospedaliero, consensualmente separato, per il servizio a tempo pieno, con abbandono delta libera professione).

Cass. civ. n. 5916/1996

A norma dell'art. 156 c.c., il diritto al mantenimento a seguito di separazione personale sorge, in favore del coniuge al quale questa non sia addebitabile, ove egli non fruisca di redditi che gli consentano di mantenere un tenore di vita analogo a quello che aveva durante il matrimonio. Nel valutare tale presupposto, tuttavia, il giudice dovrà tenere conto di ogni tipo di reddito disponibile da parte del richiedente, ivi compresi quelli derivanti da elargizioni da parte di familiari che erano in corso durante il matrimonio e che si protraggano in regime di separazione con carattere di regolarità e continuità tali da influire in maniera stabile e certa sul tenore di vita dell'interessato.

Cass. civ. n. 7437/1994

Agli effetti della separazione sui rapporti patrimoniali tra i coniugi, se prima della separazione i coniugi hanno concordato, o, quanto meno, accettato (sia pure soltanto per facta concludentia) che uno di essi non lavorasse, l'efficacia di tale accordo permane anche dopo la separazione, perché la separazione instaura un regime che - a differenza del divorzio, in cui il diritto all'assegno è subordinato alla condizione che chi lo pretende non possa procurarsi redditi adeguati per ragioni oggettive (art. 5, comma 6, L. 1 dicembre 1970, n. 898, come modificato dall'art. 10 della L. 6 marzo 1987, n. 74) - tende a conservare il più possibile gli effetti propri del matrimonio compatibili con la cessazione della convivenza e, quindi, anche il tenore e il «tipo» di vita di ciascuno dei coniugi.

Ai fini della determinazione dell'assegno di mantenimento del coniuge separato, il tenore di vita che quest'ultimo ha diritto di mantenere non è quello di fatto consentitogli dall'altro coniuge prima della separazione, ma quello che l'altro coniuge avrebbe dovuto consentirgli in base alle sue sostanze. Pertanto, se uno dei coniugi, sottraendosi all'obbligo di contribuire, a misura dei propri mezzi economici, alle esigenze globali della coppia (e dei figli), fa vivere l'altro coniuge in ristrettezze o, comunque, non gli assicura un tenore di vita corrispondente a quello che ragionevolmente potrebbe permettere a sé ed alla sua famiglia, l'altro coniuge, una volta separatosi, può pretendere per il proprio mantenimento un assegno proporzionato alla posizione economica del consorte, indipendentemente dal tenore di vita tollerato prima della separazione.

Cass. civ. n. 6612/1994

Ai fini della quantificazione dell'assegno a favore del coniuge separato - che è il risultato di un apprezzamento discrezionale del giudice di merito, incensurabile in cassazione, ove immune da vizi di motivazione - i redditi dei coniugi non devono essere accertati nel loro esatto ammontare, essendo sufficiente un'attendibile ricostruzione delle rispettive situazioni patrimoniali complessive, dal rapporto delle quali risulti consentita l'erogazione di un assegno corrispondente alle esigenze del coniuge beneficiario.

Cass. civ. n. 2128/1994

Nel procedimento per la separazione personale dei coniugi la richiesta di alimenti costituisce un «minus» necessariamente ricompreso in quella di mantenimento e pertanto il riconoscimento al coniuge separato di un assegno alimentare in luogo del richiesto assegno di mantenimento non comporta vizio di extrapetizione, così come la domanda di alimenti avanzata per la prima volta in secondo grado non comporta violazione del divieto di domande nuove in appello.

Cass. civ. n. 2051/1994

La disposizione dell'art. 5, comma settimo, della L. 1 dicembre 1970, n. 898 (nel testo novellato dall'art. 10 della L. 6 marzo 1987, n. 74), che ha previsto l'adeguamento automatico dell'assegno di divorzio, salvo che esso venga escluso dal giudice in caso di palese iniquità, va applicata analogicamente, in materia di separazione dei coniugi, all'assegno di mantenimento, attesa la funzione eminentemente assistenziale di entrambi gli assegni.

Cass. civ. n. 1967/1994

Le finalità considerate dall'art. 156 c.c., cioè quelle di conservare, anche attraverso la fissazione di un assegno a carico del coniuge meglio provvisto, il diritto dell'altro coniuge ad un tenore di vita adeguato, ovvero non inferiore a quello goduto in costanza di convivenza, permangono pure nel caso in cui i coniugi, all'atto della separazione consensuale, abbiano pattuito essi stessi la misura di tale assegno. Ne consegue che, ove uno di essi abbia esercitato la facoltà di chiedere la revisione delle condizioni convenute, in conseguenza del verificarsi di fatti nuovi, il giudice deve stabilire comunque un contributo concretamente adeguato a conservare tale finalità, quale che sia stata in origine l'entità del contributo convenzionale.

Cass. civ. n. 8977/1993

In tema di modifica delle condizioni della separazione, quando l'assegno di mantenimento risulti concordato in un verbale di separazione consensuale omologato, la riduzione giudiziale dell'assegno dovuto al coniuge separato ha efficacia non dalla domanda di revisione, ma dalla pronuncia del corrispondente provvedimento provvisorio o dal momento in cui diviene efficace quello definitivo.

Cass. civ. n. 8871/1993

In tema di separazione di coniugi, mentre spetta al tribunale, quale giudice di cognizione, di provvedere all'ordine di pagamento a terzi che una parte della somma da essi dovuta «all'obbligato» all'assegno di mantenimento, sia versata direttamente agli aventi diritto (art. 156, sesto comma, c.c.), sempre che sia stata pronunciata la separazione tra i coniugi e sia stato accertato l'inadempimento del debitore agli obblighi derivanti dalla pronuncia della separazione, la procedura esecutiva, promossa nelle forme del pignoramento presso terzi, in forza del provvedimento emesso dal presidente del tribunale nel procedimento di separazione personale tra coniugi a norma dell'art. 708, terzo comma, c.p.c., appartiene alla competenza del giudice dell'esecuzione.

Cass. civ. n. 5749/1993

In tema di separazione personale dei coniugi, il principio secondo cui l'assegno di mantenimento deve decorrere dalla data della domanda trova applicazione quando a quella data sussistevano in concreto i correlativi presupposti. Ove, invece, le risultanze istruttorie indichino, di fatto, un diverso e successivo momento di insorgenza della condizione di inadeguatezza patrimoniale dell'un coniuge o della capacità economica dell'altro, il giudice è tenuto a fissare la decorrenza dell'assegno di mantenimento con riguardo a tale momento.

Cass. civ. n. 4761/1993

La relazione more uxorio allacciata dalla moglie dopo l'inizio della causa di separazione personale non fa venir meno per il marito l'obbligo di corrisponderle l'assegno di mantenimento fissato in via provvisoria dal presidente del tribunale o dalla sentenza di primo grado, ma rileva comunque nei limiti in cui detta relazione incida sulla reale e concreta situazione economica della donna, risolvendosi per questa in una condizione e fonte, effettiva e non aleatoria, di reddito, posto che la convivenza extraconiugale non comporta alcun diritto al mantenimento.

Cass. civ. n. 3720/1993

Le prestazioni di assistenza di tipo coniugale da parte di un convivente more uxorio, quando in fatto esclude, oppure riduce, lo stato di bisogno del coniuge separato o divorziato, spiega rilievo in ordine alla esistenza del diritto all'assegno di mantenimento o divorzile, e alla sua concreta determinazione.

Cass. civ. n. 2654/1991

Qualora l'assegno alimentare, nel rapporto fra coniugi separati, venga riconosciuto e liquidato sulla base della disponibilità, da parte dell'onerato, di una determinata fonte di reddito, l'accertamento della temporaneità di tale reddito, con cessazione ad una scadenza certa, comporta che analoga scadenza deve essere prevista per l'assegno medesimo, in considerazione del venir meno, alla relativa data, del suo presupposto.

Cass. civ. n. 381/1991

La domanda di modificazione dell'assegno alimentare o di mantenimento, che venga proposta, ai sensi degli artt. 710 e 711 (originario testo) c.p.c., da uno dei coniugi separati in base a sentenza o verbale di separazione consensuale omologato, è soggetta ai normali criteri di competenza per valore e per territorio (e, quindi, con riguardo alla competenza per territorio, anche al foro concorrente del luogo dell'esecuzione dell'obbligazione, da identificarsi con il domicilio dell'avente diritto all'assegno), tenuto conto che la domanda medesima investe rapporti obbligatori, non è equiparabile alla domanda di separazione, e si sottrae, pertanto, alle speciali regole di competenza per quest'ultima dettate dall'art. 706 c.p.c.

Cass. civ. n. 11523/1990

Ai fini del riconoscimento del diritto al mantenimento, in favore del coniuge cui non sia addebitabile la separazione, è necessario che questo sia privo di redditi che gli consentano di mantenere un tenore di vita analogo a quello goduto in costanza di matrimonio e che sussista una disparità economica fra i due coniugi. Al fine del relativo apprezzamento, da un lato vanno prese in considerazione le complessive situazioni patrimoniali dei soggetti — comprensive non solo dei redditi in senso stretto, ma anche dei cespiti di cui essi abbiano il diretto godimento e di ogni altra utilità suscettibile di valutazione economica — e, dall'altro lato, non è necessaria la determinazione dell'esatto importo dei redditi percepiti, attraverso l'acquisizione di dati numerici, ma è sufficiente un'attendibile ricostruzione delle suddette situazioni complessive, nel rapporto delle quali risulti consentita l'erogazione, dall'uno all'altro coniuge, di una somma corrispondente alle sue esigenze.

Cass. civ. n. 6773/1990

In tema di separazione personale dei coniugi, la facoltà di chiedere la revisione dell'assegno di mantenimento, qualora sopravvengano giustificati motivi, è direttamente accordata dalla legge, né può essere oggetto di rinuncia in via preventiva, e, pertanto, non trova ostacolo, nel caso di separazione consensuale, nella clausola di essa che escluda o limiti tale revisione.

Cass. civ. n. 6772/1990

Nella liquidazione dell'assegno di mantenimento dovuto al coniuge separato, ai sensi dell'art. 156 c.c., la fissazione di criteri di adeguamento automatico, per compensare il deterioramento della posizione del titolare per effetto del fenomeno inflattivo, è consentita, in difetto di accordo delle parti, solo ove ricorrano sicuri e specifici elementi per stabilire in anticipo gli effetti della svalutazione sulle rispettive condizioni economiche delle parti stesse.

Cass. civ. n. 5384/1990

In tema di separazione personale tra i coniugi, la riduzione dell'assegno di mantenimento fissato dal presidente dei tribunale, disposta per il peggioramento delle condizioni economiche dell'obbligato, ha efficacia dal momento in cui diviene efficace la sentenza, e non da quello della domanda, atteso che l'assegno provvisorio è ontologicamente destinato ad assicurare i mezzi adeguati al sostentamento del beneficiario, il quale non è tenuto ad accantonarne una parte in previsione dell'eventuale riduzione.

Cass. civ. n. 1800/1990

Anche in tema di separazione consensuale, l'ammontare dell'assegno di mantenimento deve ritenersi soggetto alla clausola implicita del rebus sic stantibus; con la conseguenza che il giudice può e deve disporne la modifica quando l'equilibrio economico risultante dai patti della separazione risulti alterato per la sopravvenienza di circostanze che le parti non ebbero la possibilità di prevedere e non previdero in quella sede.

Cass. civ. n. 1095/1990

Il non puntuale adempimento dell'obbligo di mantenimento del coniuge separato — anche se con pochi giorni di ritardo rispetto alla scadenza imposta — legittima, ove tale comportamento provochi fondati dubbi sulla tempestività dei futuri pagamenti, l'emanazione dell'ordine ai terzi, tenuti a corrispondere anche periodicamente somme di denaro al coniuge obbligato, che una parte di esse venga versata direttamente all'avente diritto, in quanto la funzione che adempie l'assegno di mantenimento viene ad essere frustrata anche da semplici ritardi.

Cass. civ. n. 4163/1989

Ai fini della determinazione dell'assegno di mantenimento a favore del coniuge separato, l'attitudine di quest'ultimo al lavoro assume rilievo nell'individuazione delle sue capacità di guadagno solo se venga riscontrata in termini di effettiva possibilità di svolgimento di un'attività lavorativa retribuita, tenuto conto di ogni concreto fattore soggettivo ed oggettivo, e quindi non in termini astratti ed ipotetici.

