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Articolo 2948 Codice Civile

(R.D. 16 marzo 1942, n. 262)

[Aggiornato al 25/09/2024]

Prescrizione di cinque anni

Dispositivo dell'art. 2948 Codice Civile

Si prescrivono in cinque anni:

  1. 1) le annualità delle rendite perpetue [1861] o vitalizie [1872](1);
  2. 1 bis) il capitale nominale dei titoli di Stato emessi al portatore(2);
  3. 2) le annualità delle pensioni alimentari [433, 445](3);
  4. 3) le pigioni delle case, i fitti dei beni rustici e ogni altro corrispettivo di locazioni [1587 n. 2, 1607, 1639](4);
  5. 4) gli interessi [1282] e, in generale, tutto ciò che deve pagarsi periodicamente ad anno o in termini più brevi [960](5);
  6. 5) le indennità spettanti per la cessazione del rapporto di lavoro [2118, 2120, 2121](6).

Note

(1) Anche se il legislatore a riguardo non si pronuncia, devono considerarsi comprese nelle ipotesi stabilite in questa prima categoria tutte le possibili forme di rendita. Inoltre la prescrizione quinquennale ha luogo anche qualora per la riscossione delle varie rate fosse disposto un termine maggiore.
(2) Tale numero è stato inserito dall'art. 2, L. 12 agosto 1993, n. 313 (Rimborso del capitale di titoli di Stato al portatore sottratti, distrutti o smarriti), e successivamente modificato dall'art. 54, L. 27 dicembre 1997, n. 449.
(3) La norma si riferisce qui all'obbligazione alimentare di cui parla l'art. 433, cioè quell'ipotesi in cui un soggetto in stato di bisogno e impossibilitato a provvedere da solo al proprio mantenimento viene supportato ex lege da una persona a lui legata da un qualche rapporto di parentela, adozione o affinità. Sia che si tratti di un'obbligazione alimentare di tipo legale, sia che siano state le parti convenzionalmente a stabilirne i termini, si applicherà pertanto la prescrizione breve quinquennale.
(4) Si deve sottolineare che tutte le somme dovute dal conduttore al locatore, ma che non costituiscano un corrispettivo del godimento della cosa, restano sottoposte al termine prescrizionale ordinario decennale.
(5) La Corte Costituzionale con la sentenza del 10 giugno 1966, n. 63, ha dichiarato l'illegittimità costituzionale del presente numero, in relazione alla parte in cui consente che la prescrizione del diritto alla retribuzione decorra durante il rapporto di lavoro. Con le sentenze del 20 novembre 1969, n. 143, e del 12 dicembre 1972, n. 174, la Corte ha inoltre delimitato tale principio, stabilendo che in situazioni di stabilità del posto di lavoro, ossia nei rapporti di pubblico impiego e in quelli garantiti ex art. 1, L. 15 luglio 1966, n. 604 e ex art. 18, L. 20 maggio 1970, n. 300 (Statuto dei lavoratori), esso non viene applicato. Pertanto si è concluso che, nel corso del rapporto lavorativo, il termine prescrizionale rimane fermo per poi riprendere il suo normale decorso dal momento della cessazione dello stesso: si evita in tal modo che il lavoratore, trovandosi già generalmente in una condizione di inferiorità rispetto al datore di lavoro, risulti ulteriormente vessato a livello psicologico dal timore di ritorsioni se agisce a difesa dei propri interessi. Bisogna tuttavia evidenziare che tale sospensione è possibile solamente per quei rapporti di lavoro che siano disciplinati in forza dell'art. 36 Cost., e non a tutti generalmente. Infine, la prescrizione quinquennale è applicabile anche alle rate di stipendio, pensione ed altri assegni dovuti dallo Stato, a seguito della sentenza della Corte Costituzionale del 25 marzo 1981, n. 50.
(6) Sulla prescrizione dei titoli di Stato, si vedano gli articoli 21-23, d.P.R. 30 dicembre 2003, n. 398 (T.U. debito pubblico) e per la disciplina transitoria dei termini di prescrizione art. 79, T.U. citato. A riguardo sono utili anche gli artt. 2118, 2120 e 2122.

Ratio Legis

La norma in commento elenca ulteriori ipotesi (v. art. 2947) in cui il termine prescrizionale risulta abbreviato, ossia quinquennale, e trova motivo nella periodicità delle prestazioni di dare qui indicate, le quali potendo svilupparsi anche nell'arco di parecchi anni, devono essere in grado di consentire la liberazione del debitore per le prestazioni di volta in volta scadute e che non siano state richieste dal creditore nel regolare termine.

Spiegazione dell'art. 2948 Codice Civile

Fondamento della prescrizione quinquennale
I primi quattro numeri dell'articolo, che ora si illustra, corrispondono. testualmente a quelli dell'art. 2144 abrogato come innovazione rispetto a questo vanno rilevate : l'estensione della prescrizione quinquennale anche al corrispettivo di locazione e l'applicazione della medesima alle indennità spettanti per la cessazione del rapporto di lavoro (n. 5).
Discutendo sul fondamento di questa breve prescrizione alcuni hanno ritenuto che essa tragga origine da una presunzione di pagamento per il fatto che non può supporsi che ciò che sia periodicamente dovuto, non sia stato, alle convenute scadenze, riscosso.
Ma tale spiegazione non può essere accolta. Se la prescrizione in esame si risolvesse in una presunzione di pagamento, la legge avrebbe contro di essa ammesso la prova contraria, quella medesima prova idonea a distruggere il fondamento delle vere prescrizioni presuntive, cioè il giuramento.
La prescrizione quinquennale è invece giustificata da un ragionevole principio di equità, che vuole che il ,debitore venga sottratto all'obbligo di corrispondere quanto dovrebbe per prestazioni già scadute tutte le volte che queste non siano state tempestivamente richieste del creditore. Ed è giusto che sia così, perché al diritto del creditore, vale non esiga, durante tutto tempo prestabilito, le convenute prestazioni, dimostrando in tal modo di non averne bisogno, deve sostituirsi il diritto del debitore di essere liberato dall'eseguire quelle prestazioni trascurate da chi poteva domandarle.
Dall'esame delle cinque categorie di diritti, cui si applica la prescrizione quinquennale, appaiono subito quelli che sono i caratteri comunicazione a ciascuna di esse e cioè che quelle categorie comprendono tutte obbligazioni di dare, restando escluse le altre di fare, salvo che queste non siano state convertite in una obbligazione di dare, come può essere quella di pagare annualmente una determinata somma; che i diritti in esse comprese devono avere i requisiti di periodicità delle prestazioni, essere dipendenti da un medesimo titolo; che, infine, le singole prestazioni devono essere insuscettibili di soddisfare diritto principale da cui derivano.
Oggetto
Premesso ciò, consideriamo le varie specie di diritti, ai quali si applica la prescrizione quinquennale.
Vengono in esame innanzitutto le rendite perpetue e vitalizie, nelle quali si fanno comprendere tutte le varie specie di rendite, fondiarie e semplici, costituite a titolo oneroso o gratuito. Seguono le pensioni alimentari e tra queste, poiché la legge non distingue, vanno compresi tanto gli alimenti dovuti per legge, quanto quelli che derivano il loro titolo da convenzione.
Le pigioni delle case, i fitti dei beni rustici ed ogni altro corrispettivo di locazioni presuppongono un contratto di locazione, in forza del quale il conduttore sia tenuto a corrispondere periodicamente le convenute prestazioni. Di conseguenza, restano escluse dalla breve prescrizione quinquennale le somme dovute ad un titolo diverso da quello di locazione, come, a guisa di esempio, sarebbero le somme relative al risar­cimento dei danni ché conduttore abbia arrecato alla cosa locata. Alle pigioni ed ai fitti, si avverta, non devono essere assimilati quelli dovuti per locazione, a breve termine, di camere e di appartamenti mobiliati, poiché, in tal caso, il locatore diventa albergatore e la sua azione, per conseguire prezzo dell'alloggio, è soggetta alla prescrizione semestrale dell'art. 2954.
Il n. 4 si riferisce ad ogni specie di interessi, siano legali che volontari. Su ciò, tuttavia, la dottrina ha sollevato qualche dubbio ritenendo limitare la prescrizione solo agli interessi convenzionali sembra però che il principio dominante il sistema del codice trovi chiara conferma nella generica dizione della norma affatto esclusiva di una piuttosto che di un'altra specie d'interessi. Ma, parlando il codice di interessi, è intuitivo che la prescrizione quinquennale non colpisce quelle prestazioni che degli interessi non hanno caratteri ed contenuto ; così è ad es., dei dividendi delle società, essendo questi utili netti corrisposti dalla società a ciascun socio, quale quota loro spettante sugli, utili sociali complessivi. Ancora si dovranno escludere gli interessi dovuti dal possessore di mala fede, ché essi con la somma principale costituiscono piuttosto l'oggetto del risarcimento a lui imposto.
Neppure prescrittibili in cinque anni sono gli interessi delle somme che vengono annotate in conto corrente ed chiaro il motivo: quegli interessi non possono dirsi liquidi ed esigibili se non quando conto sarà liquidato.
Infine sottratti alla stessa prescrizione sono gli interessi capitalizzati: questi, avendo perduto la loro natura di interessi, per essersi fusi con la cosa principale, vanno regolati con le norme che regolano la prescrizione del credito di cui fanno parte.
Accanto agli interessi, lo stesso n. 4 menziona, con una formula riassuntiva delle obbligazioni indicate innanzi, tutto ciò che deve pagarsi periodicamente ad anno o in termini più brevi. Nello stesso senso disponeva il codice abrogato, ma questo, facendo dell'anzidetta prestazione una categoria a sé stante, aveva indotto la dottrina a chiedersi se l'elemento suo caratteristico (pagamento periodico ad anno o a termini periodici più brevi) si riferiva pure alle quattro precedenti categorie, se, cioè, anche per queste la limitazione nel tempo, del periodo di adempimento fosse stato un requisito essenziale, oppure se per le stesse la prescrizione quinquennale si rendeva applicabile quantunque i termini di pagamento fossero stati più lunghi di un anno. Oggi un tale motivo di disputa è eliminato, poiché si tratta, come pensava la dottrina per il n. 5 dell'articolo abrogato, di qualunque obbligazione che deve essere adempiuta nel periodo di un anno o in termini più brevi, come potrebbero essere, ad es., i canoni enfiteutici, che non essendo vere e proprie rendite, non possono rientrare nella disposizione relativa a queste ultime, le retribuzioni di opere e servizi, ecc.
Per il n. 5 sono, altresì, sottoposte alla prescrizione quinquennale le indennità spettanti per la cessazione del rapporto di lavoro, avvenga questa per recesso dal contratto a tempo indeterminato (art. 2118), oppure per giusta causa (art. 2119), oppure per morte del prestatore di lavoro (articoli 2118, 2122).

Relazione al Codice Civile

(Relazione del Ministro Guardasigilli Dino Grandi al Codice Civile del 4 aprile 1942)

1207 Rimane inalterato (art. 2948 del c.c.) il termine prescrizionale di cinque anni per i crediti elencati nell'art. 2144 del codice del 1865, ma l'anzidetto termine è esteso a ogni corrispettivo di locazioni e alle indennità spettanti per la cessazione del rapporto di lavoro.

Massime relative all'art. 2948 Codice Civile

Cass. civ. n. 2095/2023

Gli interessi relativi alle obbligazioni tributarie si pongono in rapporto di accessorietà rispetto a queste ultime unicamente nel momento genetico, atteso che, una volta sorta, l'obbligazione di interessi acquista una propria autonomia in virtù della sua progressiva maturazione, uniformandosi, pertanto, quanto alla prescrizione, al termine quinquennale previsto, in via generale, dall'art. 2948, n. 4, c.c., che prescinde sia dalla tipologia degli interessi sia dalla natura dell'obbligazione principale.

Cass. civ. n. 14062/2021

In tema di contratto di agenzia, l'indennità sostitutiva del preavviso, spettante all'agente al momento della cessazione del rapporto, è assoggettata alla prescrizione quinquennale ex art. 2948, n. 5, c.c. e non all'ordinario termine decennale, in ragione dell'esigenza di evitare le difficoltà probatorie derivanti dall'eccessiva sopravvivenza dei diritti sorti in occasione della chiusura del rapporto.

Cass. civ. n. 22362/2018

Il diritto del custode giudiziario di cose sequestrate nell'ambito di un procedimento penale al compenso per l'attività svolta, che non deriva da un rapporto di diritto privato, ma da un incarico di natura pubblicistica, è correlato a una prestazione continuativa e matura di giorno in giorno, così che è soggetto a prescrizione decennale decorrente da ogni singolo giorno, a meno che nel provvedimento di conferimento sia stabilita una determinata periodicità nella corresponsione del compenso, dovendosi, in tal caso, ritenere configurabile una prestazione periodica, con conseguente applicazione del termine quinquennale di prescrizione di cui all'art. 2948, n. 4, c.c..

Cass. civ. n. 21962/2018

L'azione di ripetizione di indebito proposta dall'INAIL per la restituzione delle somme corrisposte mensilmente a titolo di rendita per un infortunio sul lavoro è soggetta alla ordinaria prescrizione decennale e non a quella quinquennale prevista dall'art. 2948, n. 4, c.c., in quanto la frequenza mensile assume rilievo come occasionale conseguenza delle singole indebite percezioni e non come causa, stabilita ex ante, dell'attribuzione patrimoniale.

Cass. civ. n. 19729/2018

Ai fini dell'individuazione del regime di prescrizione applicabile ai crediti retributivi, il presupposto della stabilità del rapporto di lavoro può essere accertato dal giudice anche mediante ricorso al fatto notorio, costituito dalla comune conoscenza a livello nazionale o locale delle dimensioni di un'azienda e del conseguente numero di lavoratori occupati alle sue dipendenze, eccedente il limite stabilito dall'art. 18 st. lav. (Nella specie, il datore di lavoro era una società concessionaria del servizio di telecomunicazioni in ambito nazionale e la controversia si riferiva a periodi lavorativi successivi all'entrata in vigore della l. n. 108 del 1990, con cui è stata data rilevanza al numero complessivo dei dipendenti).

Cass. civ. n. 17989/2018

Il rapporto di lavoro del socio lavoratore di cooperativa è assistito dalla garanzia di stabilità, poiché, in caso di licenziamento, la maggiore onerosità per il conseguimento della tutela restitutoria, legata, oltre che all'impugnativa del licenziamento stesso, anche alla tempestiva opposizione alla contestuale delibera di esclusione, non può, di per sè, definirsi equivalente ad una condizione di "metus" caratterizzante lo svolgimento del rapporto lavorativo, tale da indurre il socio lavoratore a non esercitare i propri diritti per timore di perdere il posto di lavoro; ne consegue il decorso della prescrizione in costanza di rapporto.

Cass. civ. n. 16139/2018

Le indennità spettanti al lavoratore al momento della cessazione del rapporto di lavoro sono assoggettate alla prescrizione quinquennale ex art. 2948, n. 5, c.c. a prescindere dalla loro natura, retributiva o previdenziale, in ragione dell'esigenza di evitare le difficoltà probatorie derivanti dall'eccessiva sopravvivenza dei diritti sorti in occasione della chiusura del rapporto; ne consegue che anche per il versamento della contribuzione sull'indennità sostitutiva del preavviso di licenziamento si applica la prescrizione breve, con decorrenza dalla cessazione del rapporto, restando irrilevante l'epoca in cui tale diritto sia stato eventualmente accertato in giudizio.

Cass. civ. n. 30546/2017

La prescrizione quinquennale di cui all'art. 2948, n. 4, c.c., per tutto ciò che deve pagarsi periodicamente ad un anno o in termini più brevi, si riferisce alle obbligazioni periodiche o di durata, caratterizzate dalla pluralità e dalla periodicità delle prestazioni, aventi un titolo unico ma ripetute nel tempo, ma non è applicabile alle obbligazioni nelle quali la periodicità si riferisce esclusivamente alla presentazione di rendiconti e non anche al pagamento dei debiti accertati e liquidati nei rendiconti medesimi, né alle prestazioni derivanti da un unico debito rateizzato in più versamenti periodici, per le quali opera la ordinaria prescrizione decennale. (In applicazione dell'enunciato principio, la S.C. ha ritenuto soggetto a prescrizione decennale il credito dei farmacisti nei confronti delle ASL per il rimborso delle prestazioni fornite agli assistiti, oggetto di rendiconto da presentarsi, unitamente alle relative ricette, a cadenza mensile).

Cass. civ. n. 22172/2017

La prescrizione dei crediti del lavoratore decorre, in assenza di un regime di stabilità reale, dalla cessazione del rapporto di lavoro e rimane sospesa in costanza dello stesso, inclusi i crediti di un lavoratore formalmente autonomo, il cui rapporto sia successivamente riconosciuto come subordinato, nonché quelli derivanti da incarichi dirigenziali.

Cass. civ. n. 16845/2017

La prescrizione del diritto ad ottenere il pagamento del trattamento di fine rapporto, che decorre dalla cessazione del rapporto, non va confusa col diritto, che matura anche nel corso di esso, ad accertarne la quota temporaneamente maturata: l'uno ha per oggetto una condanna (necessariamente preceduta dall'accertamento), l'altro un mero accertamento. La diversità di contenuto e maturazione temporale dei due diritti soggettivi comporta il differente regime della prescrizione, senza che tale diversità possa essere esclusa dalla loro connessione, data dalla parziale comunanza di elementi costitutivi. (Nella specie, la S.C. ha confermato la sentenza impugnata che aveva ritenuto l’imprescrittibilità dell’azione, meramente dichiarativa, diretta ad accertare voci utili alla futura liquidazione del t.f.r.).

