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Articolo 144 Codice Civile

(R.D. 16 marzo 1942, n. 262)

[Aggiornato al 25/09/2024]

Indirizzo della vita familiare e residenza della famiglia

Dispositivo dell'art. 144 Codice Civile

I coniugi concordano(1) tra loro l'indirizzo della vita familiare e fissano la residenza della famiglia(2) secondo le esigenze di entrambi e quelle preminenti della famiglia stessa [29 Cost].

A ciascuno dei coniugi spetta il potere di attuare l'indirizzo concordato(3).

Note

(1) Per le decisioni fondamentali ed essenziali, i coniugi dovranno agire d'accordo; tale negozio giuridico è doveroso e vincolante, pena l'applicazione dell'art. 145 del c.c. che rimette al giudice competente le decisioni sul tenore di vita e sulla contribuzione per i bisogni familiari; extrema ratio (anche dal punto di vista statistico, trovando l'articolo testé citato rara applicazione pratica) risulterà essere la richiesta di separazione personale.
(2) Per residenza familiare si intende quella dei coniugi, la quale rileva altresì ai fini fiscali (si pensi al concetto di prima casa, rilevante per le relative agevolazioni). Infatti, pur potendo i coniugi conservare differenti residenze individuali ai sensi dell'art. 43 del c.c., il soggetto "famiglia" dovrà risiedere (ai fini fiscali, ma la ratio è estensibile) immediatamente o nei diciotto mesi dall'acquisto nel Comune in cui è ubicato l'immobile (si vedano Cass. 28 gennaio 2009 ord. n. 2109; Cass. 8 settembre 2003 n. 13085 e Cass. 28 ottobre 2000 n. 14237). La scelta della residenza familiare, inoltre, deve salvaguardare le esigenze di ambo i coniugi e "quelle preminenti della serenità della famiglia" (Cass. sez. I, n. 24574/2008).
(3) Con la formulazione del co. 2 il legislatore ha sottratto l'imperio unilaterale del singolo coniuge nell'attuare in maniera "sorda e rigida" (così Cass. sez. I 17710/2005) l'indirizzo della vita familiare: l'obbligo di concordare dapprima l'indirizzo, ed in seguito - pur se singolarmente - esplicarlo nei modi e nei limiti adottati d'intesa, costituiscono espressione della raggiunta parità tra i coniugi (oltretutto configurandosi, in determinati casi, una responsabilità solidale per le obbligazioni contratte nell'interesse della famiglia - Cass. 3471/2007).

Relazione al Codice Civile

(Relazione del Ministro Guardasigilli Dino Grandi al Codice Civile del 4 aprile 1942)

Massime relative all'art. 144 Codice Civile

Cass. civ. n. 18602/2021

Costituisce illecita sottrazione internazionale di minori, ai sensi della Convenzione dell'Aja del 25 ottobre 1980, il trasferimento o il mancato rientro di un minore ad opera di uno dei genitori, senza il consenso dell'altro, in un luogo di residenza diverso da quello stabilito come dimora abituale del figlio, in virtù di un accordo transattivo che disciplini altresì la titolarità e l'esercizio del diritto di custodia, sottoscritto nel corso di un procedimento giurisdizionale avanti al tribunale dello Stato europeo competente, potendo l'ordine di rientro del minore essere legittimamente rifiutato solo in presenza delle condizioni ostative di cui all'art. 13 della Convenzione dell'Aja consistenti o nel mancato esercizio del diritto di affidamento in sede di trasferimento o di rientro o nel fondato rischio di un pregiudizio per il minore. (Nella specie, la S.C. ha cassato il provvedimento del giudice di merito, che aveva negato si fosse verificata un'ipotesi di sottrazione di minori da parte della madre che aveva condotto la figlia in Italia, senza il consenso del padre, non ritenendo vincolante un accordo sottoscritto dai genitori nel corso di un procedimento per l'affidamento della figlia avanti al tribunale di Bruxelles - nel quale la residenza abituale della minore era stata fissata in Belgio presso il padre).

Cass. civ. n. 28534/2020

Ai fini della spettanza delle detrazioni e riduzioni dell'imposta previste per l'unità immobiliare adibita ad abitazione principale del soggetto passivo dal D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 8, non basta che il coniuge abbia trasferito la propria residenza nel comune in cui l'immobile è situato ma occorre che in tale immobile si realizzi la coabitazione dei coniugi, atteso che, considerato che l'art. 144 c.c., prevede che i coniugi possano avere esigenze diverse ai fini della residenza individuale e fissare altrove quella della famiglia, ciò che assume rilevanza, per beneficiare di dette agevolazioni, non è la residenza dei singoli coniugi bensì quella della famiglia.

Cass. civ. n. 13335/2016

In tema d'imposta di registro e dei relativi benefici per l'acquisto della prima casa, il requisito della residenza va riferito alla famiglia, per cui ove l'immobile acquistato sia adibito a tale destinazione non rileva la diversa residenza di uno dei coniugi in regime di comunione legale, essendo gli stessi tenuti non ad una comune sede anagrafica, ma alla coabitazione; va, tuttavia, accertata l'effettiva destinazione a residenza principale della famiglia e, cioè, la coabitazione dei coniugi nell'immobile, non essendo sufficiente che uno solo di essi abbia trasferito la sua residenza nel relativo comune di ubicazione.