Cass. civ. n. 9326/1987

In applicazione del principio stabilito nell'art. 445 c.c., in materia di alimenti l'assegno di mantenimento è dovuto al coniuge separato a norma dell'art. 156 c.c. dalla data in cui i coniugi sono autorizzati a vivere separatamente dal presidente del tribunale, ancorché la sentenza che pronuncia la separazione non ne abbia sancito espressamente la retroattività ovvero abbia stabilito soltanto che esso debba essere corrisposto alla fine di ogni mese, trattandosi di modalità attinente all'adempimento periodico delle prestazioni non ancora maturate, che non implica dispensa per quelle dovute per il passato ma non ancora adempiute.

Cass. civ. n. 8555/1987

L'accordo dei coniugi in sede di separazione consensuale, che l'assegno di mantenimento venga in futuro adeguato automaticamente all'eventuale deprezzamento della moneta, non svincola il meccanismo del mutamento dalle condizioni patrimoniali dei coniugi stessi e non implica quindi il permanere del rapporto proporzionale tra reddito del coniuge tenuto al pagamento dell'assegno e l'ammontare di questo esistente al momento dell'accordo svincolato da ogni valutazione comparativa delle condizioni patrimoniali.

Cass. civ. n. 3202/1986

In tema di assegno di mantenimento, nel rapporto fra coniugi separati, il principio, secondo il quale il relativo obbligo insorge dalla data della domanda dell'avente diritto (in applicazione della regola fissata per gli alimenti dall'art. 445 c.c.), riguarda l'an debeatur, ma non interferisce sulla necessità di determinare il quantum tenendo conto dei mutamenti eventualmente sopravvenuti nelle condizioni economiche dei coniugi (anche per effetto della svalutazione monetaria) fino alla data della decisione, né quindi sulla fissazione di misure e decorrenze differenziate dalle diverse date in cui detti mutamenti si siano verificati.

Cass. civ. n. 2569/1986

Agli effetti della determinazione dell'assegno di mantenimento al coniuge separato, o dell'assegno divorzile, la circostanza che il coniuge avente diritto all'assegno conviva more uxorio con un terzo può spiegare rilievo in quanto si traduca in una obbligazione naturale del convivente, il cui adempimento riduca od escluda la situazione di bisogno del coniuge separato o divorziato. Ai fini dell'onere della prova spetta peraltro al coniuge tenuto al mantenimento dimostrare la predetta circostanza riduttiva od estintiva del proprio obbligo.

Cass. civ. n. 549/1986

Al fine del riconoscimento e della liquidazione dell'assegno di mantenimento in regime di separazione dei coniugi, occorre considerare la complessiva situazione economica di ciascuno di essi, e, quindi, tenere conto non solo dei redditi in denaro, ma di ogni altra utilità economicamente valutabile, ivi inclusa pertanto la disponibilità della casa familiare (apprezzabile in misura corrispondente al risparmio della spesa che si dovrebbe affrontare per condurre in locazione analogo immobile), tanto se tale casa resti attribuita al coniuge che ne abbia il godimento in forza di diritto reale od obbligatorio, quanto nel caso in cui venga assegnata all'altro coniuge in qualità di affidatario della prole.

Cass. civ. n. 4498/1985

L'assegno di mantenimento dovuto al coniuge separato a norma dell'art. 156, terzo comma c.c. decorre dal giorno della comparizione dei coniugi davanti al presidente del tribunale per essere autorizzati a far cessare la loro convivenza, ancorché non sia stato domandato in tale sede, trattandosi di obbligo ex lege che nasce dal matrimonio e di cui la decisione giudiziale fissa in concreto la relativa entità al momento della cessazione della convivenza.

Cass. civ. n. 2372/1985

In tema di separazione personale, l'assegno, che venga cumulativamente fissato a carico di un coniuge per sopperire alle esigenze dell'altro coniuge e del figlio minore a quest'ultimo affidato, non può essere ridotto per il solo fatto del raggiungimento della maggiore età da parte di detto figlio, occorrendo che il debitore deduca e dimostri la ricorrenza di una delle situazioni che escludono il persistere dell'obbligo di mantenimento della prole dopo la maggiore età (capacità del figlio di provvedere a sé con appropriata collocazione in seno al corpo sociale, sua convivenza in altri nuclei familiari o comunitari, colpa del medesimo per il mancato espletamento di attività lavorative, ecc.).

Cass. civ. n. 572/1985

Qualora l'assegno di mantenimento, con la sentenza di separazione dei coniugi, venga quantificato in misura maggiore rispetto a quella fissata in via provvisoria dal presidente del tribunale, in considerazione della svalutazione monetaria sopravvenuta fino alla data della decisione, la decorrenza di tale maggiore misura non può coincidere con la data della decisione senza alcun conguaglio per il periodo intermedio, tenuto conto che il mantenimento è dovuto dal giorno della domanda, e che, pertanto, ritenendosi congrua la sua liquidazione iniziale nei termini disposti in via provvisoria, l'adeguamento per effetto di svalutazione monetaria va riconosciuto secondo progressivi scaglioni, rapporti ad un anno, od al diverso periodo di tempo stimato opportuno, fino a raggiungere, a partire dal momento della decisione, la quantità aggiornata al valore della moneta all'epoca corrente.

Cass. civ. n. 3115/1984

È nulla la rinuncia al pagamento dell'assegno fissato per la moglie ed i figli in sede di separazione consensuale omologata, sia pure limitata agli «arretrati», ove l'assegno medesimo abbia natura alimentare, e tale nullità può essere fatta valere dalla madre affidataria della prole anche per la quota di spettanza dei figli diventati maggiorenni, attesa la legittimazione della prima a richiedere il pagamento delle somme dovute a tale titolo per i secondi.

Cass. civ. n. 2261/1984

L'assegno di mantenimento per il coniuge e per i figli dovuto in seguito a pronunzia di separazione (o di divorzio), va determinato con riferimento alla situazione in atto al momento della decisione, e pertanto, rispetto alla misura originariamente fissata, è suscettibile d'adeguamento, anche riguardo al fenomeno svalutativo della moneta, nei limiti quantitativi eventualmente fissati con la domanda, con la conseguenza che legittimamente i giudici del rinvio, chiamati a riesaminare la situazione economica dei coniugi, possono adeguare la misura dell'assegno, prendendo in considerazione nuovi eventi verificatisi successivamente alla sentenza di appello cassata.

Cass. civ. n. 3323/1982

Qualora l'assegno di mantenimento sia stato fissato, in sede di separazione consensuale dei coniugi, con l'espressa previsione di una sua maggiorazione in correlazione dell'eventuale sopravvenienza di svalutazione monetaria, la domanda diretta a conseguire tale adeguamento, per il concreto verificarsi della svalutazione, non può essere contrastata in base alla mera allegazione del godimento di nuovi redditi da parte del coniuge beneficiario (nella specie, per attività lavorativa), ove non si deduca e dimostri che il confronto fra le rispettive situazioni patrimoniali in atto, rispetto a quelle esistenti al momento della separazione consensuale, sia caratterizzato da un deterioramento in danno del coniuge obbligato, ostativo all'adeguamento medesimo.

Cass. civ. n. 6237/1981

In tema di separazione personale, il coniuge il quale chieda l'assegno di mantenimento è dispensato dall'onere di provare di non dispone di mezzi economici sufficienti per il proprio mantenimento nel caso di mancata contestazione da parte dell'altro coniuge dello stato di impossidenza.

Cass. civ. n. 5970/1981

Il coniuge, cui non sia addebitabile la separazione personale, nel richiedere l'assegno di mantenimento, pur onerato della prova di impossidenza di alcuna sostanza od alcun reddito, non è tenuto a darne dimostrazione documentale essendo sufficiente che deduca, anche implicitamente, una condizione inadeguata a mantenere il precedente tenore di vita, e che dimostri l'idoneità della situazione dell'altro coniuge ad assicurare un riequilibrio economico, ferma restando la possibilità di quest'ultimo di contestare la pretesa inesistenza od insufficienza di redditi o sostanze, indicando beni o proventi che evidenzino l'ingiustificatezza della domanda.

Cass. civ. n. 3334/1981

Nel giudizio di separazione personale, l'assegno alimentare, dovuto a norma dell'art. 156 comma terzo c.c., decorre, ai sensi dell'art. 445 c.c., dal momento della domanda giudiziale.

Cass. civ. n. 3341/1978

L'assegno di mantenimento dovuto al coniuge separato, consistente in una prestazione che non si esaurisce nello stretto necessario per la sopravvivenza, ma comprende tutto quanto sia richiesto per un tenore di vita adeguato alla sua posizione economico-sociale, va determinato, nel suo ammontare, sulla base di una valutazione correlativa della situazione dei coniugi, nei limiti dell'insufficienza dei mezzi di cui disponga l'avente diritto, ed in proporzione delle sostanze dell'obbligato. Pertanto, anche la variazione delle condizioni di uno soltanto dei coniugi può giustificare l'accoglimento di una richiesta di modificazione di detto ammontare, previo rinnovo di quella valutazione comparativa.

Cass. civ. n. 1272/1978

Il riconoscimento del diritto agli alimenti, in favore del coniuge a cui sia stata addebitata la separazione personale (art. 156 c.c., nel testo fissato dall'art. 37 della L. 19 maggio 1975, n. 151 sulla riforma del diritto di famiglia), postula l'accertamento che il coniuge medesimo non solo manchi di sufficienti mezzi economici, ma anche versi nell'impossibilità di trovare un adeguato lavoro, con riferimento alle sue attitudini, condizioni fisiche e di età, posizione sociale.

Cass. civ. n. 556/1977

Il coniuge separato, che venga mantenuto da chi convive con lui more uxorio con corresponsioni spontanee e continue e non elargizioni saltuarie, non ha diritto di percepire gli alimenti dall'altro coniuge, difettando il suo stato di bisogno; il suo diritto agli alimenti si trova, infatti, in stato di quiescenza per tutto il tempo che il convivente provveda al suo mantenimento.

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Consulenze legali
relative all'articolo 156 Codice Civile

Seguono tutti i quesiti posti dagli utenti del sito che hanno ricevuto una risposta da parte della redazione giuridica di Brocardi.it usufruendo del servizio di consulenza legale. Si precisa che l'elenco non è completo, poiché non risultano pubblicati i pareri legali resi a tutti quei clienti che, per varie ragioni, hanno espressamente richiesto la riservatezza.

Anonima chiede
lunedì 12/08/2024
“Buongiorno,
sono sposata da 20 anni e sono 20 anni che non ho rapporti intimi con mio marito. La domanda che sicuramente si farà è, perchè ha aspettato così tanto? La risposta è che ho sempre pensato fosse colpa mia, che non fossi abbastanza attraente, che non potessi suscitare interesse, ecc. e per questo motivo mi sono fatta anche del male. Fino allo scorso novembre quando sono stata operata di tumore. Da qui una serie di risposte sono arrivate, compresa quella che lui si ritiene impotente. e questo me lo ha detto dopo 20 anni.in questi anni abbiamo comprato una casa, che però è intestata a lui, ma io ho pagato parte del mutuo.
Il mutuo è intestato a lui ma il conto corrente dove si paga è in comune. Ho sempre fatto bonifici sul conto con la dicitura mutuo casa dal mio conto corrente.Ho pagato più o meno la metà del mutuo. Siamo in separazione dei beni.
La mia domanda è: se chiedo la separazione, posso avere qualche tutela o non ho diritto a nulla?
Io ho un lavoro che però non mi consente di essere indipendente.
Attendo vostro riscontro”
Consulenza legale i 14/08/2024
La vicenda descritta nel quesito è sicuramente dolorosa e non priva, peraltro, di possibili conseguenze giuridiche. Infatti un comportamento quale quello tenuto dal marito potrebbe anche costituire causa di addebito della separazione, in quanto violazione del dovere di assistenza morale tra coniugi. Naturalmente si tratta di una valutazione che non può essere compiuta in astratto, ma che richiede l’esame di tutte le circostanze del caso.
Ad ogni modo, in caso di separazione, da un punto di vista economico due sono le questioni da affrontare.