Cass. civ. n. 22276/2016

La prescrizione quinquennale prevista dall'art. 2948, n. 4, c.c., anche per quanto concerne gli interessi, è applicabile soltanto a condizione che l'obbligazione rivesta i caratteri indicati per la fattispecie genericamente descritta dalla norma con l'espressione «e, in generale, tutto ciò che deve pagarsi periodicamente ad anno o in termini più brevi», che si riferisce alle obbligazioni periodiche e di durata, caratterizzate dal fatto che la prestazione è suscettibile di adempimento solo con il decorso del tempo. Ne consegue che l'obbligazione relativa agli interessi, per potere essere assoggettata alla disposizione, deve rivestire il connotato della periodicità, sicché la disposizione stessa non è applicabile, in difetto di tale requisito, agli interessi moratori di fonte legale dovuti a causa del ritardo nel pagamento del prezzo di appalto, ai sensi degli artt. 33 e segg. del d.p.r. n. 1063 del 1962

Cass. civ. n. 21645/2016

L'azione promossa dal lavoratore subordinato per il riconoscimento della qualifica superiore si prescrive nell'ordinario termine decennale di cui all'art. 2946 c.c., mentre le azioni dirette ad ottenere le differenze retributive derivanti dal suddetto riconoscimento si prescrivono nel termine quinquennale previsto dall'art. 2948 c.c.

Cass. civ. n. 8684/2015

La sospensione della prescrizione dei crediti di lavoro in costanza del relativo rapporto viene meno con l'estinzione di questo, ancorché tra le stesse parti si instauri successivamente un nuovo rapporto lavorativo, atteso che le posizioni soggettive attinenti a ciascun rapporto, distinto ed autonomo, vivono e si esauriscono nell'ambito dello stesso senza interferire nello svolgimento del successivo.

Cass. civ. n. 1442/2015

Il prezzo della somministrazione d'acqua da parte di un ente fornitore, che venga pagato annualmente o a scadenze inferiori all'anno in relazione ai consumi verificatisi per ciascun periodo, configura una prestazione periodica con connotati di autonomia nell'ambito di una "causa petendi" di tipo continuativo, sicché è incluso nella previsione di cui all'art. 2948, n. 4, c.c., ed il relativo credito è soggetto alla prescrizione breve quinquennale. (Nella specie, la S.C. ha cassato la sentenza di merito che aveva qualificato come unitaria la prestazione dedotta in corrispettivo di un contratto di fornitura d'acqua da parte di un Comune, ed aveva ritenuto conseguentemente applicabile, al credito vantato da quest'ultimo, l'ordinario regime di prescrizione decennale).

Cass. civ. n. 4489/2014

Le spese condominiali hanno natura periodica, sicché il relativo credito è soggetto a prescrizione quinquennale ex art. 2948, n. 4, cod. civ., con decorrenza dalla delibera di approvazione del rendiconto e dello stato di riparto, costituente il titolo nei confronti del singolo condomino.

Cass. civ. n. 23385/2013

L'accessorietà del credito per interessi rispetto a quello per capitale determina l'omogeneità del regime della prescrizione applicabile a entrambi. Ne consegue che, ove per il capitale il termine prescrizionale non possa decorrere (nella specie, perché relativo a crediti di lavoro di rapporto privo di stabilità) se non da un determinato momento (nella specie, dalla cessazione del rapporto), anche per gli interessi trova applicazione il medesimo "dies a quo" di decorrenza.

Cass. civ. n. 18951/2013

La rateizzazione in più versamenti periodici dell'unico debito nascente da un mutuo bancario non ne determina il frazionamento in distinti rapporti obbligatori, neanche con riferimento agli interessi previsti nel piano di ammortamento, che del finanziamento costituiscono il corrispettivo, od a quelli moratori, fondati sul presupposto dell'inadempimento e privi di cadenza periodica imperativa, sicchè deve escludersi, per tali tipologie di interessi, l'applicabilità dell'art. 2948, n. 4, c.c. sulla prescrizione quinquennale degli adempimenti periodici di singole obbligazioni autonome ed indipendenti.

Cass. civ. n. 7127/2013

Gli interessi di mora dovuti per il ritardato pagamento di una pena pecuniaria costituiscono l'oggetto di un'obbligazione autonoma da quella principale, soggetta alla prescrizione quinquennale ai sensi dell'art. 2948, n. 4, c.c.

Cass. civ. n. 21145/2012

In tema di crediti di lavoro maturati a titolo di compenso per l'attività di amministratore unico di società in nome collettivo, si applica il termine prescrizionale di cui all'art. 2948, primo comma, n. 4 c.c., ove lo statuto sociale, nel far riferimento al parametro retributivo previsto per l'impiegato di prima categoria con maneggio di denaro, abbia stabilito il diritto dell'amministratore a percepire il proprio compenso con la stessa cadenza di quest'ultimo, dovendosi ritenere che la prescrizione decorra anche in costanza dell'esercizio delle relative funzioni, in quanto la regolamentazione pattizia degli interessi societari esclude che possa esservi una prospettazione di conflitto di interessi fra soci stessi - tranne l'ipotesi di revoca giudiziale della facoltà di amministrare che uno dei soci può chiedere nei confronti dell'altro a norma degli artt. 2259 e 2293 c.c. - e tra soci (o uno di essi) e la società medesima, la cui eventuale sussistenza può, in ogni caso, essere risolta con la nomina di un curatore ex art. 78 c.p.c..

Cass. civ. n. 4942/2012

Ai fini dell'individuazione del regime di prescrizione applicabile ai crediti retributivi, il presupposto della stabilità del rapporto di lavoro deve essere verificato in relazione al concreto atteggiarsi del rapporto stesso nel corso del suo svolgimento, e non già alla stregua della qualificazione ad esso attribuita dal giudice all'esito del processo, con un giudizio necessariamente "ex post". (Nella specie, la S.C. ha confermato la sentenza impugnata, secondo cui la prescrizione aveva cominciato a decorrere dal momento di cessazione del rapporto, posto che la qualificazione data all'insorgenza e nella costanza di esso era stata quella di una collaborazione priva del requisito della stabilità).

Cass. civ. n. 1338/2012

Nel contratto di rendita vitalizia, l'inerzia decennale del creditore nel pretendere la prestazione produce l'estinzione per prescrizione del diritto ad ottenerla, ai sensi dell'art. 2946 c.c., unicamente laddove essa concerna il diritto unitariamente inteso alla rendita stessa, mentre, allorché il diritto di cui sia omesso l'esercizio riguardi il pagamento di uno o più ratei scaduti, trova applicazione il termine breve di cinque anni, previsto dall'art. 2948, primo comma, n. 1, c.c.

Cass. civ. n. 24679/2011

In tema di riscossione della tassa per lo smaltimento dei rifiuti solidi urbani (TARSU), la notifica della cartella di pagamento non è sottoposta ad alcun termine di decadenza, posto che quello fissato dall'art. 72, comma primo, del d.l.vo 15 novembre 1993, n. 507, si riferisce esclusivamente alla formazione e alla notifica del ruolo, ma deve comunque avvenire nel termine di prescrizione di cinque anni, ai sensi dell'art. 2948, n. 4, c.c.

Cass. civ. n. 20600/2011

In tema di riscossione delle imposte sui redditi, gli interessi per l'omesso o ritardato versamento delle imposte dirette da parte del sostituto di imposta, regolati dall'art. 9 del d.p.r. 29 settembre 1973, n. 602 (norma vigente ratione temporis e successivamente abrogata dall'art. 37 del d.l.vo 26 febbraio 1999, n. 46) si acquistano, secondo la regola generale di cui all'art. 821 c.c., giorno per giorno, ma il termine di prescrizione quinquennale previsto dall' art. 2948, n. 4 c.c., decorre non dal momento in cui gli interessi sono maturati ma, ex art. 2935 c.c., da quando siano esigibili e cioè dal momento in cui l'Amministrazione finanziaria abbia definitivamente liquidato la somma dovuta a titolo di imposta e di ritenuta di acconto, con la conseguenza che qualora l'Amministrazione medesima abbia proceduto con i poteri attribuiti dall'art. 36 bis del d.p.r. 29 settembre 1973 n. 600, la prescrizione degli interessi non può iniziare a decorrere anteriormente alla scadenza dei termini di decadenza dei controlli automatizzati, previsti dalla norma citata, sulla dichiarazione presentata dal sostituto di imposta.

Cass. civ. n. 19487/2011

L'art. 2948, n. 4, c.c., che prevede la prescrizione quinquennale per tutto ciò che deve pagarsi periodicamente ad anno o in termini più brevi, si riferisce alle obbligazioni periodiche e di durata, caratterizzate dal fatto che la prestazione è suscettibile di adempimento solo con il decorso del tempo, sicché anche gli interessi previsti dalla stessa disposizione debbono rivestire il connotato della periodicità. La disposizione non è pertanto applicabile agli interessi moratori di fonte legale dovuti a causa del ritardo nel pagamento del corrispettivo dell'appalto, ai sensi dell'art. 40 del Capitolato generale di appalto delle Ferrovie dello Stato.

Cass. civ. n. 8057/2011

L'azione promossa dal lavoratore subordinato ed avente ad oggetto il riconoscimento della qualifica superiore si prescrive nell'ordinario termine decennale di cui all'art. 2946 c.c., mentre le azioni dirette ad ottenere le differenze retributive derivanti dal suddetto riconoscimento si prescrivono nel termine quinquennale previsto dall'art. 2948 c.c., il quale decorre anche quando il diritto a tali differenze venga fatto valere contemporaneamente al diritto all'attribuzione alla qualifica superiore, soggetto alla prescrizione decennale.

Cass. civ. n. 1147/2011

La decorrenza o meno della prescrizione in corso di rapporto va verificata con riguardo al concreto atteggiarsi del medesimo, ben diversa essendo la situazione psicologica in cui versa il lavoratore per il timore della risoluzione del rapporto. allorché si tratti di lavoro formalmente autonomo, da quella in cui il rapporto di lavoro sia garantita sin dall'inizio della stabilità reale, e a nulla rilevando, in relazione alla situazione di soggezione in cui versa il lavoratore nel primo caso, il successivo riconoscimento giudiziale della diversa normativa garantistica che avrebbe dovuto astrattamente regolare il rapporto. (Fattispecie relativa ai lavori affidati in convenzione dalle Ferrovie dello Stato ex art. 26 legge n. 1236 del 1959, in un caso in cui il giudice di merito aveva accertato la natura subordinata del rapporto).

Cass. civ. n. 17629/2010

In tema di prescrizione dei crediti del lavoratore, il principio di cui agli artt. 2948 n. 4, 2955 n. 2 e 2956 n. 1 c.c. (quali risultanti dalla pronuncia della Corte costituzionale n. 63 del 1966), secondo il quale la prescrizione non decorre in costanza di rapporto di lavoro non assistito da stabilità reale, riguarda per espressa previsione il solo diritto alla retribuzione e non si estende al diritto del lavoratore al risarcimento del danno derivante dalla violazione degli obblighi di cui all'art. 2087 c.c., la cui prescrizione (decennale in caso di azione di responsabilità contrattuale) decorre dal momento in cui il danno si è manifestato, anche in corso di rapporto di lavoro.

Cass. civ. n. 4283/2010

La TARSU, la TOSAP ed i contributi di bonifica sono tributi locali che si strutturano come prestazioni periodiche, con connotati di autonomia nell'ambito di una "causa debendi" di tipo continuativo, in quanto l'utente è tenuto al pagamento di essi in relazione al prolungarsi, sul piano temporale, della prestazione erogata dall'ente impositore o del beneficio da esso concesso, senza che sia necessario, per ogni singolo periodo contributivo, un riesame dell'esistenza dei presupposti impositivi. Essi, quindi, vanno considerati come obbligazioni periodiche o di durata e sono sottoposti alla prescrizione quinquennale di cui all'art. 2948, n. 4 c.c.

Cass. civ. n. 25047/2009

L'obbligazione relativa agli interessi è legata a quella principale da un vincolo di accessorietà soltanto nel momento genetico, mentre le sue vicende sono indipendenti da quelle del capitale e dai relativi atti interruttivi, con la conseguenza che, costituendo l'oggetto di una prestazione dovuta in base ad una "causa debendi" continuativa, tale obbligazione soggiace alla prescrizione quinquennale fissata dall'art. 2948, n. 4, c.c. Laddove, tuttavia, essa attenga ad un debito rateizzato in prestazioni periodiche costituenti adempimento parziale di un'unica obbligazione principale, si ha identità della "causa debendi" tra detta obbligazione accessoria e quella principale, con la conseguenza che il termine di prescrizione inizia a decorrere per entrambe le obbligazioni dal momento utile per il pagamento dell'ultima rata del debito principale e viene ad identificarsi, anche per gli interessi, con quello ordinario decennale.

Cass. civ. n. 24037/2009

L'indennità di avviamento prevista dall'art. 34 della L. n. 392 del 1978. non costituisce, diversamente dai canoni di locazione, una prestazione da corrispondersi periodicamente ma un credito legato alla presenza di determinati presupposti e da estinguersi in unica soluzione, onde il relativo diritto non è soggetto al termine di prescrizione di cui all'art. 2948 n. 3 c.c., ma a quello ordinario decennale, previsto dall'art. 2946 c.c., la cui applicazione può avere luogo anche d'ufficio, posto che grava sulla parte che eccepisce la prescrizione estintiva solamente l'onere di allegare l'inerzia del titolare del diritto dedotto in giudizio e di manifestare la volontà di avvalersene, non anche di tipizzare l'eccezione secondo una delle varie ipotesi previste dalla legge, ossia di specificare a quale tra le prescrizioni, diverse per durata intenda riferirsi, spettando al giudice stabilire se, in relazione alla domanda che può conoscere nel merito e al diritto applicabile nel caso concreto, la prescrizione sia maturata.

Cass. civ. n. 15687/2009

La prescrizione quinquennale dei crediti acquistati "iure hereditatis" per un pregresso rapporto di lavoro decorre dalla data di apertura della successione e quindi di acquisizione del credito da parte dell'erede, mentre per il periodo in cui il rapporto lavorativo ha avuto regolare svolgimento, ove lo stesso non sia assistito da stabilità reale, trova applicazione la normativa che esclude la decorrenza della prescrizione dei crediti di lavoro, dovendosi ritenere che la sospensione della prescrizione, non applicabile all'erede attesa l'attuale inesistenza di una posizione di soggezione rispetto al datore di lavoro, continui ad applicarsi per il periodo pregresso in cui il rapporto lavorativo ha avuto svolgimento.

Cass. civ. n. 1717/2009

La prescrizione dei crediti del lavoratore non decorre in costanza di un rapporto di lavoro formalmente autonomo, del quale sia stata successivamente riconosciuta la natura subordinata con garanzia di stabilità reale in relazione alle caratteristiche del datore di lavoro, giacché, in tal caso, il rapporto è, nel suo concreto atteggiarsi, di natura subordinata e, cionondimeno, restando formalmente autonomo, non è immediatamente garantito, non essendo possibile, in caso di recesso datoriale, la diretta applicabilità della disciplina garantista, che potrebbe derivare solo dal futuro (ed eventuale) riconoscimento della natura subordinata del rapporto.

Cass. civ. n. 16612/2008

La natura esclusivamente privatistica del rapporto di somministrazione tra consumatore, del tutto estraneo al rapporto di imposta, e fornitore esclude l'applicabilità della disciplina della decadenza dalla facoltà di richiedere il rimborso per l'imposta indebitamente versata, stabilita dal legislatore nel rapporto pubblicistico a tutela dell'interesse dello Stato, all'azione di ripetizione del maggior prezzo corrisposto contemplata nel diritto comune, inapplicabile nell'ordinamento tributario, in quanto la obiettiva diversità e non equiparabilità dei rispettivi rapporti sostanziali e le finalità pubblicistiche perseguite dalla normativa tributaria determinano la ragionevolezza della brevità del termine di decadenza da questa imposta, potendo, peraltro, il fornitore richiesto dall'amministrazione del pagamento di una maggiore imposta, nell'esercizio del suo diritto di traslazione di imposta sul consumatore, ripetere la conseguente maggiorazione del prezzo con fatturazione integrativa e relativa nota di variazione, nell'ambito del rapporto di somministrazione. (Nella specie la S.C. ha rigettato il ricorso avverso la sentenza di merito che aveva ritenuto infondata la questione di illegittimità costituzionale sollevata dal fornitore di gas metano in relazione ai diversi termini prescrizionali tra il rapporto privatistico e quello tributario ).

Cass. civ. n. 15798/2008

In caso di cessazione del rapporto di lavoro, le indennità spettanti sono assoggettate alla prescrizione quinquennale ex art. 2948, n. 5, c.c. e non all'ordinario termine decennale, a prescindere dalla natura, retributiva o previdenziale, dell'indennità medesima, ovvero dal tipo di rapporto, subordinato o parasubordinato, in essere, in ragione dell'esigenza di evitare le difficoltà probatorie derivanti dall'eccessiva sopravvivenza del diritti sorti nel momento della chiusura del rapporto; ne consegue che, anche con riguardo all'indennità sostitutiva del preavviso di licenziamento, nonché di esonero agevolato per inidoneità al lavoro, si applica la prescrizione breve.

Cass. civ. n. 2086/2008

La prescrizione quinquennale di cui all'art. 2948, nn. 3 e 4, c.c., concernente, tra le altre ipotesi, il corrispettivo delle locazioni, riguarda prestazioni che maturano con il decorso del tempo e che, pertanto, divengono esigibili solo alle scadenze convenute, giacché costituiscono corrispettivo della controprestazione resa per i periodi ai quali i singoli pagamenti si riferiscono; detta prescrizione si giustifica, quindi, sia in ragione della continuità del rapporto che richiede e consente un accertamento in tempi relativamente brevi dell'avvenuta esecuzione delle singole prestazioni, sia perché l'eventuale prescrizione di una singola prestazione non pregiudica il diritto all'adempimento delle rimanenti, per le quali la prescrizione non sia compiuta. Ne consegue, pertanto, che, là dove il corrispettivo contrattuale sia solo apparentemente periodico, nel senso che esso consiste in una prestazione unitaria, pur eseguibile frazionatamente nel tempo (come nel caso dedotto nella fattispecie di contratto di leasing in cui è dilazionata l'esigibilità delle singole rate del finanziamento, ma l'utilizzatore è tenuto a restituirne l'intero, essendo unitaria la prestazione che egli si impegna ad eseguire) il termine di prescrizione è quello decennale, applicabile in genere alle azioni contrattuali e, segnatamente, a quelle di adempimento o di responsabilità.