Cass. civ. n. 25892/2015

In tema di agevolazioni fiscali per l'acquisto della prima casa in regime di comunione dei beni, il trasferimento, nei termini di legge, della residenza di un solo coniuge ne consente il godimento anche all'altro.

Il requisito della residenza, ai fini dell'agevolazione "prima casa", va riferito alla famiglia, per cui, ove l'immobile acquistato venga adibito a residenza della famiglia, non rileva la diversa residenza del coniuge di chi ha acquistato in regime di comunione; in particolare, i coniugi non sono tenuti ad una comune residenza anagrafica, ma reciprocamente alla coabitazione. Quindi, una interpretazione della legge tributaria conforme ai principi del diritto di famiglia induce a considerare che la coabitazione con il coniuge costituisce un elemento adeguato a soddisfare il requisito della residenza ai fini tributari, in quanto ciò che conta non è tanto la residenza dei singoli coniugi, quanto quella della famiglia. Infatti, l'art. 144 c.c., secondo il quale i coniugi fissano la residenza della famiglia secondo le esigenze di entrambi e quelle preminenti della famiglia stessa (che è una esplicitazione ed una attuazione della più ampia tutela che l'art. 29 Cost. assegna alla famiglia), mentre da una parte riconosce che i coniugi possano avere delle esigenze diverse ai fini della residenza individuale, dall'altra tende a privilegiare le esigenze della famiglia, quale soggetto autonomo rispetto ai coniugi. Pertanto, anche la norma tributaria va letta ed applicata nel senso che diventa prevalente l'interesse della famiglia rispetto a quello dei singoli coniugi, per cui il metro di valutazione dei requisiti per ottenere il beneficio deve essere diverso in considerazione della presenza di un'altra entità, quale la famiglia.

In tema di imposta di registro e di relativi benefici per l'acquisto della prima casa, il requisito della residenza va riferito alla famiglia, per cui ove l'immobile acquistato sia adibito a tale destinazione non rileva la diversa residenza di uno dei due coniugi che abbiano acquistato in regime di comunione, essendo essi tenuti non ad una comune sede anagrafica ma alla coabitazione.

Cass. civ. n. 6132/2015

Posto che la scelta della residenza del minore va adottata tenendo conto in via esclusiva del suo interesse, il giudice può confermare quella pur illegittimamente ed unilateralmente individuata da uno solo dei genitori, ma che comunque reputi in concreto corrispondente all'interesse del minore medesimo (nella specie, la Suprema corte ha confermato la pronuncia di merito che, pur affidando provvisoriamente il minore, nato fuori dal matrimonio dei genitori, al comune del luogo di residenza, aveva però rigettato la domanda del padre, di ritrasferimento del figlio a Milano da Roma, dove la madre, violando il regime di affido condiviso, lo aveva condotto unilateralmente, e senza la previa autorizzazione del giudice, avendo quel giudice accertato che il minore da un lato si era ormai radicato, da anni, nella capitale, dall'altro che egli non aveva un buon rapporto con il padre, sicché il richiesto ritrasferimento sarebbe stato per lui negativo).

Le decisioni riguardanti i figli minori, compresa la scelta della sua residenza, non devono tenere conto degli interessi dei genitori, ma esclusivamente dell'interesse del minore stesso, anche nei casi in cui questo possa eventualmente coincidere, in via di fatto, con quello di uno dei genitori affidatari che non abbia rispettato il metodo di accordo in tema di indirizzo della vita familiare fissato dall'art. 144 c.c., applicabile anche per la scelta della residenza del figlio affidato ad entrambi i genitori in modo condiviso dopo la separazione tra i coniugi o l'interruzione della convivenza tra i genitori non coniugati.

Cass. civ. n. 17199/2013

Non può costituire motivo di addebito della separazione la circostanza che uno dei coniugi, pur non avendone la necessità, per essere l'altro disposto ad assicurargli con le proprie risorse il mantenimento di un tenore di vita adeguato al livello economico-sociale del nucleo familiare, abbia voluto dedicarsi ad una attività lavorativa retribuita o ad un'altra occupazione più o meno remunerativa ed impegnativa, al fine di affermare la propria personalità anche al di fuori dell'ambito strettamente domestico, purché tale decisione non comporti una violazione dell'ampio dovere di collaborazione gravante su entrambi i coniugi, in quanto contrastante con l'indirizzo della vita familiare da essi concordato prima o dopo il matrimonio, e non pregiudichi l'unità della famiglia, in quanto incompatibile con l'adempimento dei fondamentali doveri coniugali e familiari.

