Cass. pen. n. 44938/2018
Il mutamento della qualificazione giuridica del fatto non influisce sui termini di custodia cautelare delle fasi esaurite, con la conseguenza che, qualora con la sentenza di primo grado venga esclusa l'esistenza di un'aggravante, i termini di custodia cautelare per la fase di primo grado vanno commisurati in relazione alla qualificazione giuridica del fatto contenuta nel provvedimento che dispone il giudizio, mentre il contenuto del dispositivo della sentenza di primo grado rileva ai fini della commisurazione della custodia cautelare per quel che attiene alla fase successiva.(Nella specie, l'imputato era stato rinviato a giudizio per il reato di cui all'art. 416-bis, comma sesto, cod.pen. e quest'ultima aggravante era stata esclusa dalla sentenza di primo grado).
Cass. pen. n. 49739/2017
In tema di misure patrimoniali di prevenzione, il termine previsto dall'art.24, comma 2, del d.lgs. 6 settembre 2011, n. 159, entro il quale deve essere emanato il decreto di confisca, non decorre "ex novo" nel caso di annullamento del provvedimento di confisca con rinvio al giudice di primo grado per la rinnovazione del procedimento, sicchè ove il termine sia già decorso il sequestro perde efficacia. (Fattispecie precedente all'entrata in vigore della legge n. 161 del 17 ottobre 2017, in cui la Corte ha precisato che il richiamo contenuto nell'art. 24 d.lgs. 6 settembre 2011, n. 159, alle sole cause di sospensione dei termini di durata della custodia cautelare, di cui all'art. 304 cod. proc. pen., non consente di ritenere applicabile al sequestro di prevenzione anche la disciplina prevista dall'art. 303, comma 2, cod. proc. pen., concernente la decorrenza del nuovo termine di durata per i casi di annullamento con rinvio del procedimento nel quale è stata disposta la misura cautelare).
Cass. pen. n. 8786/2017
La regola della retrodatazione dei termini di custodia cautelare, in caso di pluralità di ordinanze applicative della medesima misura cautelare nei confronti di un imputato per uno stesso fatto o per fatti legati da connessione qualificata, non opera in relazione ai termini della custodia cautelare per la fase del dibattimento, non essendo prevista la retrodatazione del secondo provvedimento che dispone il giudizio al momento di emissione del primo. (In motivazione, la Corte ha chiarito che la "ratio" della "omissione" legislativa va individuata nel fatto che solo nella fase delle indagini preliminari, in cui il Pubblico Ministero è unico "dominus" del procedimento, si pone la concreta esigenza di evitare possibili elusioni dei termini di durata delle misure cautelari).
Cass. pen. n. 6063/2017
Ai fini della valutazione della richiesta di scarcerazione per decorrenza dei termini della custodia cautelare, avanzata dall'indagato nei cui confronti siano state emesse più ordinanzae cautelari, ex art. 297, comma terzo, cod. proc. pen., l'apposizione da parte del pubblico ministero, per motivi di segretezza delle indagini, di "omissis" ad una parte delle dichiarazioni del collaborante, non può essere utilizzata per ritenere la mancanza di desumibilità dagli atti relativi alla prima ordinanza dei fatti relativi alla seconda ordinanza e negare, in presenza degli altri presupposti, la retrodatazione dei termini della misura cautelare.
Cass. pen. n. 8984/2015
Ai fini della determinazione dei termini di durata massima della custodia cautelare, deve essere computato il periodo di carcerazione preventiva ed esecutiva sofferto all'estero per un procedimento penale radicato davanti alla Autorità giudiziaria straniera se il giudice italiano accerta che l'autonomo procedimento per il quale l'imputato è detenuto e giudicato sul territorio nazionale ha ad oggetto lo stesso fatto per il quale è già stato detenuto e giudicato all'estero, in applicazione dei principi desumibili dall'art. 722 cod. proc. pen., nel testo vigente a seguito della dichiarazione di illegittimità costituzionale pronunciata dalla Corte costituzionale con sentenza n. 253 del 2004.
Cass. pen. n. 7931/2015
Ai fini della determinazione dei termini di durata massima della custodia cautelare relativi al reato di partecipazione a un'associazione finalizzata al traffico illecito di sostanze stupefacenti (art. 74 d.P.R. 9 ottobre 1990 n. 309), la pena edittale massima, non espressamente prevista dalla disposizione incriminatrice, va individuata in anni ventiquattro di reclusione, secondo la regola generale dettata dall'art. 23, comma primo, cod. pen.
Cass. pen. n. 5696/2015
In materia di custodia cautelare, la sospensione dei termini di cui all'art. 304, comma primo, lett. c) cod.proc.pen., relativa al periodo previsto dalla legge per la redazione della sentenza, opera non solo per i termini intermedi e di fase, ma anche per il termine di durata massima della misura, fermo restando il limite di cui all'art. 304, comma sesto cod.proc.pen.
Cass. pen. n. 44895/2014
In tema di custodia cautelare, la sentenza n. 32 del 2014 della Corte costituzionale, con la quale è stata dichiarata l'incostituzionalità degli articoli 4 bis e 4 vicies ter del D.L. 30 dicembre 2005, n. 272, convertito con modifiche dalla legge 21 febbraio 2006, n. 49, concernente il trattamento sanzionatorio unificato per le droghe leggere e per quelle pesanti, con la conseguente reviviscenza del trattamento sanzionatorio differenziato previsto dal d.P.R. 9 ottobre 1990 n. 309, non comporta la rideterminazione retroattiva "ora per allora" dei termini di durata massima per le precedenti fasi del procedimento, ormai esaurite prima della pubblicazione della sentenza stessa, attesa l'autonomia di ciascuna fase.
Cass. pen. n. 6613/2014
In tema di durata della custodia cautelare, ai fini della individuazione del termine di fase allorché vi sia stata sentenza di condanna, in primo o in secondo grado, occorre aver riguardo alla pena complessivamente inflitta per tutti i reati per i quali è in corso la misura della custodia cautelare e quindi alla pena unitariamente quantificata a seguito dell'applicazione del cumulo materiale o giuridico per effetto del riconoscimento del vincolo della continuazione. (In motivazione la Corte ha altresì affermato che nell'individuazione della pena in concreto irrogata, cui parametrare il calcolo del termine di fase, non incide l'eventuale operatività del limite massimo di aumento della pena fissato dall'art. 78 cod. pen.).
Cass. pen. n. 273/2014
Nel caso in cui il giudice di legittimità abbia disposto l'annullamento con rinvio limitatamente all'esclusione di una circostanza aggravante in grado d'appello, deve ritenersi che si sia formato il giudicato sull'affermazione di responsabilità dell'imputato a prescindere dalle statuizioni del giudice in ordine al bilanciamento tra le circostanze, sicché i termini di custodia cautelare cui deve farsi riferimento sono, ai sensi dell'art. 303, comma primo, lett. d), seconda parte, cod. proc. pen., quelli stabiliti per la durata massima delle misure cautelari dal quarto comma dello stesso articolo e non invece quelli di fase rapportati alla pena in concreto irrogata. (Fattispecie in cui la Corte di appello aveva escluso l'aggravante di cui all'art. 7 del D.L. n. 152 del 1991, conv. in l. n. 203 del 1991 e la Corte di Cassazione aveva annullato la sentenza di appello, limitatamente a tale aspetto).
Cass. pen. n. 47072/2013
In tema di durata della custodia cautelare, l'applicazione del meccanismo di recupero previsto dall'art. 303, comma primo, lett. b), n. 3-bis, cod. proc. pen., che consente il prolungamento dei termini di fase per mezzo dell'imputazione del periodo residuo a fasi diverse, non comporta l'aumento dei termini massimi di custodia fissati dall'art. 304, comma sesto, cod. proc. pen.
Cass. pen. n. 41180/2013
In tema di durata massima della custodia cautelare, l'ulteriore termine di sei mesi, previsto dall'art. 303, comma primo, lett. b), n. 3 bis c.p.p. per i reati di cui all'art. 407, comma secondo, lett. a) stesso codice, qualora non utilizzato completamente dal giudice di primo grado, non può essere utilizzato per il periodo compreso tra la sentenza di primo grado e quella d'appello.
Cass. pen. n. 36472/2013
In tema di durata massima della custodia cautelare, l'ulteriore termine di sei mesi, previsto dall'art. 303, comma primo, lett. b) n. 3 bis c.p.p. per i reati di cui all'art. 407, comma secondo, lett. a) stesso codice, qualora non utilizzato completamente dal giudice di primo grado, può essere imputato alla fase delle indagini preliminari oppure a quella del giudizio di cassazione ma non può essere utilizzato nel corso del giudizio di appello.
Cass. pen. n. 24896/2013
In caso di annullamento con rinvio da parte della Corte di Cassazione della sentenza di secondo grado, i termini di durata della custodia cautelare ricominciano a decorrere dalla decisione di annullamento, ma non potranno protrarsi oltre il doppio del termine massimo di fase, computando l'intero periodo trascorso "in vinculis" dall'originaria decorrenza e cioè dalla sentenza di primo grado. (In motivazione, la Corte ha precisato essere inapplicabile al giudizio di appello la regola stabilita per la fase di cassazione dalla lett. d) del comma primo dell'art. 303 c.p.p., secondo la quale, in caso di doppia condanna nei gradi di merito, si tiene conto soltanto dei termini massimi complessivi di cui al comma quarto).
Cass. pen. n. 30759/2012
In tema di durata massima della custodia cautelare, nel computo del doppio del termine di fase della stessa custodia non si deve tenere conto dell'aumento fino a sei mesi previsto dall'art. 303, comma primo, lett. b), n. 3 bis cod. proc. pen.
Cass. pen. n. 9378/2012
Nel giudizio a citazione diretta, ai fini dell'individuazione dei termini di durata della custodia cautelare, ex art. 303 cod. proc. pen., la mera emissione del decreto di citazione a giudizio determina il passaggio dalla fase delle indagini a quella del giudizio, essendo, invece, irrilevante il momento della notifica del provvedimento medesimo all'imputato.
Cass. pen. n. 8840/2010
Ai fini del computo dei termini di durata massima della custodia cautelare, allorché sia intervenuta condanna in primo grado, si deve far riferimento alla pena inflitta in concreto con la relativa sentenza, comprensiva dell'aumento per la recidiva.
Cass. pen. n. 28908/2009
L'applicazione provvisoria delle misure di sicurezza non è soggetta a termini di durata massima, ivi compresi quelli previsti per la custodia cautelare.
Cass. pen. n. 34786/2008
I termini di durata della custodia cautelare, stabiliti per la fase che inizia con l'esecuzione della misura cautelare e che si conclude con il provvedimento che dispone il giudizio, non decorrono nuovamente nel caso in cui nella fase del giudizio sia dichiarata la nullità del decreto di giudizio immediato per un difetto di notifica, perchè la declaratoria di nullità interviene nell'unica fase ancora non conclusa e non determina la regressione del procedimento ad una fase diversa.
