Va osservato, infatti, che il giudice, nel pronunciare la separazione, può disporre che la medesima venga addebitata al coniuge che, con il suo comportamento abbia violato i fondamentali doveri che derivano dal matrimonio (…), causando in tal modo la fine dello stesso.
Nel caso esaminato dalla Cassazione, il Tribunale aveva dichiarato la separazione personale tra due coniugi, addebitando la medesima a carico del marito, che era stato obbligato al pagamento di un assegno mensile di Euro 3.000, a titolo di contributo nel mantenimento della moglie.
La Corte d’appello, pronunciatasi nel secondo grado di giudizio, aveva confermato la suddetta sentenza, rilevando come la pronuncia di addebito fosse corretta, stante il “comportamento violento e maltrattante” del marito nel corso del matrimonio.
Il Giudice di secondo grado, tuttavia, rideterminava l’importo dell’assegno di mantenimento in Euro 1.500 mensili, in considerazione delle condizioni economiche del marito, che, secondo la Corte, non consentivano una misura dell’assegno come quella statuita dal Tribunale.
A seguito della conferma della pronuncia di addebito, il marito riteneva opportuno proporre ricorso per Cassazione, eccependo l’erroneità della pronuncia, che si sarebbe posta in violazione dell’art. 156 codice civile, nonché dell’art. 2697 codice civile.
Secondo il ricorrente, in particolare, oltre ad essere stata errata la pronuncia di addebito, non poteva ritenersi corretto nemmeno l’importo dell’assegno stabilito dalla Corte d’appello, dal momento che il medesimo “comporterebbe il godimento da parte della S. di un reddito sensibilmente superiore a quello che rimarrebbe al ricorrente dopo la decurtazione di 1.500 euro mensili”.
La Corte di Cassazione, tuttavia, non riteneva di poter aderire alle argomentazioni svolte dal ricorrente, rilevando come la pronuncia di addebito fosse stata, del tutto correttamente, emessa sulla base delle deposizioni testimoniali, che avevano attestato, secondo il giudice di secondo grado, “un comportamento violento e maltrattante da parte del R. nei confronti della moglie”, la quale aveva deciso di separarsi dopo un po’ di tempo, avendo tentato di salvare il proprio matrimonio nel corso degli anni, fino a quando aveva ritenuto “di non poter più sopportare aggressioni fisiche e morali e infedeltà da parte del marito”.
Secondo la Cassazione, inoltre, la Corte d’appello aveva adeguatamente motivato la decisione relativa all’importo dell’assegno di mantenimento, che teneva conto “non solo dei redditi percepiti pacificamente dalle parti ma anche del patrimonio finanziario e immobiliare” del marito.
Alla luce di tali considerazioni, la Corte di Cassazione rigettava il ricorso proposto dal ricorrente, confermando la sentenza resa dal giudice di secondo grado.