Cass. civ. n. 24574/2008

Nel giudizio di separazione personale, ove venga dedotto come causa di addebitabilità della separazione il mancato accordo sulla fissazione della residenza familiare, il giudice di merito, al fine di valutare i motivi del disaccordo, deve tenere presente che l'art. 144 c.c. rimette la scelta relativa alla volontà concordata di entrambi i coniugi, con la conseguenza che questa non deve soddisfare solo le esigenze economiche e professionali del marito, ma deve soprattutto salvaguardare le esigenze di entrambi i coniugi e quelle preminenti della serenità della famiglia. (In applicazione del predetto principio, la S.C. ha cassato la sentenza del giudice di merito, che aveva tenuto conto unicamente delle esigenze economiche e lavorative prospettate dal marito, omettendo di valutare quelle, offerte dalla moglie, inerenti al suo stato di gravidanza ed all'imminente maternità).

Cass. civ. n. 19947/2004

La moglie, di regola, è responsabile in proprio per le obbligazioni da lei contratte nell'interesse della famiglia; il marito, tuttavia, è responsabile delle obbligazioni contratte in suo nome dalla moglie oltre che nei casi in cui egli le abbia conferito, in forma espressa o tacita, una procura a rappresentarlo, tutte le volte in cui sia stata posta in essere una situazione tale da far ritenere, alla stregua del principio dell'apparenza giuridica, che la moglie abbia contratto una determinata obbligazione non già in proprio, ma in nome del marito. (Nella specie, relativa al contratto stipulato dalla resistente con un artigiano per un trasloco, la S.C ha confermato la sentenza di merito che aveva escluso la sussistenza di un obbligo del marito, non essendo emerso nè che la moglie avesse assunto l'obbligazione in nome del coniuge, nè che la stessa avesse da lui ricevuto mandato, nè che sussisteva una situazione di apparenza giuridica che facesse ritenere che ella operasse per conto del marito, nè infine che fosse emersa una responsabilità del coniuge ai sensi degli artt. 143 e 144 cod. civ. per obbligazioni relative all'indirizzo concordato).

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Consulenze legali
relative all'articolo 144 Codice Civile

Seguono tutti i quesiti posti dagli utenti del sito che hanno ricevuto una risposta da parte della redazione giuridica di Brocardi.it usufruendo del servizio di consulenza legale. Si precisa che l'elenco non è completo, poiché non risultano pubblicati i pareri legali resi a tutti quei clienti che, per varie ragioni, hanno espressamente richiesto la riservatezza.

Anonima chiede
mercoledì 13/03/2024
“Salve vorrei esporvi un problema tra me e mio marito circa la nostra residenza. Facendo riferimento all’ art. 144 del c.c. “La residenza della famiglia va concordata tra i coniugi”. Ebbene, noi da ormai 10 anni viviamo nella casa di proprietà di mio marito che gli è stata donata tramite donazione indiretta, in pratica suo padre all’atto di acquisto ha intestato la casa al figlio pagando l’intera somma. Questo è successo molti anni prima che io e mio marito ci conoscessimo.
Negli ultimi 4 anni sono nate anche le nostre 2 figlie. Il problema è che i miei suoceri vivono nello stesso pianerottolo, la porta accanto, e le nostre camere sono confinanti, come i nostri balconi che addirittura sono uniti senza separazione. Io vivo un profondo disagio dovuto alla mancanza di privacy e alle continue ingerenze (seppur operate in maniera affettuosa), tanto da sentirmi continuamente condizionata all’interno della casa. I suoceri bussano alla porta a qualsiasi ora del giorno, rompendo spesso l’equilibrio familiare, e monitorano ogni nostra uscita ed entrata dall’abitazione, affacciandosi sul pianerottolo, cercando quotidianamente di interessarsi ai nostri movimenti. Da dentro casa posso chiaramente udire i loro discorsi, e mi aspetto che loro facciano lo stesso. Soprattutto le due camere da letto delle abitazioni hanno i muri confinanti, e d’estate siamo costretti a dormire con le finestre chiuse e il condizionatore accesso, senza che l’utilizzo di quest’ultimo sia necessario, proprio per non sentire le loro voci.
Da ormai 4 anni chiedo a mio marito di cambiare casa, per avere finalmente un nido nostro dove realizzare la serenità e l’indipendenza della nostra famiglia, ma lui si rifiuta categoricamente, totalmente sordo alle mie esigenze, e sminuendo il mio malessere. Le sue motivazioni sono che non vuole accendere un mutuo visto che la casa (gratis) ce l’abbiamo già, e che un mutuo cambierebbe le abitudini della nostra vita, e poi perché non vuole allontanarsi dai genitori. Piange quando entriamo nel discorso casa, e si rifiuta di parlarne.
Oltre al discorso privacy c’è il problema zona della casa.
Io lavoro a circa 10 km, e per raggiungere il posto di lavoro devo percorrere una statale super trafficata nelle ore di punta (orario in cui tutti vanno a lavorare), e impiego circa 45 minuti la mattina per arrivare in ufficio. Quando non c’erano le bimbe ci davo meno peso, ma adesso devo pensare a loro, prepararle e portare ognuna nel proprio asilo. Allo stesso tempo mio marito lavora fuori provincia, e va via la mattina e torna la sera non prima delle 19:00. Delegando totalmente a me la gestione quotidiana delle figlie, e per fare tutto ciò ho dovuto chiedere la trasformazione del mio contratto di lavoro che adesso è part time. Ho espresso a mio marito più volte anche questo concetto della scomodità della zona, che richiede sempre l’utilizzo della macchina per le più svariate attività. Lui lavora fuori provincia, a 40 km, vive poco la casa e praticamente nulla la città, e dovrei essere agevolata io come mamma che lavoro invece nella città dove risediamo. Ritengo che anche a me spetti scegliere il luogo dove dobbiamo vivere, in quanto tutti gli impegni di danza e scuola delle figlie li gestisco io.
Ho affrontato con lui mille volte il discorso del cambio casa, gli ho fatto vedere più volte immobili che potevano essere giusti per noi, senza pretendere nessun lusso, case normali con gli spazi giusti per una famiglia di 4 persone.
Mio marito dice che non può affittare la casa dove viviamo (se lo facesse potremmo abbattere del tutto la rata del mutuo), perché non vuole mettere estranei vicino ai genitori, e nemmeno vuole venderla, perché i suoi genitori non sarebbero d’accordo. Pur che tecnicamente potrebbe fare tutto in quanto la casa è intestata a lui.
Tra l’altro dice che anche se trovassimo una casa quella sarebbe fiscalmente una seconda casa, in quanto questa in cui viviamo, che è stata donata in via indiretta dai suoi genitori, risulta prima casa. E siccome non vuole alienarla, la nostra futura casa sarebbe comunque una seconda casa, con tutti gli oneri che comporta. E’ davvero così?
Come posso far valere i miei diritti? Può mio marito decidere unilateralmente dove vivere e come vivere, alle condizioni che vi ho descritto? Io non voglio arrivare alla separazione, vorrei superare nel modo più giusto questo grande problema. Grazie per l’attenzione.”
Consulenza legale i 21/03/2024
Iniziamo col rispondere alla parte del quesito di carattere civilistico, osservando che l’art. 143 c.c. stabilisce che “con il matrimonio il marito e la moglie acquistano gli stessi diritti e assumono i medesimi doveri”.
La stessa norma elenca, subito dopo, una serie di obblighi reciproci dei coniugi.
La posizione di sostanziale parità tra i coniugi all’interno del matrimonio è ribadita, per quanto qui specificamente interessa, dall’art. 144 c.c., ai sensi del quale “i coniugi concordano tra loro l'indirizzo della vita familiare e fissano la residenza della famiglia secondo le esigenze di entrambi e quelle preminenti della famiglia stessa. A ciascuno dei coniugi spetta il potere di attuare l'indirizzo concordato”.
È dunque evidente - per rispondere alle domande formulate nel quesito - che il marito non può decidere unilateralmente dove e come debba svolgersi la vita familiare.
Da ciò discende anche, tra l’altro, che non possono essere riversati esclusivamente sulla moglie i compiti di cura della casa e accudimento dei figli, così come non deve necessariamente essere la moglie a sacrificare le proprie aspettative professionali ed esigenze lavorative in funzione di quelle del marito.

