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Articolo 2042 Codice Civile

(R.D. 16 marzo 1942, n. 262)

[Aggiornato al 25/09/2024]

Carattere sussidiario dell'azione

Dispositivo dell'art. 2042 Codice Civile

L'azione di arricchimento non è proponibile quando il danneggiato può esercitare un'altra azione per farsi indennizzare del pregiudizio subito(1).

Note

(1) La norma deve essere intesa nel senso che non è ammesso il ricorso ad essa quando sia astrattamente possibile l'utilizzo di altro strumento, non potendo costituire un mezzo di cui il singolo può valersi quando, concretamente, non è ricorso al rimedio predisposto appositamente (e quindi, ad esempio, il suo diritto si è prescritto).

Ratio Legis

Il legislatore fa salve le singole specifiche ipotesi considerando, appunto, la loro specialità ma si preoccupa anche di dettare una norma che disciplina i casi eventualmente non contemplati altrove.

Spiegazione dell'art. 2042 Codice Civile

Principi generali dell'istituto e dell'azione, e concetti da cui derivano nella disciplina loro data dalle norme in esame

Tre principii fondamentali si ricavano dalle norme in esame ed esauriscono il fondamento dell'istituto e dell'azione di cui sono disciplina:
a) ogni arricchimento senza causa, in danno altrui, importa l'obbligo di indennizzo correlativo alla diminuzione patrimoniale sofferta;
2) se oggetto dell'arricchimento sia stato una cosa determinata, ri­corre l'obbligo - invece dell' indennizzo - di restituirla in natura, ove era sussista al tempo della domanda;
3) l'azione, per ottenere l'indennizzo o la restituzione, ha carattere generale ma sussidiario, perché n'è precluso l'esercizio quando sia data altra azione specifica per conseguire riparazione del danno sofferto.

·Il fondamento da cui da cui questi principi derivano non è – come si dirà - soltanto quello per cui nessuno deve arricchirsi a danno altrui (nemo locupletari debet cum alterius iactura), ma anche quello su cui riposa l'actio de in rem verso. Deve, però, ricordarsi che, in diritto romano, tale azione (actio de eo quod in rem domini versum est), fu dapprima introdotta per l'ipotesi di un con­tratto vantaggiosamente concluso da una persona alieni iuris (servo o figlio) a favore del dominus o del pater familias, e per dare modo all'altro contraente di domandare il versum in rem patris vel domini.

Successivamente venne estesa anche all' ipotesi in cui l' intermediario fra il dominus e il danneggiato fosse una persona sui iuris.

Ed estensione sempre maggiore le fu data nel diritto comune, in cui la detta azione fu consentita anche quando l'arricchimento conseguiva da un negozio concluso non coli' intervento d'un intermediario, ma direttamente tra l'arricchito e il danneggiato.

Di modo che divenne un mezzo giuridico generale col quale poteva chiedersi la restituzione d'un indebito arricchimento in qualsiasi modo e sotto qualsiasi forma avvenuto .

Il codice abrogato non diceva parola sull'actio de in rem verso, e tanto meno la definiva, o enunciava in qualche norma il principio che nessuno può arricchirsi ingiustamente in danno altrui. Da taluno, anzi, ne fu perfino negata l'accezione.

Ma in numerosi casi, invece, l’actio de in rem verso e il principio che nemo locupletari debet cum alterius iactura, furono riconosciuti siccome informatori di norme di legge, pur senza esservi espressamente indicati: si ricordavano, infatti, gli art. 188 cap. 445, 449, 450, 452, 464, 466, 468, 470, 472, 490, 704, 706, 717, 718, 1018, 1019, 1148, 1150, 1243, 1307, 1528, 1728, 1742, 1842, 1892, 1918 cap. del codice civile; l'art. 105 cap. del cod. di commercio e, da ultimo, l'art. 67 R. D. 14 decembre 1933 n. 1669 e l'art. 59 R. D. 21 dicembre 1933 n. 1736. E dottrina e giurisprudenza finirono per essere concordi nel concetto più generale della sua ammissione ogni qualvolta si verificasse una indebita locupletazione con danno altrui e non vi fosse un rapporto, e quindi altro titolo di responsabilità, che la riconducesse ad una obbligazione ex contractu o ex lege, e perciò un rimedio specifico onde conseguire il correlativo indennizzo pel depauperamento sofferto.

Fu così precisato che il divieto d' ingiusto arricchimento,col conseguente obbligo di restituire ciò di cui taluno si fosse indebitamente arricchito, era un principio generale di diritto che si desumeva, a norma dell'art. 3 delle preleggi, da casi specificamente regolati: onde non poteva farvisi ricorso se la fattispecie fosse regolata da una specifica disposizione di legge.

Si disse che ricorreva ingiusto arricchimento quando taluno profittasse d'un contratto nullo, ovvero si giovasse dell'opera prestata o del contratto concluso da un terzo, nè mandatario, né gestore; che, perciò, esso abbracciava tutti i casi delle condictiones del diritto romano e aveva carattere essenzialmente extracontrattuale, colla conseguente anche sua inam­missibilità in materia di colpa ex contractu.

Ne fu ritenuta la sussistenza anche per un'attività diversa e distinta da quella corsa tra il danneggiato e il locupletato, cioè per l'attività dannosa di un terzo.

Ma si aggiunse che, in ogni caso, soggetti dell'azione erano il danneg­giato - che doveva promuoverla - e l’arricchito, cioè colui che in realtà aveva conseguito l'ingiusto arricchimento contro il quale l'azione doveva essere promossa.

Ed è proprio da questi concetti che trae origine la sistemazione, nel nuovo codice, dell' istituto e dell' azione in esame. È escluso che gli art. 2041, 2042 abbiano carattere innovativo e, nella loro applicazione, effi­cacia retroattiva, avendo essi, invece, semplice carattere dichiarativo.


