Va osservato che, per quanto concerne queste questioni, la disposizione di riferimento è rappresentata dall’art. 155 codice civile, il quale prevede che, il giudice, nel pronunciare la separazione o il divorzio, adotta i provvedimenti più opportuni per regolare i rapporti tra i coniugi con i figli, con specifico riferimento al loro affidamento e al loro mantenimento.
Quanto al mantenimento, come noto, in sede di separazione o divorzio, il giudice può porre a carico di uno dei coniugi, il pagamento di un assegno mensile a titolo di contributo nel mantenimento del coniuge e/o dei figli minorenni (o maggiorenni ma economicamente non autosufficienti).
Tale assegno, verrà disposto previa valutazione della complessiva situazione economico-reddituale di entrambi i coniugi, tenendo conto del principio fondamentale per cui, tale contributo, deve consentire al coniuge economicamente più debole, di mantenere, dopo la fine del matrimonio, un tenore di vita analogo a quello di cui godeva in costanza di matrimonio.
Quanto, invece, all’affidamento, il giudice, come regola generale, disporrà l’affidamento condiviso, con la conseguenza che il figlio verrà affidato a entrambi i genitori. Il giudice, poi, provvederà ad individuare il genitore “collocatario”, ovvero quello con cui il minore dovrà andare a risiedere stabilmente.
Solo nel caso in cui il giudice dovesse ritenere che la regola dell’affido condiviso non risponda all’interesse del minore, potrà disporre l’affidamento esclusivo ad uno solo dei genitori.
Gli aspetti relativi all’affidamento e al mantenimento dei figli, si “incrociano” tra loro, dal momento che, normalmente, sarà il genitore “collocatario” ad aver diritto a percepire l’assegno di mantenimento, in considerazione dei maggiori oneri economici che egli deve sopportare, risiedendo assieme al figlio.
Tuttavia, questa regola non è assolutamente inderogabile.
Infatti, il Tribunale di Milano, con le sentenze sopra citate ha precisato, appunto, come anche il genitore “collocatario” possa essere tenuto a corrispondere un assegno di mantenimento in favore dell’altro genitore, nonostante quest’ultimo non risieda col figlio.
In particolare, con le sentenze sopra citate, nonché con la sentenza della Corte d’Appello di Milano, dell’11 agosto 2014, i giudici milanesi hanno chiarito che, in alcune ipotesi, anche il genitore non collocatario può avere diritto a percepire un assegno “perequativo”, volto a consentirgli di provvedere adeguatamente alle esigenze del figlio, nei periodi in cui questi trascorre del tempo assieme al genitore stesso.
Ovviamente, il giudice disporrà tale assegno, tenendo in considerazione la condizione economica di entrambi i genitori, con la conseguenza che, se il genitore “collocatario” risulta particolarmente abbiente, al contrario di quello “non collocatario”, il primo potrà essere obbligato dal Tribunale a corrispondere tale “assegno perequativo”.
Lo scopo fondamentale di tale assegno, nell’ottica del Tribunale di Milano, è quello di garantire che il figlio stia bene anche quando sta assieme all’altro genitore, con cui non vive quotidianamente.
Infatti, potrebbe accadere che, a causa delle ristrettezze economiche del genitore non collocatario, il figlio finisca per preferire di frequentare solo il genitore che gli garantisce i maggiori agi, allontanandosi dall’altro.