La prima riguarda la possibilità per la moglie di ottenere un contributo per il proprio mantenimento. Anche qui, la decisione del giudice (in caso di separazione giudiziale) non può essere prevista in astratto, in quanto occorrerà prendere in considerazione la complessiva situazione patrimoniale e reddituale delle parti.
Al riguardo, l’art. 156 c.c. stabilisce che, nel pronunciare la separazione, il giudice può disporre, in favore del coniuge cui non sia addebitabile la separazione, il diritto di ricevere dall'altro coniuge quanto è necessario al suo mantenimento, a condizione che ella o egli non abbia adeguati redditi propri.
L’importo dell’assegno di mantenimento va quantificato in relazione alle circostanze e ai redditi del coniuge obbligato al pagamento.
La giurisprudenza (si veda Cass. Civ., Sez. I, sentenza 16/05/2017, n. 12196) ha chiarito che “la separazione personale, a differenza dello scioglimento o cessazione degli effetti civili del matrimonio, presuppone la permanenza del vincolo coniugale, sicché i "redditi adeguati" cui va rapportato, ai sensi dell'art. 156 c.c., l'assegno di mantenimento a favore del coniuge, in assenza della condizione ostativa dell'addebito, sono quelli necessari a mantenere il tenore di vita goduto in costanza di matrimonio, essendo ancora attuale il dovere di assistenza materiale”.

La seconda questione da esaminare è quella relativa alla casa, intestata al marito ma pagata anche dalla moglie. I coniugi sono in regime di separazione dei beni, per cui il problema che si pone è, semmai, quello di capire se la moglie possa richiedere un rimborso del proprio contributo all’acquisto dell’immobile.
Si tratta di una questione che si è posta spesso all’attenzione dei giudici, e sulla quale, in realtà, la risposta non è sempre semplice o univoca.
Possiamo però dire, riassumendo, che tendenzialmente la giurisprudenza tende a escludere il rimborso, considerando le spese fatte per l’acquisto della casa come adempimento dell’obbligo di contribuire ai bisogni della famiglia, previsto dall’ultimo comma dell’art. 143 c.c.
Ad esempio, Cass. Civ., Sez. I, ord. 15/06/2023, n. 17155, nel ricordare altre precedenti pronunce (Cass.10942/2015; 10927/2018), ha ribadito il principio secondo cui "poiché durante il matrimonio ciascun coniuge è tenuto a contribuire alle esigenze della famiglia in misura proporzionale alle proprie sostanze, secondo quanto previsto dagli art. 143 c.c. e art. 316 bis c.c., comma 1, a seguito della separazione non sussiste il diritto al rimborso di un coniuge nei confronti dell'altro per le spese sostenute in modo indifferenziato per i bisogni della famiglia durante il matrimonio". Secondo la Suprema Corte, infatti, “l'assunzione di tali spese da parte del coniuge rientra nell'ambito dei doveri primari di solidarietà e reciproca contribuzione ai bisogni della famiglia (art. 143 c.c.) durante la comunione di vita coniugale”.

Uno spiraglio potrebbe, tuttavia, esservi, qualora si riesca a dimostrare che il contributo dato per l’acquisto della casa, in realtà, esula dal dovere di contribuzione familiare, in quanto sproporzionato e non adeguato rispetto alle condizioni sociali ed economiche dei coniugi (si veda su questo Cass. Civ., Sez. III, 22/09/2015, n. 18632).
In questo caso si potrebbe far valere la norma sull’ingiustificato arricchimento, prevista dall’art. 2041 c.c., con la possibilità di ottenere un “indennizzo” dall’altro coniuge.
Ad ogni modo, è inevitabile confrontarsi con un legale, considerando anche che il problema potrebbe essere risolto raggiungendo un accordo di separazione consensuale che tenga conto anche di questo aspetto.

R. L. chiede
martedì 03/01/2023 - Lazio
“Salve,

io e mia moglie siamo sposati in comunione dei beni dal 2015, nel 2020 abbiamo avuto una bambina, io ho un contratto da lavoratore dipendente con uno stipendio di circa 3300 euro mensili su 13 mensilità più una casa affittata a 850 euro mensili.

Nel 2017 abbiamo acquistato una casa al 50% per la quale sto pagando il mutuo circa 900-1000 euro al mese.

Mia moglie ha una laurea in psicologia con lode, un master in criminologia, è iscritta all'ordine dal 2017 e svariati altri corsi di specializzazione ma dice di non trovare lavoro, al momento lavora part time come segretaria HR per 700 euro al mese (lavoro che tra l'altro le ho dato io quando dirigevo una mia azienda).

Al momento sto pagando la retta dell'asilo nido di mia figlia di circa 450 euro mensili.

Ovviamente circa io provvedo alla maggior parte delle spese famigliari.
Mutuo
Bollette
Asilo
Rate dei finanziamenti
ecc...

Il nostro rapporto si è deteriorato nel tempo e penso che siamo vicini ad una separazione, vorrei capire quale entità avrà il mantenimento di mia moglie dando per assodato che provvederò a tutto quello che riguarda le spese per nostra figlia.

Grazie per la consulenza.

Consulenza legale i 11/01/2023
Va chiarito che non è possibile formulare previsioni circa l’importo dell’assegno di mantenimento che verrà disposto dal giudice in sede di separazione; a ben vedere, non è neppure scontato che la sentenza lo preveda.
Infatti l’assegno di mantenimento in favore del coniuge è subordinato alla ricorrenza di determinati requisiti: l’art. 156 c.c. stabilisce, innanzitutto, che non debba essere emessa una pronuncia di addebito della separazione nei confronti del coniuge che lo richiede. In secondo luogo, occorre che quest’ultimo “non abbia adeguati redditi propri".
La giurisprudenza ha precisato che “la separazione personale dei coniugi, a differenza dello scioglimento o della cessazione degli effetti civili del matrimonio, presuppone la permanenza del vincolo coniugale, per cui i redditi adeguati, cui va rapportato, ai sensi dell'art. 156 c.c., l'assegno di mantenimento in favore del coniuge, in assenza della condizione ostativa dell'addebito, sono quelli necessari a mantenere il tenore di vita goduto in costanza di matrimonio, essendo ancora attuale il dovere di assistenza materiale, che non presenta alcuna incompatibilità con tale situazione temporanea, dalla quale deriva solo la sospensione degli obblighi di natura personale di fedeltà, convivenza o collaborazione e che ha una consistenza ben diversa dalla solidarietà post-coniugale, presupposto dell'assegno di divorzio” (Cass. Civ., Sez. VI - 1, ordinanza, 28/10/2021, n. 30496).
Si consiglia, comunque, nell’interesse di entrambi e soprattutto della figlia, di percorrere la via della separazione consensuale e di raggiungere pertanto un accordo sia quanto al mantenimento della minore e ai tempi di permanenza presso ciascun genitore, sia riguardo all’eventuale assegno di mantenimento in favore della moglie.

C. P. chiede
mercoledì 11/05/2022 - Marche
“Buongiorno,
sono sposato con mia moglie da 11 anni in regime di separazione di beni.
Preciso che da quando siamo sposati, avendo lei 2 figli di 15 e 18 anni avuti da precedenti legami, ho provveduto alle spese familiari, lavorando solamente io, mentre lei si occupava della casa e dei propri figli e successivamente sono ricorso ad un prestito per garantire il sostentamento di tutti.
Ora dopo qualche anno lei ha trovato dei lavori part time guadagnando qualcosa per provvedere alle spese personali e dei suoi figli.
Adesso che i suoi figli non sono più con noi, una si è sposata e l'altro convive, è venuta ad abitare con noi sua madre che risiedeva all'estero facendole la residenza e entrando così a far parte del mio stato di famiglia.
Mi trovo come ora, nonostante mia moglie abbia trovato un lavoro fisso, che ella non voglia contribuire alle spese generali della casa dicendomi che quello che guadagna serve per il bisogno della madre e che le servono per sistemare la casa dove è cresciuta perchè se un domani si trova abbandonata ha un posto su cui contare.
A questo punto non ho parole e vorrei chiedere la separazione non essendoci più un rapporto amorevole e non facciamo altro che litigare, causandomi molti disagi.
Vorrei sapere se in queste circostanze percependo mia moglie con sua madre, che ha avuto l'indennità di invalidità, un compenso totale superiore al mio stipendio, se dovrò provvedere al mantenimento in caso di separazione, grazie.”
Consulenza legale i 18/05/2022
I presupposti dell’assegno di mantenimento in favore del coniuge in caso di separazione sono stabiliti dall’art. 156 c.c.
In primo luogo, a carico del coniuge che richiede la corresponsione dell’assegno non deve essere stato pronunciato l’addebito della separazione; in secondo luogo, il richiedente non deve disporre di adeguati redditi propri.
La giurisprudenza (v. da ultimo Cass. Civ., Sez. VI - 1, ord. 28/10/2021, n. 30496) ha precisato che “la separazione personale, a differenza dello scioglimento o cessazione degli effetti civili del matrimonio, presuppone la permanenza del vincolo coniugale, sicché i "redditi adeguati" cui va rapportato, ai sensi dell'art. 156 c.c., l'assegno di mantenimento a favore del coniuge, in assenza della condizione ostativa dell'addebito, sono quelli "necessari a mantenere il tenore di vita goduto in costanza di matrimonio".
Chiaramente, si tratta di una valutazione che va compiuta caso per caso, dovendo il giudice accertare, di volta in volta, una serie di elementi: il tenore di vita dei coniugi durante il matrimonio, l’adeguatezza del reddito del coniuge richiedente, nonché la situazione economica del coniuge obbligato (in relazione alla quale va determinato l’importo dell’assegno): per questi motivi non è possibile rispondere in anticipo sia sull’effettiva debenza dell’assegno sia sul suo ammontare.
Certamente, qualora si giunga ad una separazione giudiziale (ma il consiglio è sempre quello di trovare, per quanto possibile, una soluzione concordata, tramite separazione consensuale o negoziazione assistita o separazione dinanzi all’ufficiale di stato civile), il giudice dovrà tenere conto del reddito da lavoro percepito dalla moglie.
Quanto alla possibilità che venga preso in considerazione un eventuale apporto economico della madre, lo stesso art. 156 c.c. parla di “redditi propri” del coniuge richiedente l’assegno; del resto la Cassazione (Sez. I Civ., sentenza 21/06/2012, n. 10380) ha affermato che “in tema di determinazione dell'assegno di mantenimento, sono irrilevanti le elargizioni a titolo di liberalità ricevute dal coniuge obbligato dai propri genitori o, comunque, da terzi, ancorché regolari e continuate dopo la separazione, in quanto il carattere di liberalità impedisce di considerarle reddito ai sensi dell'art. 156, secondo comma, cod. civ., così come non costituiscono reddito, ai sensi del primo comma dello stesso articolo, analoghi contributi ricevuti dal coniuge titolare del diritto al mantenimento”.

E. D. G. chiede
domenica 17/04/2022 - Lombardia
“Ho 74 anni separato consensuale da 3 con obbligo in sentenza di conferire all ex coniuge (moglie) assegno di mantenimento di 400 mese. sempre in sentenza ho accettato di pagare 30.000 € come buona uscita. ho una pensione netta di 900 euro circa. ora purtroppo ho delle gravi patologie diagnosticate in ospedale con ricoveri cumulati nel semestre, compreso asportazione di un tumore maligno + non posso fare le chemio perché hanno una tossicità incompatibile con la cardiopatia grave +cardiopatia grave+2 sten+già avuto infarto inavvertito + anemia grave ed altro. non riesco più a pagare le 400 perché necessito costantemente di monitoraggi e terapie specialistiche. in comune accordo con l'ex coniuge posso ridurre l'assegno di mantenimento?
dopo di che mia moglie può chiedere a inps l'assegno sociale, non avendo altri redditi, o inps può negarlo ? grazie”
Consulenza legale i 28/04/2022
Con riferimento al primo dei quesiti posti, la legge (art. 156 c.c.) consente di chiedere la revoca o la modifica dell'assegno di mantenimento disposto in favore del coniuge separato, nel caso in cui sopravvengano giustificati motivi.
Naturalmente, se vi è accordo tra coniugi, la modifica sarà più semplice e veloce. Tuttavia è bene che la riduzione (nel nostro caso) dell'assegno venga formalizzata in uno dei modi previsti dalla legge; ricordiamo in proposito che la modifica delle condizioni di separazione può essere effettuata in via consensuale sia dinanzi al tribunale, sia mediante negoziazione assistita (per mezzo dei rispettivi avvocati) o anche, se non vi sono figli minori o maggiorenni non autosufficienti, dinanzi all'Ufficiale di stato civile.


Passando al secondo quesito, l’assegno di mantenimento dell’ex coniuge rientra nel reddito rilevante ai fini del riconoscimento dell’assegno sociale. Infatti, ai sensi dell’art. 3, co.6, L. n. 335/1995 “alla formazione del reddito concorrono i redditi, al netto dell’imposizione fiscale e contributiva, di qualsiasi natura, ivi compresi quelli esenti da imposte e quelli soggetti a ritenuta alla fonte a titolo di imposta o ad imposta sostitutiva, nonché gli assegni alimentari corrisposti a norma del Codice civile”.