Cass. civ. n. 23472/2007

Atteso che, ai sensi dell'art. 2948, n. 4, c.c. (nel testo risultante dalle sentenze della Corte costituzionale), la prescrizione quinquennale resta sospesa durante l'esecuzione del rapporto di lavoro non assistito da garanzia di stabilità, e che nelle ipotesi di prestazioni di fatto con violazione di legge — incompatibili con il licenziamento, ma comportanti la più assoluta libertà del datore di lavoro di rifiutare la prestazione — è radicalmente esclusa la situazione di stabilità, i relativi crediti, spettanti ex art. 2126 c.c., restano sospesi durante il rapporto. (Nella specie, in applicazione del suddetto principio, la S.C., con riferimento all'attività giornalistica da parte di soggetto iscritto nell'elenco dei pubblicisti, comportante la nullità del contratto e il riconoscimento della prestazione di fatto, ha cassato la sentenza di merito che, facendo decorrere la prescrizione, aveva dichiarato estinti parte dei relativi crediti).

Cass. civ. n. 21573/2007

In tema di lavoro carcerario, il termine di prescrizione dei diritti del lavoratore non decorre durante lo svolgimento del rapporto, essendo il rapporto privo di stabilità ed atteso che le particolarità del lavoro carcerario — nel quale la configurazione sostanziale e la tutela giurisdizionale dei diritti nascenti dal rapporto possono non coincidere con quelli che contrassegnano il lavoro libero in considerazione delle modalità essenziali di esecuzione della pena e delle corrispondenti esigenze organizzative dell'amministrazione penitenziaria — possono determinare nel lavoratore una situazione di metus giustificativa della sospensione della prescrizione.

Cass. civ. n. 2941/2007

In tema di IVA, il credito erariale per la riscossione dell'imposta (a seguito di accertamento divenuto definitivo ) è soggetto non già al termine di prescrizione quinquennale previsto dall'art. 2948, n. 4, c.c. «per tutto ciò che deve pagarsi periodicamente ad anno o in termini più brevi » bensì all'ordinario termine di prescrizione decennale di cui all'art. 2946 c.c., in quanto la prestazione tributaria, attesa l'autonomia dei singoli periodi d'imposta e delle relative obbligazioni, non può considerarsi una prestazione periodica, derivando il debito, anno per anno, da una nuova ed autonoma valutazione in ordine alla sussistenza dei presupposti impositivi.

Cass. civ. n. 13717/2004

Il diritto del lavoratore dipendente, che, deducendo l'irregolare e scorretto svolgimento delle procedure di selezione, reclami il riconoscimento della superiore qualifica ed il risarcimento dei danni per la mancata promozione, soggiace alla prescrizione decennale, atteso (per quanto concerne in particolare la pretesa risarcitoria) che i danni lamentati derivano non dalla violazione del principio del neminem laedere (art. 2043 c.c.) ma da un illecito contrattuale, mentre non rileva, ai fini dell'applicabilità della prescrizione quinquennale ex art. 2948 c.c., la circostanza che il lavoratore abbia fatto riferimento, in via di mero parametro per la quantificazione del danno, alle differenze retributive che gli sarebbero spettate in caso di promozione.

Cass. civ. n. 575/2003

Nel caso che tra le stesse parti si succedano due o più contratti di lavoro a termine, ciascuno dei quali legittimo ed efficace, il termine prescrizionale dei crediti retributivi, di cui agli artt. 2948, numero 4, 2955, numero 2, e 2956, numero 1, c.c., inizia a decorrere, per i crediti che sorgono nel corso del rapporto lavorativo dal giorno della loro insorgenza e, per quelli che si maturano alla cessazione del rapporto, a partire da tale momento, dovendo ai fini della decorrenza della prescrizione i crediti scaturenti da ciascun contratto considerarsi autonomamente e distintamente da quelli derivanti dagli altri e non potendo assumere alcuna efficacia sospensiva della prescrizione gli intervalli di tempo correnti tra un rapporto lavorativo e quello successivo, stante la tassatività della elencazione delle cause sospensive previste dagli artt. 2941 d 2942 c.c., e la conseguente impossibilità di estendere tali cause al di là delle fattispecie da quest'ultime norme espressamente previste.

Cass. civ. n. 12596/2002

I pagamenti periodici relativi alle spese fisse per la pulizia e la manutenzione del fabbricato condominiale attengono all'obbligazione del singolo condomino nei confronti della collettività condominiale e rientrano nella previsione dell'art. 2948, n. 4, c.c., con la conseguenza del loro assoggettamento alla prescrizione breve quinquennale.

Cass. civ. n. 6209/1999

Il prezzo della somministrazione di energia elettrica da parte di un ente fornitore di tale servizio, che venga pagato annualmente o a scadenze inferiori all'anno in relazione ai consumi verificatisi per ciascun periodo configura una prestazione periodica con connotati di autonomia nell'ambito di una causa petendi di tipo continuativo e deve pertanto ritenersi incluso nella previsione dell'art. 2948, n. 4 c.c., con la conseguenza dell'assoggettamento alla prescrizione breve quinquennale del corrispondente credito.

Cass. civ. n. 802/1999

La prescrizione quinquennale prevista per gli interessi dall'art. 2948, n. 4, c.c. è applicabile, come si desume dall'interpretazione letterale e dalla ratio della citata disposizione, soltanto nell'ipotesi che la relativa obbligazione si riferisca a crediti da pagarsi con cadenza annuale o infrannuale e cioè nel caso in cui sia - per legge o per contratto - previsto che il creditore possa ottenerne il pagamento a scadenze annuali (o inferiori), con la conseguenza che, in assenza di una previsione legale o contrattuale che stabilisca il versamento periodico degli interessi, il diritto a quest'ultimo resta soggetto alla prescrizione ordinaria decennale.

Cass. civ. n. 2936/1995

L'azione del conduttore che agisce per la ripetizione delle somme che assume di avere versato in eccedenza rispetto al canone legale è soggetta ai medesimi principi che regolano la domanda di ripetizione di indebito ed è, pertanto, soggetta alla prescrizione ordinaria decennale a norma dell'art. 2946 c.c., non potendo invocarsi né la prescrizione breve del diritto al risarcimento del danno, trattandosi di un'obbligazione derivante dalla legge e non di obbligazione ex delicto, né quella quinquennale di cui all'art. 2948 n. 3 c.c., che riguarda l'azione del locatore per il pagamento della pigione, né, infine, quella triennale prevista dall'art. 8 L. 27 gennaio 1963, n. 19 che riflette i diritti derivanti dalla tutela dell'avviamento commerciale.

Cass. civ. n. 6941/1992

In materia di locazione di immobili urbani il diritto del conduttore di ottenere la restituzione del deposito cauzionale si prescrive nel termine ordinario decennale, atteso che la funzione di mera garanzia del suddetto deposito ne esclude l'assimilabilità al canone o, comunque, ad un corrispettivo della locazione, e che la prescrizione breve quinquennale riguarda esclusivamente l'azione del locatore volta al pagamento del canone.

Cass. civ. n. 1084/1984

Al fine dell'applicazione del principio che la prescrizione dei crediti di lavoro non decorre durante il rapporto solo quando questo non sia assistito da garanzia di stabilità, tale stabilità deve essere ravvisata ogni qual volta il rapporto stesso, indipendentemente dal carattere pubblico o privato del datore di lavoro, sia regolato da una disciplina che, sul piano sostanziale, subordini la legittimità e l'efficacia del recesso del datore di lavoro alla sussistenza di circostanze obiettive e predeterminate e, sul piano processuale, affidi al giudice il sindacato su dette circostanze e la possibilità di rimuovere gli effetti del licenziamento illegittimo. Questa situazione si verifica nei rapporti soggetti alla disciplina dello statuto dei lavoratori (legge 20 maggio 1970, n. 300), tenuto conto che l'ordine di riassunzione del lavoratore illegittimamente licenziato, contemplato dall'art. 18 dello statuto medesimo, assicura l'indicata stabilità, perché, pur se non suscettibile di esecuzione forzata in forma specifica, trova adeguata sanzione nell'obbligo del datore di lavoro inadempiente di versare comunque, ed a tempo indeterminato, la retribuzione al dipendente non riassunto.

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Consulenze legali
relative all'articolo 2948 Codice Civile

Seguono tutti i quesiti posti dagli utenti del sito che hanno ricevuto una risposta da parte della redazione giuridica di Brocardi.it usufruendo del servizio di consulenza legale. Si precisa che l'elenco non è completo, poiché non risultano pubblicati i pareri legali resi a tutti quei clienti che, per varie ragioni, hanno espressamente richiesto la riservatezza.

A. G. chiede
venerdì 18/10/2024
“Buongiorno, mia moglie ha lavorato presso il comune di XXX dal 26/02/1985 al 01/09/2011 quando è andata in pensione. Chiedo, vista la sentenza della corte costituzionale n.4 del 11/012024, rientra fra gli aventi diritto al rimborso della differenza dell'anzianità non percepita e all'ottenimento della maggiorazione della RIA? E' il vostro studio legale che si interessa a fare questa rivendicazione? gradirei se si il costo. in attesa di una risposta , un cordiale saluto.”
Consulenza legale i 28/10/2024
La Corte Costituzionale con sentenza n. 4 del 2024 ha dichiarato illegittimo l'art. 51, comma 3, della legge n. 388 del 2000 (Legge Finanziaria 2001), con la conseguenza che il periodo di anzianità rilevante, per il calcolo della Retribuzione Individuale di Anzianità, non si ferma al 31 dicembre 1990, come previsto inizialmente, ma include anche il triennio 1991-1993, così consentendo a diversi dipendenti pubblici di richiedere il ricalcolo della R.I.A. con il conseguente riconoscimento di eventuali arretrati, influenti sia sul trattamento pensionistico che sul T.F.S..

La sentenza ha efficacia retroattiva e quindi andrà sicuramente ad incidere positivamente su tutti i giudizi ancora pendenti riguardanti i ricorsi presentati per ottenere il riconoscimento del diritto; non è invece chiaro il risvolto per quanti non abbiano partecipato ad alcuna azione volta ad ottenere il riconoscimento in questione.

Pertanto, non essendo prevedibili i risvolti normativi della sentenza, le consiglio di attivarsi in via precauzionale inoltrando una domanda di ricostruzione di carriera, nonché una richiesta formale all’ente competente richiedendo sia la revisione del calcolo della pensione che il rimborso della R.I.A. non corrisposta.

Tenga però presente che il suddetto diritto potrebbe essersi prescritto, ove consideri che la prescrizione in materia di crediti di lavoro è di cinque anni (art. 2948 c.c.). Ciò che rileva, quindi, è la decorrenza della prescrizione; Se la prescrizione decorre dalla data di pensionamento, il diritto si sarebbe prescritto nel 2016, se invece decorre dalla pubblicazione della sentenza, da quando dunque è stata accerta l’incostituzionalità e quindi da quando è venuta a conoscenza della possibilità di far valere il diritto, sarebbe ancora possibile agire.

In ogni caso, data la rilevanza della sentenza “de quo” è possibile che si aprano degli spiragli anche per casi come il suo.


G. C. chiede
venerdì 04/10/2024
“Salve, ho necessità di sapere se ci sono termini per la presentazione della domanda per la pensione di reversibilità
In sostanza entro quando devo presentare la domanda?
Grazie”
Consulenza legale i 07/10/2024
Il diritto alla pensione di reversibilità è regolato dalla Legge 335/1995, la cosiddetta riforma Dini relativa al sistema pensionistico; detto diritto è soggetto alle norme sulla prescrizione previste dal c.c.; in particolare il diritto a richiedere la pensione di reversibilità si prescrive in 5 anni, ex art. art. 2948 del c.c..

Tuttavia questo vale per i ratei pensione non richiesti al momento in cui è sorto il diritto (la morte del pensionato/lavoratore).

In altre parole la domanda di reversibilità deve essere presentata dagli aventi diritto (ossia dal coniuge superstite, dai figli minori, dai figli studenti fino a 26 anni a carico, dai figli inabili al lavoro indipendentemente dall’età) entro dodici mesi dal decesso del pensionato/lavoratore.

Se viene presentata oltre questo termine il diritto alla pensione non viene perso ma i ratei maturati saranno limitati ai 5 anni precedenti.

E.A. chiede
martedì 30/01/2024
“Il 16/12/2021 ho acquistato immobile con rogito notarile in XXX.

Il 20/12/2021 comunicai tale acquisto (loro protocollo 17.991) al Consorzio di Bonifica YYY Nord ed il 15/11/2022 ho provveduto a pagare il primo contributo annuale richiestomi per l'anno 2022 a fronte loro richiesta non evidenziante alcuna morosita' pregressa.

Il 20/1/2024 mi viene recapitata raccomandata da tale consorzio nella quale mi viene richiesto un pagamento relativo all'anno 2018 che evidentemente il proprietario (dal quale il 29/11/2018 il mio venditore aveva acquistato l'immobile poi a me rivenduto) non aveva onorato.
La richiesta inoltratami e' quale 'avente causa,....di due proprietari fa...
Considerato che al mio atto di acquisto nulla era emerso su tale morosita', che il Consorzio avrebbe avuto oltre 3 anni di tempo per rivalersi sul mio venditore, che prima di tale raccomandata, per una imposta riferentesi a 6 anni fa, non avevo mai avuto alcuna notizia, la richiesta formulatami non mi parrebbe legittima ed intenderei impugnarla.
Ho gia' scritto a tale ente ottenendo per risposta una sentenza della Cassazione del 1979.
Attendo Vs. determinazioni Grazie”
Consulenza legale i 08/02/2024
La circostanza che le somme non siano state chieste al precedente proprietario che ha dato luogo alla morosità non sembra purtroppo dirimente ai fini di una eventuale impugnazione dell’avviso.
Infatti, i contributi dei proprietari nella spesa di esecuzione, manutenzione ed esercizio delle opere pubbliche di bonifica costituiscono oneri reali sui fondi dei contribuenti (art. 21, R.D. n. 215/1933).
Questo significa che l’obbligo di pagamento “segue” il fondo e non il soggetto che di volta in volta ne diviene proprietario, con la conseguenza che il Consorzio può legittimamente esigere il pagamento dal proprietario attuale, che non può opporre di essere entrato nel possesso del bene in un periodo successivo alla nascita della obbligazione.
Tuttavia, si nota che la giurisprudenza prevalente ritiene che i tributi locali che si strutturano come prestazioni periodiche, tra i quali i contributi di bonifica, siano soggetti a prescrizione quinquennale in quanto l'utente è tenuto al pagamento di essi in relazione al prolungarsi, sul piano temporale, della prestazione erogata dall'ente impositore o del beneficio da esso concesso, senza che sia necessario, per ogni singolo periodo contributivo, un riesame dell'esistenza dei presupposti impositivi (Cassazione civile sez. trib. n. 9445/2017 Comm. trib. reg. Sassari n. 565/2021; Comm. trib. reg. Roma n. 5356/2017; Comm. trib. reg. Ascoli Picenon. 57/2011, contraria Comm. trib. reg. Potenza, n. 311/2019).
Pertanto, posto che l’avviso è stato notificato nel 2024 in relazione al contributo del 2018, vi potrebbe forse essere spazio per contestare l’avvenuta prescrizione, a meno che il Consorzio non abbia inviato altre richieste di pagamento prima dello scadere del termine dei cinque anni (elemento che allo scrivente non è possibile verificare).


P. M. chiede
lunedì 08/01/2024
“Da 44 anni sono un dipendente di un confidi con il ruolo di direttore, ma con una retribuzione non adeguata. Ho chiesto al consiglio di amministrazione il riconoscimento della figura di dirigente, avendo di fatto svolto tutte le funzioni come titolare effettivo; il consiglio ha deliberato favorevolmente riconoscendomi il ruolo senza quantificare la differenza retributiva.
Devo andare in pensione e non vorrei perdere il diritto di chiedere la differenza retributiva per tutto il periodo lavorativo, soprattutto perché si profila l’ipotesi, tra tre o quattro anni, la messa in liquidazione della società.
E’ possibile sottoscrivere un accordo che non impatti immediatamente sul conto economico della società spostando l’evento al verificarsi di alcune condizioni?”
Consulenza legale i 13/01/2024
Per rispondere al quesito è necessario innanzitutto fare qualche precisazione circa i termini di prescrizione dei crediti retributivi.

Ai sensi del codice civile e secondo la giurisprudenza costante, il termine prescrizionale, che porta all’estinzione del credito retributivo, è di 5 anni.

Per quanto riguarda la decorrenza della prescrizione (il c.d. dies a quo), le pronunce giurisprudenziali negli anni, a seconda delle novelle legislative in tema di tutela del licenziamento, hanno proposto talvolta la decorrenza del termine in costanza del rapporto di lavoro e talaltra la decorrenza dalla cessazione del rapporto.

La Corte costituzionale nel 1966 (Sent. n. 63/1966) aveva escluso la decorrenza della prescrizione in costanza di rapporto, in ragione dell’esistenza di una particolare situazione psicologica (c.d. metus) del lavoratore che avrebbe potuto spingerlo a desistere dall’esercitare il proprio diritto. In quel tempo, infatti, vigeva una sostanziale libertà di recesso e il quadro normativo era caratterizzato dall’assenza di una qualunque tutela reintegratoria che permettesse al lavoratore illegittimamente licenziato (per aver esercitato un proprio diritto) di essere reintegrato nel posto si lavoro.