Per quanto riguarda lo strumento per far valere i propri diritti, da un punto di vista giuridico possiamo dire che sempre il codice civile, all’art. 145, prevede la possibilità di rivolgersi a un giudice per tentare di comporre - cioè di risolvere - proprio questo tipo di contrasti, senza però arrivare a una separazione (cui si arriva, invece, in caso di rottura insanabile di quella che viene chiamata “affectio coniugalis”).
In particolare, l’art. 145 c.c., nel testo risultante a seguito delle recenti modifiche legislative (c.d. riforma Cartabia), stabilisce che, in caso di disaccordo, ciascuno dei coniugi può chiedere, senza formalità, l'intervento del giudice.
Il giudice, sentite le opinioni espresse dai coniugi e dai figli conviventi che abbiano compiuto gli anni dodici (o anche di età inferiore ove “capaci di discernimento”), tenterà di raggiungere una soluzione concordata.
Laddove, invece, non sia possibile raggiungere un compromesso e il disaccordo riguardi “la fissazione della residenza o altri affari essenziali”, il giudice potrà adottare la soluzione ritenuta “più adeguata all'interesse dei figli e alle esigenze dell'unità e della vita della famiglia”. Tuttavia, ciò potrà avvenire solo se uno o entrambi i coniugi richiedano espressamente che sia il giudice a decidere in tal senso.