La stessa norma dispone che se il percettore dell’assegno sociale “possiede redditi propri, l’assegno è attribuito in misura ridotta fino a concorrenza dell’importo predetto, se non coniugato, ovvero fino al doppio del predetto importo, se coniugato, ivi computando il reddito del coniuge comprensivo dell’eventuale assegno sociale di cui il medesimo sia titolare”. Inoltre, «i successivi incrementi del reddito oltre il limite massimo danno luogo alla sospensione dell’assegno sociale”.

In concreto, quindi, dell’importo del mantenimento si tiene conto ai fini della spettanza dell’assegno sociale. Quando viene percepito il mantenimento, ma quest’ultimo è di importo inferiore a quello dell’assegno sociale, l’assegno sociale viene riconosciuto solo parzialmente, ad integrazione del reddito, e non in misura intera.
Nel 2022 la misura dell’assegno sociale è pari a 468,10 euro mensili.

Pertanto, nel caso di specie, l’ex moglie potrà fare domanda per percepire la differenza tra l’importo dell’assegno sociale e l’assegno di mantenimento ridotto.

Sul punto si è recentemente espressa anche la Corte di Cassazione che, con sentenza n. 24954/2021, ha affermato il diritto a percepire l’assegno sociale per chi si trova in uno stato di «bisogno effettivo», senza che assuma rilevanza la mancata richiesta dell’assegno divorzile all’ex coniuge e tantomeno una modifica o revoca delle condizioni di divorzio.

M. T. chiede
martedì 22/03/2022 - Veneto
“Gentile Redazione Brocardi,
gradirei ricevere chiarimenti in merito all'assegno di mantenimento dei figli maggiorenni.

Premesso che nel 2020 il Presidente del Tribunale ha disposto in via temporanea ed urgente un contributo di mantenimento dei figli con obbligo di versarlo alla moglie, e che l'importo disposto non è stato sempre pagato, ed anche decurtato delle spese straordinarie, e che nel corso del 2021 uno dei figli maggiorenne, frequentante l'università fuori sede, si è trasferito dal padre, e che a 09/2021 la controparte ha presentato istanza di modifica delle condizioni di separazione, ora si attende il provvedimento del Giudice in merito.

Stante che la controparte ha arretrati non pagati del 2020, mentre nel 2021 ha pagato l'assegno disposto, lamentando il proprio credito per il figlio trasferitosi da lui, chiedo precisazioni in merito alla esigibilità e al termine di prescrizione degli assegni non pagati (5 anni?) o degli atti esecutivi diretti ad ottenerne il pagamento, volendo esercitare l'azione forzata per il recupero del mio credito del 2020, con riferimento anche alle sentenze di Cassazione, che di seguito riporto:

" ... la statuizione giudiziale di riduzione al momento della domanda vada contemperata con i principi d'irrpetibilità, impignorabilità e non compensabilità di dette prestazioni, ... omissis mentre ove il soggetto obbligato non abbia ancora corrisposto le somme dovute per tutti i periodi pregressi, tali prestazioni non sono più dovute in base al provvedimento di modificazione delle condizioni di separazione".

" ... peraltro ... provvedimenti (non definitivi) ove caducati per effetto della definitiva decisione passata in giudicato, non legittimano l'esecuzione coattiva per ottenere l'assegno o la parte di esso non pagato, per il periodo in cui il provvedimento che lo aveva riconosciuto era ancora efficace."

Nell'attesa di Vostro cortese riscontro, ringraziando, porgo cordiali saluti.

Consulenza legale i 23/03/2022
Va premesso che la questione giuridica sollevata nel quesito è stata ampiamente dibattuta in giurisprudenza, con esiti non sempre concordanti.
In questa sede basterà ricordare che, secondo la giurisprudenza recente (si veda Cass. Civ., Sez. VI - 1, ordinanza 04/07/2016, n. 13609), “il carattere sostanzialmente alimentare dell'assegno di mantenimento a favore del figlio maggiorenne, in regime di separazione, comporta che la normale retroattività della statuizione giudiziale di riduzione al momento della domanda vada contemperata con i principi di irripetibilità, impignorabilità e non compensabilità di dette prestazioni, sicché la parte che abbia già ricevuto, per ogni singolo periodo, le prestazioni previste dalla sentenza di separazione non può essere costretta a restituirle, né può vedersi opporre in compensazione, per qualsivoglia ragione di credito, quanto ricevuto a tale titolo, mentre ove il soggetto obbligato non abbia ancora corrisposto le somme dovute, per tutti i periodi pregressi, tali prestazioni non sono più dovute in base al provvedimento di modificazione delle condizioni di separazione” (conforme Cass. Civ., Sez. I, 10/12/2008, n. 28987).
Data l’esistenza di contrasti giurisprudenziali, la I Sezione civile della Cassazione, con ordinanza 24/11/2021, n. 36509, ha rimesso la questione, anche in relazione all’assegno di mantenimento in favore di figli maggiorenni, all’esame delle Sezioni Unite, delle quali si attende la pronuncia.
Quanto alla prescrizione, la giurisprudenza ha chiarito che “i ratei mensili degli assegni di mantenimento per i figli, così come gli assegni di separazione e di divorzio per il coniuge, costituendo prestazioni che debbono essere pagate periodicamente in termini inferiori all'anno, ai sensi dell'art. 2948 cod. civ., n. 4, si prescrivono in cinque anni” (Cass. Civ., Sez. I, 01/06/2010, n. 13414).

A. R. chiede
sabato 29/01/2022 - Emilia-Romagna
“Buongiorno, Vi pongo questo quesito:
Deve avere, dopo separazione consensuale il divorzio.
Io pago un mantenimento di 425 euro mensili, ho una pensione di 1.800 euro ed ho una nuova famiglia con una figlia di 6 anni, sono in una casa in affitto 350 euro mensili + le spese gas - luce - acqua - condominio, la mia ex moglie vive in una casa di riposo dove deve pagare mensilmente 1600 euro, il capitale economico della mia ex moglie ammonta a 180.000 euro mentre il mio capitale è = a 0. l'avvocato della signora insiste, come da nostra richiesta di ridurre a 150 euro mensili, di non concedermi la riduzione del mantenimento. È tutto giusto questo?”
Consulenza legale i 09/02/2022
Alla specifica domanda posta nel quesito non è possibile dare una risposta di carattere generale.
Infatti la valutazione delle rispettive condizioni economiche dei coniugi, ai fini dell’adozione o della revisione dei provvedimenti da adottare o - come nel nostro caso - già adottati in sede di separazione viene effettuata caso per caso dal giudice, e non esistono regole predeterminate che consentano di stabilire se un dato importo sia “giusto” o no.
Soprattutto, però, occorre chiarire che la modifica delle condizioni stabilite al momento della separazione può essere chiesta sia con l’apposito procedimento previsto dall’art. 710 c.p.c., sia in occasione del giudizio di divorzio.
Tuttavia, detta modifica presuppone che siano sopraggiunti, nel frattempo, “giustificati motivi”: ciò è previsto dall’art. 156 c.c.
La giurisprudenza peraltro tende a valutare con particolare rigore questo presupposto, come si desume dall’esame delle sentenze emesse in materia.
Ad esempio, Cass. Civ., Sez. I, 08/05/2008, n. 11488, ha precisato che “in materia di assegno di mantenimento, i "giustificati motivi" , la cui sopravvenienza consente di rivedere le determinazioni adottate in sede di separazione dei coniugi, sono ravvisabili nei fatti nuovi sopravvenuti, modificativi della situazione in relazione alla quale la sentenza era stata emessa o gli accordi erano stati stipulati, con la conseguenza che esulano da tale oggetto i fatti preesistenti alla separazione, ancorché non presi in considerazione in quella sede per qualsiasi motivo”.
Nel nostro caso, peraltro, l’atto inviato in visione è la memoria integrativa di controparte, dalla quale comunque si desume che il Tribunale, in sede di emanazione dei provvedimenti “temporanei e urgenti” previsti dall’art. 4 legge n. 898/1970 (legge sul divorzio), avrebbe appunto escluso l’esistenza di circostanze sopravvenute riservandosi, comunque, ogni diversa valutazione all’esito della fase istruttoria.
Non è possibile esprimere ulteriori valutazioni, non conoscendo gli atti processuali e l’evoluzione del procedimento e trattandosi, appunto, di questione tuttora sub iudice.

Rosalia G. chiede
lunedì 01/02/2021 - Lombardia
“Mio figlio da marzo 2020 è separato consensualmente con affido condiviso. Fine settimana alternati e ogni mercoledì pomeriggio e notte col papà. A marzo 2020, mio figlio aveva in reddito netto di 4000 euro mensili, che oggi, a causa della pandemia, sono diventati 800/1000 euro al mese. Mio figlio si occupa di brevetti e lavora a partita iva per una azienda indiana. Il suo lavoro si svolgeva in tutto il mondo, soprattutto Cina e sud America. L'accordo della separazione prevedeva: pagamento di euro 1000 di mutuo della casa coniugale, 500 per mantenimento 2 bimbi, 200 euro per baby sitter e 60% spese extra bimbi.
Mio figlio ha preso casa in affitto per 950 euro al mese.
Purtroppo da settembre l'azienda indiana, vedendo che il lavoro non arrivava, ha deciso di pagare a mio figlio solo ciò che fattura e non potendo viaggiare il lavoro è drasticamente calato.A Giugno faranno il divorzio e mio figlio vorrebbe cambiare le condizioni, almeno fino a quando le cose non cambieranno. Per prima ha chiesto alla banca di bloccare il mutuo per 6 mesi e poi ha chiesto alla ex moglie di vendere la casa coniugale, che si trova in centro Milano, e che vale circa 700 mila euro, comprare un appartamento simile in zona limitrofa ma che costa meno, estinguere il mutuo. Cosi facendo mio figlio si toglie un gran peso e deve pensare solo al mantenimento dei bimbi. La ex moglie lavora e guadagna 1600 euro al mese per 13 mensilità. Mio figlio dal 15 giugno lascerà la casa in affitto e abiterà un po' dal fratello, un po' a casa mia. Purtroppo io ho un tumore al polmone e ho bisogno di riposo quindi non so se potrò ospitare anche di notte i bimbi. Una situazione particolare.Vi chiedo: che possibilità ha mio figlio, se volesse
1) chiedere al giudice di imporre alla ex moglie di vendere la casa
2) chiedere affido condiviso 15gg per uno nella casa coniugale in quanto non potendo permettersi una casa in affitto, non può più avere la possibilità di vedere regolarmente i figli o vederli solo per poche ore. Aggiungo che io e mia figlia stiamo aiutando mio figlio finanziariamente facendo ogni mese bonifici per provare questo aiuto e che la ex moglie non vuole vendere né cambiare le condizioni in maniera civile. Mio figlio ha proposto di risparmiare i soldi della baby sitter che ammontano a 400 euro mensili, potendo lui andare a prendere i bimbi a scuola ogni giorno, ma lei non lo vuole tra i piedi. Quindi il divorzio sarà giudiziale.
Ringrazio e attendo risposta. Chiaramente tutto i rapporti sono per mail quindi mio figlio ha le prove dei rifiuti della ex moglie.”
Consulenza legale i 08/02/2021
Va premesso che anche gli accordi adottati in sede di separazione consensuale sono suscettibili di modifica, purché in presenza di “giustificati motivi” (art. 156 c.c.): come ha chiarito Cass. Civ., Sez. I, 22/11/2007, n. 24321, “in tema di separazione consensuale, applicandosi in via analogica l'art. 156, settimo comma, cod. civ., i giustificati motivi che autorizzano il mutamento delle relative condizioni consistono in fatti nuovi sopravvenuti, modificativi della situazione in relazione alla quale gli accordi erano stati stipulati”.
Invece, in tema di provvedimenti relativi ai figli, il testo dell'art. 337 quinquies c.c. sembrerebbe escludere la necessità dei predetti "giustificati motivi", proprio in considerazione del carattere superiore dell'interesse dei figli minori, la cui valutazione deve guidare il giudice nella decisione.
La modifica delle condizioni può essere richiesta sia con l’apposito procedimento previsto dall’art. 710 c.p.c., sia in sede di divorzio. Occorre prestare attenzione nel caso in cui (com’è possibile ora, col cosiddetto “divorzio breve”) sia trascorso un lasso di tempo molto ridotto tra separazione e divorzio. Infatti una pronuncia abbastanza recente del Tribunale di Brescia (13/05/2016) ha escluso la modificabilità delle condizioni di separazione proprio in considerazione della “fresca” separazione.
Tuttavia, nel nostro caso, sembrano esservi - almeno in linea teorica - tutti i presupposti per una revisione di quanto stabilito in sede di separazione, ovvero un netto peggioramento della situazione economica del marito, verificatosi proprio nelle more della separazione ed in conseguenza della crisi indotta dalla pandemia tuttora in atto.
Nel quesito però vengono poste due specifiche domande, alle quali dobbiamo dare risposta.
La prima riguarda la possibilità che il giudice ordini alla moglie di vendere la casa coniugale. Ora, tralasciando il fatto che non viene precisato se la casa sia di proprietà comune (anche se così sembrerebbe di comprendere), rimane comunque il fatto che un simile potere non rientra tra quelli attribuiti al Tribunale, neppure in sede di separazione o scioglimento del matrimonio.
Quanto alla seconda domanda e alla soluzione prospettata riguardo l’affidamento dei figli, si tratta del c.d. affidamento alternato, sul quale tuttora si dibatte in giurisprudenza (alcune pronunce dei giudici di merito lo ammettono), ma senza che si sia giunti ad una risposta certa ed univoca.
In realtà, la soluzione dell’affidamento alternato non viene esclusa a priori dalla giurisprudenza; tuttavia, occorre tenere presente che si tratta - come tutti i provvedimenti riguardanti la prole - di decisione la cui opportunità va valutata caso per caso. Infatti, non bisogna dimenticare che il principio cardine, che regola la materia dei provvedimenti riguardanti i figli nel caso di crisi della coppia genitoriale, è che questi vanno assunti con esclusivo riferimento all'interesse morale e materiale” dei figli stessi (art. 337 ter c.c.).
Ora, sulla specifica questione oggetto del quesito, la Cassazione (Sez. VI - 1, ord. 15/02/2017, n. 4060) ha osservato che “l'affido alternato, tradizionalmente previsto come possibile dal diritto di famiglia italiano, è rimasta una soluzione educativa di limitate applicazioni, essendo stato ripetutamente affermato che esso assicura buoni risultati quando vi è un accordo tra i genitori e tutti i soggetti coinvolti, anche il figlio, condividono la soluzione” (aggiunge anche la Suprema Corte che “non ci sono dubbi, poi, che modificare continuamente la propria casa di abitazione può avere un effetto destabilizzante per molti minori”: nel nostro caso, però, sarebbero i genitori a spostarsi).
Dunque la praticabilità dell’affido alternato dipende, in ultima analisi, dalla valutazione che ne farà il Tribunale e dall’atteggiamento collaborativo dimostrato dai genitori (si tenga presente anche che, ai sensi dell’art. 315 bis c.c., il figlio minore che abbia compiuto gli anni dodici, e anche di età inferiore ove capace di discernimento, ha diritto di essere ascoltato in tutte le questioni e le procedure che lo riguardano).

