Prima della Riforma Cartabia il legislatore aveva previsto strumenti di tutela privilegiata per il soddisfacimento dei crediti sorti in ambito familiare, introducendo alcune forme particolari ma frammentate di
garanzia del
credito, sia di natura personale che reale (si pensi al sequestro, la distrazione del reddito, l’
azione esecutiva diretta verso il terzo
obbligato), le quali avrebbero dovuto consentire un ristoro più rapido rispetto a quello previsto dal procedimento espropriativo ordinario.
Per rimediare a tale situazione frammentaria, il legislatore delegante ha imposto il riordino della disciplina previgente, onde garantire l’
adempimento dell’obbligo di contribuire ai
bisogni della famiglia quando questa è ancora unita, il
mantenimento dei figli e la corresponsione degli assegni disposti a vario titolo dal giudice investito della soluzione della crisi familiare.
La norma in esame, dunque, recependo le richieste del legislatore delegante, intende rendere attuale la realizzazione degli effetti dei provvedimenti emessi in materia di contributo economico in favore della prole o delle parti, razionalizzando le particolari forme di tutela del credito già esistenti.
Dispone così il primo comma che i provvedimenti aventi ad oggetto un contributo economico, anche se temporanei, sono immediatamente esecutivi e costituiscono titolo per l’iscrizione di
ipoteca giudiziale, come oltretutto già chiarito dall’[[473bis22]].
La seconda parte dello stesso primo comma richiama il secondo comma dell’
art. 96 del c.p.c. in tema di responsabilità del
creditore, intendendosi in tal modo da un lato garantire piena tutela al creditore e dall’altro scongiurare l’abuso del diritto.
Il secondo comma prevede che il giudice, qualora ne rinvenga il pericolo, può imporre al soggetto obbligato di prestare idonea
garanzia personale o reale al fine di garantire l’adempimento del contributo economico.
Per quanto concerne il concetto di “pericolo”, questo deve valutarsi in relazione alla condotta dell’obbligato, la quale deve essere tale da far apparire come probabile il futuro
inadempimento (ad esempio in caso di gestione disordinata del patrimonio).
Il terzo comma, a sua volta, consente al creditore, al quale spetta la corresponsione periodica del contributo, di chiedere al giudice di essere autorizzato a procedere a sequestro di beni mobili, immobili o crediti qualora ritenga che ciò sia necessario ad assicurare che le sue ragioni siano soddisfatte o conservate (prima dell’entrata in vigore di questa norma il sequestro, quale strumento di garanzia delle obbligazioni derivanti dalla crisi familiare era previsto sia dall’
art. 156 del c.p.c. che dall’art. 8 Legge n. 898/1970).
Quanto alla natura del sequestro, trattasi di strumento il cui scopo è quello di indurre il debitore al rispetto delle obbligazioni esistenti a suo carico, svolgendo, dunque, una funzione coercitiva.
A differenza del
sequestro conservativo e giudiziario, esso non ha natura cautelare, considerato che presuppone un credito già dichiarato e che richiede, quale suo solo presupposto, l’inadempimento del debitore e non i requisiti del
fumus boni iurisi o del
periculum in mora.
Questa particolare forma di sequestro svolge una funzione coercitiva, mediante l’imposizione di un vincolo di destinazione su determinati beni e non si converte in
pignoramento.
Dispone il quarto comma che i provvedimenti resi a tutela del credito possono essere sempre revocati o modificati dal giudice, su istanza di parte e qualora sopravvengano giustificati motivi.
Le nuove circostanze devono essere valutate dal giudice con un certo rigore e si ritiene che la domanda di revisione non possa essere accolta qualora nasconda una sostanziale richiesta di mutamento del titolo.
Giudice competente alla modifica o alla revoca è quello del procedimento, se vi è un procedimento pendente; in caso contrario, la
competenza per materia deve individuarsi sulla base di quelli che sono i principi generali che regolano la materia.