La questione sottoposta ai giudici di legittimità nasceva dalla vicenda giudiziaria che aveva visto come protagonista un uomo, il quale aveva impugnato la sentenza con cui la Corte d’Appello, nel corso del giudizio di separazione personale dei coniugi, aveva aumentato il contributo di mantenimento precedentemente riconosciuto all’ex moglie, nonostante risultasse pendente il giudizio di divorzio.
Proprio tale ultima circostanza spingeva l’uomo a ricorrere dinanzi alla Corte di Cassazione, ritenendo che il giudice della separazione avesse indebitamente sovrapposto la sua valutazione, in merito alle statuizioni economiche conseguenti alla separazione, a quella adottata dal giudice nel parallelo giudizio di divorzio, violando, in questo modo, l’art. 4 della legge divorzio. Secondo il ricorrente, infatti, la Corte d’Appello non aveva il potere di rideterminare il contributo di mantenimento in sede di separazione, essendo al contempo pendente il giudizio di divorzio, la cui ordinanza presidenziale aveva valutato l’intero arco temporale trascorso dall’inizio dello stesso giudizio, confermando l’ammontare del mantenimento già fissato, precedentemente, in sede di separazione.
La Suprema Corte ha, tuttavia, rigettato il ricorso, giudicandolo infondato.
Secondo gli Ermellini, infatti, i giudici d’appello, nella sentenza impugnata, hanno correttamente applicato il principio di diritto in base al quale “il giudice della separazione è investito della potestas iudicandi sulla domanda di attribuzione o modifica del contributo di mantenimento per il coniuge e i figli anche quando sia pendente il giudizio di divorzio, a meno che il giudice del divorzio non abbia adottato provvedimenti temporanei ed urgenti nella fase presidenziale o istruttoria, i quali sono destinati a sovrapporsi a (e ad assorbire) quelli adottati in sede di separazione solo dal momento in cui sono adottati o ne è disposta la decorrenza” (Cass. Civ., n. 27205/2019).
Da tale principio, come già in precedenza affermato dalla stessa Corte di legittimità, deriva che i provvedimenti economici adottati nel giudizio di separazione, anteriormente iniziato, sono destinati ad una perdurante vigenza fino all'introduzione di un nuovo regolamento patrimoniale, per effetto delle statuizioni, definitive o provvisorie, rese in sede divorzile (cfr. Cass. Civ., n. 1779/2012).
Ciò, secondo gli Ermellini, spiega perché la pronuncia di divorzio, operando ex nunc dal momento del passaggio in giudicato, non comporti la cessazione della materia del contendere nel giudizio di separazione personale, o in quello di modifica delle condizioni della separazione, che sia iniziato in epoca anteriore e che risulti ancora pendente, ove sussista l’interesse di una delle parti all’operatività della pronuncia e dei conseguenti provvedimenti patrimoniali (cfr. ex multis Cass. Civ., n. 5510/2017; Cass. Civ., n. 5062/2017).
Poste tali precisazioni, dunque, il giudice della separazione, con la sentenza impugnata, non ha provveduto in maniera impropria a modificare le statuizioni economiche definite in sede di divorzio, ma, piuttosto, ha fissato la decorrenza del contributo al mantenimento, posto a carico del ricorrente fino al dies a quo previsto per le statuizioni divorzili, senza, quindi, interferire in alcun modo con queste ultime.