Cass. pen. n. 2021/2008
In tema di misure cautelari, la sopravvenienza di provvedimenti giurisdizionali diversi da quelli previsti dall'art. 300 c.p.p. (archiviazione, sentenza di non luogo a procedere o di proscioglimento, sentenza di condanna a pena dichiara estinta, condizionalmente sospesa ovvero inferiore alla custodia cautelare subita) non esplica alcuna rilevanza sulla misura cautelare applicata, in quanto la stessa mantiene la propria efficacia fino alla scadenza dei termini di durata massima di cui all'art. 303 c.p.p.
Cass. pen. n. 37839/2007
È legittimo il provvedimento di revoca dell'ordinanza di scarcerazione per decorrenza dei termini di custodia cautelare, adottato dal giudice su richiesta del pubblico ministero prima della proposizione di qualsiasi impugnazione, in ragione della rilevata erroneità dei presupposti che avevano determinato la decisione. (Nella specie la Corte ha precisato che la struttura regolativa dei poteri del giudice in materia cautelare ammette la possibilità di reiterare, nell'ambito di una medesima fase processuale, l'esercizio di quello di pronunziare provvedimenti cautelari, semprechè tale pronunzia sia giustificata da sopravvenienze e mutamenti della situazione esaminata nella prima pronunzia ovvero sia giustificata da una valutazione diversa da quella in base alla quale fu adottato il primo provvedimento cautelare).
Cass. pen. n. 23381/2007
Per la determinazione della durata del termine di fase decorrente dalla pronuncia della sentenza di condanna, sia di primo grado che d'appello, occorre aver riguardo alla pena complessivamente inflitta per tutti i reati per i quali è in corso la misura della custodia cautelare, e quindi alla pena unitariamente quantificata, sia per applicazione del cumulo materiale che del cumulo giuridico a seguito del riconoscimento del vincolo della continuazione. (Mass. redaz.).
Cass. pen. n. 129/2007
L'art. 303, comma primo, lett. b-bis, come modificato dalla L. 5 giugno 2000 n. 144, ha introdotto la previsione di termini autonomi per la fase del giudizio abbreviato, con la conseguenza che il nuovo termine di fase inizia a decorrere dall'ordinanza che dispone il giudizio abbreviato. Qualora tale ordinanza venga annullata, per vizio procedurale quale l'omesso avviso al difensore, si verifica un caso di regressione alla fase anteriore e autonoma delle indagini preliminari con la conseguenza che il lasso di tempo intercorrente tra l'emissione dell'ordinanza, poi annullata, e la nuova che ridispone il rito abbreviato, va computato come termine della fase delle indagini preliminari.
Cass. pen. n. 35195/2006
In tema di misure cautelari personali, ai fini del computo del termine di fase delle indagini preliminari si deve aver riguardo al reato contestato nel provvedimento restrittivo, costituito dalla reciproca integrazione dell'ordinanza cautelare emessa dal giudice per le indagini preliminari e di quella pronunciata ex art. 309 c.p.p. dal tribunale del riesame, in quanto il «delitto per cui si procede» è quello enunciato nell'imputazione del provvedimento restrittivo, anche se l'azione penale sia stata esercitata successivamente per un delitto diverso. (Fattispecie relativa alla pronuncia di perdita di efficacia della misura cautelare per decorrenza dei termini della fase delle indagini preliminari e disposta la scarcerazione «ora per allora» da parte del giudice del rito abbreviato che ha correttamente considerato «delitto per cui si procede» quello risultante dall'imputazione del provvedimento cautelare, come modificata dal tribunale del riesame, anche se con la richiesta di rinvio a giudizio la qualificazione giuridica era mutata).
Cass. pen. n. 25058/2006
I termini massimi di custodia cautelare per la «fase» del giudizio abbreviato, previsti dall'art. 303, comma primo, lett. b bis c.p.p., decorrono dall'ordinanza che, in qualunque grado di giudizio di merito, dispone procedersi con il giudizio abbreviato. (Nell'affermare tale principio, la Corte ha rigettato il ricorso dell'imputato volto ad ottenere la retrodatazione dei suddetti termini a far data dal rigetto da parte del G.i.p. della richiesta di ammissione al rito abbreviato, successivamente accolta dal giudice del dibattimento)
Cass. pen. n. 31338/2005
Intervenuto, in sede di giudizio, il riconoscimento di una circostanza attenuante, esso non può operare retroattivamente ai fini della rideterminazione, in senso favorevole all'imputato, del termine di durata massima della custodia cautelare calcolato, per la precedente fase delle indagini preliminari, sulla base della pena prevista dalla legge per il reato per cui si procedeva. (Mass. redaz.).
Cass. pen. n. 20925/2005
L'eventuale lunga durata della restrizione cautelare subìta dalla persona sottoposta alle indagini non assume uno specifico rilievo nella valutazione della sussistenza delle esigenze cautelari in quanto la valenza di tale circostanza si esaurisce nell'ambito della disciplina dei termini massimi di custodia. (Mass. redaz.).
Cass. pen. n. 31524/2004
La questione, posta nella fase di cognizione, circa la scadenza dei termini di durata massima della custodia in carcere (nella specie, dapprima in sede di appello cautelare e successivamente in cassazione) perde rilevanza quando diviene irrevocabile la sentenza di condanna a pena detentiva superiore al presofferto perché la definitività dell'accertamento del merito, aprendo la fase esecutiva del processo, esclude la possibilità della rimessione in libertà. Ne consegue che, qualora sia pendente impugnazione cautelare, dovendo persistere l'interesse alla sua definizione fino al momento della decisione, l'impugnazione stessa è inammissibile per sopravvenuta carenza di interesse.
Cass. pen. n. 23016/2004
In tema di durata della custodia cautelare, quando ha luogo il regresso del procedimento, ai fini del computo del doppio del termine di fase e del conseguente diritto alla scarcerazione dell'imputato detenuto, si deve tenere conto anche dei periodi di detenzione imputabili ad altra fase o grado del procedimento medesimo, limitatamente ai periodi riferibili a fasi o gradi omogenei, secondo il combinato disposto degli artt. 303, secondo comma, e 304, sesto comma, c.p.p. (Fattispecie relativa ad imputato di reato punito con pena della reclusione superiore nel massimo a venti anni, in custodia cautelare in carcere dal 23 novembre 1999, rinviato a giudizio una prima volta il 9 novembre 2000 con decreto dichiarato nullo il 14 marzo 2001 e nuovamente rinviato a giudizio con decreto 17 ottobre 2001, il quale assumeva che la scadenza del doppio del termine di fase dovesse essere fissata a tre anni dall'esecuzione della misura e cioè al 23 novembre 2002. La Corte, nell'enunciare il principio di cui in massima, ha ritenuto che nel computo del doppio del termine della fase in corso, di dibattimento di primo grado, si dovesse tenere conto, oltre che del periodo successivo al 17 ottobre 2001, anche dei quattro mesi e cinque giorni intercorrenti tra il primo decreto di rinvio a giudizio e la declaratoria della sua nullità che aveva fatto registrare il procedimento, con la conseguenza che i tre anni sarebbero scaduti il 12 giugno 2004).
Cass. pen. n. 4770/2004
In caso di annullamento con rinvio della sentenza d'appello, con conseguente decorrenza
ex novo, ai sensi dell'art. 303, comma 2, c.p.p., del termine di fase della custodia cautelare, con il limite costituito dal non superamento, in totale, del doppio di tale termine (secondo la regola stabilita dall'art. 304, comma 6, c.p.p.), deve tenersi conto, ai fini dell'osservanza di detto termine, anche del periodo di custodia cautelare subito dall'imputato in pendenza del giudizio di cassazione.
Cass. pen. n. 16993/2003
Ai fini dell'applicazione dell'istituto della scarcerazione per decorrenza dei termini (art. 303 c.p.p.), non è consentito detrarre - in virtù dell'interpretazione analogica dell'art. 657 c.p.p. che consente, a date condizioni, la fungibilità della custodia cautelare sofferta sine titulo con la pena da espiare per altro reato separatamente giudicato - dalla custodia cautelare in corso quella sofferta senza titolo per una diversa imputazione, in quanto la misura cautelare - a differenza della pena - presuppone una pericolosità in atto che impone la necessità di provvedere immediatamente, sicché è del tutto privo di rilevanza il fatto che l'indagato possa aver subito una precedente custodia cautelare senza titolo, salvo il limite di cui all'art. 297, comma 3, c.p.p.
Cass. pen. n. 9479/2003
Ai fini del computo dei termini di durata massima della custodia cautelare non è influente la valutazione di equivalenza delle attenuanti generiche o di altre attenuanti rispetto alle aggravanti ad effetto speciale contestate e ritenute in sentenza, poiché occorre fare riferimento ai criteri enunciati dall'art. 278 c.p.p., secondo cui — per l'applicazione delle misure personali e, quindi, per la durata massima delle stesse — si deve avere riguardo alla qualificazione penalistica del fatto addebitato e, nel calcolo della relativa pena, hanno influenza unicamente le aggravanti che comportino una pena di specie diversa da quella ordinaria del reato e quelle ad effetto speciale.
Cass. pen. n. 8128/2003
In tema di durata della custodia cautelare nella fase del giudizio (art. 303, comma 1, lett. b, n. 2) — qualora sussista diversità tra il reato contestato nell'ordinanza cautelare e quello contenuto nel decreto di rinvio a giudizio — il reato cui occorre aver riguardo, al fine di determinare la durata dei termini massimi di fase, è quello contestato nel decreto di rinvio a giudizio e non quello contenuto nell'ordinanza di custodia cautelare. (Nella specie la S.C. ha ritenuto corretto il procedimento seguito dal tribunale della libertà, adito in sede di appello, il quale, ai fini del calcolo del termine massimo di fase, ha valutato le ipotesi di reato contenute nel decreto che dispone il giudizio in cui era stato contestato all'imputato, tra l'altro, il reato di associazione per delinquere aggravato dal numero dei partecipanti, ex art. 416, commi 2 e 5 c.p. ed ai sensi dell'art. 7 D.L. n. 152 del 1991, conv. dalla legge n. 203 del 1991, aggravante, quest'ultima, non indicata nell'ordinanza cautelare).
Cass. pen. n. 5368/2003
La regressione conseguente all'annullamento della sentenza di primo grado, da parte del giudice di appello, comporta un nuovo decorso dei termini custodiali della fase alla quale il procedimento è retrocesso solo se incide su termini ancora in corso, cioè non ancora scaduti alla data dell'annullamento.
Cass. pen. n. 3477/2003
L'ambito di operatività dell'art. 303, comma 1, lett. a), n. 3, seconda parte c.p.p., in virtù del quale il termine massimo di fase della custodia cautelare è stabilito in un anno, è subordinato a due condizioni: anzitutto, occorre che il reato per cui si procede rientri tra quelli previsti dall'art. 407, comma 2, lett. a) ed in secondo luogo che la pena edittale prevista sia superiore nel massimo a sei anni. Ricorrono entrambe le dette condizioni con riguardo al reato previsto dall'art. 73, aggravato ex art. 80, comma 2, D.P.R. n. 309 del 1990 (produzione e traffico illecito di sostanze stupefacenti) in quanto, da un lato, esso costituisce uno dei delitti previsti dall'art. 407, comma 2, lett. a) n. 6; dall'altro, la pena prevista per il delitto in questione è nel massimo superiore a sei anni posto che, ex art. 278 c.p.p., si deve tener conto dell'aumento derivante dall'applicazione dell'art. 80, n. 2, del D.P.R. n. 309 del 1990, trattandosi di disposizione che configura un'aggravante ad effetto speciale, che comporta l'aumento della pena edittale da un terzo alla metà.