Carlo G. chiede
mercoledì 13/01/2021 - Piemonte
“Chiedo come verrebbe impostata sul piano legale e patrimoniale la seguente situazione matrimoniale nel caso di separazione per inconciliabilità circa il luogo di residenza. Siamo sposati da circa 35 anni e circa 30 anni fa, su proposta di mia moglie, ci siamo trasferiti nella mia grande casa in collina ad Alessandria, che prima, da scapolo, utilizzavo solo per i week end. Io ho 85 anni e mia moglie 79. Sono pensionato confcommercio con circa 1200 euro lordi di pensione, inclusa una pensione austriaca. Mia moglie, cittadina finlandese, riceve solo 80 euro al mese di pensione, avendo lei lavorato nel suo paese solo per 2 anni, poi in Svizzera, Germania, Inghilterra, infine Milano, come indossatrice, ecc., ma senza versamenti contributivi. Dopo la ns. conoscenza mi aiutò a tempo pieno o part time, col lavoro per la mia ditta per circa 15 anni. Non fu iscritta ai contributi poiché ella mi dichiarò che avrebbe poi comunque ricevuto la pensione nazionale minima del suo paese prevista per tutti i cittadini, senza informarsi a fondo, come da me spesso sollecitata. Inoltre era stata poi da me inserita come contitolare della mia ditta, rifondata, e lei non voleva sottostare al rapporto gerarchico da me proposto. A abbiamo vissuto entrambi col guadagno della ditta, dedotte le ingenti tasse. Comunque decisi poi di co-intestarle la proprietà dell'ufficio a Voghera. Ora, nel caso di mia premorienza, volevo per lei acquistare un nuovo appartamento confortevole a Voghera per 2 motivi: lei non riuscirebbe a gestire da sola la casa di Alessandria, specialmente durante il duro inverno. Lei non vuole andare ad abitare nel ns. ex ufficio di Voghera, ora affittato come abitazione, giudicandolo antiquato e scomodo. A questo punto lei vuol decidere unilateralmente di trasferirsi a Voghera nel futuro nuovo appartamento, almeno per l'inverno, ma io non voglio abbandonare l'attuale vita attiva a contatto con la natura, come orticultore e agricoltore, ne' vorrei fare giornalmente il pendolare fra Alessandria e Voghera. Diritti e doveri?”
Consulenza legale i 20/01/2021
Va premesso che, in tema di diritti e doveri reciproci dei coniugi, l’art. 143, comma 2 c.c. elenca, tra gli altri, l'assistenza morale e materiale, la collaborazione nell'interesse della famiglia e la coabitazione. Inoltre l’art. 144 c.c. stabilisce che i coniugi fissano la residenza della famiglia secondo le esigenze di entrambi e quelle preminenti della famiglia stessa.
Sul punto, la giurisprudenza (Cass. Civ., Sez. I, n. 24574/2008) ha precisato che “l'art. 144 cod. civ. rimette la scelta relativa alla volontà concordata di entrambi i coniugi, con la conseguenza che questa non deve soddisfare solo le esigenze economiche e professionali del marito, ma deve soprattutto salvaguardare le esigenze di entrambi i coniugi e quelle preminenti della serenità della famiglia”.
Chiaramente, laddove l’accordo venga meno e i contrasti si rivelino insanabili, apparirà inevitabile una separazione. Esiste però una grande differenza a seconda della procedura scelta: la separazione, infatti, com’è noto, può essere consensuale o giudiziale.
La separazione consensuale, laddove possibile, è senz’altro preferibile, in quanto consente ai coniugi di regolare nel modo che ritengono più opportuno i rispettivi rapporti economici, soprattutto laddove non vi siano figli minori o non autosufficienti da tutelare; inoltre, nell’accordo di separazione possono essere inserite anche pattuizioni di carattere patrimoniale che non troverebbero posto in una separazione giudiziale. La separazione consensuale è dunque più “controllabile” e comporta certamente disagi e costi minori rispetto ad una separazione giudiziale.
Laddove, invece, si giunga nonostante tutto ad una separazione giudiziale, nel nostro caso, considerata la situazione familiare ed i rapporti tra i coniugi, verrebbe con ogni probabilità disposto un assegno di mantenimento in favore della moglie, ex art. 156 c.c., sempre che alla stessa non venga addebitata la separazione (ma i presupposti per la pronuncia di addebito sono piuttosto rigorosi).
Secondo la recente giurisprudenza (Cass. Civ., Sez. VI - 1, ord. n. 16809/2019), “al fine della quantificazione dell'assegno di mantenimento a favore del coniuge, al quale non sia addebitabile la separazione, compito del giudice di merito è accertare, per valutare la congruità dell'assegno, il tenore di vita di cui i coniugi avevano goduto durante la convivenza, quale situazione condizionante la qualità e la quantità delle esigenze del richiedente, accertando le disponibilità patrimoniali dell'onerato. A tal fine, il giudice non può limitarsi a considerare soltanto il reddito emergente dalla documentazione fiscale prodotta, ma deve tenere conto anche degli altri elementi di ordine economico, o comunque apprezzabili in termini economici, diversi dal reddito dell'onerato, suscettibili di incidere sulle condizioni delle parti”.
Non si pone invece, in assenza di figli da tutelare, un problema di assegnazione della casa familiare.
Naturalmente, la separazione giudiziale, in cui la regolamentazione dei rapporti patrimoniali tra coniugi è rimessa alla decisione di un Tribunale, è molto meno "prevedibile" nei suoi esiti. Inoltre non consente di prendere in considerazione nell'ambito del giudizio questioni che esulano dalla separazione in senso stretto (quindi, ad esempio, il giudice della separazione giudiziale non si occuperà della divisione dei beni tra i coniugi).
Quanto al fondo patrimoniale, esso cessa con il divorzio, ma non con la separazione personale dei coniugi (si veda l’art. 171 c.c.).

G. G. chiede
martedì 12/05/2020 - Emilia-Romagna
“Padre e madre di famiglia si separano nel gennaio 2014; con la sentenza il Tribunale dispone l'affido degli unici due figli minori ai servizi sociali con collocazione presso la madre e dispone l'obbligo del padre di corrispondere alla madre € 400,00 (€ 200,00 per figlio) quale contributo al mantenimento dei figli.
Il Tribunale dei minorenni con decreto provvisorio del 29/6/2015:
1) Affida i minori al servizio sociale competenti per territorio;
2) Incarica il Servizio sociale, con limitazione delle responsabilità genitoriali corrispondente ai poteri conferiti al servizio, dei compiti di:
- collocare entrambi i minori in idoneo contesto familiare;
- regolamentare gli incontri con ciascun genitore;
- attuare nell'interesse dei minori tutti gli interventi ritenuti opportuni;
- valutare i danni evolutivi subiti dai minori; e supportarli con supporto psicologico;
- valutare le competenze genitoriali di entrambi i genitori e valutare le modalità e tempi di recupero delle capacità genitoriali in particolare della madre;
- fornire ai genitori le necessarie prescrizioni per adempiere ai loro doveri di genitori necessari a garantire la tutela e la crescita sana e serena dei loro figli;
3) Prescrive ai genitori di collaborare con il Servizio Sociale, di attenersi alle prescrizioni che saranno fornite nei termini sopra indicati ecc. ecc.

In data 12 maggio 2015 i Servizi Sociali scrivono una lettera al padre e al Tribunale di ... Volontaria Giurisdizione comunicando che i figli ..."... sono collocati in famiglia affidataria come disposto dal decreto Provvisorio del 29/6/2015 dal 14/11/2015" e che "La somma mensile di € 400,00 che viene trattenuta dalla busta paga del padre a titolo di contributo al mantenimento dei figli ... non viene più utilizzata. Pertanto non sussistono motivi per cui la disposizione di predetta somma non possa essere revocata".
I figli sono poi stati riaffidati alla madre dal 11/11/2019 e dal 18/11/2019.

Il padre non ha dato seguito ad alcun procedimento di revisione/revoca del provvedimento e il datore di lavoro, facendo affidamento sulla lettera dei SS del 12 maggio ha cessato di trattenere i 400€ mensili da settembre .
Oggi l'avvocato della moglie chiede tutti gli arretrati dal settembre 2015 a oggi e ha notificato il precetto.

Ci si chiede quale possa essere una idonea azione in opposizione alla richiesta della moglie considerato che:
a) l'opposizione all'esecuzione (o agli atti esecutivi) non pare appropriata non essendoci vizi propri dell'atto esecutivo;
b) l'unica azione parrebbe essere quella di revisione/revoca dell'assegno, ma la decorrenza di una eventuale pronuncia pare retroagire fino alla data di presentazione del ricorso.
c) Ritenete esperibile una azione di indebito arricchimento? O quale altra azione?

Vista l'imminenza degli atti esecutivi sarebbe gradito un riscontro nel più breve tempo possibile. Il pagamento viene eseguito in questo stesso istante.