Passiamo ora alla parte della consulenza di rilievo fiscale. Circa gli oneri sulla seconda casa si specifica quanto segue.
Il principale riflesso del possedere più di un immobile lo si ha in termini di versamento IMU, oltre che di Irpef in capo al soggetto proprietario che dovrà dichiarare l’immobile nella propria dichiarazione dei redditi.
Ai fini IMU l’imposta è dovuta sul possesso di immobili, ad eccezione dell’abitazione principale alla condizione che la stessa non rientri tra le categorie catastali A/1, A/8, A/9 (rispettivamente abitazioni di tipo signorile, abitazione in villa e castelli, palazzi di eminenti pregi).
Il tema centrale è quindi quello di individuare quale deve essere considerata l’abitazione principale, posto che solo su quest’ultima non è dovuta l’IMU.
Ai fini IMU, secondo l’art. 1, comma 741 della L. 160/2019, l’abitazione principale è “l’immobile nel quale il possessore e il suo nucleo familiare dimorano abitualmente e risiedono anagraficamente”. Per l’esenzione IMU è pertanto necessario che il possessore trasferisca nell’immobile la residenza anagrafica (requisito formale) e che vi dimori abitualmente (il possessore deve abitare effettivamente nell’immobile per la maggior parte dell’anno).
Ai fini IMU, quindi, qualora si dovesse acquistare un altro immobile, trasferirci la residenza e abitarlo, la nuova abitazione non sconterebbe l’imposta. A questo punto il marito, se risulta titolare di altri immobili, dovrà corrispondere l’IMU su tali immobili (casa donata dai genitori, che a quel punto non sarebbe più né la residenza né il luogo di dimora abituale). Tecnicamente pertanto sarebbe la “vecchia” abitazione a divenire ai fini fiscali “seconda casa”.
Qualora ci si accingesse all’acquisto di una nuova abitazione, si dovrebbe inoltre valutare se sia possibile acquistarla usufruendo dei benefici prima casa, con un abbattimento delle imposte di registro, ipotecaria e catastale. In questa sede, infatti, non si hanno gli elementi per verificarne in concreto la spettanza.

RAMONA Z. chiede
mercoledì 16/12/2020 - Lazio
“Buongiorno attualmente io e il mio compagno conviviamo, siamo domiciliati in un residence a Roma e abbiamo la residenza disgiunta in un'altra città, lui a casa dei genitori e io a casa di mia sorella (non avendo più i miei genitori, nè una casa di proprietà) la quale è sposata con due bambini. A settembre 2021 ci sposeremo, ma vorremmo affittare un appartamento insieme dopo il matrimonio (circa 3-4 mesi dopo) e quindi prendere la residenza insieme dopo il matrimonio. Tutto ciò è possibile o dobbiamo obbligatoriamente prendere residenza insieme prima del matrimonio?
grazie”
Consulenza legale i 23/12/2020
Va premesso che l’art. 43 c.c. distingue i concetti di domicilio e residenza, definendo, in particolare, quest’ultima come il luogo in cui la persona ha la dimora abituale.
Inoltre, l’art. 143 c.c. prevede, tra i doveri nascenti dal matrimonio, quello della coabitazione.
Tuttavia, non viene posto a carico dei coniugi l'obbligo di avere o mantenere una residenza congiunta: anzi, è piuttosto frequente nella pratica che, per motivi che possono essere i più disparati (ad esempio esigenze di lavoro), i coniugi abbiano residenze separate.
In materia l’art. 144 c.c. stabilisce che “i coniugi concordano tra loro l'indirizzo della vita familiare e fissano la residenza della famiglia secondo le esigenze di entrambi e quelle preminenti della famiglia stessa”. In proposito, la Cassazione (Sez. I Civile, sent. n. 24574/2008), ha precisato che “l'art. 144 cod. civ. rimette la scelta relativa alla volontà concordata di entrambi i coniugi, con la conseguenza che questa [...] deve soprattutto salvaguardare le esigenze di entrambi i coniugi e quelle preminenti della serenità della famiglia”.
Non vi sono pertanto ostacoli alla fissazione da parte dei coniugi di residenze diverse, peraltro per esigenze temporanee, come sembra evincersi dal quesito.

Gaetano B. chiede
giovedì 05/05/2016 - Lazio
“Lui, libero professionista, proprietario di un immobile (1^casa-mutuo estinto) sposa (in comunione di beni) lei, impiegata, proprietaria anche essa, nello stesso Comune, di un immobile (1^ casa-mutuo estinto). I due, pur vivendo insieme da decenni in uno e usando l'altro come supporto al lavoro di lui, mantengono a tutt'oggi le rispettive residenze. Si chiede : ai fini fscali, come vanno considerati i 2 imm.li ? Entrambi 1^ casa oppure 1^ + 2^ casa ? Anagraficamente, come nucleo familiare (senza figli), debbono rivedere qualcosa ? Grazie e buon lavoro. P.S. Nel corso del pomeriggio Vi trasmetteremo, via fax, copia del dispositivo di bonifico.”
Consulenza legale i 15/05/2016
Normalmente ci si pone il problema della perdita delle agevolazione fiscali prima casa quando, in costanza di matrimonio, si acquista una nuova abitazione in comunione dei beni. Tra i requisiti richiesti dalla legge, infatti, ve n'è uno in particolare che richiede l’acquirente non sia titolare – esclusivo o in comunione - di diritti reali su altro immobile nel territorio del Comune dove si trova l’immobile oggetto dell’acquisto agevolato, oppure che non sia titolare, neppure per quote o in comunione legale, su tutto il territorio nazionale, di diritti reali su altro immobile acquistato, anche dal coniuge, con le agevolazioni medesime.

Se, tuttavia, come nel caso di specie, non si fa questione di un “nuovo acquisto” ma semplicemente i coniugi erano già proprietari ciascuno di un immobile a fiscalità agevolata prima del matrimonio – immobile che non rientra quindi in comunione, in quanto bene personale – non vi sarà il rischio della perdita delle agevolazioni sotto questo particolare profilo.