Cass. pen. n. 41112/2002
In tema di durata massima dei termini di fase della custodia cautelare, l'autonomia di ogni singola fase del procedimento, quale contemplata dall'art. 303 c.p.p., postula che i termini ad essa relativi siano commisurati ai fatti così come contestati nella fase medesima, senza possibilità di utilizzare retroattivamente le eventuali modificazioni intervenute nella fase successiva, derivanti da diversa qualificazione giuridica dei fatti anzidetti ovvero da assoluzione dell'imputato da taluno degli addebiti a lui mossi.
Cass. pen. n. 31319/2002
La disciplina contenuta nell'art. 303, comma 1, lett. b), n. 3 bis c.p.p., introdotta dal D.L. 24 novembre 2000, n. 341, convertito con modificazioni nella legge 19 gennaio 2001, n. 4 — che prevede per taluni gravi reati, indicati nell'art. 407, comma 2, lett. a) c.p.p., un aumento fino a sei mesi del termine di fase relativo al dibattimento di primo grado, da imputare a quello della fase precedente ove non completamente utilizzato, ovvero, e per la parte residua, al termine di cui al comma 1, lettera d), relativo alla fase compresa tra la pronuncia della sentenza di condanna in grado di appello ed il passaggio in giudicato della stessa, con la conseguenza che, in quest'ultimo caso, il termine di fase previsto dalla lett. d) va proporzionalmente ridotto — non ha abrogato la norma generale in tema di doppia condanna, sicché essa non trova applicazione quando sia intervenuta una doppia condanna di merito, in primo grado e in grado di appello, ovvero quando l'impugnazione, dopo la condanna di appello, sia stata proposta solo dal P.M. poiché, in tale ipotesi, scatta l'operatività dei termini complessivi prevista dall'art. 303, comma 4, c.p.p.
Cass. pen. n. 29066/2002
In tema di termini di durata massima della custodia cautelare — posto l'interesse dell'imputato ad ottenere, “ora per allora”, la declaratoria di estinzione della suddetta misura per intervenuto superamento dei termini relativi ad una precedente fase procedimentale — deve ritenersi che detta declaratoria, mentre non può aver luogo quando il superamento sia configurabile soltanto facendo riferimento ad una sopravvenuta, diversa qualificazione giuridica del fatto, dev'essere invece pronunciata quando esso sia configurabile a ragione dell'intervenuto proscioglimento per i reati più gravi, in relazione ai quali il termine della fase precedente era stato determinato. (Nella specie, in applicazione di tali principi, la Corte ha riconosciuto il diritto alla scarcerazione dell'imputato, già sottoposto a custodia cautelare per associazione per delinquere, omicidio ed altro, a seguito dell'assoluzione, intervenuta in grado di appello, dal più grave reato di omicidio, in relazione al quale era stata determinata la durata massima della misura cautelare nella fase precedente).
Cass. pen. n. 28095/2002
La norma dell'art. 303, comma 2 c.p.p. in tema di durata massima della custodia cautelare si applica a tutte le ipotesi di oggettiva regressione del procedimento ad una fase o un grado precedente, a prescindere dalla natura di “ordinanza” o “sentenza” del provvedimento adottato dalla corte di cassazione e dal contenuto sostanziale o processuale della decisione, in quanto le scansioni procedimentali cui il codice si riferisce per stabilire i termini massimi di custodia cautelare sono considerate nella loro oggettiva verificazione. (Nella specie, la Corte ha ritenuto corretta l'applicazione dell'art. 303, comma 2 c.p.p. in un caso in cui, dopo la condanna in primo grado, l'appello era stato dichiarato inammissibile con ordinanza e la cassazione aveva annullato con rinvio tale ultimo provvedimento).
Cass. pen. n. 15/2002
Ai fini della determinazione dei termini di durata massima della custodia cautelare relativi al reato di partecipazione a un'associazione finalizzata al traffico illecito di sostanze stupefacenti (art. 74 D.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309), del quale è espressamente prevista dalla legge la sola pena edittale minima e non quella massima, quest'ultima va individuata in ventiquattro anni di reclusione, secondo la regola generale dettata dall'art. 23, comma primo, c.p.
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La scarcerazione dell'imputato per decorrenza dei termini di fase della custodia cautelare alla quale non si sia tempestivamente provveduto deve essere disposta nella fase successiva (c.d. scarcerazione ora per allora), purché la scadenza di detti termini riguardi tutte le imputazioni oggetto del provvedimento coercitivo e non solo alcune di esse, dovendosi escludere, in quest'ultimo caso, un interesse concreto dell'imputato a un provvedimento cui non consegua il riacquisto della libertà.
Cass. pen. n. 25041/2002
In tema di durata massima della custodia cautelare nella fase delle indagini preliminari, la norma dell'art. 303, comma primo, lett. a), n. 3 c.p.p. — che eleva ad un anno il termine relativo ai delitti di cui alla lett. a) del comma secondo dell'art. 407, a condizione che per gli stessi sia prevista una pena superiore nel massimo a sei anni — si riferisce alla pena computata secondo il disposto dell'art. 278 c.p.p., e dunque anche ai delitti la cui sanzione edittale ecceda i sei anni solo per la concorrenza di circostanze aggravanti ad effetto speciale o che comportino l'applicazione di pena di specie diversa da quella ordinaria del reato. (In motivazione la Corte ha escluso che, riguardo a delitti segnati dall'uso del metodo mafioso o dal fine di agevolazione delle associazioni mafiose — per tale ragione aggravati secondo il disposto dell'art. 7 del D.L. 13 maggio 1991, n. 152, ed al tempo stesso ricondotti alla previsione dell'art. 407, comma secondo, lett. a), n. 3 c.p.p. — possa configurarsi una indebita duplicazione di effetti sfavorevoli, posto che il legislatore può ben valorizzare la particolare gravità di un fatto sia in senso quantitativo che in senso qualitativo).
Cass. pen. n. 16133/2002
Nel caso, previsto dall'art. 303, comma 2, c.p.p., di regresso del procedimento ad una fase o ad un grado precedenti, da cui consegue il decorso ex novo del relativo termine di durata massima della custodia cautelare, con il limite costituito dal doppio del termine stesso, deve tenersi conto, ai fini della verifica in ordine al non superamento di detto limite, di tutta la custodia cautelare già sofferta, e non solo di quella riferibile alla fase omogenea.
Cass. pen. n. 10487/2002
La protrazione dei termini di durata massima della custodia cautelare prevista in un provvedimento legislativo modificativo delle norme precedentemente vigenti (nella specie: art. 2, comma 1, D.L. 24 novembre 2000, n. 341 conv. in L. 19 gennaio 2001, n. 4 che ha aggiunto all'art. 303, comma 1, lett. b) il numero 3 bis) può essere applicata ai procedimenti in corso solo se, alla data di entrata in vigore della legge modificativa, lo stato di detenzione sia legittimamente in atto e, quindi, i termini siano ancora pendenti. Ne consegue che essa non può dar luogo al mantenimento o al ripristino della custodia nei confronti di chi abbia già maturato il diritto alla scarcerazione secondo la normativa previgente.
Cass. pen. n. 3829/2002
Quando sia stata disposta la sospensione dei termini della custodia cautelare, l'aumento eccezionalmente previsto, per particolari categorie di reati, dall'art. 303, comma 1, lett. b) n. 3 bis c.p.p. non incide sulla determinazione della durata massima «di fase», che in nessuncaso può superare il doppio dei termini previsti dallo stesso art. 303, commi 1, 2 e 3.
Cass. pen. n. 44371/2001
In tema di computo della durata complessiva della custodia cautelare occorre fare riferimento esclusivo alla pena prevista dalla legge per il reato per cui vi è stata condanna, a nulla rilevando che in concreto sia stata irrogata una pena inferiore per effetto del giudizio di comparazione delle circostanze, in quanto l'espressione adoperata dall'art. 303, comma 4, c.p.p. in relazione alla disciplina dei termini di durata complessiva della custodia cautelare («quando si procede per un delitto per il quale la legge stabilisce la pena...») è diversa da quella usata nel comma 1, relativa ai termini di fase, che si riferisce alla pena della reclusione inflitta in concreto.
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Nel computo dei termini di durata massima della custodia cautelare in relazione alla pena edittale prevista dalla legge per il reato contestato, si deve tenere conto delle circostanze aggravanti ad effetto speciale normativamente previste al momento del fatto, quantunque a quell'epoca non ancora qualificate con tale nomen iuris, poiché quest'ultimo riveste una funzione meramente definitoria e non è in grado di incidere sul trattamento sanzionatorio rilevante ai fini del detto computo. (Fattispecie relativa a rapina pluriaggravata a norma dell'art. 628, comma 3, n. 1, c.p., commessa nel 1982, in relazione alla quale la Corte ha ritenuto irrilevante la circostanza che le aggravanti indicate nella citata disposizione fossero state denominate ad effetto speciale solo con l'art. 5 della legge 31 luglio 1984 n. 400, contenente modificazione dell'art. 63 c.p.).
Cass. pen. n. 42794/2001
In tema di termini di custodia cautelare, qualora il giudice del dibattimento dichiari la propria incompetenza, per materia o per territorio, così determinando la necessaria regressione del procedimento alla fase delle indagini preliminari (posto che detta declaratoria comporta la trasmissione degli atti al pubblico ministero presso il giudice ritenuto competente e non direttamente a quest'ultimo, come originariamente previsto dall'art. 23 c.p.p.), il termine di durata massima della custodia cautelare per la fase anzidetta dev'essere calcolato - in linea con l'orientamento espresso, da ultimo, dalla Corte costituzionale con l'ordinanza 15 novembre 2000 n. 529 - tenendo conto non solo del periodo di privazione della libertà sofferto nel corso dell'omologa fase precedente, ma anche di quello sofferto durante la fase dibattimentale conclusasi con la pronuncia di incompetenza, fermo restando che detto secondo periodo non potrà essere poi ulteriormente computato anche nel calcolo del termine per la nuova, eventuale fase dibattimentale.
Cass. pen. n. 42589/2001
In tema di durata massima della custodia cautelare, il superamento di un periodo di custodia pari al doppio dei termini di fase determina in ogni caso la perdita di efficacia della misura coercitiva, a nulla rilevando che i detti termini siano stati sospesi o prorogati o che siano cominciati nuovamente a decorrere a seguito di sospensione del processo, dovendosi in tal senso intendere l'art. 303, comma 2, c.p.p., secondo l'interpretazione, da definire costituzionalmente obbligata, fornitane dalla Corte costituzionale con sentenza 18 luglio 1998 n. 292. (Fattispecie relativa a sospensione dei termini disposta a seguito di dichiarazione di ricusazione del giudice).