Grazie.
Avv. G. G.”
Consulenza legale i 15/05/2020
L’art. 2 della L. n. 184/1983 prevede tra l’altro, per quanto qui specificamente interessa, che il minore temporaneamente privo di un ambiente familiare idoneo possa essere affidato ad una famiglia, preferibilmente con figli minori, o ad una persona singola, in grado di assicurargli il mantenimento, l'educazione, l'istruzione e le relazioni affettive di cui egli ha bisogno.
Il successivo art. 5 della legge in esame stabilisce che “l'affidatario deve accogliere presso di sé il minore e provvedere al suo mantenimento e alla sua educazione e istruzione”.
Ora, sul punto Cass. Civ., Sez. I, n. 22678/2010, dopo avere ricordato che l'obbligo di mantenimento gravante sui genitori in favore dei figli “prescinde dalla potestà dei genitori e sopravvive ad essa in varie ipotesi”, compresa quella della decadenza dalla potestà genitoriale, aggiunge però che ciò “trova conferma proprio nella menzionata L. n. 184 del 1983, posto che l'art. 5, apporta una deroga all'obbligo del mantenimento da parte dei genitori nel solo caso di affidamento familiare, ponendolo a carico dell'affidatario; e che l'art. 50, per converso, nell'ipotesi di cessazione della potestà da parte dell'adottante o degli adottanti, non dispone affatto il contestuale venir meno del loro obbligo di provvedere al mantenimento dei figli adottivi”.
Sembrerebbe, pertanto, che, nel caso in esame, vi sarebbero stati i presupposti per chiedere una modifica delle condizioni di separazione relativamente al contributo per il mantenimento dei figli.
Tuttavia così non è stato, e a tutt’oggi la sentenza di separazione costituisce titolo esecutivo valido ed efficace nei confronti tanto del padre dei minori che del terzo destinatario dell’ordine di versamento diretto ex art. 156 del c.c.
In proposito va ricordato che il comma 6 della norma ultima citata attribuisce al giudice il potere di ordinare ai terzi, tenuti a corrispondere anche periodicamente somme di danaro all'obbligato, che una parte di esse venga versata direttamente agli aventi diritto.
Già da tempo la giurisprudenza (Cass. Civ., Sez. I, 10813/1996) ha chiarito che l'ordine al terzo può estendersi all'assegno in favore dei figli minori; infatti, anche quando l’assegno consista solo in quest'ultimo contributo, rappresenta pur sempre un credito dell'altro coniuge e la sua corresponsione da parte dell'obbligato si inserisce, necessariamente, nella disciplina dei rapporti patrimoniali tra coniugi, salva restando la destinazione delle relative somme.
Inoltre la Corte Costituzionale (sentenza n. 278/1994) ha precisato, tra l’altro, che l’ordine al terzo debitore di versamento diretto può essere adottato anche dal giudice nel corso della causa di separazione.
L’ultimo comma dell’art. 156 c.c. prevede che, qualora sopravvengano giustificati motivi il giudice, su istanza di parte, può disporre la revoca o la modifica dei provvedimenti di cui ai commi precedenti, ivi compreso appunto l’ordine al terzo.
Anche l’art. 337 quinquies del c.c., di più recente introduzione, stabilisce che i genitori hanno diritto di chiedere, in ogni tempo, la revisione delle disposizioni concernenti l'affidamento dei figli, l'attribuzione dell'esercizio della responsabilità genitoriale su di essi e delle eventuali disposizioni relative alla misura e alla modalità del contributo.
Ciò nel nostro caso non è avvenuto: neppure il padre si è attivato chiedendo la modifica delle condizioni sulla base del decreto del Tribunale per i minorenni che affidava i figli ai Servizi sociali con contestuale collocamento in altro contesto familiare.
Risulta, poi, che il datore di lavoro del padre, destinatario dell’ordine di versamento diretto, abbia, a un certo punto, unilateralmente interrotto l’accantonamento delle somme sulla base di una comunicazione dei Servizi sociali competenti, indirizzata alla Cancelleria del Tribunale: è ovvio però come una simile comunicazione non possa di per sé legittimare il soggetto obbligato a cessare i pagamenti dovuti in forza di un titolo esecutivo giudiziale. D’altra parte, come si è visto, il codice subordina l’eventuale modifica delle condizioni all’istanza di parte.
Rimane da esaminare, a fronte dell’esistenza di un titolo esecutivo tuttora valido ed efficace, la questione della possibilità di contrastare in qualche modo la pretesa della madre dei minori.
Al riguardo occorre in parte correggere un’affermazione contenuta nel quesito, che confonde opposizione all’esecuzione con opposizione agli atti esecutivi.
Va ricordato, infatti, che l’opposizione agli atti esecutivi, ex art. 617 del c.p.c., riguarda appunto la regolarità formale del titolo esecutivo e del precetto, mentre l’opposizione all’esecuzione ex art. 615 del c.p.c. può essere proposta sia quando si contesta il diritto della parte istante di procedere ad esecuzione forzata e questa non è ancora iniziata (opposizione al precetto, art. 615 c.p.c., comma 1), sia quando è iniziata l'esecuzione, ai sensi del secondo comma della norma: in questo caso l'opposizione di cui al comma precedente nonché quella che riguarda la pignorabilità dei beni si propongono con ricorso al giudice dell'esecuzione stessa.
Con riferimento all’opposizione all’esecuzione, escludendo le ipotesi di irregolarità formale di titolo e precetti, nonché quelle relative alla impignorabilità dei beni, occorre chiedersi se sia possibile sostenere che la parte istante non abbia diritto di procedere ad esecuzione forzata pur in presenza del titolo esecutivo costituito dalla sentenza di separazione, le cui statuizioni non sono state modificate.
In questo senso potrebbe proporsi opposizione all’esecuzione facendo valere, come prospettato nel quesito, l’ingiustificato arricchimento ex art. 2041 del c.c., quale rimedio avente natura sussidiaria ai sensi e per gli effetti dell’art. 2042 del c.c.
Pur non potendo formulare una prognosi con carattere di certezza, l’ipotesi appare tutt’altro che azzardata, dal momento che, stando alle circostanze riferite, la madre in caso di percezione delle somme precettate conseguirebbe un vantaggio patrimoniale che appare, appunto, privo di causa, sia pure limitatamente al periodo di collocamento dei figli presso un'altra famiglia. Durante tale periodo, infatti, sarebbero stati gli affidatari a provvedere al mantenimento dei minori.
Il vero problema riguarda, però, la legittimazione ad agire: poiché destinatario del precetto è il terzo datore di lavoro, ci si chiede se egli possa far valere l'arricchimento senza causa, dal momento che, almeno teoricamente, non è il datore di lavoro a subire la vera e propria diminuzione patrimoniale, poiché dovrebbe corrispondere somme spettanti al debitore in dipendenza del rapporto di lavoro subordinato. Vero è anche che, a questo punto, il datore di lavoro, a quanto è dato comprendere, dovrebbe tirar fuori di tasca propria le somme, dal momento che ha omesso anche di accantonarle ed ha integralmente versato le retribuzioni al dipendente nonostante la notifica del titolo esecutivo (ripetiamo, tuttora valido ed efficace).
Quanto alla eventuale proposizione di un ricorso per la modifica delle condizioni di separazione, essa presupporrebbe che allo stato i minori siano ancora collocati presso la famiglia affidataria e che questa provveda al loro mantenimento; inoltre i tempi dello strumento processuale di cui all’art. 710 del c.p.c. non appaiono compatibili con l’esigenza di contrastare un’azione esecutiva. Da ultimo, come rilevato nel quesito, la decorrenza difficilmente potrebbe retroagire ad un momento anteriore rispetto alla proposizione della domanda.

Anonimo chiede
sabato 17/02/2018 - Lazio
“Salve,
spiego brevemente la situazione.Ho una bimba,collocata prevalentemente presso di me,come stabilito dal tribunale,in affido condiviso.La questione riguarda gli assegni familiari.Prima della separazione avevamo concordato col padre che a prendere gli assegni familiari fosse lui,che essendo residente in un altro paese europeo percepisce una somma sostanziosa. Io sono una dipendente statale,e di regola potrei prenderli anche io.Sono andata all inps,ma mi hanno detto che serve comunque la sua rinuncia.La domanda è la seguente:chi ha diritto agli assegni?puo’ lui continuare a prenderli,e versali a me anche non completamente?( ad esempio 80% a me e 20% a lui).gradirei che questo post non fosse pubblicato.grazie”
Consulenza legale i 23/02/2018
Un problema che si pone con una certa frequenza a seguito di una separazione tra coniugi è proprio quello della riscossione degli assegni al nucleo familiare. Questo perché si verifica molto spesso che né il giudice (quando decide in ordine al mantenimento), né le parti (quando concordano sull’assegno di mantenimento), regolano espressamente questa questione in occasione della separazione o del divorzio.

Ora, rispondendo alla prima delle domande poste, va detto che per stabilire a quale dei coniugi spettano gli assegni al nucleo familiare occorre fare riferimento a quanto statuito dall’art. 211 della Legge n. 151/1975, c.d. Legge di Riforma del diritto di famiglia, il quale dispone che i suddetti assegni spettano al genitore cui sono affidati i figli, “sia che ad essi abbia diritto per un suo rapporto di lavoro, sia che di essi sia titolare l’altro coniuge”.
Sulla base di tale norma, dunque, può affermarsi che, qualora il genitore che concretamente percepisce gli assegni non abbia l’affidamento dei figli, lo stesso sarà tenuto a corrisponderli all’ex coniuge.

In tal senso si è peraltro pronunciata nel corso degli anni la Corte di Cassazione, ed in particolare si ritiene utile segnalare, tra le tante, la sentenza della Sez. I civile n. 5135 del 27.11.1989, nonché la più recente sentenza della Sez. lavoro n. 11569 dell’11.05.2017.

Ciò che potrebbe dall’altra parte obiettarsi è che in questo caso siamo fuori dal campo di applicazione della suddetta norma, versandosi in un caso di affido condiviso ed essendo stata, invece, tale norma resa con riferimento all’affidamento esclusivo del figlio minorenne, quale normativa vigente all’epoca dell’entrata in vigore della legge in questione.

Ad una simile obiezione, però, si può facilmente rispondere facendosi osservare che in realtà il “coniuge affidatario” non può che identificarsi nel c.d. “coniuge collocatario”, ossia nel coniuge presso cui i figli stabilmente vivono, nel nostro caso la madre, e ciò sulla base della semplice considerazione che gli assegni familiari sono un vero e proprio sussidio per le famiglie dei lavoratori dipendenti e dei pensionati da lavoro dipendente, i cui nuclei familiari siano composti da più persone e che abbiano redditi inferiori a quelli determinati annualmente dalla legge.

A questo punto, considerato che in caso di affido condiviso entrambi i genitori affidatari hanno ipoteticamente diritto a percepire tali assegni, per far sì che di questi ne usufruisca solo la madre presso cui i figli sono in prevalenza collocati, occorre, come giustamente richiesto dall’INPS, il consenso dell’altro genitore che attualmente li percepisce.

In particolare, sotto il profilo prettamente pratico, ciò che si rende necessario è che in sede di richiesta degli assegni al proprio datore di lavoro, l’altro genitore renda una dichiarazione di responsabilità con la quale appunto dichiara, consapevole delle sanzioni previste per coloro che rendono attestazioni false, che per i soggetti indicati nella tabella della composizione del nucleo familiare, non ha richiesto né richiederà altro trattamento di famiglia.

In mancanza di accordo tra le parti, l’autorizzazione alla percezione degli assegni non potrà che essere concessa, sulla base di quanto prima detto, al genitore convivente con i figli, ossia a quello che prima abbiamo definito affidatario e/o collocatario, ciò che peraltro è stato confermato anche dall’INPS con il messaggio del 2 maggio 2006, n.12791 (assegno per il nucleo familiare nel caso di affido condiviso. Legge 8 febbraio 2006, n. 54).

In tale messaggio l’INPS ha espressamente chiarito che:
«…Ai fini dell’erogazione dell’assegno per il nucleo familiare, nel rimandare a quanto indicato sull’argomento nella circolare 7 dicembre 1999, n. 210, si ribadisce che, nel caso in cui i figli restino affidati ad entrambi i genitori, essi hanno titolo entrambi a chiedere la prestazione. L’individuazione di chi tra i due effettuerà la richiesta di autorizzazione alla corresponsione dell’assegno sarà determinata da un accordo tra le parti.
In mancanza di tale accordo l’autorizzazione alla percezione della prestazione familiare verrà accordata al genitore con il quale il figlio risulta convivente in base a quanto previsto dall’art. 9 della legge n. 903/1977...”.

Qualora, come sembra avvenire nel caso di specie, l’altro genitore non abbia alcuna intenzione di prestare il proprio consenso, non resterà altra soluzione che quella di rivolgersi al Tribunale (con ciò si risponde anche a quanto richiesto con ticket del 22/02/2018), per chiedere ed ottenere il rimborso delle somme indebitamente trattenute dall’altro coniuge non collocatario dei figli minori ed un provvedimento che riconosca espressamente il diritto a percepire gli assegni in favore del genitore collocatario.