Richiamo dei lavori pre­paratori

Si è detto che non soltanto il principio, per cui niuno deve arric­chirsi ingiustamente in danno altrui, esaurisce il fondamento dell'istituto e dell'azione in esame.

La relazione al libro delle obbligazioni dice, infatti, esplicitamente (n. 15) che il concetto di solidarietà « consolida il fondamento dell'azione generale di arricchimento ch' è concessa nel caso in cui sia intervenuto uno spostamento patrimoniale non giustificato da ragioni suscettibili di tiricia regale ».

E precisa che si tratta di quella solidarietà che consegue « dal fatto di sentirsi membri, con pari dignità morale, di quel grande organismo ch'è la società nazional e» (n. 15 relaz. cit. e 558 relaz. al c.c.), da cui hanno o­rigine, nel nuovo sistema delle obbligazioni, i doveri non soltanto di con­dotta morale, ma giuridici, della correttezza e della buona fede, e per cui l'interesse privato si anima delle ragioni della generalità; si concilia con l'inte­resse degli altri soggetti e ottiene, in conseguenza, rispetto ad ogni altro fat­tore concorrente, una contemporanea protezione nelle sue esigenze essen­ziali (nn. 15 e 558 relazioni citate).

Anche a quel dovere e a queste finalità s'inspirano l'istituto e l'azione disciplinati dalle norme in esame.

Chiaramente lo illustra la citata relazione (n. 792) quando ricorda: « Una larghissima corrente di dottrina e di giurisprudenza si è già orientata, de iure condito, verso il riconoscimento di un'azione generale di arricchimento diretta ad ovviare all'indebita locupletazione nei casi in cui non sia impedirla con l'esperimento di azioni particolari della stessa (art. 1190, 1443, 1769, 2037 terzo comma, 2038 ecc.) o di diversa natura »; e quando, poi, precisa: « Il codice nuovo ha accolto questo indirizzo, corrispondente agli scopi di giustizia e di equità che l’ordinamento giuridico deve realizzare specie se vuole esprimere dal suo seno uno spirito di solidarietà. Questo spirito non può tollerare spostamenti patrimoniali disgiunti da una causa giustificatrice. Il suum cuique tribuere, principio etico assunto nella sfera del diritto, vieta che si tuteli l’aumento patrimoniale conseguito ingiustamente, per non attribuire ad un soggetto un vantaggio che spetta invece ad altri, e correlativamente per non assoggettare quest’ultimo ad una ingiusta perdita ».


Estremi dell'arricchimento senza causa: a) arricchimento; b)mancanza di nata causa; e) danno altrui

Anche l'arricchimento senza causa costituisce, nel sistema del nuovo codice, uno di quei fatti di natura varia che — come si disse pel paga­mento dell'indebito (v. commento n. I all'art. 2033) — la legge considera quali fonti di obbligazione, ma che, appunto per la loro diversità, non sono suscettibili di essere classificati.

Anzi nell'arricchimento senza causa e nel pagamento dell'indebito possono ravvisarsi, sotto un certo profilo, i due aspetti contrapposti d'un unico fatto giuridico-economico.

L'arricchimento ingiustificato ricorre quante volte, senza giusta causa, si tragga profitto da un atto o da una cosa altrui, con conseguente altrui danno.

Ne sono quindi, estremi essenziali: a) l'arricchimento (o aumento di pa­trimonio); b) la mancanza di giusta causa; c) il danno altrui (o diminuzione di patrimonio).

a) Arricchimento.
È il conseguito diretto aumento di patrimonio per aggiunta di valori ai valori già propri.

Ma rientra nel suo concetto anche l'incremento indiretto del patri­monio per essere state risparmiate spese necessarie che si sarebbero dovute inevitabilmente sostenere, o per essersi sottratti al verificarsi di perdite che si sarebbero dovute subire.

Al conseguito aumento patrimoniale dev'essere, comunque, correlativa una diminuzione patrimoniale (n. 792 relaz. al c.c.).

Non è, però, tutto l'arricchimento che si considera indebito, ma soltanto quello che corrisponde al pregiudizio effettivo derivatone. 3 Questo perché, nell'indebito arricchimento, non entrando in funzione l'elemento dell'illecito, non si tratta di risarcire un danno sofferto, ma soltanto di ristabilire una si­tuazione patrimoniale ch'è rimasta obbiettivamente turbata da una ingerenza aliena dimostratasi senza causa.

La locupletazione dev'essere in atto nel momento in cui l'azione di arricchimento viene proposta. Ma non importa ch'essa sussista nel debitore in quella medesima forma specifica con cui fu conseguita: ne basta il permanere anche in forma diversa, purché certamente in sostituzione di quella. Ne è un esempio tipico l’ipotesi delle spese necessarie.

In ogni caso l’ingiusto arricchimento è un fatto: e si distingue da ogni altro — dovuto al caso o all'azione irresistibile e fatale delle forze della na­tura — perché è opera dell'uomo, posta in essere nell'interesse altrui o nell'interesse proprio, in buona fede o in mala fede: ma sempre cosciente e volontaria.

b) mancanza di giusta causa

Il fatto che taluno si sia arricchito in danno altrui non sarebbe sufficiente a porre in essere l'arricchimento senza causa e a legittimare l'azione da parte di quegli che il danno abbia subito.

È necessario che l'arricchimento sia ingiusto o, appunto, senza causa: che manchi, cioè, ogni rapporto di causa giustificatrice tra l'arricchimento di un soggetto e il depauperamento dell’altro. Ma la mancanza d'un tale rapporto non esclude che debba sussistere un nesso di causalità tra l'ar­ricchimento e il depauperamento, anche se non occorre un diretto rap­porto tra i due soggetti.