Con l’introduzione della tutela reintegratoria, applicabile quale che fosse il vizio che rendeva invalido il licenziamento per le aziende con più di 15 dipendenti, la giurisprudenza ha mutato orientamento (Sent. n. 174/1972 e s.s.). Secondo i Giudici, la possibilità di essere reintegrati sul posto di lavoro a fronte di un licenziamento illegittimo faceva venire meno quella particolare condizione psicologia produttiva della reticenza ad esercitare una pretesa economica in costanza di rapporto per il timore di essere licenziati. In quegli anni, la prescrizione dei crediti retributivi tornava quindi a decorrere durante il rapporto di lavoro per le aziende con più di 15 dipendenti e dalla cessazione del rapporto di lavoro per le aziende che avevano un limite numerico inferiore. Tale impostazione è stata confermata per decenni sino all’entrata in vigore della Riforma Fornero (L. 92/2012) e successivamente del D.Lgs. 23/2015, quando la tutela reintegratoria è stata relegata a poche e circoscritte ipotesi di licenziamento, con evidente preferenza del Legislatore per la tutela indennitaria.

La giurisprudenza recente, ed in particolare la Corte di Cassazione con la sentenza n. 26246/2022, ha quindi mutato di nuovo orientamento, affermando che nel nuovo quadro normativo, la reintegrazione del lavoratore che subisca un licenziamento illegittimo, non costituisce “la forma ordinaria di tutela contro ogni forma illegittima di risoluzione” e assume, dunque, un carattere “recessivo” rispetto alla tutela indennitaria.
Ne consegue quindi che il lavoratore durante il rapporto di lavoro ritorna a versare in una condizione soggettiva di subalternità psicologica data dall’incertezza circa la tutela (reintegratoria – prevista per ipotesi residuali - o indennitaria) applicabile in caso di licenziamento illegittimo. Una tutela che si svela al lavoratore solo ex post nell’ambito di un giudizio di impugnazione del licenziamento intimato dal datore di lavoro.
La Corte di cassazione è tornata quindi a ribadire che la prescrizione del credito retributivo decorre dalla cessazione del rapporto di lavoro a prescindere dal limite numerico dei dipendenti impegnati.

Pertanto, i lavoratori potranno reclamare crediti sorti dal luglio 2007 (ovvero nei cinque anni antecedenti all’entrata in vigore della Riforma Fornero) e potranno avanzare tale richiesta entro cinque anni dalla cessazione del rapporto di lavoro.

Tutto quanto sopra premesso, pertanto, si deve quindi stabilire se i crediti retributivi di cui al quesito siano o meno prescritti.
Per quanto riguarda i crediti anteriori al 2007, nel caso in cui il datore di lavoro sia un’azienda con più di 15 dipendenti, gli stessi saranno da ritenersi prescritti.
Per quanto riguarda i crediti successivi al 2007, secondo la recente sentenza della Corte di Cassazione, il termine di prescrizione decorrerà dalla cessazione del rapporto di lavoro e quindi dalla data del pensionamento.
Per evitare di incorrere nella predetta prescrizione, pertanto, sarà necessario chiedere le differenze retributive al datore di lavoro entro il predetto termine.

Una volta interrotta la prescrizione, si potrà giungere ad un accordo per stabilire le modalità e i termini di corresponsione di tali somme.
Si dovrà quindi sottoscrivere una scrittura privata attraverso la quale il datore di lavoro (debitore) si impegnerà a corrispondere gli stipendi arretrati in favore del proprio dipendente (creditore) a determinate condizioni e secondo determinate scadenze.
La scrittura sarà importante per mettere nero su bianco da un lato il riconoscimento del credito da parte del datore di lavoro e dall’altro l’importo totale delle differenze retributive.


T. V. chiede
sabato 27/05/2023
“Gentili Signori, in rif alla vs consulenza n. Q202230436 del 10.03.2022 che di seguito allego, ho chiesto al mio avvocato di procedere con le diffide non avendo avuto riscontro positivo da alcuni ex inquilini, però mi ha risposto che la prescrizione è biennale e NON quinquennale come da voi riferitomi. In sostanza presumo io, ci sia una mancata informazione relativa ad un articolo di legge che risulta abrogato (art. 6 della legge 22 dicembre 1973, n. 841). Vi chiedo di verificare e relativamente confermarmi se la prescrizione è quinquennale come in precedenza riferitomi o biennale. Come vi avevo riportato anche se presumibilmente è un dettaglio non rilevante, sono unico proprietario della palazzina. Le spese di cui chiediamo il pagamento sono acqua, luce e gas. Cordialmente”
Consulenza legale i 02/06/2023
Si ribadiscono le considerazioni svolte nella precedente consulenza. L’art. 6 della L.n. 841/1973, prevedeva la prescrizione biennale del diritto del proprietario di pretendere il rimborso degli oneri accessori del contratto di locazione. Tale normativa tuttavia, è stata espressamente abrogata dall’art. 24 e allegato "A parte 8" del D.L. n.112/08 (c.d. "D.L Taglia Leggi" conv. con L. n.133 del 06.08.2008).

L’effetto principale della abrogazione effettuata dal D.L. cosiddetto "taglia leggi" del 2008 è stato quello di parificare la prescrizione per pretendere il pagamento degli oneri condominiali sia nel rapporto proprietario-condominio sia nel rapporto proprietario-inquilino, superando di fatto tutta la giurisprudenza citata dal collega nel parere da lei fornito a corredo del presente quesito, in quanto formatasi attorno ad una normativa che oggi deve intendersi espressamente abrogata. L’abrogazione dell’art. 6 della L. n.841/1973, non ha fatto altro, infatti, che riestendere il perimetro applicativo della prescrizione quinquennale previsto dal n.3 dell’art. 2948 del c.c. anche al diritto al rimborso degli oneri accessori. Questo oggi deve considerarsi un punto fermo in materia.
Ovviamente la citata normativa è applicabile a partire da quei crediti che sono sorti successivamente alla entrata in vigore del D.L. Taglia Leggi (22.12.2008): per tutti i crediti sorti antecedentemente, rimane in vigore il precedente art 6 L. n.841/1973, rimanendo parimenti valida la giurisprudenza formatasi attorno alla sua interpretazione, in questo senso è molto chiara, ad esempio, Corte di Appello di Firenze n.62 del 06.02.2012.

Nel redigere il presente parere come quello precedente che le è stato comunicato, si è dato per scontato che il credito al rimborso da lei vantato sia sorto successivamente al dicembre del 2008, anche perché se così non fosse, essendo nel momento in cui si scrive nel giugno del 2023, il suo credito sarebbe ormai da anni prescritto indipendentemente da ogni considerazione in merito alla disciplina applicabile.

L. G. chiede
lunedì 26/09/2022 - Lombardia
“Buona sera. Vorrei sapere (essendo una lavoratrice domestica) se posso chiedere la liquidazione del TFR agli eredi della mia defunta datrice di lavoro.<br />
IL RAPPORTO E TERMINATO NEL MESE DI STTEMBRE 2015. Posso chiederlo e che cosa eventualmente devo fare?<br />
Cordialita”
Consulenza legale i 02/10/2022
Per quanto riguarda gli obblighi contrattuali degli eredi nel rapporto di lavoro domestico, se gli eredi hanno accettato l’eredità dovranno rispondere di tutti i debiti che derivano dall’accettazione del patrimonio e quindi anche di quelli che sono sorti in seguito all’instaurazione del rapporto di lavoro domestico.

Se il chiamato all’eredità ha, invece, dichiarato espressamente di non accettare l’eredità, non è divenuto erede e quindi non sarà responsabile del pagamento dei debiti sorti in capo alla datrice di lavoro defunta.

Pertanto, nel caso in cui gli eredi abbiano accettato l’eredità della defunta datrice di lavoro, sono debitori nei confronti della lavoratrice domestica di quanto spettante a titolo di TFR.

Tuttavia, è necessario richiedere il TFR al datore di lavoro o ai suoi eredi - in via giudiziale o stragiudiziale - entro 5 anni dalla conclusione del rapporto di lavoro, altrimenti il diritto si prescrive, come previsto dall’art. 2948, n. 5, c.c.

Pertanto, nel caso in cui non sia mai stata fatta richiesta agli eredi, il diritto al TFR è ormai prescritto.

G. A. chiede
martedì 19/04/2022 - Veneto
“Buonasera,
Nel 2008 per motivi economici ho interrotto il pagamento dell'assegno di separazione nel 2013 mi è stato concesso il divorzio con una piccola riduzione dell ' assegno, che non ho mai pagato, nel 2016 ho ricevuto notifica di precetto nel quale mi chiedevano le mensilità arretrate e interessi a partire dal 2008.
Non fatto opposizione ed ho atteso passivamente che mi pignorassero alcuni magazzini di proprietà .
Il pignoramento non è mai avvenuto.
La mia domanda è: premesso che le mensilità precedenti agli ultimi 5 anni si prescrivono,
Il precetto può aver bloccato la prescrizione del debito antecedente agli ultimi 5 anni?
Grazie della risposta”
Consulenza legale i 27/04/2022
Occorre premettere che, come ribadito più volte dalla Cassazione (si veda ad es. Sez. I Civ., 04/04/2005, n. 6975), “in tema di separazione e di divorzio, il diritto alla corresponsione dell'assegno di mantenimento per il coniuge, così come il diritto agli assegni di mantenimento per i figli, in quanto aventi a oggetto prestazioni autonome, distinte e periodiche, non si prescrivono a decorrere da un unico termine rappresentato dalla data della pronuncia della sentenza di separazione o di divorzio, ma dalle singole scadenze delle prestazioni dovute, in relazione alle quali sorge di volta in volta il diritto all'adempimento”.
Il termine di prescrizione è quello quinquennale previsto dall’art. 2948 c.c.
In proposito, infatti, sempre la Cassazione ha precisato che “i ratei mensili degli assegni di mantenimento per i figli, così come gli assegni di separazione e di divorzio per il coniuge, costituendo prestazioni che debbono essere pagate periodicamente in termini inferiori all'anno, ai sensi dell'art. 2948 cod. civ., n. 4, si prescrivono in cinque anni, non rilevando, al fine dell'operatività di tale norma - anzichè di quella dell'art. 2953 c.c. - il fatto che essi siano dovuti in forza di sentenza di separazione o divorzio passata in giudicato, costituendo questa fonte dell'obbligazione periodica e titolo esecutivo per l'esazione dei singoli ratei, ma non costituendo invece giudicato sulla debenza del singolo rateo, tenuto conto della particolare struttura delle obbligazioni in questione” (Sez. I Civ., 01/06/2010, n. 13414).
Riassumendo, quindi, i singoli ratei dell’assegno di mantenimento, stabilito nella sentenza di separazione o di divorzio, si prescrivono in cinque anni, decorrenti dalle rispettive scadenze mensili.
Detto questo, l’atto di precetto, in quanto atto interruttivo della prescrizione ex art. 2943 c.c., non può, chiaramente, interrompere la prescrizione dei ratei mensili scaduti da più di cinque anni; naturalmente, la prescrizione potrebbe essere stata interrotta da eventuali altri atti precedenti la notifica del precetto (circostanza di cui, però, non siamo a conoscenza). Va aggiunto che, nel nostro caso, dalla notifica del precetto sono nuovamente trascorsi più di cinque anni, a quanto pare senza ulteriori atti interruttivi.

ANDREA T. chiede
giovedì 20/05/2021 - Toscana
“NEL 2007 HO AFFITTATO UN IMMOBILE A FIRENZE AD USO ABITATIVO. NON MAI CHIESTO L'AGGIORNAMENTO DEL CANONE IN FUNZIONE DELL' ISTAT.
HO DIRITTO AGLI ARRETRATI PER L'ADEGUAMENTO DEL CANONE ?”
Consulenza legale i 24/05/2021
Per rispondere alla domanda occorre verificare cosa c’è scritto nel contratto di locazione (art. 1571 c.c.).
Se quest’ultimo contiene la dicitura "adeguamento automatico senza richiesta del proprietario" (o qualcosa di simile), allora il conduttore è tenuto a pagare l’aggiornamento del canone a prescindere dalla richiesta del locatore che ha quindi diritto sia all’aumento che ad eventuali arretrati.
La prescrizione di questi ultimi, in base all’art. 2948 c.c. è di 5 anni (significa che possono essere richiesti fino a 5 anni prima e non oltre).
A titolo meramente informativo, precisiamo che detta clausola automatica è possibile solo nei contratti uso abitativo (come quello della presente vicenda) e non quelli uso commerciale (Cass. 3014/2012).
Qualora invece il contratto non preveda un adeguamento “automatico” la richiesta degli arretrati non è dovuta.

In risposta quindi alla domanda, verifichi nel contratto la presenza o meno della clausola di adeguamento automatico: se c’è, potrà chiedere gli arretrati degli ultimi 5 anni altrimenti no.

Marco R. chiede
giovedì 14/05/2020 - Puglia
“Buongiorno redazione,

prendo spunto da una recente sentenza della Cassazione (la n.30546/2017), riguardante la non applicazione della prescrizione breve, prevista dall'art.2948 c.4 c.c. - in merito ai rimborsi periodici dovuti dalle aziende sanitarie alle farmacie - per sapere se, secondo voi, anche le provvigioni di un agente di commercio potrebbero a questo punto soggiacere alla prescrizione ordinaria, piuttosto che a quella breve indicata da prevalente dottrina.

Del resto, nei rapporti di agenzia, la mandante non è di certo contrattualmente obbligata a corrispondere sempre le provvigioni, laddove il suo agente non abbia concluso nel trimestre di riferimento alcun affare (così facendo venir meno il riferimento a "tutto ciò che DEVE essere pagato periodicamente", richiamato dalla norma sopra indicata).

Grazie.”
Consulenza legale i 19/05/2020
Con la sentenza n. 30546/2017 la Corte di Cassazione ha confermato il principio secondo cui la prescrizione quinquennale prevista dall'art. 2948, n. 4), cod. civ., per tutto ciò che deve pagarsi periodicamente ad un anno o in termini più brevi si riferisce alle obbligazioni periodiche o di durata, caratterizzate dalla pluralità e dalla periodicità delle prestazioni, aventi un titolo unico ma ripetute nel tempo, ma non è applicabile alle obbligazioni nelle quali la periodicità si riferisce esclusivamente alla presentazione di rendiconti e non anche al pagamento dei debiti accertati e liquidati nei rendiconti medesimi, né alle prestazioni derivanti da un unico debito rateizzato in più versamenti periodici, per le quali opera la ordinaria prescrizione decennale (sentenza 6 dicembre 2006, n. 26161).
Nel caso oggetto della predetta sentenza la Cassazione ha ritenuto applicabile il termine decennale in quanto la consegna delle ricette e i conseguenti rimborsi avvengono con una periodicità che non è imposta da cadenze obbligate, ma solo da esigenze di rendiconto.
Infatti, i crediti della farmacia richiedono un previo accertamento da parte dell'amministrazione e, pertanto, difettano del requisito della esigibilità, e ciò fino a quando l'ente erogatore non emette il mandato di pagamento ovvero fino a quando non esaurisce la fase di accertamento e compie tutti gli atti che la legge prescrive affinchè il pagamento stesso sia autorizzato (si veda Cass. 24157/2013, citata da Cass. n. 30546/2017).
Invece, le provvigioni dell’agente ai sensi dell’art. 1749 c. 2 devono essere pagate entro l’ultimo giorno del mese successivo alla scadenza del trimestre in cui la provvigione è maturata.
Effettivamente, l’ulteriore osservazione della Cassazione circa il fatto che nel caso in cui il farmacista non avrebbe venduto nulla, nulla sarebbe dovuto dalla ASL è fuorviante.
D’altronde la stessa Corte porta come esempio di pagamento periodico le bollette: anche per quanto riguarda queste ultime nel caso in cui non si usufruisca del servizio erogato, nulla è dovuto.
Ad ogni modo non si rinvengono interventi, né dottrinali, né giurisprudenziali, che ritengano applicabile la prescrizione quinquennale alle provvigioni dirette dell’agente.

Giuseppe C. chiede
martedì 21/01/2020 - Calabria
“Un professionista (ingegnere) in qualità di direttore dei lavori richiede, in data odierna, ad una pubblica amministrazione il pagamento degli interessi per due fatture liquidate in ritardo. La prima fattura liquidata nel 2014 con circa un mese di ritardo sulla scadenza della stessa. La seconda liquidata nel 2016 (gennaio) con circa un mese di ritardo sulla scadenza. Si chiede opera la prescrizione visto che primo caso sono trascorsi 5 anni e nel secondo caso opera la prescrizione presuntiva?
Si precisa che mai prima d'oggi il professionista aveva chiesto soddisfazione di tale ritardo e che l'amministrazione riteneva pienamente estinto ogni debito.”
Consulenza legale i 23/01/2020
L’obbligazione di pagamento degli interessi, pur essendo accessoria rispetto a quella principale, è dotata di una particolare autonomia causale ed è soggetta al termine di prescrizione quinquennale ai sensi dell’art. 2948 c.c..

Una costante giurisprudenza ritiene che, proprio a causa di tale carattere autonomo, la prescrizione del credito per gli interessi sia sganciata dalla prescrizione fissata per il credito principale e sia, perciò, insensibile alle vicende interruttive riguardanti esclusivamente quest’ultima (Cassazione civile, sez. II, 30 marzo 2001, n.4704).
In particolare, il riconoscimento o il pagamento di un debito quanto al capitale non implica anche il riconoscimento del debito di interessi moratori e, quindi, non interrompe la prescrizione del relativo credito, ove non sia ad esso chiaramente riferito, stante il legame solo genetico di accessorietà degli interessi rispetto al capitale, che rende i relativi diritti suscettibili di negoziazione autonoma (Cassazione civile, sez. VI, 25 luglio 2014, n.17020; Cassazione civile sez. I, 16/11/2007, n.23746).