Francesco A. chiede
giovedì 05/01/2017 - Calabria
“Gentilissimi,

vorrei mi risolveste questo quesito.

Sposato dal 2002 in comunione dei beni, abito con mia mogli in una abitazione che apparteneva già a mia moglie.

Dal momento del matrimonio tutte le utenze domestiche sono state intestate a mio nome.

In caso di separazione tra me e mia moglie che diritti avrei sulla casa?”
Consulenza legale i 15/01/2017
L’attribuzione del diritto di continuare ad abitare nella casa familiare non è, di norma, strettamente dipendente dal regime patrimoniale scelto e da chi ne sia l’effettivo proprietario (o intestatario del contratto di locazione).

Il legislatore, infatti, nel disciplinare la separazione, ha posto un’importante eccezione alle regole sulla proprietà ed il possesso, per accordare preferenza all’interesse preminente dei figli nati dal matrimonio. Ciò, prima della riforma del 2013 avente ad oggetto la “Revisione delle disposizioni vigenti in materia di filiazione”, in forza dell’ora abrogato art. 155-quater cod. civ., i cui principi la giurisprudenza ha fatto salvi nonostante l’abrogazione.
Per questo motivo, normalmente, se ci sono figli, la legge accorda preferenza al genitore a cui i figli sono affidati o con il quale i figli convivono, anche se maggiorenni. In caso di affidamento separato, se cioè uno o più figli siano stati affidati alla madre e uno o più figli al padre, il giudice deciderà caso per caso tenendo conto dell’età dei figli, delle esigenze scolastiche e affettive, dello stato di salute, ecc.

E’ invece più incerta l’assegnazione qualora – come sembra che sia nel caso di specie (il quesito è molto sintetico) - non ci siano figli: secondo l’opinione che si è mantenuta prevalente, comunque, l’assegnazione della casa familiare in sede di separazione al coniuge che non ha alcun diritto di godimento, reale, o obbligatorio su di essa è consentita solo quando detto coniuge sia affidatario di figli.
In mancanza di figli, insomma, l’orientamento più recente nega al coniuge che non ne sia proprietario il diritto ad abitare la casa familiare .

Si riportano alcune significative pronunce al riguardo:

- “La “ratio” della norma dell’art 155 quater c.c. è volta alla salvaguardia del preminente interesse della prole, onde evitare che i figli, oltre al trauma psicologico derivante dalla rottura del “consortium familiare”, abbiano a subirne ulteriori in conseguenza del forzato sradicamento dall’ambiente in cui si sono formati gli affetti ed hanno vissuto fino allora cosicché la mancanza di figli nati dall’unione dei coniugi preclude l’applicabilità di detta norma quando uno dei due coniugi ne richiede l’assegnazione, seguendo, per l’effetto, l’immobile oggetto di contestazione la normativa ordinaria in materia di proprietà e possesso” (Tribunale Roma, sez. I, 22/07/2013, n. 16128);

- “In tema di separazione personale dei coniugi, la disposizione di cui all'art. 155, comma 4, c.c. (nella formulazione previgente), che attribuisce al giudice il potere di assegnare la casa familiare al coniuge affidatario che non vanti alcun diritto di godimento (reale o personale) sull'immobile, ha carattere eccezionale ed è dettata nell'esclusivo interesse della prole, sicché detta norma non è applicabile, neppure in via di interpretazione estensiva, con riferimento alla posizione del coniuge non affidatario, ancorché avente diritto al mantenimento, neppure ai sensi dell'art. 156 c.c.” (Cassazione civile, sez. I, 23/11/2007, n. 24407);

- “La disponibilità materiale che lega il coniuge non proprietario alla casa coniugale non sfocia nella configurabilità di un diritto reale. I diritti reali, invero, in forza della loro tutelabilità erga omnes, costituiscono un sistema chiuso tassativo, e, come tali, abbisognano di una espressa previsione normativa. Il coniuge non proprietario vanta, dunque, nei confronti dell'altro coniuge “solo” un diritto personale atipico al godimento dell'abitazione destinata a residenza familiare: diritto personale che discende dallo stesso vincolo coniugale — sub specie degli obblighi di protezione cui i coniugi sono tenuti gli uni con gli altri — e fungere da strumento di attuazione dello stesso obbligo di convivenza.” (Tribunale Brindisi, 26/05/2014);

- “Se può affermarsi in via generale che il coniuge non proprietario della casa coniugale è titolare, in relazione alla stessa, di una situazione giuridica di detenzione qualificata ciò in forza del rapporto di coniugio e dei connessi obblighi di coabitazione (posizione come tale tutelabile anche nei confronti delle iniziative di estromissione assunte dall’altro coniuge), laddove invece venga meno l’obbligo di convivenza per effetto dei provvedimenti presidenziali che invero nulla dispongono sull’assegnazione della casa coniugale, il coniuge non proprietario vede conseguentemente venir meno ogni legittimazione a mantenere colà la propria dimora, sicché, ove egli illecitamente si determini in tal senso, realizza per ciò solo un disturbo al pacifico godimento della res che legittima l’altro coniuge, quale esclusivo proprietario (e possessore), a esperire azione di manutenzione del possesso” (Tribunale Bari, sez. I, 25/09/2008);

- “Qualora si abbia separazione tra coniugi, il coniuge non titolare di alcun diritto sull'immobile (e sugli altri beni) di proprietà esclusiva del partner e finora destinano a casa familiare, non può più utilizzare e godere dell'immobile (e degli altri beni) di quest'ultimo, essendo venuta meno la comunione materiale e spirituale, nonché la convivenza ex matrimonio, che legittimavano il coniuge non titolare a godere, a titolo di compossesso, del bene di uso comune; né a quest'ultimo può essere riconosciuta la qualità di detentore qualificato, derivabile solo dalla sussistenza di un accordo fra i coniugi per instaurare, dopo la separazione, una situazione di compossesso "titolato": la detenzione instaurata, dopo la separazione, dal coniuge non titolare è, quindi, palesemente una detenzione "sine titulo", per cui il partner può vittoriosamente esperire un'azione di spoglio.” (Tribunale Trani, 23/03/2008).

Da ultimo si osserva come sia, evidentemente, del tutto irrilevante, l’intestazione delle utenze domestiche.

Ivano C. chiede
domenica 18/12/2016 - Emilia-Romagna
“Vorrei sapere l'ammontare dell'assegno di mantenimento per i miei 2
figli minori (il primo di 17 anni, il secondo 12) in caso di separazione
consensuale con affido condiviso. Mia moglie ed io siamo in regime di
separazione di beni. Possediamo 2 case, una di mia proprietà, di cui mio
padre risulta essere usufruttuario unico e dove io attualmente vivo ed
ho la residenza anagrafica; l'altra, dove risiede mia moglie ed i miei
figli, risulta di sua esclusiva proprietà ma gravata da mutuo
cointestato fra me e lei che viene pagato da mia moglie (rata 400 euro
circa mensili). I redditi da lavoro sono i seguenti: 36000 Euro lordi
all'anno per me, circa 2100 mensili netti per 13 mensilità, e 18.000
circa lordi per mia moglie, circa 1100 euro netti mensili comprensivi
degli assegni familiari a lei assegnati in toto (circa 50 euro mensili), a me spettano le >detrazioni per i figli avendo reddito più elevato; sono titolare di un
piano individuale pensionistico a me intestato per l'ammontare di circa
70000 Euro più un investimento assicurativo di circa 40.000. Nessun
altro cespite né proprietà immobiliare. Vorrei avere conferma di:
1 dovere versare l'assegno di mantenimento per la coniuge (oppure no) e
2 stabilire
all'incirca l'ammontare complessivo per i due figli ed eventualmente
>anche per la moglie. Secondo quanto accennato dalla controparte la somma
presumibile sarebbe attorno ai 900 euro mensili oltre al 50% delle spese
straordinarie. Preciso che l'affido sarebbe veramente condiviso, visto il lavoro
su turni di mia moglie. Spero di essere stato esaustivo e di potere
fornire altri elementi utili qualora servissero per una migliore
definizione della pratica. Cordiali saluti
>
Consulenza legale i 23/12/2016
Il matrimonio determina, per i coniugi, l’obbligo reciproco di assistenza materiale: con la separazione, tale dovere non cessa ma si trasforma nell’obbligo, per il coniuge economicamente più forte, di corrispondere l’assegno di mantenimento eventualmente previsto dal Giudice.

Il diritto al mantenimento è condizionato da due elementi (art. 156 cod. civ.), entrambi riferiti al coniuge che chiede l’assegno:
- la non addebitabilità della separazione;
- la mancanza di adeguati redditi propri.
I criteri di valutazione dell’adeguatezza dei redditi del coniuge richiedente l’assegno sono stati elaborati dagli studiosi e dalla giurisprudenza soprattutto.

Va innanzitutto precisato che non ci si deve riferire ai soli redditi ma che occorre valutare l’intera situazione economica dei coniugi, considerando tutte le circostanze che ricorrono in concreto e che incidono sulla loro posizione economica.
Secondo orientamento univoco della giurisprudenza il mantenimento dev’essere il più possibile – tenendo conto delle circostanze concrete – finalizzato al mantenimento di un tenore di vita tendenzialmente analogo a quello goduto durante la convivenza, tenendo conto anche del contesto sociale nel quale i coniugi hanno vissuto. Il tenore di vita goduto durante la convivenza deve essere quindi identificato avendo riguardo allo standard di vita reso oggettivamente possibile dal complesso delle risorse economiche dei coniugi, tenendo conto di tutte le potenzialità derivanti dalla titolarità del patrimonio in termini di redditività, di capacità di spesa, di garanzie di elevato benessere e di fondate aspettative per il futuro.
Si noti bene che il tenore di vita cui fare riferimento è quello che il coniuge economicamente forte aveva il dovere di consentire all’altro in relazione alle sostanze di cui disponeva e non quello più modesto eventualmente tollerato o subìto in costanza di matrimonio.

Per reddito si intende la misura monetaria della ricchezza (stipendio, pensione, assegni, ecc.), e deve trattarsi di reddito cosiddetto “disponibile”, ovvero il reddito che il soggetto può spendere/investire dopo il pagamento delle imposte e dei contributi obbligatori e comprende tutti i proventi, anche quelli non dichiarati a fini fiscali (perché tassati alla fonte, esenti da imposta o sottratti a tassazione).
Per patrimonio si intende invece il complesso di beni, diritti e crediti di contenuto economico di cui il coniuge sia titolare (anche soggetto a variazione).

La misura dell’assegno è determinata “in relazione alle circostanze ed ai redditi dell’obbligato” (art. 156 comma 2 c.c.): le circostanze di cui parla la norma consistono negli elementi fattuali, apprezzabili in termini economici, diversi dal reddito e suscettibili di incidere sulle condizioni delle parti, ad esempio la disponibilità di un consistente patrimonio, anche mobiliare, la conduzione di uno stile di vita particolarmente agiato e lussuoso oppure, in negativo, le spese fisse dei coniugi conseguenti alla separazione.
Così non si potrà attribuire un assegno di mantenimento al coniuge che pur ne avrebbe diritto se la posizione economica dell’obbligato sia tale da far sì che qualsiasi decurtazione si traduca nella privazione del minimo indispensabile per la sopravvivenza.

Insomma, la determinazione dell’assegno non è ancorata a criteri aritmetici, ed il Giudice ha ampio spazio di discrezionalità, giustificata dall’esigenza di trovare soluzioni che valutino l’unicità e la novità presentata da ogni situazione di fatto della vita umana.

Per quanto riguarda, invece, i figli, l’art. 337 ter-ter c.c. stabilisce che “(...) Salvo accordi diversi liberamente sottoscritti dalle parti, ciascuno dei genitori provvede al mantenimento dei figli in misura proporzionale al proprio reddito; il giudice stabilisce, ove necessario, la corresponsione di un assegno periodico al fine di realizzare il principio di proporzionalità, da determinare considerando:
1) le attuali esigenze del figlio.
2) il tenore di vita goduto dal figlio in costanza di convivenza con entrambi i genitori.
3) i tempi di permanenza presso ciascun genitore.
4) le risorse economiche di entrambi i genitori.
5) la valenza economica dei compiti domestici e di cura assunti da ciascun genitore.
L'assegno è automaticamente adeguato agli indici ISTAT in difetto di altro parametro indicato dalle parti o dal giudice.
Ove le informazioni di carattere economico fornite dai genitori non risultino sufficientemente documentate, il giudice dispone un accertamento della polizia tributaria sui redditi e sui beni oggetto della contestazione, anche se intestati a soggetti diversi.
Per quanto riguarda le spese per i figli (scolastiche, di salute, ricreative, ecc.,) in forza dei principi della bigenitorialità e dell’affido condiviso, esse vengono normalmente sostenute al 50% da entrambi i genitori.

