In particolare, al momento del ricorso per separazione o divorzio, è necessario produrre in giudizio le dichiarazioni dei redditi degli ultimi anni, proprio allo scopo di consentire al giudice di valutare la capacità reddituale dei coniugi e di determinare, dunque, se ed in quale misura porre a carico di uno dei coniugi il pagamento di un assegno di mantenimento.
Il principio generale, infatti, che deve guidare la decisione del giudice è quello in base al quale i coniugi dovrebbero continuare a godere, anche dopo la pronuncia di separazione o divorzio, un tenore di vita analogo a quello di cui godevano in costanza di matrimonio.
Ma cosa fare se le dichiarazioni dei redditi indicano un reddito del coniuge più basso di quello effettivo (si pensi all’ipotesi in cui il coniugi lavori anche “in nero” o che disponga di un patrimonio sconosciuto al fisco)?
Proprio su questa questione si è soffermata la Corte di Cassazione, con la sentenza n. 6427 del 4 aprile 2016.
Osserva la Corte come “il parametro indispensabile di riferimento per la valutazione di congruità dell’assegno è costituito dal tenore di vita di cui i coniugi hanno goduto nel corso della convivenza, quale elemento condizionante la qualità e la quantità delle esigenze del richiedente, al cui accertamento il giudice di merito deve procedere verificando le disponibilità patrimoniali dell’onerato, senza limitarsi a considerare il reddito emergente dalla documentazione fiscale prodotta, ma tenendo conto anche degli altri elementi di ordine economico, o comunque apprezzabili in termini economici, suscettibili di incidere sulle condizioni delle parti, quali la disponibilità di un consistente patrimonio e la conduzione di uno stile di vita particolarmente agiato e lussuoso”.
Nel valutare il tenore di vita goduto dai coniugi in costanza di matrimonio, dunque, il giudice non deve limitarsi a tenere in considerazione il reddito che risulta dalla documentazione fiscale prodotta, ma dovrà tener conto anche di altri elementi di natura economica che possono, comunque, incidere sulle condizioni economiche delle parti, quale può essere, “la disponibilità di un consistente patrimonio e la conduzione di uno stile di vita particolarmente agiato e lussuoso”.
Ebbene, nel caso di specie, la Corte di Cassazione rileva come fosse stato dimostrato nei precedenti gradi di giudizio, come vi fossero “una pluralità di elementi, univocamente attestanti la disponibilità di considerevoli mezzi economici” da parte del marito, consistenti, in particolare, nella “titolarità di un cospicuo patrimonio immobiliare nonché di beni mobili registrati, quali autovetture, motoveicoli e natanti, il cui possesso,risultando di per sé sintomatico di uno standard di vita particolarmente elevato, può ritenersi ampiamente sufficiente a giustificare il giudizio d’inattendibilità espresso in ordine ai dati reddituali emergenti dalla documentazione fiscale prodotta dal ricorrente”.
Di conseguenza, la Corte ribadisce come il Giudice debba tenere in considerazione tutti questi elementi, che non si pongono in contrato con “con l’efficacia probatoria delle dichiarazioni dei redditi, la cui funzione, tipicamente fiscale, esclude la possibilità di attribuirvi portata vincolante al di fuori delle controversie riguardanti rapporti tributari, restando il loro apprezzamento rimesso alla discrezionalità del giudice, il quale è libero di andare il proprio convincimento su altre risultanze probatorie”.
Conseguentemente, deve ritenersi che il Giudice, nel valutare se porre a carico di uno dei coniugi il pagamento di un assegno di mantenimento, non dovrà tenere in considerazione esclusivamente la documentazione reddituale, dalla quale potrebbero non emergere ulteriori aspetti economici che, invece, possono essere di notevole rilevanza, essendo indice di uno stile di vita particolarmente agiato, che deve essere garantito all’altro ex coniuge anche dopo la fine del matrimonio.