Dice la relazione al codice civile (n. 792): « Non è stato e non poteva essere chiarito legislativamente, con una formula generale, il concetto di arricchimento ingiustificato; ma la pratica e la dottrina potrà soccorrervi, ricercando se il singolo trasferimento di valori trovi a fronte di un corrispettivo, abbia causa nella liberalità, o sia legittimato da una precisa disposizione della legge. Sarà ingiusto il trasferimento se l'indagine suddetta risulterà negativa ». La mancanza di giusta causa s'identifica dunque:

a) con la mancanza di volontà da parte di colui che ha sofferto il danno in conseguenza dell'arricchimento: l'inesistenza d'un corrispettivo e di una liberalità è, infatti, espressione d'una volontà mancante;
b) con la mancanza d'una norma di legge o d'un principio di diritto o d'un già costituito rapporto giuridico — contratto o promessa unilaterale ---- che l'arricchimento giustifichino.

Non ricorrerebbe, perciò, l'estremo della mancanza di causa quando l'arricchimento fosse un riflesso indiretto e occasionale di erogazione fatta dal preteso depauperato per proprio fine e nel proprio interesse.

Ma per la sua esistenza non è necessario un errore da parte del danneg­giato e neppure la legittimità del suo comportamento: laddove è da ritenersi fondata, e quindi ammissibile, la correlativa azione, anche quando il comportamento del danneggiato sia stato illegittimo o l’atto vantaggioso sia stato scientemente compiuto contro la volontà espressa dell'arricchito.

Mancanza di volontà non significa, poi, inesistenza, tra le parti di pre­cedente rapporto nel quale una volontà si sia comunque manifestata: significa mancanza di volontà determinatrice e giustificatrice, in quel rapporto, del danno sofferto.

E neppure significa che la locupletazione debba essere necessariamente conseguita dall'intervento d'un terzo che abbia trattato col danneggiato: perché la mancanza di volontà può ricorrere anche in un rapporto costituito e svoltosi direttamente tra danneggiato e arricchito.

c) danno altrui

È la diminuzione di valori che il terzo ha sofferto nel suo patrimonio e l'aumento che ne è conseguito al patrimonio del locupletato, in modo permanente e in forma specifica o per valori sostituiti.

Il contenuto e l'estensione da questo estremo sono correlativi, come si é visto, al contenuto e all'estensione dell'estremo dell'arricchimento.

Si tratta di un fatto economico che, nel suo duplice aspetto, la relazione al libro delle obbligazioni (n. 15) chiama esattamente “spostamento patrimoniale”. E tale espressione scolpisce anche il rapporto diretto di necessaria causalità che deve sussistere tra la locupletazione d'una delle parti e il danno risentito dall'altra.

Sarà l'indagine della fattispecie, che, in concreto varrà, poi, a determinare quel contenuto e quella estensione.


Diritto all'indennizzo e sua misura

Quando concorrono gli estremi ora esaminati, la cui prova sta a carico di chi pone l'azione — sorge nel danneggiato il diritto ad ottenere e nel Iocupletato l'obbligo di corrispondere un indennizzo — ovvero di restituire la cosa — per la diminuzione e per l'aumento patrimoniali, rispettivamente, sofferta e conseguito.

Il dovere di restituzione sorge, dunque, dallo squilibrio formatosi tra i due patrimoni, ed è destinato ad indennizzare tale squilibrio.

Ma qual è la misura dell'indennizzo? Dice l'art. 2041: « Nei limiti dell'arricchimento ». Ciò significa che, mediante l'indennizzo — o la restituzione della cosa — da parte dell'arricchito al danneggiato, dovrà essere ristabilita la situazione patrimoniale alterata dall'indebito trasferimento di valori dall'uno all'altro patrimonio. Con frase comprensiva si dice che l'indennizzo va pagato nella misura della minore somma fra lo speso e il migliorato. E non- è da escludere che, ricorrendone gli estremi, possa addivenirsi anche ad una sua valutazione equitativa in applicazione dell'art. 1226 c.c.

Sicché l'indennizzo corrisponderà, nella misura, al quatenus locupletior factus: vale a dire, che, ai fini della liquidazione dell'arricchimento, dovrà aversi riguardo all'effettivo vantaggio conseguito dal locupletato - precisamente a quanto si sia rivolto in anone in suo profitto - anziché alla perdita subita dal danneggiato: di modo che anche l’oggetto dell'azione non potrà eccedere quell'effettivo profitto.

Ne consegue che l'una e l'altro potranno essere comprensivi, oltreché dei valori che furono oggetto dell'arricchimento — denaro o cose— anche degli utili percetti, nonché d'ogni altro valore che il locupletato abbia potuto trarre da diritti eventualmente conseguiti: e, in ipotesi d'arricchimento di cosa determinata, comprensivo anche del risarcimento per l'avvenutane distruzione o per la sua sottrazione. Non potranno estendersi, invece, a un eventuale generico mancato incremento del patrimonio.

La Cassazione ha, però, affermato anche il principio che la presta­zione dovuta dall'arricchito senza giusta causa non è mai quella del debitore di moneta — cioè non è debito di valuta — ma è debito di valore perché ha per contenuto o la rifusione dei valori venuti meno nel patrimonio impoverito o l'adempimento specifico; che non gli si applica, perciò, il principio nomi­nalistico; e che nel ristabilire l'equivalenza tra l'indennità dovuta e la correlativa diminuzione patrimoniale, deve tenersi conto anche degli effetti della svalutazione della moneta.