Cass. pen. n. 41681/2001
In tema di durata massima della custodia cautelare, la disposizione di cui all'art. 303, comma 1, lett. b), n. 3 bis c.p.p. - introdotta dal D.L. 24 novembre 2000, n. 341, convertito nella legge 19 gennaio 2001, n. 4 - consente, per i reati di cui all'art. 407, comma 2, lett. a) del codice di rito, un aumento fino a sei mesi dei termini massimi decorrenti dalla emissione del decreto di citazione a giudizio o dal momento, successivo, dell'esecuzione della misura cautelare, previsti dai precedenti numeri 1, 2 e 3 dell'art. 303, lett. b), del codice di rito ma non si applica ai termini relativi alle fasi precedenti di citazione a giudizio, stabiliti dallo stesso art. 303 alla lett. a).
Cass. pen. n. 41269/2001
Ai fini del computo dei termini di durata della custodia cautelare, nella determinazione della pena prevista per il reato per cui si procede si tiene conto anche delle circostanze attenuanti ad effetto speciale, purché esse figurino ab initio nel fatto, così come contestato dal P.M., o siano successivamente ritenute sussistenti dal giudice per le indagini preliminari, in sede di applicazione della misura coercitiva, ovvero del tribunale della libertà, in sede di riesame o di appello, nell'ambito del rispettivo potere di qualificazione giuridica del fatto stesso. (Fattispecie nella quale la Corte ha ritenuto che la circostanza attenuante ad effetto speciale di cui al comma 5 dell'art. 73 del D.P.R. n. 309 del 1990, per incidere sui termini di durata della custodia cautelare, doveva far parte dall'inizio della qualificazione giuridica del fatto contestato oppure essere definitivamente attribuita e non ancora
sub iudice).
Cass. pen. n. 35872/2001
In tema di durata massima della custodia cautelare, nell'ipotesi di regressione del procedimento, il limite, costituito dal doppio dei termini di fase, di cui all'art. 304, comma 6, c.p.p., deve essere computato tenendo conto dei periodi di custodia cautelare sofferti dall'imputato in tutte le fasi, anche diverse, del procedimento, e non solo nelle fasi omogenee.
Cass. pen. n. 34120/2001
In tema di durata massima della custodia cautelare, allorché si versi nell'ipotesi prevista dall'art. 303, comma 1, lett. d), c.p.p. (termini riferibili al giudizio di cassazione), per impugnazione proposta esclusivamente dal pubblico ministero che giustifica l'applicazione della regola, derogatoria al regime ordinario di durata, stabilita nel comma 4 del medesimo articolo, deve intendersi il ricorso per cassazione.
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L'art. 303, comma 1, lett. d), c.p.p., nella parte in cui stabilisce - dopo aver fissato i termini di durata della custodia cautelare per la fase successiva alla pronuncia della sentenza di condanna in grado di appello - che «tuttavia, se vi è stata condanna in primo grado, ovvero se l'impugnazione è stata proposta esclusivamente dal pubblico ministero, si applica soltanto la disposizione del comma 4» (concernente la durata massima complessiva della custodia cautelare), va interpretato, con riguardo all'ipotesi dell'impugnazione da parte del solo pubblico ministero, nel senso che per «impugnazione» deve intendersi unicamente l'eventuale ricorso per cassazione avverso la sentenza di secondo grado e non anche l'appello avverso la sentenza di proscioglimento pronunciata in primo grado.
Cass. pen. n. 34119/2001
La disposizione dell'art. 303, comma 1, lett. b), n. 3-bis, introdotta dall'art. 2, comma 1, D.L. 24 novembre 2000 n. 341, convertito in legge 19 gennaio 2001, n. 4, che prevede, per alcune categorie di reati, un aumento fino a sei mesi dei termini di durata della custodia cautelare riferibili al periodo intercorrente tra il decreto che dispone il giudizio e la sentenza di condanna di primo grado, non contempla un'ipotesi di proroga di quei termini, ma solo un loro incremento, destinato, come tale, ad operare ex lege, indipendentemente da una richiesta del pubblico ministero.
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Qualora sia stata disposta la sospensione dei termini di custodia cautelare, non potendo il termine di sei mesi indicato al n. 3-bis del comma 1, lett. b) dell'art. 303 c.p.p. (come introdotto dall'art. 2, comma 1, D.L. n. 341 del 2000, convertito in legge n. 4 del 2001), essere aggiunto a quelli complessivi, la durata massima della custodia stessa a norma dell'art. 304, comma 6, stesso codice, in nessun caso può superare il doppio dei termini stabiliti dai commi 1, 2 e 3 del citato art. 303.
Cass. pen. n. 32978/2001
La specifica disciplina dettata, in materia di termini di durata massima della custodia cautelare, per la fase dell'eventuale giudizio abbreviato, dalla lett. b) bis del comma 1 dell'art. 303 c.p.p. (introdotta dall'art. 1, comma 1, lett. B, del D.L. 7 aprile 2000 n. 82, convertito, con modificazioni, in legge 5 giugno 2000 n. 144), trova applicazione indipendentemente da quale sia l'organo giudicante che abbia disposto il giudizio abbreviato e, quindi, anche nel caso in cui tale giudizio, ai sensi della disposizione transitoria di cui all'art. 4 ter del citato D.L. n. 82/2000, sia stato disposto dal giudice del dibattimento.
Cass. pen. n. 29941/2001
Non sussiste interesse giuridicamente rilevante dell'imputato all'accoglimento di una istanza di scarcerazione per decorrenza termini quando detta istanza riguardi alcuni soltanto dei reati in relazione ai quali la misura cautelare è stata disposta, per cui anche dal suo eventuale accoglimento non potrebbe comunque derivare la restituzione allo stato di libertà.
Cass. pen. n. 29059/2001
Qualora, nel corso delle indagini preliminari, il giudice disponga la trasmissine degli atti al pubblico ministero presso altro giudice, ritenuto competente, si dà luogo ad una situazione inquadrabile nelle previsioni di cui all'art. 303, comma 2, c.p.p., per cui inizia a decorrere
ex novo il termine di fase della custodia cautelare. (Mass. redaz.).
Cass. pen. n. 21914/2001
La declaratoria di nullità, da parte del giudice dell'udienza preliminare, della richiesta di rinvio a giudizio non rientra fra le ipotesi di regressione del procedimento ad altra fase previste dall'art. 303, comma 2, c.p.p. e non dà luogo, quindi, a decorrenza ex novo dei termini di custodia cautelare previsti per la fase delle indagini preliminari.
Cass. pen. n. 24/2000
Ai fini del computo del termine massimo di custodia cautelare nella fase del giudizio non può tenersi conto delle nuove contestazioni effettuate dal pubblico ministero, dovendosi fare riferimento esclusivamente all'imputazione formulata nell'originario provvedimento coercitivo, a meno che non sia intervenuta un'ulteriore ordinanza cautelare comprensiva della contestazione suppletiva; ove peraltro il giudice nel corso del dibattimento si sia limitato a dare al medesimo fatto per cui si procede una diversa qualificazione giuridica, al titolo di reato così ritenuto deve aversi riguardo ai fini predetti. (In applicazione di tale principio la Corte ha ritenuto corretta la decisione del tribunale della libertà, adito in sede di appello che non aveva tenuto conto, per il computo del termine massimo di custodia cautelare per la fase del giudizio, della contestazione suppletiva di un'aggravante ad effetto speciale).
Cass. pen. n. 3815/2000
Nei casi di regresso del procedimento, il termine massimo di custodia cautelare può dirsi superato solo nel caso che la sua durata raggiunga il doppio dei termini di fase (comprese le eventuali sospensioni) o i termini complessivi previsti dall'art. 303, comma quarto, c.p.p., non tenendosi conto, nel computo dei termini di fase, dei periodi di custodia cautelari sofferti negli altri gradi del giudizio, che vanno, invece, calcolati ai fini della durata complessiva della custodia ai sensi dell'art. 303, comma quarto, c.p.p.
Cass. pen. n. 2488/2000
In forza del principio dell'autonomia dei termini di fase prefissati dall'art. 303 comma 1 c.p.p., l'imputato ha diritto alla scarcerazione per il vano decorso del termine massimo proprio della fase o grado in cui pende il procedimento, e non già per la scadenza del termine eventualmente verificatasi in una fase o grado antecedenti ed ormai conclusi. Ed infatti, una volta definita una delle fasi previste dal citato art. 303 comma 1, la durata della custodia cautelare in detta fase non espande i suoi effetti su quella successiva, che è governata da altro autonomo termine massimo, fermo restando che la stessa ha rilevato ai fini della maturazione del termine massimo complessivo di cui all'art. 303 comma 4 c.p.p.
Cass. pen. n. 1623/2000
La portata generale che, in base alla sentenza interpretativa di rigetto della Corte costituzionale n. 292 del 1998, va riconosciuta alla regola contenuta nell'art. 304, comma 6, c.p.p. (secondo cui la durata della custodia cautelare non può comunque superare, per ogni fase, il doppio dei termini previsti dall'art. 303, commi 1, 2 e 3 stesso codice), non ha alcuna incidenza sull'altra regola contenuta nel comma 7 del medesimo art. 204, secondo cui nel computo dei termini di cui al comma precedente, fatta eccezione per il solo limite relativo alla durata complessiva della custodia cautelare, non si tiene conto dei periodi di sospensione di cui al comma 1, lett. b).
Cass. pen. n. 1103/2000
Nel caso di regressione del procedimento ad una fase precedente, come previsto dall'art. 303, comma 2, c.p.p., con conseguente decorso ex novo del termine massimo di durata della custodia cautelare relativo alla detta fase, deve tenersi conto, ai fini del non superamento del limite del doppio stabilito dall'art. 304, comma 6, c.p.p., dei soli periodi di detenzione riferibili alla fase interessata, con esclusione, quindi, di quelli riferibili alla fase successiva della quale il procedimento è poi regredito.
Cass. pen. n. 4/2000
Nel caso in cui, a seguito di annullamento con rinvio da parte della Corte di cassazione o per altra causa, il procedimento regredisca a una fase o a un grado di giudizio diversi ovvero sia rinviato ad altro giudice, i termini di durata della custodia cautelare decorrono dalla data della decisione che dispone il regresso e, ai fini del calcolo della durata massima di fase, vanno computati esclusivamente i periodi di custodia cautelare trascorsi nella stessa fase, rilevando, ai fini dell'osservanza di detto limite, tutti i periodi di sospensione di pertinenza della fase, ad eccezione di quelli indicati nell'art. 304, comma settimo, c.p.p., ed operando tali regole anche in caso di pluralità di annullamenti o di regressioni (Nella specie, relativa ad ipotesi di annullamento con rinvio di una sentenza di secondo grado, si è ritenuto che, per il calcolo del limite massimo del termine di fase, il periodo di custodia cautelare relativo al giudizio di appello dovesse cumularsi con quello del giudizio di rinvio, ma non anche con la durata del giudizio di cassazione).
