In particolare, nell’adottare i provvedimenti che pongano a carico di un coniuge tale obbligo, il giudice dovrà valutare la condizione economico-patrimoniale di entrambi i coniugi, sulla base del principio fondamentale per cui, tale assegno, dovrà consentire al coniuge economicamente più debole di mantenere, dopo la fine del matrimonio, un tenore di vita analogo di quello di cui godeva in costanza di matrimonio.
Va osservato che i procedimenti di separazione e divorzio prevedono due fasi fondamentali: una prima fase si svolge davanti al Presidente del Tribunale, il quale, ai sensi dell’art. 708, comma 4, codice di procedura civile, adotta i provvedimenti temporanei ed urgenti che ritiene più opportuni; la seconda fase, invece, di merito, si svolge davanti al Collegio, il quale potrà o meno confermare i provvedimenti adottati nella fase presidenziale e procederà, poi, ad emanare la sentenza definitiva.
Ebbene, cosa succede se, ad esempio, il Presidente del Tribunale, in sede di “provvedimenti temporanei ed urgenti” ha disposto l’obbligo, per uno dei coniugi, di pagare un assegno di mantenimento in favore dell’altro e, nella successiva fase di merito, tale provvedimento viene revocato o modificato?
Il coniuge ha diritto al rimborso di quanto fino a quel momento ha versato?
Proprio su questa questione si è espressa la Corte di Cassazione, con la sentenza n. 23409 del 2015, la quale ha dato risposta a tali quesiti, ribadendo come il coniuge non abbia diritto al rimborso delle somme versate.
Nel caso esaminato dalla Corte, il marito aveva agito in giudizio proprio allo scopo di ottenere il rimborso delle somme che questi aveva versato a titolo di mantenimento in virtù del provvedimento presidenziale non definitivo, dal momento che la successiva sentenza di merito aveva escluso la sussistenza di tale obbligo.
La Corte di Cassazione, tuttavia, non ritiene di dover aderire alle argomentazioni svolte dal ricorrente, in quanto “la decisione che nega il diritto del coniuge al mantenimento o ne riduce la misura non comporta la ripetibilità delle maggiori somme corrisposte in forza di precedenti provvedimenti non definitivi, qualora, per la loro non elevata entità, tali somme siano state comunque destinate ad assicurare il mantenimento del coniuge fino all’eventuale esclusione del diritto stesso o al suo affievolimento in un obbligo di natura solo alimentare”.
In altri termini, secondo la Corte, se il coniuge ha versato delle somme, di non notevole entità, a titolo di mantenimento in adempimento di quanto previsto da un provvedimento non definitivo, egli non potrà pretenderne il rimborso laddove intervenga una sentenza definitiva che escluda l’obbligo di mantenimento o riduca l’importo dovuto.
Nel caso di specie, la Cassazione ritiene che, in considerazione della modestia degli importi versati dal coniuge, doveva presumersi che tali somme fossero state “consumate per fini di sostentamento personale”, con la conseguenza che il coniuge non aveva diritto a chiederne il rimborso.
Peraltro, la Corte rileva come tale conclusione sia stata accolta anche da precedenti sentenze della Cassazione, quali Cass. civ. Sez. I, n. 6864 del 20 marzo 2009; Cass. civ. Sez. I, n. 28987 del 10 dicembre 2008, per cui tale orientamento deve dirsi consolidato.
In conclusione, quindi, La Corte di Cassazione rigetta il ricorso proposto dal coniuge, confermando l’insussistenza del diritto al rimborso di quanto pagato in forza di provvedimenti non definitivi.