Arricchimento di cosa determinata

Per l'ipotesi che oggetto dell'arricchimento sia stato una cosa determinata, il secondo comma dell'art. 2041 contiene una particolare dispo­sizione. Stabilisce, cioè, che quegli che ha ricevuto la cosa è tenuto a re­stituirla in natura, se sussista al tempo della domanda.

Per il concetto di cosa determinata mi riferisco a quanto ne ho detto nel com­mento all'art. 2037, sul pagamento dell'indebito.

C'è, però, una differenza nella struttura delle due disposizioni quando si afferma l'obbligo della restituzione: ché, mentre l'art. 2037 enuncia semplice­mente tale obbligo, la norma in mate sottolinea che la restituzione deve avvenire in natura.

Non ritengo che la differenza sia sostanziale. All'obbligo della restitu­zione d'una cosa determinata non si adempie che restituendola in natura. Perciò mi sembra che, sotto questo profilo, l'aggiunta di quest'ultima frase debba ritenersi pleonastica quante volte si tratti di restituire una cosa di cui l'arricchito è tuttora in possesso.

Penso, invece, che abbia un significato — e che in ciò stia lo scopo della precisazione contenuta nell'art. 2041 — nell'ipotesi in cui l'arricchito non sia più in possesso della cosa ricevuta nel momento in cui gli viene richiesta con l'azione d'arricchimento. Anche in tale ipotesi — s'è voluto precisare — egli ha l'obbligo di restituirla in natura recuperandola presso colui al quale l'abbia alienata.

La relazione al codice (n. 792) afferma esplicitamente tale obbligo. Del quale essendo, dunque, più ampio il contenuto e più rigorosa l'estensione rispetto all'obbligo posto a carico dell'accipiente alienante in materia di pagamento indebito (v. commento all'art. 2038) — era opportuno che l'uno e l'altra fossero particolarmente enunciati con una frase che ne facesse in­tendere la voluta diversità.

Naturalmente l'esistenza della cosa al tempo della domanda, è condi­zione essenziale per l'applicazione delle norme anzidette.

In mancanza — cioè nel caso di distruzione o perimento della cosa —subentrano l'obbligo e il diritto all'indennizzo nei limiti stabili dal primo com­ma dell'art. 2041: a meno che la cosa sia stata consumata o dispersa senza nulla produrre, nel quale caso resta esclusa — io penso — la locupletazione.

Nel caso di deterioramento ritengo che possa trovare applicazione ana­logica il secondo comma dell'art. 2037, in quanto dispone la restituzione della cosa coll'aggiunta d'una indennità per diminuitone valore.

Anche il miglioramento e le addizioni della cosa posseduta, e che viene restituita, formano materia dell'arricchimento senza causa e, perciò, oggetto della relativa azione: se possibile, per la loro restituzione in natura; altrimenti per conseguirne il corrispondente indennizzo.


L'azione: caratteri, presupposti, finalità

L'azione che nell'arricchimento senza causa, è data per conseguire l’indennizzo o la restituzione della cosa, si contraddistingue per il suo carattere generale e sussidiario, che le stesse norme in esame esplicitamente dichiarano.

Così il nuovo codice ha risolto in senso affermativo la questione, dibattuta sotto il codice abrogato, se l'ingiusto arricchimento potesse farsi valere, oltre ai casi espressamente previsti dalla legge, quante volte ricorressero gli elementi che ne costituivano il presupposto.

Carattere generale ha quell'azione perché ad essa si può ricorrere ogni volta che, per ristabilire l'equilibrio patrimoniale turbato dall'ingiusta locupletazione comunque avvenuta, la legge non appresta altro rimedio giuridico speciale.

Carattere sussidiario perché l'esercizio dell'azione, quale rimedio asso­lutamente autonomo, fondato sui principii d'equità e di solidarietà dei quali si è già detto, è subordinata all'impossibilità d'avvalersi di altra azione specifica prevista dalla legge pel raggiungimento della stessa finalità: quella, cioè dell'indennizzo o della restituzione della cosa.

L'azione di arricchimento soccorre, perciò, alla mancanza di un’altra specifica causa petendi che – in base a un vincolo ancora sussistente e generatore di reciproci diritti e di obbligazioni tra le parti — sia capace di ricondurre nel patrimonio, di chi rimase depauperato, ciò che fu trasfe­rito senza causa nel patrimonio di altro soggetto, e così di ristabilire un rap­porto di carattere reale tra il depauperato e il valore perduto.

Non ne ricorrerebbe quindi l'ammissione — com'era stato insegnato per l’actio de in rem verso - quando, in base a quel vincolo giuridico, fra arricchito e depauperato potesse sperimentarsi l'azione di responsabilità contrattuale o da quella aquiliana, anche qualora il loro svolgimento determinasse un vantaggio per una parte a danno dell'altra.

Su questo tema la relazione chiaramente precisa (n. 792) che il carattere sussidiario dell'azione significa ch'essa è proponibile nel caso in cui « il danneggiato, esercitando altra azione, non possa conseguire l'indennizzo per il pregiudizio subito (art. 204.2). È ovvio, infatti, che là dove si possa eliminare una situazione anormale con l'applicazione di una norma, il ricorso all'azione generale mancherebbe del suo presupposto, ossia del pregiudizio altrimenti evitabile ».

Dalla quale precisazione è dato ricavare che il carattere sussidiario del­l'azione — e quindi l'indagine che dev'essere fatta per ammetterne o non l'esercizio — entra in considerazione non soltanto ai fini dell'inesistenza di altra azione, apprestata come rimedio specifico dalla legge, ma anche dell’impossibilità, per qualunque motivo, d'avvalersene da parte del danneggiato: e, ove se n'avvalga, dell'esito negativo ch'egli possa ritrarre o abbia ritratto dall'azione particolare esperita.