Cass. pen. n. 149/2000
In tema di termini massimi della custodia cautelare in caso di regressione del procedimento, anche dopo la sentenza (interpretativa di rigetto) n. 292 del 1998 della Corte costituzionale, non è consentito il cumulo di fasi disomogenee al fine del computo dei predetti termini, occorrendo unicamente verificare il rispetto del termine proprio di ciascuna fase, considerando i nuovi termini, conseguenti alla regressione del procedimento, semplicemente in aggiunta a quelli decorsi anteriormente nella stessa fase. Invero, anche in tal caso, conserva piena autonomia la separazione delle fasi, i cui termini di custodia cautelare vanno calcolati, per ciascuna di esse, sommando tra di loro i periodi di carcerazione sofferti nella medesima fase. (Fattispecie nella quale il Tribunale del riesame, accogliendo l'appello dell'indagato, aveva dichiarato la sopravvenuta inefficacia della misura cautelare per decorrenza del temine massimo della fase delle indagini preliminari — a seguito della pronunzia di incompetenza per materia del primo giudice del dibattimento — ritenendo che il periodo di carcerazione sofferto tra il rinvio a giudizio e la sentenza dichiarativa di incompetenza fosse da ascrivere, appunto, alla fase delle indagini preliminari. La Suprema Corte, enunciando il principio sopra riportato, ha annullato con rinvio l'ordinanza del Riesame, precisando che il predetto periodo è comunque da ascrivere alla fase dibattimentale di primo grado).
Cass. pen. n. 4202/2000
Nel caso di regressione del processo ai sensi dell'art. 303, comma 2, c.p.p., ai fini del computo dei termini di durata massima della custodia cautelare in carcere, a seguito della sentenza n. 292 del 1998 della Corte costituzionale, in virtù della quale i limiti di cui all'art. 304, comma 6, previsti per i casi di sospensione, devono ritenersi estesi anche ai casi di regressione, occorre fare riferimento, per i termini massimi intermedi, alla fase in cui il procedimento è regredito, raddoppiando la durata fissata per ciascuna fase dell'art. 303 cit., senza però tenere conto dei periodi detentivi sofferti in fase diversa, che devono invece essere considerati al fine di stabilire il termine massimo complessivo di custodia cautelare.
Cass. pen. n. 3090/1999
In caso di regressione del procedimento, il termine «finale» del doppio del termine di fase, in base al combinato disposto degli artt. 303, secondo comma, e 304, sesto comma, c.p.p., decorre dal primo termine iniziale della fase in cui il procedimento è regredito, computato anche il periodo di custodia cautelare decorso nelle fasi o gradi successivi prima del provvedimento che ha disposto la regressione. Tale regola discende dalla interpretazione, costituzionalmente imposta, indicata dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 292 del 1998, con la quale si è osservato che la previsione dell'art. 304, sesto comma, c.p.p. individua il limite «estremo» di durata della custodia cautelare, superato il quale il permanere dello stato coercitivo si presuppone essere «sproporzionato» (in base al principio di cui all'art. 275, secondo comma, c.p.p.), in quanto eccedente gli stessi limiti di tollerabilità del sistema. Fungendo pertanto da meccanismo di chiusura della disciplina dei termini, la disposizione in esame resta «autonoma» rispetto al corpo dell'articolo nel quale si trova inserita. Ne consegue che ritenere che il limite finale operi solo per i casi di sospensione equivarrebbe a tradire non soltanto la storia e la funzione dell'istituto, ma anche il dettato normativo, come si desume dall'avverbio «comunque» contenuto in detta disposizione, che sta a significare che quel limite deve essere riferito a tutti i fenomeni suscettibili di interferire con la disciplina dei termini di fase.
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In tema di termini massimi di custodia cautelare, qualora la sentenza di appello sia stata annullata con rinvio dalla Corte di cassazione, e, in base al principio devolutivo, la pena già determinata dal giudice di appello non possa comunque essere aggravata all'esito del giudizio di rinvio, il nuovo termine di fase, ex art. 303, primo comma, lett. c), c.p.p., non può essere ancorato alla maggiore pena inflitta con la sentenza di primo grado, ma a quella minore inflitta con la sentenza di appello. Infatti, tale sentenza, pur essendo stata annullata dalla Corte di cassazione, mantiene il suo valore di giudicato ai fini della determinazione massima della pena che in concreto potrà essere inflitta. (Fattispecie nella quale la sentenza di appello aveva ridotto la pena a dieci anni di reclusione rispetto ai dodici anni inflitti in primo grado, e, su ricorso dell'imputato, la Corte di cassazione aveva annullato con rinvio la sentenza impugnata ravvisando un difetto di motivazione circa il diniego di attenuanti generiche; in tale ipotesi, la Corte ha ritenuto che il nuovo termine di fase andasse ricavato dall'art. 303, primo comma, lett. c), n. 2, c.p.p. e non dal numero 3 della predetta disposizione).
Cass. pen. n. 5149/1999
Poiché l'art. 304, comma 6, c.p.p. si riferisce ai termini massimi di custodia cautelare che non possono essere superati nell'ambito della singola fase o ai fini del calcolo della durata complessiva della custodia cautelare, i termini di fase della custodia cautelare debbono essere calcolati per ciascuna fase alla quale si riferiscono, sommando tra loro i vari periodi di privazione della libertà sofferti nella stessa fase o nello stesso grado di giudizio. Pertanto, nel caso di regressione del procedimento ai sensi dell'art. 303, comma 2, cp.p., il termine massimo di custodia cautelare — tenuto conto della sentenza interpretativa di rigetto della Corte costituzionale n. 292 del 1998, secondo cui la regola dettata dall'art. 304, comma 6, c.p.p. opera anche in detta ipotesi — potrà ritenersi superato qualora la relativa durata abbia superato il doppio dei termini di fase (ivi comprese le eventuali sospensioni) oppure i termini complessivi previsti dall'art. 303, comma 4, c.p.p., ferma restando l'esclusione dal computo dei periodi sofferti in custodia cautelare afferenti ad altri gradi del giudizio.
Cass. pen. n. 1530/1999
Anche nel caso di regressione del processo in appello a seguito di rinvio (art. 303.2 c.p.p.), nell'ipotesi in cui sia stata pronunciata sentenza di condanna nei due gradi del giudizio di merito il termine massimo di custodia cautelare per la fase del giudizio di cassazione si computa - per il richiamo operato dalla lett. d), ultima parte, del comma 1 dell'art. 303 c.p.p. al comma 4 del medesimo articolo - secondo i criteri in quest'ultima norma fissati, e cioè tenendo conto esclusivamente dei limiti di durata massima complessiva della cautela.
Cass. pen. n. 1529/1999
Nella fase del giudizio, ai fini del computo del termine massimo della custodia cautelare occorre avere riguardo non già alla contestazione di cui all'ordinanza cautelare bensì al «delitto per cui si procede» e dunque all'imputazione quale risulta dal decreto che dispone il giudizio ovvero a quella eventualmente modificata nel corso del dibattimento ai sensi degli artt. 516, 517, 518 c.p.p.
Cass. pen. n. 1526/1999
In tema di durata massima della custodia cautelare per delitti commessi per finalità di terrorismo o di eversione dell'ordinamento costituzionale, il termine previsto dall'art. 303, comma primo, lett. a), n. 3, c.p.p. opera solo ove per i delitti in questione siano realizzate le condizioni di pena edittale previste nell'art. 407, comma secondo, lett. a), n. 4, e non sulla base del solo titolo di reato. (Fattispecie relativa a contestazione del delitto di partecipazione ad associazione con finalità di terrorismo ed eversione dell'ordine democratico, previsto dall'art. 270 bis, comma secondo, c.p., punito con pena da quattro ad otto anni di reclusione, relativamente al quale la S.C. ha ritenuto che il termine di durata massima della custodia cautelare nella fase delle indagini preliminari sia di sei mesi e non di un anno, pur prevedendo l'art. 303 citato quest'ultimo termine in presenza di pena edittale massima superiore nel massimo a sei anni: e ciò sia sul rilievo che l'art. 407, comma secondo, lett. a è da intendere recepito integralmente, e non solo con riferimento al
nomen juris, nell'art. 303, comma primo, lett. a n. 3 del codice di rito, sia perché, nel dubbio interpretativo, il
favor libertatis impone di scartare un'interpretazione
in malam partem). Non risultano precedenti.
Cass. pen. n. 1993/1999
La disciplina di cui all'art. 304, comma 6, c.p.p., applicabile, in base a quanto affermato dalla Corte costituzionale con sentenza interpretativa di rigetto n. 292 del 1998, anche nel caso di regressione del procedimento ad una fase o ad un grado di giudizio diversi, con conseguente decorrenza
ex novo dei termini di custodia cautelare, ai sensi dell'art. 303, comma 2, c.p.p., implica che, verificandosi tale ipotesi, il limite invalicabile costituito dal doppio del termine di fase debba essere calcolato tenendo conto di tutta la custodia cautelare sofferta dall'inizio della fase alla quale il procedimento è regredito, e non soltanto di quella riferibile a detta fase. (Nella specie, in applicazione di tale principio, la S.C. ha censurato la decisione di merito la quale, oltre a contestare il carattere vincolante della sentenza della Corte costituzionale, aveva sostenuto che, essendo stata annullata con rinvio la sentenza d'appello, non si dovesse comunque tener conto della custodia cautelare sofferta dopo la pronuncia di detta sentenza e fino alla pronuncia della decisione di annullamento).
Cass. pen. n. 2771/1999
Ai fini della individuazione della durata dei termini massimi di custodia cautelare nelle fasi successive alla pronuncia della sentenza di primo grado, occorre avere riguardo, ai sensi dell'art. 303, lett. c) e d) c.p.p., alla misura della pena in concreto irrogata dal giudice, sicché deve escludersi l'applicabilità, in tali casi, del criterio di determinazione della pena in astratto come stabilito dall'art. 278 c.p.p. agli effetti dell'applicazione delle misure cautelari; tuttavia, ove la condanna sia stata pronunciata per un reato continuato, per la determinazione in concreto della pena, alla cui entità la norma rapporta il computo del termine, si deve tener conto, in applicazione del principio del favor rei, non della sanzione detentiva complessivamente irrogata bensì di quella inflitta per i singoli reati per i quali sia stata disposta e non abbia perso efficacia la misura cautelare. (Nella specie la Corte ha ritenuto non ancora decorso il termine massimo di fase tenendo conto, per la sua determinazione, della pena concretamente inflitta per il reato base come aumentata a titolo di recidiva).
Cass. pen. n. 4026/1999
Nell'ipotesi di regresso del procedimento a una fase o a un grado di giudizio diversi, a norma dell'art. 303, comma secondo, c.p.p., al fine di stabilire il superamento del relativo termine massimo intermedio, deve tenersi conto dell'effettivo periodo di detenzione subito in quella specifica fase, e soltanto in essa, nei due periodi succedutisi. Conseguentemente vanno sommati i periodi di custodia cautelare sofferti dall'inizio della determinata fase al momento del provvedimento che ha disposto il passaggio alla fase successiva con quelli posteriori al provvedimento che ha disposto il regresso alla medesima fase, fino al termine di essa; mentre dei residui periodi detentivi sofferti in fasi diverse deve tenersi conto al fine di stabilire i termini complessivi di custodia cautelare.