Per quanto riguarda i crediti dei professionisti, oltre alle disposizioni civilistiche, è necessario tenere conto anche del D.Lgs. n. 231/2001, recante “Attuazione della direttiva 2000/35/CE relativa alla lotta contro i ritardi di pagamento nelle transazioni commerciali”, che concerne i crediti delle imprese e dei liberi professionisti ed è applicabile anche alla pubblica amministrazione per espressa previsione dell’art. 2.
L’art. 4, D. Lgs. n. 231/2001, stabilisce che gli interessi moratori decorrono, senza che sia necessaria la costituzione in mora, dal giorno successivo alla scadenza del termine per il pagamento (stabilito in via generale in trenta giorni, con alcune eccezioni).

Non sembra, invece, applicabile l’art. 2956, comma 1, n.2), c.c., che prevede la prescrizione di tre anni per il credito relativo al compenso dei professionisti e per il rimborso delle spese correlative.
Tale termine, infatti, si riferisce soltanto alla prestazione principale e non all’obbligazione di pagamento degli interessi, che –come visto- è autonoma e indipendente, anche per quanto riguarda il termine e la decorrenza della prescrizione.

Per tali ragioni, non sono sicuramente prescritti gli interessi relativi alla parcella del 2016, mentre gli interessi concernenti la parcella del 2014 paiono non dovuti, essendo già decorso al momento della richiesta di pagamento il termine quinquennale di prescrizione.


Susanna G. chiede
sabato 12/08/2017 - Liguria
“Mi pregio gentilmente chiedere un competente parere giuridico sul seguente fatto:

a) in data 21/06/2017 l'... omissis... ha inviato alla mia Famiglia residente in Via ...omissis... un operatore che ha gratuitamente sostituito il vecchio contatore del Gas.
b) in data 10/08/2017 è pervenuta una Bolletta ...omissis... data di emissione 25.07.2017 Nr. Cliente ...omissis... (periodo di riferimento 10.06.2017-25. 07.2017) di € 1.007,91, nella quale si citano Bollette, regolarmente pagate, risalenti ai periodi: 01.06.2011-31.12.2011; 01.01.2012-31.12.2012; 01.01.2013-31.12.2013; 01.01.2014-31.12.2014; 01.01.2015-31.12.2015; 01.01.2016-31.12.2016; 01.01.2017-
21.06.2017; 22.06.2017 - 08.07.2017; 09.07.2017-25.07.2017, con la clausola di un minore addebito di consumo gas su tali bollette, a causa del vecchio contatore: Consumi: Letture: Tipologia: ultima rilevata in prec. bolletta: 31.05.11. Consumi segnanti 4101 - smc - ultima fatturata in prec. bolletta: 08.06.17 segnanti 25221 - smc: (21120) - Restituzione Consumi fatturati in acconto (dal 31.05.11 al 08.06.17): - 21120; Cambio misuratore: 21.06.17. Consumi segnanti: 26313 - smc: 22130; autolettura: 08.07.2017 - Consumi segnanti: 8 - smc: 8 - Consumo rilevato
(dal 01.01.13 al 08.06.17) smc: 22138; Stima Eni Gas e Luce: 25.07.2017 - Consumi segnanti: 67 - smc: 59; Totale Fornitura Gas: smc 1.077.
c) Di comune accordo con la mia Famiglia (Mio Padre è vedovo da circa 3 anni e mezzo, purtroppo), avendo il conto bancario in comune, abbiamo bloccato temporaneamente la bolletta ma non l'erogazione del servizio. Periodicamente alcuni addetti del gas facevano la lettura del vecchio contatore, sulle bollette antecedenti alla sua sostituzione, si sottolineava che l'auto lettura comunque non sostituiva la lettura periodica del loro incaricato.
d) Ora Vi chiediamo gentilmente un parere giuridico: è lecito richiedere un conguaglio così elevato, con la semplice giustificazione che il vecchio contatore aveva segnato un consumo di gas ad uso domestico e familiare più basso di quello rilevato dal nuovo installato gratuitamente? Ossia, ciò può aver efficacia retroattivamente, non è in contrasto con le norme del Codice Civile: Titolo V: Art. 2934 Estinzione dei diritti: "Ogni diritto si estingue per prescrizione, quando il titolare non lo esercita per il tempo determinato dalla legge (2946). Non sono soggetti alla prescrizione i diritti indisponibili e gli altri indicati dalla legge (248, 249, 263, 270, 533. 713, 823, 841, 902, 948, 1111, 1422, 1865)"?

In attesa di un Vs. gradito parere legale, con cortese sollecitudine, colgo l'occasione per ringraziarVi e porgerVi

Distinti Saluti

Susanna G.

Ho allegato alcune delle Fatture contestate.”
Consulenza legale i 16/08/2017
Dal quesito posto emerge che il conguaglio, relativo al periodo 1/6/2011 - 25/7/2017, è stato richiesto dalla società di fornitura con la sola giustificazione che il vecchio contatore aveva segnato un consumo di gas ad uso domestico e familiare più basso di quello rilevato dal nuovo contatore recentemente installato.

In tale situazione rilevano due questioni problematiche, ossia il periodo con riferimento al quale è stato richiesto il conguaglio, e la giustificazione dell'errato calcolo del vecchio contatore.

Con riferimento alla prima questione relativa al periodo di conguaglio, si precisa che l'art. 2948 del Codice Civile prevede che si prescrivono in cinque anni gli interessi e in generale tutto ciò che deve pagarsi periodicamente ad anno o in termini più brevi; tra le somme che devono pagarsi periodicamente, dunque soggette a prescrizione quinquennale, rientrano i crediti relativi alla somministrazione di energia elettrica e gas, ossia le bollette corrispondenti ai relativi consumi periodici.
Quindi, il fornitore non può pretendere il pagamento di somme riguardanti consumi che potevano essere richiesti 5 anni prima dell’emissione della fattura.
Per capire quali siano i consumi il cui pagamento può dirsi prescritto, si deve far riferimento al giorno in cui può essere fatto valere il diritto dal fornitore, in particolare dal momento in cui il fornitore può eseguire la lettura dei consumi sul contatore. Tale è il momento in cui lo stesso può pretendere il pagamento del conguaglio, da cui decorre la prescrizione quinquennale.
Più precisamente, è necessario individuare il giorno entro il quale il gestore, per il tramite del distributore, avrebbe dovuto effettuare la lettura del contatore. In materia di fornitura di servizi, la normativa di settore dell’Autorità per l’energia elettrica il gas e il sistema idrico ARG/gas 64/09 stabilisce che le letture periodiche del contatore devono essere eseguite:
- almeno una volta l'anno per i clienti con consumi di gas fino a 500 Smc/anno;
- almeno 2 volte l'anno, per i clienti con consumi di gas superiori a 500 Smc/anno e fino a 1.500 Smc/anno;
- almeno 3 volte l'anno, per i clienti con consumi di gas superiori a 1.500 Smc/anno e fino a 5.000 Smc/anno;
- almeno una volta al mese per i clienti con consumi di gas superiori a 5.000 Smc/anno.
Dal quesito non emerge in quale categoria rientri il consumo in analisi, ma comunque, dovendosi procedere con la lettura almeno una volta l'anno, al 25 luglio 2017 sarebbero prescritti i crediti che erano azionabili fino al 25 luglio 2012, ossia può dirsi prescritto quanto dovuto con riferimento al periodo che va dal 1 giugno 2011, quantomeno al 1 giugno 2012.
Pertanto, con riferimento a tale aspetto, il consiglio è di contattare il fornitore di gas e chiedere la detrazione di quanto prescritto relativamente al periodo anzidetto; in caso di resistenza da parte del fornitore si dovrebbe in primo luogo insistere dicendo che sui diritti non si intavolano trattative, vanno riconosciuti senza alternative, e in caso di esito negativo, reiterare la richiesta con raccomandata a/r.

Con riguardo al secondo aspetto problematico relativo alla giustificazione del vecchio contatore, si potrebbe richiedere alla società di fornitura una prova di quanto sostenuto, ossia che il vecchio contatore aveva segnato un consumo di gas ad uso domestico e familiare più basso di quello rilevato dal nuovo contatore; in effetti, si ha diritto a visionare la foto del contatore, effettuata al momento della sostituzione.
Tuttavia, dall'analisi della documentazione allegata al quesito, dal "verbale di sostituzione gruppo di misura" del 21 giugno 2017 rileva che, nel momento in cui l'addetto ha provveduto alla sostituzione del contatore del gas, il cliente ha firmato un modulo di rinuncia alla verifica del contatore, consentendo alla non conservazione ed al conseguente smaltimento dello stesso. Si potrebbe prevedere, comunque, una opposizione del fornitore alla richiesta di fornire una prova del non corretto funzionamento del contatore, in quanto è stato firmato il modulo di rinuncia alla verifica dello stesso, benché tale comportamento sembrerebbe tenuto ad arte per scaricare sul consumatore la responsabilità del non poter verificare il contatore una volta sottoscritto il modulo di rinuncia alla verifica.
Pertanto, il consiglio per tale situazione è quello di contestare anche l'aspetto della giustificazione del conguaglio, mettendo in dubbio la correttezza del comportamento del fornitore che prima fa firmare un modulo di rinuncia alla verifica del contatore, autorizzandone lo smaltimento, e poi invia un conguaglio sulla base del non corretto calcolo di quello stesso contatore.

Marcello P. chiede
lunedì 22/05/2017 - Emilia-Romagna
“Buongiorno
Un artigiano in data 04/04/2017 presentava domanda d’iscrizione alla gestione INPS artigiani con efficacia retroattiva al 01/01/2011; dopo essere stata accolta e confermata dalla direzione INPS con email del 07/04/2017 , l’artigiano non riceveva dall’Ente alcuna notifica, ne’ a mezzo posta, tantomeno tramite email, di quanto dovuto per contributi.
Successivamente ne prendeva visione consultando il proprio cassetto previdenziale
dove “scaricava” una semplice lettera datata 12/04/2017 in cui erano indicati i contributi “fissi” dovuti per il 2017, ma che di fatto erano comprensivi degli arretrati per i 6 anni antecedenti(2011-2016), comprensivi di sanzioni ed interessi di mora. La somma totale veniva ripartita nelle 4 classiche rate fisse, con prima scadenza 16/05/2017.
L’artigiano vorrebbe contestare la sanzione applicata, in quanto ben difforme da quella preventivamente indicata e motivata dal funzionario Inps tramite email, e sebbene l’istante abbia gia’ pagato la prima rata, mostrando un comportamento consenziente.
Qualora l’artigiano impugnasse la lettera per il pagamento dei contributi con ricorso amministrativo al comitato INPS competente, l’istituto medesimo, dal canto suo potrebbe modificare, in autotutela, le sanzioni gia’ applicate ed aumentarle, rinnegando di fatto quanto contestato sino ad oggi e contenuto nella documentazione “scaricata” dal proprio cassetto previdenziale.
Questo poiche’alcune contestazioni non sono state sanzionate, mentre quelle applicate potrebbero essere soggette a differenti interpretazioni, permettendo all’Istituto di valutare alcuni comportamenti del contribuente come evasioni piuttosto che semplici omissioni, ed assoggettarli a sanzioni ben piu’ elevate.
Ringraziandovi per il prezioso parere.
Cordialmente

Consulenza legale i 29/05/2017
Il contribuente, nel caso di specie, teme che – a seguito e con l’occasione della presentazione del ricorso amministrativo avverso la comunicazione relativa agli oneri contributivi ed alle sanzioni (cosiddetto ricorso in “autotutela”) – l’INPS possa riesaminare la sua posizione e ritenere, contrariamente a quanto fatto in prima battuta, di dover sanzionare anche condotte antecedenti al 2011.
Ciò a motivo del fatto che tali condotte si sostanzierebbero in una vera e propria evasione contributiva di natura dolosa, dolo che il contribuente si chiede possa o meno incidere sulla richiesta dell’ente previdenziale sotto il profilo del decorso della prescrizione.

La risposta al quesito è molto semplice e non può che tranquillizzare chi pone la domanda: la prescrizione è legata al mero trascorrere del tempo e su di essa non possono incidere gli stati soggettivi.
Ciò sia in base alla disciplina generale sulla prescrizione dettata dal codice civile sia in base alla normativa specifica sulla prescrizione degli oneri contributivi.
In particolare quest’ultima, Legge n. 335 del 08/08/1995, all’articolo 3 così stabilisce, senza ulteriori precisazioni: “9. Le contribuzioni di previdenza e di assistenza sociale obbligatoria si prescrivono e non possono essere versate con il decorso dei termini di seguito indicati:

a ) dieci anni per le contribuzioni di pertinenza del Fondo pensioni lavoratori dipendenti e delle altre gestioni pensionistiche obbligatorie (…). A decorrere dal 1° gennaio 1996 tale termine è ridotto a cinque anni salvi i casi di denuncia del lavoratore o dei suoi superstiti;

b ) cinque anni per tutte le altre contribuzioni di previdenza e di assistenza sociale obbligatoria.”

Il termine di prescrizione decorre dal giorno in cui sarebbe dovuto versare il saldo della dichiarazione dei redditi dell’anno di riferimento: nel caso in esame, quindi, il primo anno a partire dal quale sono state comminate le sanzioni è il 2011, perché il termine per il saldo dei redditi relativi al 2011 è maturato nel 2012.

Per tornare al quesito, non c’è alcun pericolo, dunque, che l’Ente impositore sanzioni d’ufficio, in un secondo momento, gli anni antecedenti al 2011, neppure se per ipotesi il contribuente (a proprio sfavore) sollevasse la questione nel ricorso.
Né è corretto affermare, come è scritto nella domanda, che l’INPS abbia optato per un’interpretazione benevola della norma: non vi è stata, in realtà, alcuna “interpretazione”, semplicemente l’applicazione letterale della legge, dal significato inequivocabile.

Sonia B. chiede
martedì 28/03/2017 - Umbria
“buon giorno il 9 marzo il mio datore di lavoro ha pagato gli stipendi, io non ho ritirato il mio perchè ero di malumore e me ne sono andata. la stessa sera lui ha messo l incasso con il mio stipendio in macchina non chiudendola a chiave attardandosi poi con un cliente e lasciandola incustodita ha subito il furto dei soldi. Ora io rivendicando il mio compenso mi sono sentita rispondere che siccome quella sera non l'ho ritirato non ha diritto al mio stipendio chi ha ragione?”
Consulenza legale i 04/04/2017
E' fuor di dubbio che la lavoratrice abbia pieno diritto all'incasso del proprio stipendio.

Esiste un obbligo preciso in carico al datore di lavoro di retribuire il lavoratore, mentre non esiste un corrispondente obbligo - per il lavoratore - di incassare la paga in un determinato momento.
La lavoratrice, nel quesito, specifica che il mancato ritiro dello stipendio in data 9 marzo è stato determinato da una decisione personale e influenzato dal suo stato d'animo (il che non è certo vietato): tuttavia, a volte il lavoratore si trova nell'impossibilità oggettiva di ritirarlo personalmente o comunque di incassarlo e ciò non fa mai, comunque, venir meno il suo diritto.

Il diritto alla retribuzione - come tutti i diritti - è soggetto a prescrizione, ma nel più ampio termine di 5 anni, come previsto dall'art. 2948 cod. civ.: non solo, ma è da molto tempo che la Corte Costituzionale ha stabilito che la prescrizione del diritto alla retribuzione non matura in corso di rapporto bensì inizia a decorrere dal momento in cui quest'ultimo cessa.

Da ultimo, si osserva come ad essere censurabile non sia certo il comportamento tenuto dalla lavoratrice, quanto piuttosto quello tenuto da datore di lavoro, il quale si è rivelato irresponsabile nel lasciare del denaro incustodito in macchina, alla portata di chiunque.
Se, per effetto di tale sua sconsiderata condotta, egli non abbia più di che pagare la lavoratrice, sarà lui ad essere in difetto perché in mora nel pagamento della retribuzione.

Davide B. chiede
venerdì 25/12/2015 - Campania
“Salve, mi viene reclamato da una società di locazione finanziaria, il pagamento di fatture di locazione di oltre 5 anni fà, non pagate dalla sas (chiusa nel 2007) di cui ero socio amministratore. La mia domanda è se tale credito vantato è prescritto. Volendo usufruire del servizio a pagamento, desidererei inviare copia del contratto e specificare ulteriori dettagli.Grazie, cordiali saluti. Si noti che non è un contratto di leasing ma di locazione operativa.”
Consulenza legale i 12/01/2016
Il quesito concerne l'eventuale sopravvenuta prescrizione dei canoni di locazione operativa richiesti all'amministratore di una società in accomandita semplice cessata nel 2007, con particolare riferimento a fatture risalenti a oltre cinque anni fa.

Nel caso di specie, poiché viene richiesto il pagamento di canoni di locazione operativa (per completezza si precisa che il contratto di locazione operativa è un contratto di godimento in base al quale l'utilizzatore ha la disponibilità del bene per un periodo di tempo determinato, verso il pagamento di un canone periodico di norma commisurato al valore d'uso del bene stesso) si applica il termine di prescrizione quinquennale di cui all'art. 2948 del c.c., il quale stabilisce che si prescrive in cinque anni "tutto ciò che deve pagarsi periodicamente ad anno o in termini più brevi".

Pertanto, in astratto, ai sensi del combinato disposto tra l'art. 2948 del c.c. (sopra richiamato) e l'art. 2935 del c.c. (in virtù del quale "la prescrizione comincia a decorrere dal giorno in cui il diritto può essere fatto valere", cioè, nel caso di specie, dal giorno successivo a quello della scadenza dei pagamenti dei singoli canoni di locazione), a fronte della richiesta odierna del locatore si potrebbe eccepire la prescrizione dei canoni di locazione risalenti a oltre cinque anni precedenti rispetto alla data di ricezione della raccomandata di intimazione di pagamento e messa in mora.