Pare, quindi, che anche all’arricchimento senza causa sia applicabile il principio già dettato per l'azione d'indebito arricchimento, secondo il quale – ove, per le condizioni di insolvenza della persona contro la quale avrebbe potuto proporsi, o fu proposta, l’azione contrattuale, si fosse dimostrato vano l’esperimento - era ritenuta ammissibile l'azione d'indebito arricchimento contro quelle altre persone che si fossero giovate delle pre­stazioni date alla persona insolvente o ne avessero tratto, comunque, un van­taggio economico.

S'è già visto come la stessa relazione (n. 792) indichi taluni casi, in cui l'azione generale d'arricchimento non potrebbe essere esercitata, appunto perché la legge consente l'esperimento di azioni particolari della stessa na­tura: sono l'art. I190 (pagamento al Creditore incapace); l'art. 1443 (ripeti­zione contro il contraente incapace); l'art. 1769 (responsabilità del deposi­tario incapace); gli art. 2037 terzo comma e 2038 (restituzione e alienazione di cosa determinata in ipotesi di pagamento indebito).

Possono aggiungersi l'art. 1185, in ipotesi di pagamento anticipato, e l'art. 1502 comma primo, in ipotesi d'aumento del valore della cosa venduta su cui viene esercitato il diritto di riscatto convenzionale.

Presupposto necessario dell’azione è, poi, quello – come si è detto - che il profitto o la cosa sussistano ancora nel momento in cui essa viene proposta: in difetto mancherebbe l’interesse al suo esperimento.


Enunciazione di principi in materia di arricchimento senza causa nei confronti della pubblica amministrazione

Col codice abrogato vennero affermati taluni principii di carat­tere generale e che furono, poi, d'applicazione non contestata, sull'actio de in rem verso nei confronti della pubblica amministrazione.

Poiché non pare che l’azione di arricchimento senza causa del nuovo codice ne importi la revoca, o la modifica, si reputa opportuno farne, qui di seguito, un'enunciazione riassuntiva:

a) Presupposto necessario per la proponibilità dell'azione, contro la pubblica amministrazione, è il riconoscimento, da parte di questa, dell'uti­lità d'una prestazione o d'una cosa, ricevute da chi ne pretende l'indennizzo, nonché della mancanza d'ogni rapporto contrattuale — sia perché questo inesistente, sia perché non formato secondo le norme di legge che vincolano l’attività della pubblica amministrazione, sia perché contrario a quel riconoscimento;

b) Non occorre che il riconoscimento sia esplicito e risulti da un atto formale della pubblica amministrazione: può essere, invece, implicito e 1 ricavarsi dal comportamento univoco di essa in quanto abbia accettato il risultato economico della prestazione o della cosa ricevuta, e la loro utilizzazione secondo la naturale destinazione, risparmiando, in ogni caso, la spesa relativa che sarebbe ricaduta a suo carico;

c) Non costituisce, però, riconoscimento l'autorizzazione o il bene lo stare aventi finalità esclusivamente tecnica che la pubblica amministrazione, agendo coi poteri di vigilanza e di controllo che le sono propri, abbia dato per l'esecuzione di un'opera;

d) La prova del riconoscimento può essere tratta anche da atti della pubblica amministrazione (ad es. una deliberazione) non idonei, per difetto d'approvazione, a porre in essere un vincolo contrattuale.

e) Il riconoscimento dell' utilità - l' accertamento del quale nella sua esistenza e nei suoi effetti, trattandosi d'interpretare atti amministrativi, è di competenza dell'autorità giudiziaria ordinaria — rientra nel criterio discrezionale della pubblica amministrazione, e lo esaurisce: esso presuppone che la prestazione o la cosa siano state effettivamente accettate e utilizzate; nè basterebbe la sola possibilità di trarne un vantaggio futuro.

f) La successiva impugnativa in giudizio, da parte della pubblica amministrazione, dell'utilità conseguita, può essere disattesa dal magistrato, al quale — competente a farlo in base alle generali norme del diritto e ai mezzi ordinari di prova — non resta che determinare, in corrispondenza del reale vantaggio conseguito, la somma dovuta in concreto dalla pubblica amministrazione a titolo d'indennizzo.

Quando si tratti di opera pubblica si deve prescindere, in tale determinazione, l 'esistenza o meno del collaudo.

L'arricchimento della pubblica amministrazione può consistere tanto in un aumento di patrimonio, quanto nel risparmio d'una spesa necessaria evitata in conseguenza della prestazione o della cosa altrui: in concreto, non dev'essere commisurato all'ammontare della spesa sostenuta dal­l'attore per fare la sua prestazione, ma al valore dell'utilità ricavatane dalla pubblica amministrazione.

Relazione al Codice Civile

(Relazione del Ministro Guardasigilli Dino Grandi al Codice Civile del 4 aprile 1942)

Massime relative all'art. 2042 Codice Civile

Cass. civ. n. 5665/2021

In tema di fornitura e servizi prestati in favore degli enti locali senza l'osservanza del procedimento contabile previsto per l'assunzione di obbligazioni vincolanti per l'ente locale, ai sensi dell'art.23, comma 4, del d. l. n. 66 del 1989 conv. con mod. dalla l. n. 144 del 1989, sostituito dall'art. 35, comma 4, del d.lgs. n. 77 del 1995 poi modificato dall'art. 4 del d.lgs. n. 342 del 1997 , e trasfuso nell'art. 191 del d.lgs. n. 267 del 2000, il contraente privato fornitore non è legittimato a proporre l'azione diretta di indebito arricchimento verso l'ente pubblico per difetto del requisito di sussidiarietà mentre può esercitare l'azione ex art. 2041 c.c. nei confronti dello stesso ente "utendo iuribus" dell' amministratore suo debitore, agendo in via surrogatoria ex art. 2900 c.c. (contestualmente alla ed indipendentemente dalla) iniziativa nei confronti dell'amministratore onde assicurare e conservare le proprie ragioni quando il patrimonio di quest'ultimo non offra adeguate garanzie. In tal caso, il privato contraente ha l'onere di provare il fatto oggettivo dell'arricchimento in correlazione con il depauperamento dell'amministratore, senza che l'ente possa opporre il mancato riconoscimento della "utilitas", salva la possibilità per l'ente medesimo di dimostrare che l'arricchimento sia stato non voluto, non consapevole o imposto.