Il problema, tuttavia, si pone invece sotto un diverso profilo, ovvero quello della residenza.

Infatti, la legge prevede - tra i requisiti soggettivi da possedere per poter usufruire dei benefici fiscali – anche quello dell’ubicazione dell’immobile ad acquisto agevolato nel Comune dove il soggetto ha la propria residenza (o la trasferisca entro 18 mesi dall’acquisto).

Nel caso in esame le residenze sono state mantenute formalmente separate, pertanto ci si chiede, correttamente, se tale formale situazione (diversa da quella sostanziale, nella quale vi è coabitazione presso uno solo dei due immobili) possa essere sufficiente per non perdere i vantaggi fiscali sino ad ora goduti.

Purtroppo esiste una non corrispondenza tra il concetto anagrafico di residenza e quello che si evince dalle norme sul diritto di famiglia che incide, purtroppo, anche sull’applicazione delle norme fiscali.

La giurisprudenza di Cassazione, infatti, per orientamento consolidato ritiene che, laddove il codice civile, nelle norme che riguardano i rapporti tra i coniugi, parla di obbligo di “coabitazione”, non si riferisca al concetto anagrafico di residenza, per cui non esiste, in realtà, alcun obbligo per marito e moglie di fissare la residenza nel medesimo luogo, potendo mantenerla – come nel caso in esame – presso due abitazioni distinte.

Tuttavia, precisa ancora la Corte di Cassazione, sotto il profilo fiscale la “residenza” non può essere quella “anagrafica”, ma sarà, invece, il luogo coabitato dal nucleo familiare e che non necessariamente coincide con la residenza anagrafica.

Si riportano, di seguito, alcune pronunce molto chiare sul punto: “(…) tanto più in considerazione del fatto che i coniugi non sono tenuti ad una comune residenza anagrafica, ma reciprocamente alla coabitazione (art. 143 del c.c.), sicché un'interpretazione della legge tributaria (che del resto parla di residenza e non di residenza anagrafica), conforme ai principi del diritto di famiglia, porta a considerare la coabitazione con il coniuge acquirente come elemento adeguato a soddisfare il requisito della residenza ai fini tributari.” (Cassazione civile, sez. trib., 01 luglio 2009, n. 15426); e ancora : “In tema di imposta di registro e di relativi benefici per l'acquisto della prima casa, il requisito della residenza va riferito alla famiglia, per cui ove l'immobile acquistato sia adibito a tale destinazione non rileva la diversa residenza di uno dei due coniugi che abbiano acquistato in regime di comunione, essendo essi tenuti non ad una comune sede anagrafica ma alla coabitazione”. (Cassazione civile, sez. trib., 23 dicembre 2015, n. 25889); infine: “L’agevolazione fiscale prevista per l'acquisto della prima casa nella ipotesi in cui uno solo dei coniugi abbia la residenza nel comune dove è sito l'immobile, spetta per l'intero, sia perché uno degli elementi fisici fondamentali che assicura la formazione (art. 31) e l'unità della famiglia (art. 29) è la proprietà di una casa, sia perché in tal caso viene in evidenza come acquirente di una casa da destinare a residenza del nucleo familiare, e quindi come vero titolare del beneficio fiscale sul piano teorico, non tanto la coppia coniugale, riguardata come marito + moglie, ma “la famiglia” come entità autonoma; e, del resto, dal coordinamento degli art. 29 e 31 cost., con l'art. 144 c.c., ai sensi del quale i “coniugi fissano la residenza della famiglia secondo le esigenze di entrambi e quelle preminenti della famiglia stessa”, si evince chiaramente che il legislatore ha una concezione unitaria della famiglia e della sua residenza, cosicché ognuno di essi la rappresenta nella sua interezza; con la conseguenza che, se uno dei coniugi ha la residenza nel comune dov'è sito l'immobile e lo occupa, mentre l'altro coniuge per suoi motivi (ragioni di lavoro, per esempio) non ha spostato la propria residenza in detto comune, la circostanza è ininfluente ai fini della concessione del beneficio fiscale, anche in quanto, se avesse un'influenza negativa, si produrrebbero effetti contrari all'esigenza di assicurare l'unitarietà e la formazione della nuova famiglia, e l'interpretazione finirebbe per essere “anticostituzionale”. (Comm. trib. reg. Salerno, sez. IX, 28 marzo 2007, n. 232).

Per rispondere, quindi, al quesito posto, sotto il profilo fiscale le due abitazioni saranno considerate: come prima casa quella in cui i coniugi effettivamente vivono, mentre sarà seconda casa l’altra, utilizzata per esigenze lavorative; non ci sarà, in realtà, alcun obbligo di apportare variazioni formali alla situazione anagrafica: tuttavia, dev’esserci la consapevolezza che, fiscalmente, avrà rilevanza la situazione sostanziale, di fatto, e non quella risultante dai pubblici registri.