Tuttavia, occorre subito precisare che, dalla ricostruzione dei fatti, risulta che il locatore abbia interrotto la decorrenza del termine quinquennale di prescrizione poiché nel 2012 ha notificato al cliente atto di precetto ed il successivo atto di pignoramento (con il quale veniva richiesto il pagamento dei canoni non corrisposti sino a tale data), integrando pertanto quanto previsto dall'art. 2943 del c.c., il quale stabilisce che "la prescrizione è interrotta dalla notificazione dell'atto con il quale si inizia un giudizio, sia questo di cognizione ovvero conservativo o esecutivo".

Pertanto, la raccomandata in data 24 novembre 2015 inviata dal locatore (idonea anch'essa ad interrompere la decorrenza del termine di prescrizione, ai sensi dell'art. 2943, comma 4, del cod. civ.), non costituisce il primo atto di interruzione della prescrizione, essendosi il locatore "attivato" già nel 2012 (pertanto il nuovo termine quinquennale di prescrizione decorre, appunto, dal 2012).

Infine, a nulla rileva che la società in accomandita semplice sia cessata nel 2007, poiché il socio amministratore di una società in accomandita semplice risponde illimitatamente delle obbligazioni sociali, in virtù di quanto disposto dall'art. 2318 del c.c. (il quale disciplina la responsabilità dei soci che siano amministratori della sas), che rinvia alla disciplina delle società in nome collettivo art. 2291 del c.c..

Inoltre, dalla ricostruzione in fatto emerge altresì che il cliente avrebbe provveduto al pagamento dei primi tre canoni di locazione; pertanto, anche qualora vi fosse stata la contestazione della conformità del bene consegnato rispetto a quanto inserito nel contratto (con le modalità specificamente indicate al punto n. 3 del contratto di locazione), sembrerebbe che tale contestazione sia stata superata dallo stesso cliente il quale ha adempiuto al pagamento dei successivi canoni di locazione (manifestando pertanto una volontà contraria rispetto alla contestazione della conformità del bene).

In sintesi, il cliente non può eccepire la sopravvenuta prescrizione quinquennale con riferimento ai canoni di locazione operativa non corrisposti poiché il locatore ha provveduto ad interrompere la prescrizione.

Salvatore D. chiede
sabato 09/05/2015 - Lombardia
“Dalla Soc. Abbanoa, fornitrice acqua in Sardegna, dal 2005 al 2010 ho ricevuto, con cadenze irregolari, solo fatture di acconti di modesta entità. Nell'ottobre 2014 mi è arrivata una fattura di conguaglio risalendo a consumi ipotizzati anno per anno dal 2005 al 2014. La cifra addebitata è esorbitante rispetto ai consumi storici dei 10 anni precedenti (ESAF). Ho subito contestato tale addebito fino ad ora senza risposta. Quesito: nel mio caso esiste una prescrizione del debito? se sì da quando? come posso contestare i consumi addebitati (mediamente 8 volte superiori a quelli storici)? Grazie”
Consulenza legale i 12/05/2015
La vicenda della società idrica sarda Abbanoa S.p.a. ha avuto una certa risonanza a livello mediatico, visto che numerosissimi utenti si sono visti recapitare bollette con conguagli da capogiro.

Tutto nasce dal comma 31.1 dell’Allegato A alla delibera 643/2013/R/IDR dell'Autorità nazionale per l’energia, il gas e il servizio idrico, recante il metodo tariffario idrico (MTI), che ha previsto che “gli eventuali conguagli relativi a periodi precedenti al trasferimento all’Autorità delle funzioni di regolazione e controllo del settore, e non già considerati ai fini del calcolo di precedenti determinazioni tariffarie, sono quantificati ed approvati, entro il 30 giugno 2014, dagli Enti d’Ambito o dagli altri soggetti competenti e comunicati all’Autorità”. In altre parole, il gestore idrico ha potuto ricalcolare l'adeguamento tariffario per la copertura dei costi operativi di gestione del servizio idrico, per un totale di 106 milioni di euro nella regione Sardegna, da far pagare agli utenti (decisione del 30 giugno 2014, relativa alla quantificazione dei disallineamenti tra costi ammissibili revisionati e proventi tariffari fino a tutto il 2011).

La vicenda sembra aver avuto un epilogo felice, visto che con delibera 23 aprile 2015 188/2015/R/idr l'Autorità, a fronte delle urgenti e straordinarie criticità finanziarie documentate dal gestore del servizio idrico integrato per la Sardegna, Abbanoa S.p.a., ha conferito mandato alla Cassa Conguaglio per il Settore Elettrico per l'erogazione di una anticipazione finanziaria, a favore della menzionata gestione.
Di conseguenza, Abbanoa ha fatto sapere di ritenere sospesi i pagamenti delle bollette in scadenza: l'azienda comunicherà le nuove scadenze e le modalità dei pagamenti, che potrebbero essere spalmati in più anni. Secondo l’amministratore delegato Ramazzotti i conguagli incideranno nei bilanci familiari in misura molto lieve, "cinque, sei euro al mese" (un articolo di cronaca in merito su questa pagina).

Nel caso di specie, da un punto di vista strettamente giuridico, l'art. 2948 del c.c., al n. 4, sancisce la prescrizione in 5 anni di tutto ciò che deve pagarsi periodicamente, quindi, anche delle bollette per utenza idrica. Pertanto, le bollette che si riferiscono a periodi antecedenti all'ottobre 2009 non devono essere pagate, in quanto il debito si è prescritto.
Quanto ai consumi degli ultimi cinque anni, invece, si consiglia di chiedere informazioni direttamente al gestore, per comprendere se le proprie bollette rientrano tra quelle sospese. In alternativa, ci si può rivolgere ad una tra le molte associazione a tutela dei consumatori, che sono molto informate circa i procedimenti da seguire in casi di questo genere.

Il consiglio, in generale, è di non pagare quanto non si è sicuri di dovere, in particolare per quanto concerne i debiti più vecchi, poiché, in base all'art. 2940 del c.c., il debitore-utente non potrà poi chiedere la restituzione di una somma pagata spontaneamente, anche se relativa ad un debito prescritto.
Se si reputano esorbitanti i consumi addebitati negli ultimi 5 anni, sarà necessario procedere alla opportune verifiche (è consigliabile sempre appoggiarsi ad una associazione di consumatori) ed eventualmente accertare in sede giudiziale la debenza delle somme richieste.

Angelo V. chiede
lunedì 23/02/2015 - Sicilia
“Faccio seguito a quesito n. 11763. Dai bilanci risulta che l'azienda ha avuto degli utili diversi da anno in anno che non sono stati mai conteggiati se non con un acconto di 1500 poi 1700 euro ed alla fine di 2000 euro al mese;gli utili ad eccezione degli ultimi due anni sono notevolmente a Quelli avuti come acconto: tuttavia la titolare prelevava per arrivare ad un buco di 1 milione di euro alla fine della cessazione dell'attività; i miei utili venivano caricati sulla mia dichiarazione dei redditi e la titolare della farmacia mi pagava le tasse relativi agli utili dichiarati ma mai riscossi: inoltre non esiste nessun contratto tra le parti; la titolare era sempre assente nell'azienda e tutto il lavoro pesava su di me. Le chiedo un preventivo su questi quesiti ben precisi: da premettere che non desidero esercitare nessuna diritto di prelazione; grazie.”
Consulenza legale i 23/02/2015
Come già evidenziato nel quesito precedente, il collaboratore nell'impresa familiare ex art. 230 bis del c.c. ha diritto a partecipare agli utili dell'impresa familiare ed ai beni acquistati con essi, nonché agli incrementi dell'azienda, anche in ordine all'avviamento, in proporzione alla quantità e qualità del lavoro prestato: in occasione del trasferimento dell'azienda, se il familiare cessa di prestare la sua attività nell'impresa, il diritto di partecipazione agli utili ed incrementi a lui spettante dovrà essere liquidato in denaro dal disponente, secondo quanto disposto dall'art. 230 bis, quarto comma, c.c.

Nel caso di specie, non esistendo altri accordi scritti tra le parti, ci si dovrà rifare al contenuto dell'atto pubblico o della scrittura privata autenticata dichiarativa dell'impresa familiare: si tratta di un atto rilasciato in originale dal notaio e che viene registrato presso l'agenzia delle entrate, non depositato al registro imprese. Nel nostro caso, si dice che vi era "una divisione formale degli utili del 49% per il non proprietario".

Dal punto di vista fiscale, l'art. 3, comma 12 del D.L. 19.12.1984 n. 853, convertito con L. 17.2.1985 n. 17, stabilisce che i redditi delle imprese familiari di cui all'articolo 230 bis del codice civile, limitatamente al 49% dell'ammontare risultante dalla dichiarazione annuale dell'imprenditore (il 49% è il limite massimo), possono essere imputati a ciascun familiare che abbia prestato in modo continuativo e prevalente la sua attività di lavoro nell'impresa, proporzionalmente alla sua quota di partecipazione agli utili.
E' richiesto che la dichiarazione annuale dell'imprenditore rechi l'indicazione delle quote di partecipazione agli utili spettante al familiare ed altresì che ciascun familiare attesti, nella propria dichiarazione annuale, di avere prestato la sua attività di lavoro nell'impresa in modo continuativo e prevalente.

Quindi, nel caso in esame, in via astratta, al collaboratore spetterebbero tutti gli utili dichiarati di anno in anno dall'imprenditore come quota spettante al collaboratore, che è stata individuata nel massimo consentito dalla legge (49%).

Tuttavia, ci sono diverse questioni da approfondire mediante la consulenza concreta di un legale ma anche di un commercialista: innanzitutto, tra le parti sembrava essersi instaurata una prassi per cui il familiare percepiva una sorta di "stipendio" mensile inferiore agli utili, e nello stesso tempo però accettava che - formalmente - la vera percentuale di utili fosse caricata sulla sua personale dichiarazione dei redditi e le tasse venissero però pagate dall'imprenditore. Questa situazione si è protratta per 15 anni.
Pertanto, dopo aver chiarito, mediante attenta analisi della documentazione fiscale, tutti i profili rilevanti da questo punto di vista, riguardo l'aspetto meramente civilistico si dovrà verificare se il diritto a percepire gli utili si sia o meno prescritto.

Sotto questo secondo profilo, la Corte di Cassazione, con sentenza del 15 luglio 2009, n. 16477, ha stabilito che: "il diritto agli utili dell'impresa familiare, previsto dall'art. 230 bis c.c., è condizionato dai risultati raggiunti dall'azienda, essendo poi gli stessi utili naturalmente destinati (salvo il caso di diverso accordo) non alla distribuzione tra i partecipanti ma al reimpiego nell'azienda o in acquisti di beni; la maturazione di tale diritto - dalla quale decorrono rivalutazione monetaria ed interessi ex art. 429 c.p.c., in relazione alla riconducibilità della collaborazione continuativa all'impresa familiare ad uno dei rapporti di cui all'art. 409 c.p.c., n. 3 - coincide di regola, in assenza di un patto di distribuzione periodica, con la cessazione dell'impresa familiare o della collaborazione del singolo partecipante (Cass. 22 ottobre 1999 n. 11921; Cass. 23 dicembre 2003 n. 19683), sicché la prescrizione applicabile - ordinaria decennale, salva l'ipotesi di detto patto - comincia a decorrere da uno dei due summenzionati eventi". Prevede la decennalità della prescrizione, e non quella quinquennale prevista dall'art. 2948 c.c., anche Cassazione, Sez, Lavoro, n. 20273 del 27 settembre 2010.
Quindi, nel nostro caso, se l'impresa è cessata da poco, il diritto agli utili sarebbe ancora esistente.

Poiché la mera imputazione fiscale degli utili in capo al collaboratore non è di per sé sufficiente a dimostrare che gli utili spettanti siano stati effettivamente percepiti, il collaboratore avrà il diritto di provare in giudizio di non aver ricevuto la quota di utili a lui spettanti (cioè, quella quota che annualmente l'imprenditore "l'obbligava" a imputarsi fiscalmente).
Va ricordato che, quando gli utili, invece di essere distribuiti, vengono reinvestiti per l’acquisto di beni aziendali, il collaboratore può rivendicarne comunque una quota “in proporzione alla quantità e alla qualità del lavoro prestato”, quantità determinata nell’atto dichiarativo.

Oltre agli utili non riscossi, poiché l'impresa è cessata, il collaboratore avrà diritto a chiedere la quota di sua spettanza sugli incrementi dell’azienda, anche in ordine all’avviamento, realizzati in tutto il periodo di durata dell’impresa familiare. Si tratta di un importo che deve essere calcolato secondo i criteri di valutazione adatti alla realtà del mercato di quel tipo di azienda (nel nostro caso, farmacia): se le parti non si accordano, si dovrà ricorrere ad un giudice, che di regola nominerà un consulente tecnico d'ufficio per operare questo tipo di valutazioni economiche.

David M. chiede
giovedì 20/11/2014 - Puglia
“Tizio cede a Caio il contratto di locazione non abitativa da lui stipulata con Mevio.Tale contratto prevede la rivalutazione del canone,anno per anno, senza necessità di richiesta da parte del locatore.Ma sia Tizio che Caio pagano sempre il canone iniziale non aggiornato.E il locatore,solo dopo alcuni anni, richiede a Caio la rivalutazione di tale canone.Ora, Caio è tenuto a pagare la differenza tra canoni rivalutati e canone originario dal momento in cui è subentrato nella locazione o(essendovi stata cessione di contratto a suo favore) da data anteriore al suo subentro e, quindi, anche da quando l'aggiornamento del canone poteva iniziare ad essere operato?”
Consulenza legale i 20/11/2014
Il quesito proposto richiede una riflessione sulla prescrizione del diritto ad ottenere gli aggiornamenti del canone arretrati e sul tipo di cessione intervenuta tra Tizio e Caio.

Quanto alla prima problematica, va sottolineato che il contratto di locazione prevede l'obbligo di corrispondere la rivalutazione del canone annualmente senza richiesta del locatore: pertanto, il locatore ha diritto a chiedere la corresponsione dell'aggiornamento in unica soluzione anche se non l'ha richiesta in precedenza, in quanto essa era prevista come dovuta contrattualmente sin dall'inizio.
Peraltro, la giurisprudenza di legittimità ha precisato che l’aggiornamento del canone di locazione fa riferimento, come dato sul quale operare annualmente l’aggiornamento, al canone iniziale, con la conseguenza che tale canone di partenza occorre considerare in occasione degli aggiornamenti predetti, valutando unitariamente la variazione verificatasi per tutto il periodo considerato (Cass, n. 15034/2004).
Tuttavia, in quanto diritto di credito, anche quello all'aggiornamento ISTAT del canone locatizio si prescrive: in particolare, si ritiene applicabile l'art. 2948 del c.c., che al n. 3 prevede la prescrizione quinquennale delle pigioni di case, dei fitti di beni rustici e ogni altro corrispettivo di locazioni (Cass. civ., 13.3.1982, n. 1656, "al credito del locatore derivante dalla clausola d’adeguamento del canone di locazione al costo della vita si applica la prescrizione quinquennale di cui all’articolo 2948, numero 3, del Codice civile").
Quindi, Caio sarà tenuto a pagare solo gli aggiornamenti annuali relativi agli ultimi 5 anni precedenti alla richiesta del locatore Mevio.

Va però operato un ulteriore distinguo, a seconda che Caio sia titolare del rapporto di locazione da più o meno di 5 anni, rispetto al momento della richiesta da parte del locatore degli adeguamenti ISTAT.
Nulla quaestio laddove Caio abbia pagato i canoni locatizi da 5 o più anni (es. richiesta del locatore avvenuta nel 2014, subentro di Caio nel contratto di locazione nel 2008): in tal caso, pacificamente, egli è tenuto a corrispondere tutte le somme.
Ma se, invece, Caio fosse titolare del contratto da meno di 5 anni (ad es. dal 2012), ci si può legittimamente chiedere se egli sia tenuto a corrispondere l'aggiornamento ISTAT relativo ai canoni che non ha corrisposto (in quanto corrisposti da Tizio, perché era lui in quel momento titolare del contratto).
In questo caso sarà determinante esaminare l'atto o il titolo della cessione del contratto di locazione.


Si può ipotizzare uno degli scenari più probabili.

Immaginando che vi sia stato un avvicendamento nella titolarità di un'azienda, gli aggiornamenti dovuti e non corrisposti da Tizio possono configurarsi quali debiti dello stesso: a norma del primo comma dell'art. 2560 del c.c., l'alienante è liberato dai debiti relativi all'esercizio dell'azienda ceduta anteriori al trasferimento solo con il consenso dei creditori e, a norma del secondo comma, allorché quella trasferita sia un'azienda commerciale, di tali debiti risponde anche l'acquirente, se essi risultino dai libri contabili obbligatori. Nei rapporti interni, il cedente rimarrà dunque responsabile per i debiti aziendali ed il cessionario vanterà diritto di regresso nei confronti del primo, quando dovesse provvedere ad effettuare il pagamento ai creditori aziendali. Ciò vale laddove le parti non abbia previsto diversamente.

Naturalmente, la risposta al quesito (nel concreto) potrà essere cercata analizzando la natura e i dettagli della cessione del contratto di locazione tra Tizio e Caio.

