(massima n. 1)
Anche in materia di separazione di coniugi, con riguardo all'assegno di mantenimento, deve ritenersi applicabile in via analogica - stante l'identità di ratio riconducibile alla funzione eminentemente assistenziale dell'assegno in questione - la norma dell'art. 5, nono comma, della legge 1 dicembre 1970, n. 898, nel testo novellato dall'art. 10 della legge 6 marzo 1987, n. 74, il quale, in tema di riconoscimento e determinazione dell'assegno divorzile, stabilisce che «in caso di contestazioni, il tribunale dispone indagini sui redditi e patrimoni dei coniugi e sul loro effettivo tenore di vita, valendosi, se del caso, anche della polizia tributaria». L'esercizio di tale potere di disporre indagini patrimoniali con l'avvalimento della polizia tributaria, che costituisce una deroga alle regole generali sull'onere della prova, rientra nella discrezionalità del giudice di merito, e non può essere considerato anche come un dovere imposto sulla base della semplice contestazione delle parti in ordine alle loro rispettive condizioni economiche; tale discrezionalità, tuttavia, incontra un limite nella circostanza che il giudice, potendosi avvalere di siffatto potere, non può rigettare le istanze delle parti relative al riconoscimento e alla determinazione dell'assegno sotto il profilo della mancata dimostrazione degli assunti sui quali si fondano, giacché in tal caso il giudice ha l'obbligo di dispone accertamenti d'ufficio (avvalendosi anche della polizia tributaria).