Cass. civ. n. 843/2020

Presupposto per proporre l'azione di ingiustificato arricchimento è la mancanza, accertabile anche di ufficio, di un'azione tipica, tale dovendo intendersi non ogni iniziativa processuale ipoteticamente esperibile, ma esclusivamente quella derivante da un contratto o prevista dalla legge con riferimento ad una fattispecie determinata, pur se proponibile contro soggetti diversi dall'arricchito. Ne consegue che è ammissibile l'azione di arricchimento quando l'azione, teoricamente spettante all'impoverito, sia prevista da clausole generali, come quella risarcitoria per responsabilità extracontrattuale ai sensi dell'art. 2043 c.c. (Cassa con rinvio, CORTE D'APPELLO SEZ.DIST. DI TARANTO, 23/05/2017).

Cass. civ. n. 11038/2018

Il carattere sussidiario dell'azione di indebito arricchimento comporta che essa non possa essere esperita, non soltanto quando sussista un'altra azione tipica esperibile dal danneggiato nei confronti dell'arricchito, ma anche quando vi sia originariamente un'azione sperimentabile contro persone diverse dall'arricchito che siano obbligate per legge o per contratto, secondo una valutazione da compiersi, anche d'ufficio, in astratto e perciò prescindendo dalla previsione del suo esito. (Nella specie, la S.C. ha ritenuto non esperibile l'azione di indebito arricchimento nei confronti di un Comune da parte dell'assuntore del servizio di custodia di auto rimosse e non ritirate, attesa la possibilità per quest'ultimo di procedere al recupero dei crediti nei confronti dei proprietari delle medesime auto).

Cass. civ. n. 30614/2018

L'azione generale di arricchimento non è proponibile quando il danneggiato avrebbe potuto esercitare un'azione tipica e questa si è prescritta.

Cass. civ. n. 26199/2017

L'azione generale di arricchimento ingiustificato ,avendo natura sussidiaria, può essere esercitata solo quando manchi un titolo specifico sul quale fondare un diritto di credito, con la conseguenza che il giudice, anche d’ufficio, deve accertare che non sussista altra specifica azione per le restituzioni ovvero per l’indennizzo del pregiudizio subito, contro lo stesso soggetto arricchito o contro soggetti terzi. (Nella specie, la S.C. ha confermato la sentenza di merito, che aveva respinto la domanda di ingiustificato arricchimento in relazione ad un servizio pubblico a favore di un comune, stante la possibilità di agire nei confronti del dipendente o dell’amministratore dell’ente che aveva consentito l'espletamento).

Cass. civ. n. 2350/2017

La proponibilità dell'azione generale di indebito arricchimento, in relazione al requisito di sussidiarietà di cui all'art. 2042 c.c., postula semplicemente che non sia prevista nell'ordinamento giuridico altra azione tipica a tutela di colui che lamenti il depauperamento, ovvero che la domanda sia stata respinta sotto il profilo della carenza “ab origine” dell'azione proposta, per difetto del titolo posto a suo fondamento. (Nella specie, la S.C. ha ricondotto a quest’ultima ipotesi il caso di un contratto concluso da ente pubblico e ritenuto invalido per difetto di previa delibera autorizzativa alla stipula).

Cass. civ. n. 4620/2012

Presupposto per proporre l'azione di ingiustificato arricchimento è la mancanza di una azione tipica, per tale dovendosi intendere o quella che deriva da un contratto, o quella che sia prevista dalla legge con riferimento ad una fattispecie determinata. Ne consegue che è ammissibile l'azione di arricchimento quando l'azione, teoricamente spettante all'impoverito, sia prevista da clausole generali, come la domanda di risarcimento del danno per responsabilità precontrattuale.

Cass. civ. n. 29916/2011

L'azione generale di arricchimento non è proponibile quando il danneggiato avrebbe potuto esercitare un'azione tipica e questa si è prescritta. (Principio affermato dalla S.C. riguardo alla domanda di ricalcolo dell'indennità premio di servizio, con computo del riscatto degli anni di laurea, avanzata da un dipendente USL oltre il termine di prescrizione quinquennale ex art. 19 del r.d. 2 novembre 1933, n. 2418).

Cass. civ. n. 4492/2010

Il carattere sussidiario dell'azione generale di arricchimento e la conseguente non proponibilità di essa da parte del danneggiato che abbia altro rimedio per farsi indennizzare del pregiudizio subito, non precludono la possibilità di introdurre l'azione stessa in via subordinata, per il caso in cui l'azione tipica proposta in via principale abbia esito negativo per carenza del titolo posto a suo fondamento

Cass. civ. n. 8020/2009

L'azione generale di arricchimento, presupponendo che la locupletazione di un soggetto a danno dell'altro sia avvenuta senza giusta causa, ha carattere sussidiario e, pertanto, è inammissibile nel caso in cui sia stata proposta domanda ordinaria, fondata su titolo contrattuale, senza offrire prove sufficienti all'accoglimento, oppure quando la domanda ordinaria, dopo essere stata proposta, non sia stata più coltivata dall'interessato. (Nella specie, il giudice di primo grado aveva rigettato la domanda fondata sul titolo contrattuale, accogliendo quella ex art. 2041 c.c., proposta in via alternativa; avendo il convenuto proposto appello, e non avendo l'attore riproposto la prima domanda ai sensi dell'art. 346 c.p.c., la S.C., in applicazione dell'anzidetto principio, ha confermato la sentenza di appello, che aveva rigettato anche la seconda domanda).