Tancredi G. chiede
venerdì 26/09/2014 - Lombardia
“Buongiorno, sono stato cliente di Eni Gas & Power per la fornitura del gas sul mercato libero dal 01.10.2008 al 01.04.2010. In tale periodo non ho mai ricevuto alcuna bolletta per i consumi effettuati nonostante la cadenza bimestrale prevista per contratto in base ai consumi stimati oltre i 1000 mc/anno: ho segnalato più volte invano il problema al numero verde di ENI, ma mai in forma scritta. A fine novembre del 2011, ho ricevuto da Eni una comunicazione scritta (datata 16/11/2011) in cui si riscontra l’avvenuta cessazione del contratto al 01.04.2010 ed in cui scrivono che “Gli importi relativi ai consumi da Lei effettuati fino alla data di passaggio ad altro venditore, saranno riportati sulla fattura di cessazione che provvederemo ad inviarLe. Tale fattura dovrà essere pagata entro i termini di scadenza previsti, così come dovranno essere saldati tutti i debiti pregressi eventualmente esistenti nei nostri confronti". Da allora non ho più ricevuto alcuna comunicazione fino a marzo del 2014, quando mezzo posta ho ricevuto la fatturazione in un’unica soluzione dei consumi relativi a tutto il periodo in cui sono stato loro cliente per un ammontare complessivo di 1196,69 euro. Questa bolletta riporta i seguenti estremi: data emissione 05.03.2014; data scadenza 24.04.2014; periodo riferimento 09.08.2011 – 05.03.2014. Io ho contestato ad ENI il fatto che i primi mesi di quella bolletta cadevano nei termini di prescrizione previsti dall’art.2934 e 2948 (e successivi) del Codice Civile poiché erano oltre 5 anni indietro rispetto alla data scadenza della bolletta. Ho dunque chiesto dunque lo storno della bolletta incriminata e la riemissione di una bolletta regolare. ENI dal canto suo ha sempre affermato la regolarità di quella bolletta, anche dopo un mio reclamo all’Autorità per l’energia elettrica ed il gas in cui sembrano confermate le ragioni della mia contestazione ed in cui, “dichiarandosi non competenti a pronunciarsi data la natura della materia su quanto stabilito dal codice civile”, mi si rimanda “alla competenza della magistratura ordinaria qualora volesse contestare quanto preteso dall’esercente”. ENI ha insistito nella sua linea anche dopo una mia lettera di diffida in cui allegavo la risposta dell'Autorità per l'energia e chiedevo lo storno di quella bolletta. Ormai settimanalmente sono contattato dalla società di recupero crediti RECUS per il rientro della somma dietro la 'minaccia' di interessi di mora, ricorsi al CMOR, ecc ecc. Oltre a chiederLe un parere legale sulla vicenda e sulla ragionevolezza della mia contestazione, vorrei anche chiederLe se quella comunicazione di avvenuta cessazione ricevuta a fine 2011 (in cui si annuncia sia pur genericamente una fatturazione futura) possa aver prodotto un’interruzione del periodo prescrittivo ai sensi dell’art.1219 del Codice Civile. Qualora dovessi essere dalla parte della ragione, come mi consiglia di procedere ulteriormente? Naturalmente in caso contrario, procederei subito con il pagamento. La ringrazio per un suo riscontro e mi scuso per eventuali imprecisioni nella citazione degli articoli di legge. Cordiali saluti.”
Consulenza legale i 26/09/2014
La prescrizione quinquennale cui soggiace "in generale, tutto ciò che deve pagarsi periodicamente ad anno o in termini più brevi" ([[2948]], n. 4) sembra applicarsi nel caso di specie al credito per i consumi effettuati oltre i 5 anni precedenti all'invio della fattura emessa il 5.3.2014.
Difatti, emerge dal quesito che la comunicazione datata 16.11.2011 è stata inviata mediante lettera semplice, non raccomandata. Ciò implica che, dinnanzi ad un giudice di pace, in un'ipotetica causa intentata da Eni, questa non sarebbe in grado di provare che il cliente abbia ricevuto la sua comunicazione scritta. Il cliente, salvo che vi abbia replicato per iscritto o comunque che vi abbia fatto riferimento in successivi scritti (va ricordato che il creditore può provare in qualsiasi modo che la sua comunicazione scritta è stata effettivamente trasmessa al debitore), può negare di aver ricevuto tale comunicazione, così che agli occhi del giudice esiste una sola fattura inviata nel 2014.

Ad ogni buon conto, è bene analizzare anche il contenuto della missiva del 2011, onde individuarne l'idoneità o meno a interrompere il decorso della prescrizione.
La prescrizione è interrotta, ai sensi dell'art. 2943 del c.c., da ogni atto che valga a costituire in mora il debitore: il creditore deve, quindi, inviare al debitore un'intimazione di pagamento o comunque una richiesta fatta per iscritto. L'atto di costituzione in mora non richiede specifici requisiti formali o l'uso di formule solenni e nemmeno la quantificazione del credito (v. Cass. civ. n. 5681/2006: "In tema di atti interruttivi della prescrizione, l'atto di costituzione in mora non è soggetto all'adozione di formule sacramentali e quindi non richiede la quantificazione del credito (che potrebbe essere non determinato, ma solo determinabile), avendo l'esclusivo scopo di portare a conoscenza del debitore la volontà del creditore di ottenere il soddisfacimento delle proprie pretese; e il relativo accertamento costituisce indagine di fatto, riservata all'apprezzamento del giudice del merito e non sindacabile in sede di legittimità ove immune da errori giuridici e/o vizi logici"). Insomma: una richiesta di pagamento fatta con serietà e con affermazione del proprio diritto, è idonea a interrompere la prescrizione, come spiega bene la Cassazione nella sentenza n. 3371/2010 ("In tema di interruzione della prescrizione, un atto, per avere efficacia interruttiva, deve contenere, oltre alla chiara indicazione del soggetto obbligato (elemento soggettivo), l'esplicitazione di una pretesa e l'intimazione o la richiesta scritta di adempimento, idonea a manifestare l'inequivocabile volontà del titolare del credito di far valere il proprio diritte, nei confronti del soggetto indicato, con l'effetto sostanziale di costituirlo in mora (elemento oggettivo)").
Alla luce di quanto sopra specificato, si dovrebbe ritenere che la missiva del 2011, qualora Eni possa provare che essa è giunta al destinatario, sarebbe stata idonea ad interrompere la prescrizione. L'unico elemento dell'atto di costituzione in mora che appare omesso nella lettera del 2011 è l'indicazione di un termine per l'adempimento: a causa di tale omissione, secondo alcuni studiosi, Eni non avrebbe fatto intendere con certezza la volontà di non tollerare ritardo. Tuttavia, l'assenza di un termine per adempiere potrebbe non essere ritenuto sufficientemente rilevante dinnanzi ad un giudice, che potrebbe valutare come valida l'interruzione della prescrizione, in base ai precedenti giurisprudenziali citati.

In ogni caso, è consigliabile pagare solo la parte della somma richiesta che non sia contestata dal debitore (per evitare interessi di mora ulteriori), ma non quella contestata, in quanto il pagamento spontaneo di un debito prescritto non è ripetibile, cioè non se ne può chiedere la restituzione (art. 2940 del c.c.). Se Eni deciderà di proporre causa presso il giudice di pace contro l'ex cliente - per cifre come quelle di cui si tratta in questo caso, appare del tutto sconveniente per l'azienda proporre azione, ma non si può escludere - questi potrà opporre la prescrizione per non aver ricevuto la missiva del 2011 o perché questa era inidonea a interrompere la prescrizione (anche se questo punto è dubbio).

Laura F. chiede
lunedì 15/09/2014 - Liguria
“Buongiorno, il mese scorso ho ricevuto una richiesta di pagamento di una bolletta datata 20/12/2004 da parte di un'azienda che ha acquistato il credito da ENEL. Io non ho nemmeno ricevuto la bolletta ai tempi e credo che dopo 5 anni il diritto al credito sia andato in prescrizione. La premier service srl mi ha mandato ad agosto la notifica di cessione del credito e sollecito di pagamento via email con un allegato datato 2011, che non ho mai ricevuto via posta. Quando ho chiesto una copia della bolletta mi hanno detto che devo rivolgermi all'ENEL perchè loro hanno solo l'estratto conto. Hanno ancora diritto al pagamento? Mi conviene discutere la cosa davanti ad un giudice?”
Consulenza legale i 22/09/2014
In base ai dati forniti nel quesito, si può ritenere che l'obbligo di pagamento della bolletta, se mai fosse esistito, è oggi prescritto. L'art. 2948 del c.c. al n. 4, infatti, sancisce la prescrizione in 5 anni di tutto ciò che deve pagarsi periodicamente, quindi, anche delle bollette per utenza elettrica. Poiché l'asserito omesso pagamento concerne un debito risalente al 2004, sembra pacifico che esso sia ampiamente prescritto.
Inoltre, va evidenziato che la richiesta di pagamento è avvenuta con un mezzo non idoneo a costituire una solida prova in giudizio di interruzione della prescrizione (l'email può essere contestata quanto a contenuto, provenienza, data di invio... ), quindi la stessa poteva essere anche ignorata.

Al punto attuale, si consiglia di replicare alla società di recupero crediti che ogni eventuale obbligo di pagamento è prescritto. Non si consiglia di intentare alcuna azione legale, ma, casomai, di attendere una citazione in giudizio da parte della società, in occasione della quale si opporrà la prescrizione del debito. Si ritiene che difficilmente la società di recupero crediti si sobbarcherà l'onere di iniziare una causa giudiziale, sapendo che il debito è prescritto. Molto spesso, il creditore cerca di far adempiere spontaneamente il debitore perché sa che, in base all'art. 2940 del c.c., il debitore non può chiedere la restituzione di una somma pagata spontaneamente per un debito prescritto.

Giovanni M. chiede
giovedì 12/06/2014 - Liguria
“Buongiorno, avrei bisogno di un aiuto: abito in un appartamento di proprietà delle Poste Italiane, in uno stabile composto da 17 dipendenti delle Poste e, dopo un'autogestione (di cui ero il responsabile), l'Azienda ha voluto un regolare amministratore. In questi anni il suo mandato non è stato eccellente (nemmeno sufficiente) ma il problema è un altro: abbiamo ricevuto tutti i conduttori una lettera con la quale si chiedono i conguagli delle spese condominiali, con un importo che supera 1.300 euro a testa. I conguagli riguardano le gestioni a partire dalla gestione 2004-2005 sino al 2010-2011.
L'amministratore presenta ogni anno un preventivo spese, e l'Azienda PT non si è mai sentita a riguardo. L'affitto, come le spese accessorie, è prelevato dallo stipendio o, per chi si trova in pensione, con pagamento con bollettino inviato per posta.
Concludendo, ci chiediamo se tali conguagli siano effettivamente da corrispondere oppure cadono in prescrizione, dopo 5 anni.
Ringrazio per una cortese e urgente risposta.”
Consulenza legale i 19/06/2014
La prescrizione delle spese condominiali è un tema caro alle numerose persone che abitano in un condominio.
A seguito di un dibattito sul punto in dottrina e giurisprudenza, sembra oggi di poter affermare che la prescrizione è quella quinquennale prevista dall'art. 2948 n. 4, c.c.
Sul punto, si può richiamare la recente sentenza della Cassazione del 25 febbraio 2014, Sez. II, n. 4489: "[...] Va ribadito che, trattandosi di spese condominiali, per loro natura periodiche, trova applicazione il disposto dell'art. 2948 n. 4 c.c. in ordine alla prescrizione quinquennale dei relativi crediti (Cass. n. 12596/2002), la cui decorrenza è da rapportarsi alla data della delibera di approvazione del rendiconto delle spese e del relativo stato di riparto. Tale delibera, costituisce il titolo di credito nei confronti del singolo condomino".
Ciò che lascia un po' perplessi circa la riportata sentenza è che la Cassazione ha stabilito quale momento di decorrenza della prescrizione quello dell'approvazione del riparto, in contrasto con precedenti sentenze (quali Cass. civ., sez. II, 21 luglio 2005 n. 15288) che invece avevano statuito che l’obbligo dei condomini di contribuire al pagamento delle spese condominiali sorge "per effetto della delibera dell’assemblea che approva le spese stesse e non a seguito della successiva delibera di ripartizione volta soltanto a rendere liquido un debito preesistente e che può anche mancare ove esistano tabelle millesimali".
Pertanto, nel caso di specie, tutte le spese condominiali deliberate oltre i 5 anni dalla richiesta non devono essere pagate in quanto prescritte.

Società I. chiede
lunedì 09/12/2013 - Puglia
“Abbiamo ricevuto una richiesta di pagamento per una causa di appello dal Comune di Roma, iniziata 18 anni fa e resa esecutiva a ottobre 2003. Nella lettera di richiesta elencano le somme a nostro debito tra cui il conteggio di interessi passivi per 18 anni. Questi interessi sono prescritti o se non lo sono, per quanti anni dobbiamo pagarli? Preciso che dal 2003 non abbiamo avuto nessuna richiesta da parte del Comune di roma di alcun risarcimento, la prima richiesta ci è pervenuta in data 03/12/2013.”
Consulenza legale i 18/12/2013
L'art. 2953 del c.c. prevede che tutti i diritti, anche quelli per cui è prevista un termine prescrizionale più breve, una volta avvenuto il passaggio in giudicato della relativa sentenza, si prescrivono in dieci anni (la dottrina parla di prescrizione decennale ex iudicato).
Tale norma si applica alle sentenze di condanna, tra le quali certamente rientra quella in cui a una parte viene ordinato di dare all'altra una certa somma di denaro.

Il termine decennale inizia a decorrere dal passaggio in giudicato della sentenza, il che si verifica, trattandosi di sentenza d'appello:
- trascorsi sessanta giorni dalla notificazione al procuratore della parte costituita, se la sentenza venne notificata al soccombente;
- se la sentenza non fu notificata, un anno dopo la pubblicazione della sentenza (la sentenza è precedente alla riforma del 2009 con cui il termine c.d. "lungo" è stato abbreviato da un anno a sei mesi).
Pertanto, nel caso di specie, si dovrà verificare quando la sentenza è passata in giudicato, alla luce dei criteri sopra esposti, e poi calcolare se l'inerzia del creditore (che ha omesso per lungo tempo di chiedere quanto spettantegli) si sia protratta per dieci anni sino alla richiesta datata 3.12.2013.

Quanto detto vale sia per il capitale che per gli interessi per i quali, ai sensi dell'art. 2948 del c.c., il termine prescrizionale sarebbe di cinque anni: se la richiesta del comune è stata proposta oltre i dieci anni dal passaggio in giudicato, il diritto si è prescritto e nulla è dovuto; nel caso contrario, tutto quanto richiesto è dovuto e in mancanza di spontaneo adempimento è possibile che l'ente promuova azione esecutiva.

Valentina chiede
martedì 26/02/2013 - Lazio
“Salve, volevo sapere se c'è un limite entro il quale una società può chiedere il conguaglio dei consumi di elettricità. Grazie, Valentina Corvino”
Consulenza legale i 10/03/2013
Nel contratto stipulato con l'ente erogatore del servizio è sancito il periodo di fatturazione del consumo. Se si tratta di utenze domestiche la fatturazione prevista generalmente è bimestrale. Ciò detto, è possibile che la richiesta di pagamento da parte dell'ente erogatore della fornitura avvenga anche a distanza di mesi o anni. Ad ogni modo, si precisa che il diritto dell'ente di richiedere il pagamento del conguaglio si prescrive in cinque anni ai sensi dell'art. 2948 del c.c. n.4, termine che comincia a decorrere dalla data di scadenza indicata nella fattura.

Nico chiede
venerdì 18/01/2013 - Liguria
“Ho ricevuto una lettera, non raccomandata da Recus di Villorba (TV) una agenzia di recupero credito,incaricata fa Fastweb per il recupero di una fattura risalente al 2005 che risulta non pagata. Non avendo più la ricevuta, Vi chiedo gentilmente se mi potete dare un consiglio, e inviarmi il testo per la eventuale risposta da inviare. Faccio presente che da circa un anno non sono più con Fastweb, e di aver ricevuto circa un mese fa, una chiamata sul cellulare da una impiegata della Recus, dove mi diceva di pagare questa fattura, inoltre non ho mai ricevuto raccomandate o solleciti in merito a questo mancato pagamento.”
Consulenza legale i 22/01/2013
La richiesta di pagamento non ha alcuna efficacia: innanzitutto perché, essendo stata inviata mediante lettera semplice (non raccomandata), chi richiede il pagamento non potrà mai attestare il ricevimento della missiva (le stesse argomentazioni, naturalmente, valgono per le telefonate); ma, soprattutto, perché il debito, semmai fosse davvero esistito, sarebbe estinto per prescrizione. L'art. 2948 del c.c. al n. 4, infatti, sancisce la prescrizione in 5 anni di tutto ciò che deve pagarsi periodicamente, quindi, anche delle bollette per utenza telefonica. Poiché l'asserito omesso pagamento concerne un debito risalente al 2005, sembra pacifico che esso sia ampiamente prescritto.
Consigliamo di ignorare la missiva: purtroppo, quella di affidarsi ad agenzie di recupero crediti che agiscono in maniera scorretta, spesso vantando crediti inesistenti, è prassi comune di molte grandi aziende che offrono servizi all'utenza diffusa. Se, invece, si desiderasse replicare, sarà opportuno sottolineare la prescrizione del presunto debito, chiedendo di non essere più contattati in futuro.

Anna A. chiede
sabato 17/11/2012 - Puglia

“Gent. Sono l'amministratore delegato della mia società (una srl). L'acquedotto pugliese mi ha chiesto il mancato pagamento di una fattura del 2005 (fattura che la ditta non ha mai ricevuto). Nella raccomandata (intestata ad Anna A. con l'indirizzo dell'opificio) non si menziona per niente la società e si chiede ad Anna A. di pagare la fattura. Dà un codice cliente ad Anna A., che è diverso da quello della società. In poche parole chiede alla persona fisica Anna A. di pagare una fattura presumibilmente dell'azienda. Io gli ho spedito una raccomandata citando l'art. 2948 (prescrizione dei 5 anni). Loro mi hanno rimandato una raccomandata con formale messa in mora e intimazione di pagamento sempre a mio nome. Cos'altro devo fare?
Distinti saluti

Consulenza legale i 19/11/2012

Al quesito posto si ritiene applicabile l'art. 2948 del c.c. n. 4, che prevede un termine prescrizionale di cinque anni per il pagamento delle fatture relative ai consumi delle forniture di gas, energia elettrica, acqua etc., termine che decorre dalla data di scadenza indicata nella fattura.