Cass. pen. n. 3629/1999
In caso di annullamento con rinvio da parte della Corte di cassazione e di conseguente regressione del processo, ai fini del computo dei termini di durata massima della custodia cautelare in carcere, dopo la sentenza n. 292 del 1998 della Corte costituzionale, occorre fare riferimento, per i termini massimi «intermedi», alla fase in cui il procedimento è regredito, raddoppiando la durata fissata per ciascuna fase dall'art. 303 c.p.p., ma senza tener conto dei periodi di sospensione di cui al precedente art. 304, comma primo, lett. b), come previsto dalla disposizione del comma settimo di quest'ultimo articolo, non toccata dalla Corte costituzionale.
Cass. pen. n. 3521/1999
Nel caso di regressione del procedimento ad una fase diversa, con conseguente decorso ex novo dei termini di durata massima della custodia cautelare previsti per quella fase, ai sensi dell'art. 302, comma 2, c.p.p., deve tenersi conto, qualora occorra verificare che non sia stato superato il limite del doppio dei suddetti termini (in adesione a quanto affermato dalla Corte costituzionale con sentenza interpretativa di rigetto n. 292 del 1998), soltanto della custodia cautelare precedentemente sofferta nell'ambito della stessa fase alla quale il procedimento è regredito, e non di quella sofferta nell'ambito di altre fasi. (Nella specie, in applicazione di tale principio, la S.C. ha ritenuto corretta la decisione di merito con la quale, essendo regredito il procedimento dalla fase del giudizio d'appello a quella delle indagini preliminari, in conseguenza della ritenuta nullità del decreto che aveva disposto il giudizio, era stata respinta la richiesta di scarcerazione avanzata dall'imputato per asserito superamento del doppio dei termini di fase, osservandosi che erroneamente, in detta richiesta, si era tenuto conto anche di periodi di custodia cautelare riferibili alla fase del giudizio di primo grado, a suo tempo instaurato prima della scadenza del termine previsto per la fase precedente).
Cass. pen. n. 1223/1999
L'art. 303, secondo comma, c.p.p. pone sullo stesso piano, ai fini della custodia cautelare, le ipotesi di regressione del procedimento a una fase o a un grado di giudizio diversi e quelle di rinvio ad altro giudice a seguito di annullamento con rinvio della Cassazione, o per qualunque altra causa. In tutte tali ipotesi gli effetti della custodia cautelare sono uguali, nel senso che i termini di questa, previsti dal comma primo dell'art. 303, decorrono di nuovo «relativamente a ciascuno stato o grado del procedimento», con l'unico limite che non possono superare un periodo pari al doppio di quello previsto — di norma — per la fase presa in considerazione, e ciò in virtù della formulazione normativa di chiusura di cui all'art. 304, sesto comma, c.p.p., che ha carattere autonomo e generale e non può essere circoscritta al corpo dell'articolo nel quale si trova inserita, che riguarda specificamente la sospensione dei termini.
Cass. pen. n. 2091/1999
In caso di annullamento con rinvio della Corte di cassazione, i termini di durata della custodia cautelare decorrono nuovamente dalla data della sentenza di annullamento, e non da quella originaria di inizio della fase alla quale il processo è regredito.
Cass. pen. n. 160/1999
Qualora, in presenza di condanna non definitiva per più reati uniti per continuazione, si faccia questione di superamento dei termini di fase della custodia cautelare per taluno di essi, diverso da quello ritenuto più grave, e la relativa pena non risulti determinata in sentenza, deve a ciò provvedere, ai soli fini della misura, il giudice investito di detta questione anche quando la suindicata operazione non risulti, in concreto, idonea ad incidere sulla durata dei termini in questione, non potendosi, pur in tale situazione, escludere un interesse giuridicamente apprezzabile dell'imputato, con riguardo, ad esempio, all'eventualità di un'assoluzione dal reato più grave.
Cass. pen. n. 5111/1998
Ai fini della nuova decorrenza dei termini di durata della custodia cautelare in caso di regressione del procedimento, configura un'ipotesi di «altra causa», secondo la previsione dall'art. 303, comma secondo, c.p.p., la declaratoria di nullità del decreto che dispone il giudizio.
Cass. pen. n. 3167/1998
Lo spostamento di sede del procedimento per dichiarazione di incompetenza comporta una nuova decorrenza dei termini di fase della custodia cautelare, in quanto si verte, pur sempre, in ipotesi di «rinvio ad altro giudice», comunque idoneo, ex art. 303, comma secondo, c.p.p., anche se realizzato tecnicamente per il tramite del P.M., a determinare tale effetto.
Cass. pen. n. 3286/1998
È manifestamente infondata la eccezione di illegittimità costituzionale del secondo comma dell'art. 303 c.p.p. (disciplina dei termini di custodia cautelare nell'ipotesi di regressione del procedimento ad una fase o ad un grado di giudizio diversi) per contrasto con gli artt. 3, 13, 24 e 111 della Costituzione. Ciò in quanto la disciplina degli effetti della regressione del processo per motivi procedurali sulla durata della custodia cautelare implica delle scelte tra diverse soluzioni, nessuna delle quali è costituzionalmente imposta, rientrando nell'esclusivo potere discrezionale del legislatore ordinario regolare e differenziare, nel rispetto del principio di ragionevolezza, il regime della durata della cautela. È conforme a ragionevolezza ed ai principi costituzionali di cui alle richiamate norme, la determinazione legislativa che, apprezzando e bilanciando le esigenze di tutela della collettività con il
favor libertatis, dà prevalente rilevanza alle prime, con riferimento ai termini di fase, e alla libertà individuale, per quanto riguarda il termine massimo complessivo di cui al quarto comma dell'art. 303 c.p.p.
Cass. pen. n. 4301/1998
In tema di decorrenza dei termini di durata massima della custodia cautelare, qualora sia annullato dal giudice dibattimentale il decreto che dispone il giudizio, con regresso del procedimento alla fase delle indagini preliminari, i termini di detta fase cominciano nuovamente a decorrere dalla declaratoria di nullità. Ne consegue che, ove in precedenza il rinvio a giudizio sia stato disposto prima della scadenza del termine di fase e non sia stato superato il termine proprio della fase successiva, non deve essere disposta la cessazione della misura cautelare ancora in atto.
Cass. pen. n. 4271/1998
Ai fini del computo dei termini della custodia cautelare, in essi si deve tener conto delle circostanze aggravanti per le quali la legge stabilisce una pena di specie diversa da quella ordinaria del reato e di quelle ad effetto speciale. (Fattispecie in tema di sfruttamento della prostituzione aggravato ai sensi dell'art. 7 della legge n. 203 del 1991).
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In tema di durata massima della custodia cautelare, in forza del principio dell'autonomia dei termini di fase, l'imputato ha diritto alla scarcerazione per il vano decorso del termine massimo proprio della fase o del grado in cui pende il procedimento, e non già per la scadenza del termine, eventualmente verificatasi in una fase o grado antecedenti, oramai conclusi. E invero, una volta definita una delle fasi previste dalle lettere a), b), c) e d) del comma primo dell'art. 303 c.p.p., la durata della custodia cautelare sofferta in detta fase non espande i suoi effetti sulla fase successiva che è governata da un altro autonomo termine massimo, ma ha rilievo soltanto al fine della maturazione del termine massimo complessivo previsto dal comma quarto del citato art. 303. (In motivazione, la S.C. ha precisato che il principio della scarcerazione «ora per allora» può essere invocato solo all'interno di una fase, allorché la pronuncia giudiziale intervenga dopo la scadenza del termine, ma prima della formazione del nuovo titolo custodiale, ma non più quando sia intervenuto un nuovo titolo di detenzione che abbia determinato la vigenza di un nuovo termine).
Cass. pen. n. 1189/1998
L'eventuale riduzione della pena all'esito del giudizio di appello, anche se conseguente ad una derubricazione del reato, non ha incidenza alcuna sul termine di durata massima della custodia cautelare della fase precedente, rapportato alla pena inflitta con la sentenza di primo grado.
Cass. pen. n. 1713/1998
La decorrenza ex novo dei termini di fase della custodia cautelare, ai sensi dell'art. 303, comma 2, c.p.p., ha luogo anche nel caso in cui, insorto conflitto negativo di competenza fra il giudice che aveva disposto la misura e altro giudice, la Corte di cassazione, risolvendo detto conflitto, abbia affermato la competenza del primo. Verificandosi tale ipotesi, il nuovo termine decorre, ai sensi dell'art. 32, comma 3, c.p.p., dalla comunicazione dell'estratto della sentenza della Suprema Corte ai giudici in conflitto, effettuata ai sensi del precedente comma 2 dello stesso articolo.
Cass. pen. n. 5157/1998
In tema di termini di durata massima della custodia cautelare, quando il reato per cui si procede e per il quale è stata emessa una nuova misura custodiale è lo stesso reato a carattere permanente, protrattosi in un arco temporale di conseguita maggiore età da parte dell'indagato, per il quale lo stesso abbia sofferto, da minorenne, la custodia cautelare massima prevista in relazione all'età, il reato diventa unitariamente attribuibile al soggetto in quanto maggiorenne e, di conseguenza, il termine massimo di custodia cui occorre riferirsi per la nuova misura non è più quello ridotto applicabile ai minorenni, bensì quello ordinario applicabile ai maggiorenni.
Cass. pen. n. 375/1998
Il giudice procedente che ritenga doversi disporre la cessazione della custodia cautelare per intervenuto decorso dei relativi termini non è tenuto ad acquisire preventivamente il parere del pubblico ministero, mancando nel vigente codice di procedura penale una norma corrispondente all'art. 76, comma 1, del codice abrogato (secondo cui il giudice, nel corso del procedimento penale, non poteva comunque deliberare se non sentito il pubblico ministero, salvi i casi eccettuati dalla legge), e non potendo neppure trovare applicazione, nella suddetta ipotesi, l'art. 299, comma 3 bis, c.p.p., il quale prevede l'obbligo di previa audizione del pubblico ministero solo quando debbasi provvedere in ordine alla revoca o alla sostituzione della misura.
Cass. pen. n. 3972/1997
La decorrenza
ex novo dei termini di fase della custodia cautelare, nel caso previsto dall'art. 303, comma 2, c.p.p., ha luogo anche quando, a seguito della risoluzione di un conflitto da parte della Corte di cassazione, il procedimento torni ad un giudice che già ne aveva preso cognizione, prima di quello davanti al quale il medesimo procedimento pendeva, all'atto in cui il conflitto era stato denunciato.
Cass. pen. n. 4221/1997
Allorché la decisione della Cassazione risolutiva di conflitto negativo di competenza designi come competente il giudice che per primo si dichiarò incompetente, si è in presenza comunque di un giudice «altro» rispetto a quello che, investito della competenza, la declinò, richiedendo l'intervento della Corte regolatrice, e pertanto ha luogo un ritorno del procedimento alle origini, che determina una nuova decorrenza dei termini di durata massima di custodia cautelare, a nulla rilevando la circostanza che il giudice dichiaratosi per primo incompetente sia ancora destinatario, a norma dell'art. 279 c.p.p., delle istanze concernenti le misure coercitive.
