In particolare, possono i coniugi regolare, mediante la stipula di un contratto, i loro rapporti personali e patrimoniali?
Va osservato che la separazione di fatto non ha vere e proprie conseguenze giuridiche, in quanto solo attraverso la separazione consensuale o giudiziale è possibile avviare il procedimento che porterà a far cessare il legame coniugale.
In proposito, infatti, l’art. 158 c.c. è molto chiaro nello stabilire che “la separazione per il solo consenso dei coniugi non ha effetto senza l’omologazione del giudice”.
Occorre prestare molta attenzione in caso di separazione di fatto, in quanto va ricordato che il c.d. abbandono del tetto coniugale, che si realizza quando i coniugi decidono di interrompere la convivenza, può essere causa di addebito della separazione: ciò significa che il Tribunale che accerti che un coniuge ha abbandonato la casa coniugale senza un giustificato motivo, può ritenere responsabile della separazione il coniuge stesso, negandogli il diritto a ricevere l’assegno di mantenimento, indipendentemente dalle sue condizioni economiche e patrimoniali.
Per porsi al riparo da questo pericolo è possibile, per i coniugi separati solo di fatto, stipulare una sorta di contratto con il quale gli stessi regolano i loro rapporti personali e patrimoniali.
Questo contratto, infatti, rende evidente che i coniugi sono d’accordo nell’interrompere la convivenza, con la conseguenza che non si potrà più parlare di “abbandono del tetto coniugale” e il Tribunale non potrà, per questo motivo, addebitare la separazione e negare il diritto all’assegno di mantenimento.
Ci sono diverse sentenze che si sono occupate della validità ed efficacia dei patti stipulati a seguito di separazione di fatto tra i coniugi.
In particolare, la Corte di Cassazione, un tempo, riteneva che questi patti fossero nulli, avendo una causa illecita (così la Cassazione, nella sentenza n. 6857 del 1992).
Successivamente, la Corte ha, in parte, cambiato idea, affermando che questi patti erano possibili ma dovevano, comunque, essere omologati dal Giudice, potendo diventare validi ed efficaci solo attraverso un decreto di omologa dello stesso .
In base ad altre sentenze, poi, la Corte ha concluso nel senso della validità dei patti relativi alla separazione di fatto dei coniugi, a condizione che gli stessi fossero finalizzati a migliorare i rapporti tra gli stessi.
Va osservato, comunque, che non è in alcun modo possibile contrattare in merito ai diritti che derivano dal matrimonio, trattandosi di diritti di cui non è possibile disporre liberamente: così, per esempio, non potrò stipulare un patto col coniuge al fine di escludere il dovere di fedeltà, o quello di assistenza o quello di coabitazione (art. 143).
Tuttavia, è possibile stipulare dei patti che, pur non facendo venire meno questi doveri, escludono, però, l’addebito della separazione in caso di violazione (art. art. 156 del c.c. c.c.).
Ciò significa che se, per fare un esempio, i coniugi stipulassero un patto con cui stabiliscono di vivere separatamente, non sarà poi possibile chiedere l’addebito della separazione per abbandono del tetto coniugale.
Per quanto riguarda, invece, i rapporti patrimoniali tra i coniugi, è valido il patto con cui uno di essi rinuncia all’assegno di mantenimento: anche in questo caso va precisato che il coniuge non rinuncia (e non potrebbe rinunciare) al diritto al mantenimento (in quanto diritto di cui non è possibile disporre) ma rinuncia solo alla corresponsione del relativo assegno periodico.
Infine, per quanto riguarda i figli, deve escludersi la possibilità per i genitori di stipulare, nell’ambito della loro separazione di fatto, dei patti che abbiano ad oggetto l’affidamento degli stessi, l’esercizio della responsabilità genitoriale o i fondamentali doveri di cura, assistenza, educazione e istruzione degli stessi: sono possibili solo dei patti di natura economica e non personale, a condizione che non vengano messi in pericolo i beni dei figli medesimi.