Se nel corso di cinque anni dalla predetta data di scadenza, ovvero dal 2005 al 2010, non sono intervenuti atti interruttivi del termine prescrizionale, come ad esempio un sollecito di pagamento, può dirsi intervenuta la prescrizione e nulla sarà dovuto.

Pertanto, converrà ribadire la propria posizione, insistendo anche sul fatto di non aver mai ricevuto la fattura di cui solo adesso viene richiesto il pagamento.


FRANCESCO chiede
lunedì 29/10/2012 - Veneto
“La società immobiliare da cui ho acquistato casa è in liquidazione.
Ho un preliminare trascritto e ho pagato per intero l'importo richiesto.
La banca che ha concesso il mutuo alla società, per costruire la palazzina, non ha tolto l'ipoteca ma sono ormai 5 anni che non chiede nulla ne alla società ne al sottoscritto.
Questo tipo di credito può rientrare tra quelli dell'art. 2948 con prescrizione di 5 anni?”
Consulenza legale i 31/10/2012

La Corte di cassazione ha in più occasioni ribadito quanto stabilito con sentenza del 30 agosto 2002, n. 12707, ovvero che all’obbligo di restituire una somma di denaro ricevuta a titolo di mutuo, che costituisce un debito unico sebbene possa essere rateizzato in più versamenti periodici, non si applica la prescrizione quinquennale prevista dall’art. 2948 del c.c., n. 4, relativa soltanto ai debiti che debbono essere soddisfatti periodicamente ad anno, o in termini più brevi. E' stato infatti anche recentemente sostenuto, in armonia con l'orientamento maggioritario, che "è proprio il principio della persistente unicità del debito derivante da mutuo fondiario in più versamenti periodici, richiamato dai ricorrenti, ad imporre la decorrenza di un unitario termine di prescrizione decennale non già dalla data dell'erogazione del mutuo, ma da quella della scadenza del termine per l'adempimento" (Cass., sez. III, sent. 3.05.2011, n. 9695). In tal senso, si veda anche Cass. civ., 10 settembre 2010 n. 19291: “E’ pacifico che [...] trattandosi di contratto di mutuo, e quindi di contratto di durata, in cui l’obbligo di restituzione del capitale sia differito nel tempo, i singoli ratei non costituiscono autonome e distinte obbligazioni, bensì l’adempimento frazionato di un’unica obbligazione. Ne consegue che la prescrizione decennale, applicabile al caso in esame, non può che decorrere dalla scadenza dell’ultimo rateo previsto nel piano di ammortamento".

Pertanto, nel caso di specie, il debito della società che ha contratto il mutuo non si sarebbe ancora prescritto, qualora non fossero trascorsi dieci anni dalla scadenza dell'ultima rata contrattualmente prevista.

Si consiglia in ogni caso di verificare se il debito della società costruttrice della palazzina con la banca sia stato o meno estinto (il dubbio sorge in quanto l'inerzia della banca sembra particolarmente prolungata). Qualora fosse stato già saldato, sarà opportuno verificare che l'omessa cancellazione dell'ipoteca sia frutto di un errore della banca (essa infatti, all'estinzione del debito dovrebbe chiederne la cancellazione mediante mera “comunicazione” alla conservatoria dei registri immobiliari, che deve procedere d'ufficio ai sensi della legge 40/2007).


Laura chiede
giovedì 24/05/2012 - Puglia
“salve.una agenzia di recupero crediti mi ha contattata per recuperare il debito di 2 bollette luce del anno 2005,io in questi anni non ho mai ricevuto nessun tipo di raccomandata o lettera che richiedeva di pagare queste bollette,loro mi rispondono che le hanno inviate sempre allo stesso indirizzo dove io non vivo più in effetti da quell' anno,quindi passati 7 anni va in prescrizione questo debito?cordiali saluti.”
Consulenza legale i 26/05/2012

Ai sensi dell'art. 2948 del c.c. n.4, le bollette per le utenze domestiche sono soggette al termine prescrizionale di 5 anni, che decorre a partire alla data di scadenza della bolletta.

Pertanto, se nel corso di 5 anni decorrenti dalla data di scadenza delle bollette relative ai consumi di energia elettrica non sono intervenuti atti interruttivi del termine prescrizionale, come ad esempio un sollecito di pagamento, può dirsi intervenuta la prescrizione e nulla sarà dovuto.


Martino chiede
martedì 24/04/2012 - Lombardia
“non ho pagato fatture datate 2006 ad un fornitore,ora lo stesso mi ha fatto una istanza di fallimento.desidero sapere se dette fatture sono prescritte.Grazie di cuore per una illuminante risposta.
Martino”
Consulenza legale i 27/04/2012

In assenza di elementi che specifichino le forniture indicate nel quesito, si ritiene che il termine prescrizionale applicabile al caso specifico sia quello ordinario previsto all'art. 2946 del c.c., ovvero il termine decennale decorrente da quando il diritto del fornitore può essere fatto valere.

Pertanto, i dieci anni decorrono dal 2006.


Dante chiede
mercoledì 11/04/2012 - Veneto
“Sono titolare di una ditta individuale, chiusa da qualche anno per crisi.
Un'azienda, una S.n.c., mi chiede il pagamento di una fattura commerciale inerente a prestazione di servizi e risalente a cinque anni fa. Pur avendola a suo tempo pagata, sono nell'impossibilità di fornire la prova dell'avvenuto pagamento.
Posso avvalermi della prescrizione breve prevista dall'art. 2948 c.c.?
Grazie”
Consulenza legale i 17/04/2012

Ai sensi dell'art. art. 2946 del c.c. i diritti si estinguono per prescrizione con il decorso di dieci anni, salvi i casi in cui la legge disponga diversamente.

Infatti, per determinati crediti, la legge prevede delle prescrizioni brevi, come ad esempio, i casi previsti dall'art. art. 2948 del c.c.. Tale norma disciplina la prescrizione di 5 anni per le annualità delle rendite perpetue o vitalizie; il capitale nominale dei titolo del debito pubblico emessi al portatore; le annualità delle pensioni alimentari; le pigioni delle case, i fitti dei beni rustici e ogni altro corrispettivo di locazioni; gli interessi e , in generale tutto ciò che deve pagarsi periodicamente di anno in anno in termini più brevi; le indennità spettanti per la cessazione del rapporto di lavoro.

Nel caso prospettato, trattandosi di rapporti commerciali tra due società, il credito derivante da una fattura relativa ad una prestazione di servizi (non meglio specificata) non rientra in nessuno dei casi disciplinati ai sensi dell'art. 2948 c.c.. Pertanto, risulta vigente il termine di prescrizione ordinario, ovvero decennale, che decorre dalla scadenza prevista nella fattura.


Alessio chiede
mercoledì 04/04/2012 - Lazio
“Prego voler derimere il mio dubbio. Dal momento del riconoscimento del figlio naturale a seguito di determinazione del tribunale per i minori, il pregresso di quanto da me dovuto per il mantenimento richiesto dalla madre, quando cade in prescrizione. grazie”
Consulenza legale i 05/04/2012

Nell'ipotesi in cui, al momento della nascita il figlio sia riconosciuto da uno solo dei genitori, tenuto perciò a provvedere per intero al suo mantenimento, non viene meno l'obbligo dell'altro genitore per il periodo anteriore alla pronuncia di dichiarazione giudiziale di paternità o maternità naturale, essendo sorto sin dalla nascita il diritto del figlio naturale ad essere mantenuto, educato ed istruito nei confronti di entrambi i genitori. Da ciò consegue che il genitore naturale, dichiarato tale dal provvedimento del giudice, non può sottrarsi alla sua obbligazione nei confronti del figlio per la quota posta a suo carico.

Detto ciò, appare opportuno chiarire che la sentenza di accertamento della paternità naturale ha natura dichiarativa. La sentenza accerta, cioè, uno status che attribuisce al figlio naturale tutti i diritti che competono al figlio legittimo con efficacia retroattiva, fin dal momento della nascita. Ne consegue che la sentenza definitiva di accertamento dello status di figlio naturale deve essere intesa quale momento di decorrenza della prescrizione decennale di cui all'art. 2946 del c.c., trattandosi di obbligo di mantenimento, e non alimentare, con conseguente inapplicabilità della prescrizione quinquennale ex art. 2948 del c.c.. (sul punto si veda anche Corte d'App. Bologna 22 ottobre 2002, nonchè Cass. Civ. 2011/26772).


Mauro chiede
giovedì 15/09/2011 - Lazio
“Desidero cortesemente sapere poiché mi vengono richiesti pagamenti di rate condominiali relative agli anni 2002 2003 2004 2005 2006 se devo pagarle grazie”
Consulenza legale i 18/09/2011

I pagamenti periodici relativi alle spese fisse condominiali rientrano tra quelli soggetti a prescrizione breve quinquennale di cui all'art. 2948 del c.c.. Termine che decorre dal momento in cui il credito per il condominio diventa esigibile, ossia dall'approvazione del bilancio da cui risultano.

Il pagamento di queste quote costituisce un vero e proprio debito del singolo condomino nei confronti della collettività di tutti i condomini costituente il condominio che, seppur privo di personalità giuridica, è comunque abilitato a tutelare i diritti comuni (Così Cass. Civ. 2002/12596). Le spese condominiali sono, quindi, sottoposte al termine breve di prescrizione quinquennale.


Cinzia chiede
giovedì 14/07/2011 - Lombardia

“Buongiorno, in passato ho convissuto con una persona (anno 2005/2006) e avevamo in affitto un appartamento intestato solo a nome mio. Poi, questa persona è scappata e non avendo modo di pagare l'affitto ho scritto al proprietario, il quale mi ha costretto ad andare via tenendosi i 3 mesi di caparra. A memoria, penso che avrei dovuto pagargli ancora 2 o 3 mensilità, ma non l'ho mai fatto. Anche perché non ho più niente di quel periodo e non saprei come fare a pagare. La mia domanda è: possono ancora chiedermi quei soldi o il debito si è prescritto?”

Consulenza legale i 22/07/2011

Le pigioni delle case, i fitti dei beni rustici ed ogni altro corrispettivo di locazioni si prescrivono in 5 anni. Ebbene, nel caso di specie, si è compiuta la prescrizione quinquennale per eventuali canoni locazione di scaduti nell’anno 2006, sempre che, da allora, il proprietario- locatore non abbia mai intimato il pagamento, mettendo in mora il debitore con una diffida scritta ex art. 1219 del c.c., atto valido per interrompere il termine prescrizionale in corso.


Massimiliano P. chiede
lunedì 18/04/2011 - Emilia-Romagna

“Desidero sapere se nelle varie fatture delle utenze c'è un limite massimo di mesi da fatturare. grazie”

Consulenza legale i 20/04/2011

Con riguardo alla determinazione del periodo di riferimento delle prestazioni periodiche, ai fini della fatturazione, occorre verificare cosa è stato convenuto nel contratto stipulato col gestore del servizio; in generale, però, per le utenze domestiche la fatturazione avviene bimestralmente.


Antonio M. chiede
mercoledì 09/03/2011 - Sicilia

“Desidero sapere se i pagamenti rateali (mutui, finanziamenti) si prescrivono in cinque anni. Grazie.”

Consulenza legale i 11/03/2011

Con sentenza del 30 agosto 2002 n. 12707, la Suprema Corte ha affermato che all’obbligo di restituire una somma di denaro ricevuta a titolo di mutuo, che costituisce un debito unico, sebbene rateizzabile, non si applica la prescrizione quinquennale prevista dall’art. 2948 del c.c. n. 4. Questa previsione è relativa soltanto ai debiti che debbono essere soddisfatti periodicamente ad anno, o in termini più brevi, ma che costituiscano il corrispettivo di obbligazioni caratterizzate dal fatto che la prestazione è suscettibile di adempimento solo con il decorso del tempo, in modo che esclusivamente con il protrarsi dell'adempimento nel tempo si realizza la causa del rapporto obbligatorio (es. somministrazione di beni o servizi, retribuzione del prestatore di lavoro, ...)
La prescrizione quinquennale, per contro, non trova applicazione con riguardo alle obbligazioni unitarie, suscettibili di esecuzione così istantanea, come differita o ripartita, in cui, cioè, è - o può essere - prevista una pluralità di termini successivi per l’adempimento di una prestazione strutturalmente eseguibile, però, anche uno actu, con riferimento alle quali opera l’ordinaria prescrizione decennale contemplata dall'art. 2946 del c.c.
Recentemente, Cassazione, sez. III, 30 gennaio 2008, n. 2086 ha ribadito: "Qualora, per contro, il corrispettivo contrattuale sia solo apparentemente periodico, nel senso che esso consista in una prestazione unitaria, che la parte è tenuta ad eseguire per intero, pur se l’esecuzione possa essere frazionata nel tempo (si pensi al prezzo della compravendita, eventualmente pagabile a rate; alla restituzione in più soluzioni della somma mutuata, ecc.), il termine di prescrizione è quello decennale, applicabile in genere alle azioni contrattuali ed in particolare alle azioni di adempimento o di responsabilità".


Antonio chiede
mercoledì 09/03/2011 - Sicilia

“A mia nonna vengono richieste a marzo del 2011 il pagamento delle bollette del canone acqua comunale riferite agli anni 2001-2002-2003-2006-2008. Nel caso non trovassi le ricevute di pagamento, quali annualità dovrebbe pagare? Mi è stato detto che il termine della prescrizione è di 5 anni. Grazie per la risposta”

Consulenza legale i 11/03/2011

Ai sensi dell'art. 2948 del c.c., n. 4, le bollette per utenze domestiche sono soggette al termine prescrizionale di 5 anni, che decorre a partire dalla data di scadenza della bolletta.


C. I. chiede
venerdì 16/06/2023
“Ad oggi a distanza di undici anni con raccomandata a firma del condomino-pseudo amministratore, viene richiesto a mia figlia di rimborsare varie somme a dire rappresentate da spese di proprietà e di gestione dal 2010 al 2017, che avrebbe anticipato per l’unità immobiliare di mia figlia. A tale proposito vorrei sapere se questo condomino che vanta il rimborso di spese condominiali anticipate che sono secondo mè non dovute per gli art. 1134 e 1136 c.c. ed anche in parte prescritte con i 5 anni può di contro richiederne il rimborso appellandosi all'art. 2041 del c.civile e se eventualmente dovesse insorgere un vertenza giudiziale se sarebbe possibile riferirsi ad un organo di mediazione.- In attesa di riscontro molto gradito porgo distinti saluti.-
Consulenza legale i 21/06/2023
Purtroppo il quesito è assolutamente generico e non offre la possibilità di entrare nello specifico della vicenda.
Rimanendo quindi su un piano generale si può dire che il n. 3 dell’art. 2948 del c.c. prevede che la prescrizione per pretendere il pagamento di oneri condominiali sia di 5 anni decorrenti dalla data della delibera assembleare che prevede la spesa. Tuttavia, da quel che pare di capire controparte pone a giustificazione della sua richiesta di pagamento l’aver effettuato a sue spese, ai sensi dell’art. 1134 del c.c., opere urgenti nell’ interesse della cosa comune. Orbene, la giurisprudenza (Cass.Civ.Sez.II, n.19348 del 04.10.2005) ha precisato che il diritto al rimborso per spese urgenti ai sensi dell’art. 1134 del c.c. si prescrive nel termine ordinario decennale di cui all’art. 2946 del c.c., e non ai sensi dell’art. 2948 del c.c.
Per tale motivo anche se i crediti di cui pretende il pagamento la controparte sono sorti in epoca piuttosto remota non è detto che il termine prescrizionale sia interamente decorso, almeno per le annualità più recenti.

Sotto questo aspetto si deve anche tener conto della normativa che disciplina l’interruzione della prescrizione. Ai sensi del 4° co. dell’art. 2943 del c.c. e 1° co. dell’art. 2945 del c.c. se il creditore ha inviato un atto che vale a mettere in mora il suo debitore, il computo del termine prescrizionale deve interrompersi per riprendere repentinamente dal giorno in cui tale atto interruttivo è stato inviato. In virtù di questo sistema “ad elastico”, è possibile che controparte sia ancora nei termini per far valere il suo diritto se in questi anni essa ha inviato una o più lettere di messa in mora per i crediti sorti in annualità più remote, e lo abbia fatto prima del decorso del termine di prescrizione originario.
Prendiamo, ad esempio, il credito sorto nel 2010: se controparte avesse, in ipotesi, inviato un sollecito di pagamento per quel credito nell’anno 2014, prima quindi che il termine quinquennale (o decennale) originario fosse interamente decorso, il computo della prescrizione ripartirebbe nuovamente dall’inizio a partire dall’anno 2014, impedendo quindi il decorso della prescrizione anche per le annualità più remote.

Ad ogni modo, se la prescrizione è definitivamente decorsa controparte non può rifugiarsi nell’azione di generale arricchimento di cui all’ art. 2041 del c.c.. Come ben specifica il successivo art. 2042 del c.c., tale tipo di azione è esperibile nel solo caso in cui colui che ha subito l’ingiusto arricchimento altrui non abbia altra azione per farsi indennizzare il pregiudizio subito. Nel caso specifico l’ordinamento offre ben altri mezzi al creditore per pretendere il rimborso delle spese anticipate (in questo senso si pensi proprio a quanto previsto dall’art. 1134 del c.c.), e certamente non rileva il fatto che il termine prescrizionale sia decorso per disinteresse del soggetto che tali azioni avrebbe ben potuto farle valere. Vi è da dire inoltre che anche l’azione di generale arricchimento, è soggetta al termine prescrizionale decennale con tutte le conseguenze già dette in precedenza.

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