Cass. pen. n. 1246/1997
Ai fini del computo dei termini di durata massima della custodia cautelare nella fase delle indagini preliminari, allorquando il pubblico ministero, nell'esercitare l'azione penale con la richiesta di rinvio a giudizio, muta l'originaria contestazione posta a base della misura cautelare in corso di applicazione, eliminando una o più imputazioni o modificando il titolo o i titoli di reato, la primitiva imputazione, necessariamente fluida in relazione allo sviluppo delle indagini, perde qualsiasi rilevanza giuridico-processuale ed al suo posto subentra quella che, delineando definitivamente l'accusa, rappresenta il
thema decidendum del processo da sottoporre al giudice; è solo di questa, pertanto, nel momento in cui interviene, che si deve tenere conto ai fini della custodia cautelare e del calcolo dei relativi termini. (In applicazione di tale principio la Corte, rilevato che il pubblico ministero aveva richiesto il rinvio a giudizio dell'imputato per il solo delitto di associazione per delinquere, per il quale il termine massimo di custodia per la fase delle indagini è di tre mesi, con esclusione di quegli altri reati per i quali pure era stata disposta la misura coercitiva — violenza carnale, sequestro di persona, sfruttamento della prostituzione — per i quali invece detto termine è di sei mesi, ha ritenuto che all'atto della presentazione della richiesta medesima, essendo scaduto il termine di tre mesi, l'imputato avrebbe dovuto essere scarcerato).
Cass. pen. n. 1886/1997
Ai fini del computo dei termini di durata massima della custodia cautelare deve farsi riferimento ai reati per i quali si procede nella fase presa in considerazione, perciò il proscioglimento con la sentenza di primo grado per alcune delle imputazioni non determina la rivalutazione «ora per allora» dei termini di custodia cautelare per la fase delle indagini preliminari e del giudizio di primo grado, ma produce i propri effetti solo per la fase successiva, per la quale i termini dovranno essere calcolati tenendo conto delle contestazioni residue, fatta salva la possibilità per l'imputato, qualora la pronuncia assolutoria venga definitivamente confermata, di richiedere la riparazione per ingiusta detenzione ex art. 314 c.p.p.
Cass. pen. n. 4581/1997
La disposizione di cui al secondo comma dell'art. 303 c.p.p., secondo la quale nei casi in cui il procedimento regredisca ad una fase o a un grado di giudizio diversi i termini della custodia cautelare decorrono ex novo, pur avendo riguardo all'ipotesi di un unico provvedimento restrittivo, è a maggior ragione applicabile quando per un qualsiasi motivo la primitiva ordinanza custodiale sia stata dichiarata inefficace e ne sia seguita una seconda (nella specie per la decorrenza del termine di cui all'art. 27 c.p.p. a seguito della trasmissione degli atti al pubblico ministero dopo la dichiarazione di incompetenza territoriale da parte del giudice di appello), giacché non vi è dubbio che in tal caso quest'ultima, per il suo carattere di autonomia rispetto alla precedente, determini una nuova decorrenza dei termini custodiali, secondo il principio generale sancito dal primo comma dell'art. 297 c.p.p. per il quale gli effetti della custodia cautelare decorrono dal momento dell'esecuzione del provvedimento restrittivo o dall'arresto o dal fermo; né può essere invocato, in proposito, il precetto posto dal terzo comma del predetto articolo 297 relativo al divieto delle c.d. contestazioni a catena, giacché tale disposizione trova applicazione solo quando siano emesse ordinanze tutte egualmente valide ed efficaci onde evitare una protrazione illegittima ed ingiustificata della durata della custodia cautelare, non anche quando la pluralità di provvedimenti restrittivi tragga origine dall'inefficacia del precedente o dei precedenti, poiché in tal caso viene meno la ratio giustificatrice della deroga che tale disposizione pone.
Cass. pen. n. 975/1997
Ai fini del decorso dei termini di durata massima della custodia cautelare la mancata emissione del provvedimento che dispone il giudizio e la mancata pronuncia di una sentenza a seguito di giudizio abbreviato o di patteggiamento costituiscono, come si deduce dell'avverbio «ovvero», delle ipotesi alternative: di conseguenza, se si verifica la prima, la seconda non ha più rilievo giacché, nel caso di detta emissione provvede poi la lettera b) dello stesso art. 303 c.p.p.
Cass. pen. n. 1/1997
Ai fini sia dell'articolo 303, comma primo, lett. c), c.p.p., sia dell'art. 300, comma quarto, stesso codice, nel caso di condanna per più reati avvinti dalla continuazione, per alcuni dei quali soltanto (nella specie per i reati satelliti) mantenga efficacia la custodia cautelare, per «condanna» e per «pena inflitta» devono, rispettivamente, intendersi la condanna e la pena inflitte per questi ultimi reati, e non la condanna e la pena inflitte per l'intero reato continuato, in quanto l'unificazione legislativa di più reati nel reato continuato va affermata là dove vi sia una disposizione apposita in tal senso o dove la soluzione unitaria garantisca un risultato favorevole al reo, non potendo dimenticarsi che il trattamento di maggior favore per il reo è alla base della
ratio del reato continuato.
Cass. pen. n. 284/1997
In forza del principio dell'autonomia dei termini di fase prefissati dall'art. 303, comma primo, c.p.p., l'imputato ha diritto alla scarcerazione per il vano decorso del termine massimo proprio della fase o grado in cui pende il procedimento, e non già per la scadenza del termine eventualmente verificatasi in una fase o grado antecedenti, ormai conclusi. Invero, una volta definita una delle fasi previste dalle lett. a), b) e d) del citato comma primo dell'art. 303, la durata della custodia cautelare in detta fase sofferta non espande i suoi effetti sulla fase successiva, che è governata da altro autonomo termine massimo, ma ha rilievo soltanto al fine della maturazione del termine massimo complessivo di cui al quarto comma del citato art. 303 c.p.p.
Cass. pen. n. 5057/1997
A seguito dello spostamento di sede del procedimento per dichiarazione di incompetenza, ricorre un'ipotesi di cui all'art. 303 secondo comma c.p.p., per regresso alla fase d'indagine. Ciò implica una nuova decorrenza dei termini di fase, o a partire dalla data di emissione del provvedimento che dispone la trasmissione degli atti al giudice competente, se la custodia è già in atto e cioè non è cessata mentre il procedimento era ancora avanti al giudice incompetente o diversamente, giusta l'alternativa prevista espressamente dalla norma, dalla sopravvenuta esecuzione della custodia cautelare autonomamente disposta dal giudice competente. Decorrendo di nuovo i termini di fase, quello massimo di cui all'art. 304 sesto comma deve computarsi senza tener conto della custodia già sofferta, per provvedimento del giudice incompetente. Pertanto, solo nel caso in cui sia già spirato il termine di durata complessiva della custodia e cioè quello relativo all'intero procedimento, a norma del comma quarto dell'art. 303 non è possibile nuova decorrenza del termine di fase, ed il giudice dichiarato competente non può disporre nuovamente la misura. Viceversa nessun ostacolo proviene dall'art. 297 terzo comma, che mira ad evitare il susseguirsi dei provvedimenti di custodia per uno stesso fatto, perché tanto presuppone la possibilità di emanarli coevamente, o comunque nella stessa fase storica, la qual cosa è esclusa per definizione in caso di regresso del procedimento.
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Il giudice competente mantiene intatto e autonomo il potere di vagliare la ricorrenza delle condizioni e delle esigenze per l'applicazione di misura di custodia, rispetto al giudice dichiaratosi incompetente, anche se intanto la misura da quest'ultimo disposta sia divenuta inefficace, per inosservanza dei termini di cui all'art. 27 c.p.p. Peraltro, quando per dichiarazione d'incompetenza gli atti regrediscono alla fase delle indagini preliminari, i termini di durata massima della custodia cautelare decorrono nuovamente dalla data di emissione della misura, disposta in sostituzione di quella divenuta inefficace, adottata da giudice incompetente.
Cass. pen. n. 4602/1996
In tema di termini massimi di durata della custodia cautelare, in caso di dichiarazione di incompetenza territoriale, trova applicazione il secondo comma dell'art. 302 c.p.p. e perciò i termini di custodia cautelare ricominciano a decorrere dal momento della dichiarazione di incompetenza. Quando l'imputato sia già detenuto per lo stesso fatto anche presso il giudice dichiarato competente, il nuovo termine decorre comunque dal momento della dichiarazione di incompetenza anche quando la misura venga disposta in modo autonomo oltre la scadenza del termine di venti giorni fissato dall'art. 27 c.p.p.
Cass. pen. n. 1419/1996
L'individuazione del termine di custodia cautelare per le singole fasi processuali, così come del termine massimo, va effettuata con riferimento ai reati quali allo stato contestati, con la conseguenza che l'assoluzione da qualcuno dei reati ascritti, al pari della diversa qualificazione giuridica del fatto, ha rilevanza solo dal momento in cui tali mutamenti intervengano, senza che essi possano retroattivamente riverberarsi sulle fasi processuali precedenti.
Cass. pen. n. 3482/1996
In tema di termini di durata massima della custodia cautelare il riferimento all'entità della condanna, nell'ipotesi di reato continuato, va operato in relazione ai singoli reati e così in definitiva alla pena (base) inflitta per il reato più grave, senza tenere conto della continuazione.
Cass. pen. n. 1976/1996
Ai fini della individuazione dei termini di fase, nelle ipotesi previste dall'art. 303, comma 1, lettera c), c.p.p., deve farsi riferimento, qualora vi sia stata condanna per più reati unificati per continuazione, alla pena complessivamente inflitta, e non già alla sola pena base, con esclusione dell'aumento applicato per la continuazione.
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In caso di condanna non ancora definitiva per reato considerato come unito per continuazione ad altro per il quale vi sia già stata condanna irrevocabile, non può considerarsi come «custodia cautelare», ai fini del non superamento dei termini di durata massima previsti dall'art. 303, comma 4, c.p.p., la privazione della libertà sofferta in espiazione della pena a suo tempo inflitta con la condanna irrevocabile.
Cass. pen. n. 4608/1996
Ove con il decreto che dispone il giudizio, o in virtù della decisione di primo grado, venga a determinarsi, per un mutamento della gravità delle imputazioni, lo spostamento del detenuto da uno stato per il quale è previsto un termine di custodia di una determinata durata ad uno stato per il quale la durata di tale termine è minore, la conseguita più favorevole posizione incide solo all'interno della fase in corso, nella quale l'interessato si giova di una più breve custodia cautelare, ma non dispiega effetti sulla durata del termine della fase anteriore, la quale, per l'anzidetta autonomia, deve intendersi definitivamente conclusa e non è più suscettibile di modifiche retroattive.