Lorenzo L. chiede
lunedì 11/01/2016 - Lazio
“Buongiorno, ho contratto regolare matrimonio a settembre, in questi giorni un amico mi ha chiesto se avessimo fatto il cambio di residenza io e mia moglie in quanto lei risulta ancora residente nella casa paterna (in S.) ed io invece a R.. Vorrei sapere se esiste un obbligo di legge per cui io e mia moglie dobbiamo avere la medesima residenza e se comunque lei deve cambiare la propria in quanto non più facente parte del nucleo familiare originario.
Cordiali saluti”
Consulenza legale i 16/01/2016
La residenza "è nel luogo in cui la persona ha la dimora abituale" (art. 43 co. 2 c.c.). Nell'ambito della famiglia esiste anche la residenza famigliare, cioè appunto quella in cui il nucleo familiare sviluppa la propria vita comune (tra i coniugi ed eventualmente i figli) che rileva a vari fini (ad esempio ai fini fiscali). Quando viene ad esistenza un nuovo nucleo familiare, quindi, questo ha la propria residenza in un dato luogo, nel caso dedotto si deduce a R..

Tuttavia, come detto, l'art. 43 c.c. individua la residenza di una persona dove questa ha la propria dimora abituale: si pensi, ad esempio, all'ipotesi in cui la famiglia ha stabilito come propria residenza Milano (lì si trovano i figli, che frequentano le scuole del luogo ecc.) e, al contempo, il marito lavori e perciò dimori abitualmente a Genova. In questo caso la sua residenza dovrebbe essere fissata a Genova.

Dunque, l'ordinamento non impone, in via generale, che i coniugi abbiano la medesima residenza; stabilisce però che questa coincide con la dimora abituale, ed è a questo criterio che si deve guardare. Pertanto, se la moglie del richiedente dimora abitualmente in S. questa è la sua residenza, mentre se dimora abitualmente a R. dovrà fissare qui la propria residenza.

Accade spesso che la residenza sia "fittizia", cioè venga fissata in un luogo in cui non vi è effettiva dimora abituale (nota è la pratica in relazione alle seconde case, per garantirsi benefici fiscali). Non si tratta, però di una pratica conforme a legge ed infatti se ciò viene accertato può attivarsi un procedimento amministrativo volto a regolarizzare la situazione.

ANDREA C. chiede
giovedì 27/08/2015 - Liguria
“Buongiorno,
approfitto del cortese ed utilissimo servizio che fornite
attraverso questo sito per richiedere un chiarimento specifico sul significato di quanto previsto dall'articolo 144 Codice Civile e degli obblighi che ne derivano per i coniugi.

La domanda è questa: la frase "fissano la residenza della famiglia secondo le esigenze di entrambi e quelle preminenti della famiglia stessa" significa che deve essere concordato anche il posto dove verrà / viene acquistata l`unica abitazione nella quale i due coniugi vanno ad abitare?

In altre parole, tra quelli che sono i diritti / doveri della coppia unita nel matrimonio, riportati nel Codice Civile, l'articolo 144 prevede che il rispetto delle esigenze di entrambi e quelle preminenti
della famiglia stessa, siano oggetto anche della scelta / acquisto della casa dove abitare oppure il termine "residenza" ha altri significati?

Il mio problema è che io e mia moglie (sposati dal 2009, in regime di separazione dei beni, ciascuno di noi e` proprietario, al 50%, dell`appartamento, dove abitiamo e residiamo) abbiamo stabilito la residenza vicino ai suoi genitori su sua insistenza, mentre ora io vorrei spostarmi in quanto, anche a causa di mutamento dei luoghi e di false promesse di costruzione di aree per la famiglia vicino a casa nostra, che non si faranno mai, non ritengo questo il posto migliore dove crescere i nostri figli.

Aggiungo ancora 2 ultimi punti: se è indiscutibilmente vero che nei primi due anni di età dei nostri 2 gemelli l'aiuto dei suoi genitori è stato fondamentale, è altrettanto vero che, oggi, questa necessità è decisamente e significativamente scemata, anche perché, vista l'età avanzata dei miei suoceri, (80 e 77 anni), non hanno più le forze per poter badare a due bimbi di 3 anni e mezzo e quindi ci stiamo affidando ad altre soluzioni, (baby sitter).

Infine, mio figlio ha manifestato una particolare debolezza e sensibilità dell'apparato respiratorio, che lo ha esposto a frequenti bronchiti e polmoniti in questi 3 anni.

La pediatra, su mia richiesta, ha confermato che il trasferimento in zona più a ridosso del mare, con temperature invernali più mitigate rispetto alla zona dove abitiamo ora, comporterebbe un beneficio tangibile.

Con questo nuovo quadro ho manifestato a mia moglie l'intenzione di concordare con lei la vendita dell'appartamento ed il trasferimento di tutta la famiglia in altra zona, principalmente secondo le indicazioni della pediatra, ma da parte sua c'è sempre stato il solito rifiuto in quanto "voglio abitare vicino ai miei genitori".

Chiedo un vostro cortese parere in merito al fatto che in tale situazione possa far valere, (ed eventualmente in che modo), quanto previsto dall'articolo 144 Codice Civile, che prevede espressamente che l'indirizzo della vita familiare e la fissazione della residenza della famiglia avvenga secondo le esigenze di entrambi e quelle preminenti della famiglia stessa.