Cass. civ. n. 28042/2008

L'azione di arricchimento senza causa ha carattere sussidiario ed è quindi inammissibile, ai sensi dell'art. 2042 cod. civ., allorché chi la eserciti, secondo una valutazione da compiersi in astratto e perciò prescindendo dalla previsione del suo esito, possa esercitare un'altra azione per farsi indennizzare il pregiudizio subito. (Principio affermato dalle S.U. in materia di revisione del prezzo nell'appalto di opere pubbliche, potendo l'appaltatore far valere la propria pretesa con apposita azione avanti all'A.G.O. o al G.A., a seconda che la situazione giuridica azionata sia configurabile quale diritto soggettivo o interesse legittimo).

Cass. civ. n. 20747/2007

L'azione di arricchimento senza causa, ai sensi dell'art. 2041 c.c., ha carattere sussidiario e, quindi, non è proponibile quando il danneggiato può esercitare azioni tipiche per farsi indennizzare del pregiudizio subito; la valutazione dell'esistenza delle altre azioni va effettuata in astratto, prescindendo dall'esito concreto delle stesse. (Nella specie, è stata confermata la decisione di merito che, in tema di contratti agrari, aveva rigettato la domanda di pagamento dell'indennizzo di cui all'art. 2041 c.c., essendo proponibile l'azione specifica per il pagamento dell'indennità di miglioramento fondiario prevista dall'art. 17 della legge n. 203 del 2002; la S.C. ha anche affermato la diversità delle due azioni quanto ai fatti materiali ed all'oggetto delle rispettive pretese, poiché mentre l'indennizzo per i miglioramenti dev'essere rapportato all'aumento del valore di mercato conseguito dal fondo a seguito dei miglioramenti effettuati, l'indennizzo per arricchimento senza causa dev'essere rapportato, nei limiti dell'arricchimento ricevuto dal concedente, all'importo della diminuzione patrimoniale, cioè alle spese sostenute dall'affittuario).

Cass. civ. n. 17647/2007

L'azione di arricchimento può essere proposta in via subordinata rispetto all'azione contrattuale proposta in via principale soltanto qualora l'azione tipica dia esito negativo per carenza ab origine dell'azione stessa derivante da un difetto del titolo posto a suo fondamento, ma non anche nel caso in cui il contratto dedotto in giudizio, validamente stipulato tra le parti, si sia rivelato improduttivo di effetti a causa del mancato avveramento della condizione ad esso apposta con il conseguente rigetto nel merito della domanda di adempimento proposta sulla base dell'asserito fittizio avveramento della condizione.

Cass. civ. n. 11835/2003

L'azione generale di arricchimento non può essere proposta quando il soggetto che si è arricchito è diverso da quello con il quale chi compie la prestazione ha un rapporto diretto, in quanto in questo caso l'eventuale arricchimento costituisce solo un effetto indiretto o riflesso della prestazione eseguita, essendo altresì carente anche il requisito della sussidiarietà (art. 2042, c.c.), che non sussiste qualora il danneggiato possa esperire un'azione tipica nei confronti dell'arricchito o di altri soggetti, che siano obbligati nei suoi confronti ex lege o in virtù di un contratto. (Nella specie, la S.C. ha confermato la sentenza di merito che aveva escluso l'esperibilità dell'azione di arricchimento nei confronti del proprietario del suolo da parte di un soggetto che aveva realizzato su di esso delle opere su incarico conferitogli da un terzo).

Cass. civ. n. 6647/2002

L'azione di indebito arricchimento, ai sensi dell'art. 2042 c.c., ha carattere sussidiario e non è esercitabile quando il danneggiato possa esperire un'altra azione tipica nei confronti dell'arricchito o di altre persone che siano obbligate per legge o per contratto nei confronti dell'impoverito, sempre che ricorra l'unicità del fatto costitutivo dell'arricchimento e dell'impoverimento; pertanto, nel caso in cui il direttore dei lavoro di appalto, commissionati ad un ente pubblico, disponga l'esecuzione di opere extracontratto agendo quale falsus procurator dell'ente, l'appaltatore può farsi indennizzare da questi, ai sensi dell'art. 1398 c.c., del pregiudizio subito, con conseguente improponibilità dell'azione sussidiaria di ingiustificato arricchimento.

Cass. civ. n. 6299/2000

L'azione generale di arricchimento ha natura complementare e sussidiaria, potendo essere esercitata solo quando manchi un titolo specifico sul quale possa essere fondato un diritto di credito, talché si differenzia da ogni altra azione, sia per presupposti che per limiti oggettivi, ed integra un'azione autonoma per diversità di petitum e di causa petendi rispetto alle azioni fondate su titolo negoziale o di altro genere. Ne consegue che il giudice al quale è richiesta l'emissione di una condanna al pagamento di somma di denaro a titolo d'indennità di requisizione non può accogliere la domanda stessa a titolo di arricchimento senza causa, né può ritenere la domanda di arricchimento implicitamente contenuta in quella espressamente formulata.