Cass. pen. n. 4517/1995
La disposizione di cui all'art. 303, comma 2, c.p.p. è operante in ogni caso di
translatio judicii da un giudice all'altro, sicché il termine massimo della custodia cautelare comincia nuovamente a decorrere ogni volta che il processo sia trasferito da un ufficio all'altro o si verifica la regressione a una fase o a un grado diversi. (Fattispecie in tema di annullamento con rinvio al giudice di primo grado da parte del giudice di appello a norma dell'art. 604 c.p.p.).
Cass. pen. n. 4361/1995
L'art. 303, comma 2, c.p.p. pone sullo stesso piano, ai fini della custodia cautelare, le ipotesi di regressione del procedimento a una fase o a un grado di giudizio diversi, e quelle di rinvio ad altro giudice, sia a seguito di annullamento con rinvio della Cassazione, sia per qualunque altra causa. Per questa ragione, la trasmissione degli atti al P.M. presso il giudice competente, invece che direttamente a quest'ultimo, prevista dall'art. 23, comma 1, c.p.p. dopo la sentenza n. 76 del 1993 della Corte costituzionale, implica la regressione del procedimento per una causa diversa dell'annullamento disposto dal giudice di diritto, ma con eguali effetti sul piano della custodia cautelare, e cioè la nuova decorrenza dei termini previsti per la fase, fermo quello massimo.
Cass. pen. n. 2284/1995
L'avvenuta scadenza del termine massimo di custodia cautelare non è deducibile davanti al giudice del riesame, la cui cognizione è limitata alla valutazione della sussistenza delle condizioni di legittimità e di merito per l'emissione del provvedimento cautelare; la valutazione delle condizioni di successiva inefficacia, tra le quali è compresa la scadenza suddetta, rientra viceversa nella competenza funzionale del giudice per le indagini preliminari, davanti al quale le relative questioni devono essere dedotte ed il cui provvedimento è soggetto all'appello di cui all'art. 310 c.p.p.
Cass. pen. n. 530/1995
Soltanto la mancata emissione, e non la invalidità degli atti mediante i quali si realizza il passaggio da una fase processuale all'altra, può dar luogo alla perdita di efficacia della custodia cautelare per superamento dei termini previsti per la prima di dette fasi.
Cass. pen. n. 465/1995
In materia di custodia cautelare, l'espressione «o per altra causa» (diversa dall'annullamento con rinvio da parte della Corte di cassazione) contenuta nel comma 2 dell'art. 303 c.p.p. va intesa comprensiva di ogni possibile ipotesi di caducazione, dovuta a nullità, di atto processuale. Ne consegue che, verificandosi la regressione del procedimento alla fase delle indagini preliminari in conseguenza della declaratoria di nullità del decreto che dispone il giudizio, i termini di durata della custodia cautelare relativi alla detta fase decorrono
ex novo dalla data della declaratoria su menzionata, secondo la regola fissata dall'art. 303, comma 2, c.p.p., ferma restando la operatività, in ogni caso, dei termini massimi previsti dal comma 4 del medesimo articolo.
Cass. pen. n. 4306/1994
Nel caso di rinvio degli atti da parte del giudice di primo grado, dichiaratosi incompetente, ad altra autorità, i termini massimi della misura cautelare applicata iniziano a decorrere dalla data della sentenza di incompetenza e non già da quella del provvedimento di rinvio a giudizio; l'art. 303, comma 2, c.p.p. così dispone infatti per l'ipotesi in cui il processo venga rinviato a diverso giudice per «altra causa» rispetto all'annullamento con rinvio disposto dalla Cassazione ed è evidente che l'omissione della sentenza di cui sopra concretizzi una di siffatte cause.
Cass. pen. n. 3525/1994
In ipotesi di regressione del procedimento a una fase o a un grado di giudizio diversi, decorre ex novo il termine massimo della custodia cautelare previsto per la fase o il grado di giudizio a cui il procedimento è ritornato e non soltanto un termine corrispondente al periodo occorrente al completamento del tempo già trascorso per quella fase o grado. (In motivazione, la Suprema Corte ha precisato che nell'ampia locuzione «per altra causa» è compresa anche l'ipotesi che il procedimento regredisca dalla fase del giudizio dinanzi al tribunale a quella degli atti preliminari dinanzi al Gip, non escluse le indagini di competenza del pubblico ministero).
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Una volta annullato il decreto di rinvio a giudizio, con conseguente regressione del procedimento alla fase precedente e nuova decorrenza del termine di custodia cautelare, l'ordinanza di proroga di quest'ultima adottata prima dell'emanazione del decreto stesso risulta automaticamente caducata e travolta, né se ne può ipotizzare una eventuale ultrattività al di fuori del contesto temporale, nel quale era stata emessa e delle gravi esigenze cautelari, all'epoca sussistenti.
Cass. pen. n. 352/1994
Verificatosi, a seguito di declaratoria di nullità dell'udienza preliminare, il regresso del procedimento alla fase delle indagini preliminari, i termini di durata della custodia cautelare relativi a detta ultima fase iniziano nuovamente a decorrere, dalla data di pronuncia della summenzionata declaratoria, ai sensi dell'art. 303, secondo comma, c.p.p.; ragion per cui, ove, in precedenza, il rinvio a giudizio sia stato disposto entro il termine di fase, e non sia stato superato il termine proprio della fase successiva, non deve essere disposta la cessazione della misura ancora in atto.
Cass. pen. n. 1536/1993
I termini di durata massima stabiliti dall'art. 303 c.p.p. si riferiscono alla custodia cautelare in generale, ossia ad una categoria più vasta della custodia cautelare in carcere che si pone rispetto alla prima in un rapporto di genere a specie. Conseguentemente anche agli arresti domiciliari si applicano i termini previsti da detta norma e non quelli di cui al successivo art. 308 c.p.p., atteso che il quinto comma dell'art. 284 c.p.p. equipara gli arresti domiciliari alla custodia cautelare.
Cass. pen. n. 2158/1993
In tema di termini di durata massima della custodia cautelare, l'espressione «senza che sia stata pronunciata condanna in grado di appello», contenuta nell'art. 303, primo comma, lettera c) c.p.p., non va intesa in senso letterale ma, in armonia con la ratio e l'impianto sistematico del codice, nel senso che, ai fini della operatività dei termini correlati alla detta pronuncia, è sufficiente che la sentenza di condanna di primo grado oggetto di gravame sia stata convalidata in grado di appello. (Nella specie, in applicazione di tale principio, la corte ha ritenuto che fosse equiparabile alla sentenza di condanna in grado di appello, ai fini che qui interessano, la declaratoria di inammissibilità dell'impugnazione pronunciata dalla Corte d'appello).
Cass. pen. n. 967/1993
Agli effetti della individuazione della durata della custodia cautelare relativa a singole fasi e gradi, ove il giudice di merito accerti la minor gravità del reato contestato, il termine massimo di custodia cautelare di minor durata, conseguente al mutamento dell'imputazione, non influisce sulla durata della carcerazione relativa alle precedenti fasi; le modifiche apportate con la sentenza di primo e di secondo grado relativamente al titolo, al grado e alle circostanze del reato, non possono, infatti, rendere illegittima con effetto retroattivo la custodia cautelare che anteriormente alla pronuncia modificativa tale non era per effetto della imputazione originaria.
Cass. pen. n. 4597/1993
In materia di termini di durata della custodia cautelare, l'ampia formula della disposizione di cui all'art. 303, comma secondo, c.p.p., comprende nella previsione normativa anche l'ipotesi che il procedimento regredisca dalla fase del giudizio dinanzi al tribunale a quella degli atti preliminari dinanzi al Gip, da cui non sono escluse le indagini di competenza del pubblico ministero, posto che il termine di durata massima della custodia cautelare è fatto decorrere dall'inizio della custodia della misura.
Cass. pen. n. 550/1993
La protrazione della durata massima della custodia cautelare per effetto di una norma successivamente intervenuta deve interessare esclusivamente gli stati di detenzione ancora legittimamente in atto al momento dell'entrata in vigore della disposizione modificatrice di quella precedente, mentre deve escludersi che l'innovazione possa condurre al mantenimento o al ripristino dello stato di carcerazione preventiva nei confronti di chi abbia già maturato il diritto alla scarcerazione.
Cass. pen. n. 4290/1993
La derubricazione del reato intervenuta con la sentenza di condanna di primo grado non può retroagire operando sui termini massimi di custodia cautelare relativi alla fase delle indagini preliminari, ma opera sui termini relativi alle fasi successive alla sentenza di primo grado e alla durata complessiva.
Cass. pen. n. 1693/1992
Il mutamento della qualificazione giuridica del fatto non influisce sui termini di custodia cautelare relativi a fasi di giudizio già esaurite. Ed invero, nel caso in cui il giudice di primo grado abbia ritenuto la sussistenza di una minore gravità del reato contestato, il termine massimo di custodia cautelare, di minore durata, conseguente alla mutata qualificazione giuridica del reato, non esplica effetto sulle fasi precedenti, per le quali non viene in considerazione il reato ritenuto, bensì l'originario titolo che ha legittimato la detenzione fino alla pronuncia di condanna
Cass. pen. n. 1432/1992
I termini di durata massima della custodia cautelare indicati dall'art. 303, lett. b), c.p.p. non sono retroattivi, vale a dire che non si applicano al periodo già intercorso tra l'emissione del provvedimento che dispone il giudizio e la sentenza di primo grado, quando in base a tale sentenza sia stato ritenuto un reato per il quale sia prevista una pena detentiva massima meno grave di quella prevista per il reato inizialmente ipotizzato.
Cass. pen. n. 1585/1992
In tema di libertà personale, anche nei procedimenti che seguono il precedente rito sono applicabili i termini di durata della custodia cautelare di cui all'art. 2 D.L. 9 settembre 1991 n. 292 conv. nella L. 8 novembre 1991 n. 356 (che ha sostituito l'art. 303 c.p.p.) in conformità al disposto dell'art. 10 della suddetta normativa in virtù del quale «le disposizioni dell'art. 2, relative ai termini di durata della custodia cautelare si applicano anche ai procedimenti in corso alla data di entrata in vigore del presente decreto». (Fattispecie in cui il ricorrente lamentava la violazione dell'art. 251, comma primo, parte seconda, att. c.p.p., assumendo che i giudici di merito avevano errato nel ritenere tale disposizione tacitamente abrogata ad opera del succitato art. 10 legge n. 356 del 1991; la Cassazione ha rigettato il ricorso enunciando il principio di cui in massima).
Cass. pen. n. 1893/1992
L'imputato nei confronti del quale si sia proceduto per delitti di diversa gravità, in relazione ai quali siano previsti dalla legge termini differenziati di durata massima della custodia cautelare, ha diritto di ottenere, «ora per allora», un provvedimento di scarcerazione ove, essendo stato prosciolto dagli addebiti più gravi, risulti che, con riguardo agli altri, per i quali sia invece intervenuta condanna, i termini in questione, rapportati alla precedente fase processuale, erano già trascorsi.
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Nell'ipotesi di più reati uniti dal vincolo della continuazione è erroneo calcolare un termine unico di durata massima della custodia cautelare, facendo riferimento al triplo della pena edittale prevista per il reato ritenuto più grave, dovendosi, al contrario, aver riguardo, distintamente, alla pena prevista per ogni singolo reato.