Cioè se il rifiutarsi da parte di mia moglie di concordare come risolvere quelle che io ho indicato, e vivo, come criticità della nostra famiglia, sia un atteggiamento in contrasto con i doveri coniugali, compreso quello di assistenza morale al sottoscritto, che, come detto, vive come un tormento e colpa il fatto di avere messo al mondo due figli per farli crescere in tale zona abitativa.

Grazie in anticipo per la vostra cortese risposta ed indicazione.”
Consulenza legale i 01/09/2015
In materia di famiglia il codice civile detta, inevitabilmente, alcune norme che attengono poco al campo giuridico e molto più a quello "umano". L'art. 144 costituisce un esempio perfetto di come il legislatore, in certi ambiti, possa solo stabilire dei principi generali, la cui applicazione in concreto è lasciata ai coniugi e al loro buon rapporto.

Come evidenziato nel quesito, l'articolo in commento esige che i coniugi siano d'accordo su uno degli aspetti fondamentali della vita matrimoniale: la collocazione della residenza della famiglia.
Per "residenza" si intende qui il luogo in cui la famiglia dimorerà abitualmente, anche se, come noto, le residenze anagrafiche di due coniugi possono anche essere situate in luoghi diversi. La norma risulta particolarmente importante in presenza di figli, posto che il loro domicilio coincide con il luogo di residenza della famiglia (se i genitori non hanno la stessa residenza, il minore ha il domicilio del genitore con il quale convive, v. art. 45 del c.c.).

I coniugi si considerano, quindi, obbligati a trovare un accordo: obbligo che ovviamente non può essere coattivamente imposto e che lascia spazio a contrasti rimediabili solo con il ricorso ad un Giudice.

Nel caso di specie, premesso che la controversia non appare conciliabile con le sole forze e volontà dei due coniugi, i quali non trovano un punto d'incontro, si prospettano due rimedi.

L'art. 145 del c.c. stabilisce che, in caso di disaccordo, ciascuno dei coniugi può chiedere senza formalità, l'intervento del giudice. Questi è tenuto innanzitutto a cercare di far raggiungere una soluzione concordata ai coniugi, sentendo le loro opinioni (e, per quanto opportuno, quelle dei figli conviventi che abbiano compiuto il sedicesimo anno di età).
Se l'accordo non si perfeziona e la questione concerna la fissazione della residenza, il giudice, su richiesta espressa e (attenzione!) congiunta dei coniugi, adotta, con provvedimento non impugnabile, la soluzione che ritiene più adeguata alle esigenze dell'unità e della vita della famiglia. In altre parole, il giudice deciderà per i coniugi solo se questi congiuntamente glielo chiederanno: un solo coniuge non può ottenere un provvedimento di fissazione della residenza da "imporre" all'altro.

Il caso in esame, tuttavia, presenta anche un altro profilo importante: la questione concernente la salute di uno dei figli.
Si può, pertanto, ravvisare nella vicenda descritta un contrasto su questione di particolare importanza (residenza della famiglia) che concerne direttamente l'esercizio della responsabilità genitoriale.
Ne discende l'applicabilità anche dell'art. 316 del c.c., in base al quale ciascuno dei genitori può ricorrere senza formalità - quindi anche con semplice richiesta verbale - al giudice, indicando i provvedimenti che ritiene più idonei.
Coinvolto il giudice, questi, sentiti i genitori, suggerisce le determinazioni che ritiene più utili nell'interesse del figlio e dell'unità familiare. Se il contrasto permane, il giudice attribuisce il potere di decisione a quello dei genitori che, nel singolo caso, ritiene il più idoneo a curare l'interesse del figlio. Nel caso di specie, se la madre oppone un rifiuto al trasferimento privo di reale giustificazione, apparirà più idoneo a curare l'interesse del figlio il padre, sempre che il motivo di salute sia a tutti gli effetti accertato.

In caso di contrasto assolutamente insanabile, purtroppo, rimane solamente l'opzione estrema della separazione dei coniugi.

Marina chiede
venerdì 26/11/2010

“Se i 2 futuri coniugi abitano in città diverse per motivi lavorativi e hanno residenze diverse prima del matrimonio e continueranno così anche dopo il matrimonio, una volta sposati uno dei due dovrà per forza cambiare residenza o ognuno potrà tenere la residenza nella città in cui lavora?
Grazie.”

Consulenza legale i 26/11/2010

Il nostro ordinamento non prevede alcun obbligo giuridico di fissare un'unica residenza in capo ai coniugi. A maggior ragione se gli stessi lavorano in città diverse. L'indirizzo della vita familiare di cui all'art. 144 del c.c. si concreta nelle scelte sul tenore di vita della famiglia, nella determinazione delle rispettive contribuzioni secondo i criteri di cui all'art. 143 del c.c., nella distribuzione dei compiti relativi alla famiglia, nelle scelte che dovranno di volta in volta essere fatte in ordine alle persone dei coniugi e dei figli. L'accordo di cui alla norma ha natura di negozio giuridico familiare, personalissimo, senza però che a tale qualificazione osti il fatto che per esso l'autonomia privata sia limitata la presenza di interessi superiori da rispettare e di fini da raggiungere.


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