Cass. civ. n. 7285/1996

La proponibilità dell'azione generale di arricchimento, la cui esperibilità va valutata in astratto, deve essere negata tutte le volte che il depauperato abbia a disposizione altra azione utile per farsi indennizzare del pregiudizio subito, a nulla rilevando che sia decaduto da essa o sia rimasto soccombente in giudizio per ragioni di rito o di merito, purché queste ragioni non attengano proprio all'originaria esercitabilità dell'azione, come nel caso in cui la pretesa basata su un contratto sia stata respinta per nullità del negozio stesso dovuta a difetto di forma o ad altra causa relativa alla carenza originaria dell'azione per difetto del titolo posto a suo fondamento.

Cass. civ. n. 6981/1986

La proponibilità dell'azione generale di arricchimento, in relazione al requisito di sussidiarietà di cui all'art. 2042 c.c., non è esclusa dall'esperimento con esito negativo di altra azione tipica, qualora la relativa domanda sia stata respinta sotto il profilo della carenza ab origine dell'azione stessa (nella specie ex contractu) per difetto del titolo posto a suo fondamento. Pertanto, il rigetto della domanda di adempimento contrattuale, pronunziato per la mancanza delle particolari forme prevedute ad substantiam in relazione all'invocato contratto (nella specie: contratto d'opera professionale tra un comune e un ingegnere per la predisposizione di un progetto di costruzione), non preclude all'attore la possibilità di esperire l'azione di arricchimento nei confronti di chi abbia lucrato la prestazione eseguita nonostante l'inoperatività del vincolo contrattuale.

Cass. civ. n. 1073/1974

L'azione prevista dall'art. 2041 c.c. ha carattere sussidiario, e a norma del successivo art. 2042 non può essere esperita non soltanto ove sussista altra azione del danneggiato contro l'arricchito, ma anche quando l'azione sia esperibile contro persone diverse, che sarebbero obbligate per legge o per contratto.

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Tiziana A. chiede
giovedì 22/03/2018 - Lazio
“Tizio introduce un giudizio nei confronti di Caio chiedendone una condanna ex art.2041 C.C. per somme pretese in forza di una scrittura privata.
Domanda poi irritualmente mutata all'udienza di precisazione delle conclusioni in azione di accertamento del verificarsi della condizione prevista nella scrittura con conseguente condanna ex art.2041 C.C. alle somme asseritamente dovutegli.
Il Tribunale rigetta la domanda per inammissibilità dell'azione di arricchimento senza titolo in presenza di una azione tipica (inadempimento contrattuale).
Tizio può riproporre la domanda avvalendosi dell'azione tipica?”
Consulenza legale i 29/03/2018
Effettivamente l’art. 2041 c.c. è norma di chiusura: l’azione di arricchimento senza causa può essere esperita solamente quando l’arricchimento di un soggetto in danno di un altro soggetto non possa trovare adeguata tutela attraverso altro rimedio giuridico (art. 2042 c.c.)

Uno degli elementi costitutivi della fattispecie è proprio l’assenza di altra azione esercitabile, da intendersi come assenza in astratto e non in concreto, ovverosia quando non esista una norma di legge per il caso specifico e non nel caso in cui un altro rimedio esista ma non sia più esercitabile (ad es. per prescrizione o decadenza).

Ciò posto, stando a quanto deciso dal giudice sarebbe stato necessario proporre un’azione per l’adempimento contrattuale delle obbligazioni sancite nella scrittura privata, e non invece l'azione prevista dall'art. 2041 c.c. in quanto c'era un titolo che fondava le pretese.

Senonché, sui fatti posti a fondamento della domanda si è già svolto un giudizio che, si ritiene, non può più ripetersi poiché la materia resta coperta dal giudicato.
La sentenza passata in giudicato rende incontestabile l'esistenza ovvero l'inesistenza (come in questo caso) del diritto fatto valere in giudizio, facendo sì che di esso non possa tornare a discutersi in un altro processo su fatti dedotti nel giudizio in cui venne resa la sentenza, oppure che avrebbero potuti esser dedotti.
Il Giudice nella sentenza di cui si discorre, ha definito una volta per tutte la situazione sostanziale oggetto del procedimento.

Si dice, infatti, che il giudicato copre il dedotto ed il deducibile (cfr. Protopisani “Lezioni di diritto processuale civile”).

L’oggetto del giudizio non è costituito dalla qualificazione giuridica dei fatti (iura novit curia, facta sunt probanda), ma dai fatti costitutivi della pretesa fatta valere in giudizio; ne deriva che un’azione promossa con riferimento a determinati fatti costitutivi non cambia per il solo fatto che venga qualificata in altro modo.
Il giudicato copre anche i fatti costitutivi dedotti ovvero che potevano essere dedotti, e cioè la causa petendi concreta, non con astratto riferimento alla norma di legge richiamata.

Dal momento che la domanda è stata mutata durante il procedimento sembrerebbe che i fatti posti a fondamento delle due domande ed i presupposti logico-giuridici sui quali si fondano, siano uguali, ragione che ci porta a ritenere che non potrà essere esperito un nuovo procedimento per richiedere l’adempimento contrattuale.
Sebbene il giudice abbia rigettato la domanda solamente perché vi erano rimedi tipici esperibili, sembrerebbe che questi si sia pronunciato sui fatti costitutivi del caso di specie, in particolare con riguardo a questa scrittura privata. Circostanza che rende impossibile la riproposizione di una nuova domanda sui medesimi fatti, poiché avrebbe ad oggetto i medesimi presupposti logico-giuridici dell'altro e vedrebbe violato il divieto di ne bis in idem.

Tuttavia occorrerebbe conoscere e valutare attentamente meglio quanto dedotto dall’attore, quanto eccepito dal convenuto e quanto poi statuito dal Giudice per comprendere se effettivamente l’azione per l’adempimento contrattuale possa o non possa essere proposta in un successivo giudizio.