In conclusione, per rispondere al quesito, risulta davvero impossibile in questa sede effettuare un calcolo previsionale sull’ammontare degli assegni di mantenimento, poiché, come sopra ampiamente illustrato, troppe ed assolutamente relative sono le variabili che vanno considerate e molto dipenderà da cosa deciderà il giudice, ed è inutile negare che molto può cambiare anche da giudice a giudice.
Ad ogni modo pare che la somma da lei indicata abbia una certa ragionevolezza. Ma pare a noi!

Anonimo chiede
domenica 09/10/2016 - Campania
“Mi riferisco alle Vs. precedenti consulenze del 2015 e del 2016 (non posso essere preciso, poiché ho subito danni al mio pc, e non dispongo dei dati), delle quali, ovviamente, già avete storia.
Come suggeritomi, ho ottenuto la separazione consensuale, in data 9/7/2015, con atto del comune di M. (al momento non ho a portata la copia, ove viene riportata l’avvenuta separazione);
In seguito, per poterle farle ottenere, con il raggiungimento dei requisiti di legge, l’assegno sociale (con l’intenzione di aiutare suo figlio che vive in S.), in data 18/3/2016 ci siamo recati al comune, modificando l’atto di separazione (quindi dopo 9 mesi) e stabilendo una somma di € 200 mensili, come già dettoVi virtualmente, restando di fatto, la convivenza abitativa.
Nel mese di aprile di quest’anno, a seguito ennesima lite, mia moglie è andata via definitivamente,(per la verità più volte negli anni di matrimonio è tornata alla casa paterna in N., dove risiedeva prima del matrimonio(avvenuto in data 18/9/1995), e in seguito poi riappacificatoci è ritornata a M.), e recatoci in Comune abbiamo nuovamente modificato,(a distanza di 3 mesi) l’atto di separazione, motivando la variazione a causa dell’effettivo cambio di residenza, presso la casa ove vive tutt’ora, con 2 fratelli (con cui ha rapporti difficili).
Della casa, ereditata assieme ad 8 fratelli, quindi è proprietaria, di un/nono.
Pertanto, essendo modificate le condizioni di vita, l’assegno di mantenimento è stato aumentato, di fatto, ad € 500, e che da giugno, di quest’anno corrispondo a mezzo bonifico.
Solo per la cronaca, mia moglie già divorziata, e come detto ha un figlio 40enne che vive in S., e con me non ha figli in comune.(Io invece ho 2 figlie maggiorenni, di cui una convivente, avute dalla mia defunta prima moglie).
Debbo dire, anche se con non poco imbarazzo, che mia moglie, è arrabbiatissima e come spesso irrefrenabilmente minacciosa, e so che quello che più la tormenta è l’essere andata via da casa, per cui paventa di ricorrere alle vie legali, vantando diritti sulla mia casa, (siete già a conoscenza della situazione della cooperativa e mi avete già tranquillizzato circa l’art. 179 c.c.) ) e chissà che altro le hanno suggerito i familiari,(tipo ritornare a M., o pretendere di lasciare l’attuale casa per fittarsi un appartamento per cui vorrebbe un aumento, la partecipazione alle spese mediche, etc… )
Di cosa devo preoccuparmi, della casa? Spero che al più presto
di potermela intestarla, e poi reintestarla alle mie figlie per maggiore tranquillità.
Di un giudice che accetti un eventuale ricorso di mia moglie circa......cosa????
Un giudice può modificare o annullare una separazione consensuale fatta in Comune???
Secondo molti, non avendo figli in comune, e risiedendo in casa di sua proprietà un/nono, dividendo le spese con i fratelli, la somma che, consensualmente, le corrispondo è molto oltre quello che un giudice avrebbe stabilito.
La mia pensione netta è di € 1.850/mese, che detratta di € 500/mese che corrispondo a mia moglie (con cui ripeto non ho figli e ha un nono di proprietà dove risiede), mi restano € 1.350, con cui devo anche aiutare mia figlia separata (lavora in un call-center), e che ha una bambina di 10 anni, e l’altra con me convivente svolge il lavoro di estetista e non può affidarsi su entrate certe. Vale la pena di precisare che la mia pensione di vecchiaia, al compimento dei requisiti (66 anni e 6 mesi), deriva per trasformazione automatica da assegno di invalidità contributiva (tribunale di N. sez. Lavoro). Ovviamente non percepisco per la mia invalidità nulla, ma resta la mia invalidità che curo tra medicinali e terapie)

Ringrazio anticipatamente e resto in attesa di risposta.


Consulenza legale i 17/10/2016
In primo luogo, come già evidenziato nelle precedenti consulenze, se la separazione è intervenuta prima della definitiva assegnazione ed intestazione della casa della cooperativa, la ex moglie non potrà vantare alcun diritto sulla stessa.

Sullo stato dei coniugi, va poi detto che il Giudice non può annullare una separazione fatta in Comune: si presume, ovviamente, che la domanda di cui al quesito si riferisca alla possibilità che la decisione del Giudice possa in qualche modo “prevalere” su quella dell’Ufficiale dello Stato civile. In tal senso, lo si ribadisce, le decisioni assunte di comune accordo dai coniugi in merito alla separazione in sede di procedura “alternativa” avanti all’Ufficiale di Stato civile hanno identica valenza di quelle omologate dal Tribunale all’esito del tradizionale procedimento di separazione consensuale avanti al Giudice.

E’ evidente, invece, che se la separazione è avvenuta nel mancato rispetto delle norme specifiche in materia (ad esempio, separazione fatta in Comune ma in presenza di figli minori) l’accordo sarà sempre impugnabile, perché illegittimo.

Per quel che riguarda, infine, le possibilità concrete concesse alla ex moglie, va osservato che per la modifica delle condizioni di separazione quest’ultima potrà decidere di rivolgersi ancora al Comune oppure, indifferentemente, al Tribunale: va tenuto conto, però, anche alla luce di quanto precisato nelle precedenti consulenze in ordine alla particolare procedura di separazione in Comune, che sarà sempre competente in via esclusiva il Giudice nei casi in cui i coniugi separati intendano attuare dei patti di trasferimento patrimoniale (ma non sembra sia questa l’ipotesi).

Tutto ciò chiarito, sintetizzando, si ribadisce che in ordine alla casa della cooperativa, essendo bene personale del marito, la ex moglie non avrà diritti; ugualmente la moglie non potrà “impugnare” nel merito la separazione già avvenuta.
Potrà, invece, legittimamente rivolgersi ad un Giudice per chiedere la modifica delle condizioni di separazione – in particolare, dell’ammontare dell’assegno di divorzio – ma in tal caso è impossibile, in mancanza di tutti i dati, anche fiscali ed economici relativi ai coniugi, prevedere se il Giudice riterrà di dover diminuire, lasciare inalterato o aumentare l’importo dell’assegno. Il Giudice valuta, infatti, sempre caso per caso, tenendo conto non solo dei dati patrimoniali e reddituali relativi ai coniugi, ma altresì del tenore di vita goduto dalla moglie in costanza di matrimonio ed altre variabili, variabili che non è possibile conoscere né valutare appropriatamente in questa sede.

P. P. C. chiede
sabato 21/01/2023 - Lazio
“Sono separato con separazione giudiziale dal marzo 2018 (sentenza provvisoria presidenziale), lo status legale di separazione e stato riconosciuto con sentenza a marzo 2021 e la sentenza conclusiva di separazione é del luglio 2022. Il giudice, a fronte di un mio reddito di 3500 €/mese e di un reddito della mia ex coniuge di 1200 €/mese, ha fissato in udienza presidenziale confermata in udienza conclusiva un mantenimento per i 2 figli di 1200 €/mese e per la coniuge di 650 €/mese (Quest’ultimo composto da 250 per il mantenimento e 400 per partecipare alle spese di affitto dell’appartamento dove vive).
I figli sono affidati ad entrambi e collocati presso la madre con i convenzionali giorni di collocazione presso di me (weekend alternati e due giorni infrasettimanali).
Vorrei sapere se, procedendo con il divorzio giudiziale, il giudice stabilirà di eliminare o meno il mantenimento in favore dell’ex coniuge.
Al momento la rivalutazione istat ha portato il mantenimento complessivo ad oltre 2000 €/mese e diventerà 2200 €/mese da marzo. La situazione è diventata per me non sostenibile. è possibile fare qualcosa?
Grazie”
Consulenza legale i 27/01/2023
Occorre premettere che non è possibile formulare previsioni su quella che sarà la decisione del giudice in sede di divorzio. Possiamo però fornire alcune precisazioni sui presupposti dell’assegno divorzile, come individuati dalla giurisprudenza della Corte di Cassazione a partire dalla sentenza a Sezioni Unite n. 18287/2018.
La norma di riferimento è senz’altro l’art. 5 della legge n. 898/1970, il quale prevede, al comma 6, che il tribunale possa disporre la corresponsione dell’assegno in favore del coniuge “debole”, che cioè non abbia mezzi adeguati o comunque non possa procurarseli per ragioni oggettive. A tal fine, il giudice dovrà tenere conto di una serie di criteri: condizioni dei coniugi, ragioni della decisione, contributo personale ed economico dato da ciascuno alla conduzione familiare ed alla formazione del patrimonio di ciascuno o di quello comune, reddito di entrambi, e valutare tutti i suddetti elementi anche in rapporto alla durata del matrimonio.


Ora, la cit. sentenza delle Sezioni Unite afferma che “all'assegno di divorzio deve attribuirsi una funzione assistenziale e, in pari misura, compensativa e perequativa. Ai fini del riconoscimento dell'assegno si deve adottare un criterio composito che, alla luce della valutazione comparativa delle rispettive condizioni economico-patrimoniali, dia particolare rilievo al contributo fornito dall'ex coniuge richiedente alla formazione del patrimonio comune e personale, in relazione alla durata del matrimonio, alle potenzialità reddituali future ed all'età dell'avente diritto. Il parametro così indicato si fonda sui principi costituzionali di pari dignità e di solidarietà che permeano l'unione matrimoniale anche dopo lo scioglimento del vincolo. Il contributo fornito alla conduzione della vita familiare costituisce il frutto di decisioni comuni di entrambi i coniugi, libere e responsabili, che possono incidere anche profondamente sul profilo economico patrimoniale di ciascuno di essi dopo la fine dell'unione matrimoniale".
Ed ancora, secondo la recentissima Cass. Civ., Sez. I, ordinanza 18/01/2023, n. 1482, “in tema di assegno divorzile, la natura perequativo-compensativa, che discende direttamente dalla declinazione del principio costituzionale di solidarietà, conduce al riconoscimento di un contributo volto a consentire al coniuge richiedente non il conseguimento dell'autosufficienza economica sulla base di un parametro astratto, bensì il raggiungimento in concreto di un livello reddituale adeguato al contributo fornito nella realizzazione della vita familiare, in particolare tenendo conto delle aspettative professionali sacrificate. La funzione equilibratrice del reddito degli ex coniugi, anch'essa assegnata dal legislatore all'assegno divorzile, non è finalizzata, peraltro, alla ricostituzione del tenore di vita endoconiugale, ma al riconoscimento del ruolo e del contributo fornito dall'ex coniuge economicamente più debole alla formazione del patrimonio della famiglia e di quello personale degli ex coniugi”.


Quanto alla seconda domanda che viene posta, riguardante la possibilità di intervenire in merito all’importo dell’assegno di mantenimento stabilito in sede di separazione (stando a quanto riferito nel quesito, il procedimento di divorzio non risulta essere stato iniziato), l’art. 156 del c.c. prevede la possibilità di revoca o modifica dei provvedimenti già adottati, ma subordina entrambe al sopraggiungere di “giustificati motivi”. Sul punto la giurisprudenza ha chiarito che deve trattarsi di “sopravvenienza di fatti nuovi, che abbiano alterato la situazione preesistente, mutando i presupposti in base ai quali le parti avevano stabilito le condizioni della separazione. Del tutto estranei a tale ambito sono dunque i fatti preesistenti alla regolamentazione pattizia della separazione, non presi in considerazione, per qualsiasi motivo, in quella sede” (Cass. Civ., Sez. I, 08/05/2008, n. 11488).

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