Cass. pen. n. 8493/2011
In tema di misure cautelari personali, quando ricorrono esigenze cautelari di eccezionale rilevanza e l'imputato è affetto da patologie sanitarie particolarmente gravi, non trattabili adeguatamente in regime carcerario ordinario, il giudice, anche d'ufficio, deve disporre il trasferimento del detenuto, e non il suo ricovero temporaneo, in regime di arresti domiciliari presso idoneo luogo di cura, di assistenza o di accoglienza. (Fattispecie relativa a sindrome di immunodeficienza da HIV in persona sottoposta a custodia cautelare in carcere). (Annulla con rinvio, Trib. lib. Roma, 03 gennaio 2011).
Cass. pen. n. 16008/2009
In tema di misure cautelari personali, il riconoscimento - in sede peritale - della necessità di periodici controlli, clinici e strumentali preordinati alla valutazione nel tempo delle condizioni patologiche riscontrate ed alla pianificazione della terapia farmacologica più congrua, anche a mezzo di brevi ricoveri presso ambiente specialistico esterno al circuito carcerario non determinano di per sé uno stato di incompatibilità rilevante, ex art. 275, comma quarto, cod. proc. pen., ai fini dell'operatività del divieto di custodia in carcere - che richiede lo stato morboso in atto - potendo essere salvaguardate ex art. 11 L. n. 354 del 1975 (cosiddetto ord. penit.), in virtù del provvedimento del magistrato di sorveglianza atto a disporre il trasferimento del detenuto in idonei centri clinici dell'amministrazione penitenziaria o in altri luoghi di cura esterni, con il conseguente diritto ad ottenere, in tal caso, detti trasferimenti. (Rigetta, Trib. lib. Palermo, 12 Dicembre 2008).
Cass. pen. n. 12716/2008
La valutazione della gravità delle condizioni di salute del detenuto e della conseguente loro incompatibilità col regime carcerario deve essere effettuata anche in concreto, con riferimento alla possibilità di effettiva somministrazione nel circuito penitenziario delle terapie di cui egli necessita. (Fattispecie relativa a demenza senile in persona sottoposta a custodia cautelare in carcere, in relazione alla quale la Corte ha affermato che tale patologia, contrariamente alla sua ritenuta compatibilità con le strutture carcerarie enunciata dal giudice di merito, necessitava di una particolare valutazione, sia per verificare il grado di consapevolezza della restrizione fisica da parte del detenuto, sia per la verifica della sussistenza delle esigenze cautelari). (Annulla con rinvio, Trib. lib. Palermo, 21 agosto 2007).
Cass. pen. n. 47335/2007
Nel caso di imputato affetto da patologia psichiatrica che impedisca la sua cosciente partecipazione al dibattimento, può disporsi, ai sensi dell'art. 73, comma terzo, c.p.p., ove egli debba essere mantenuto in custodia cautelare, soltanto il ricovero provvisorio in idonea struttura del servizio psichiatrico ospedaliero, quale previsto dal richiamato art. 286 c.p.p., ovvero, ai sensi dell'art. 111, comma quinto, del D.P.R. n. 230/2000 (regolamento attuativo dell'ordinamento penitenziario), l'assegnazione ad un istituto o sezione speciale per infermi di mente, ma non anche l'assegnazione ad un ospedale psichiatrico giudiziario, essendo questa subordinata, come applicazione provvisoria di una tipica misura di sicurezza, alla prevedibile applicazione in via definitiva della misura stessa.
Cass. pen. n. 5535/1999
È legittima l'applicazione provvisoria della misura di sicurezza del ricovero in ospedale psichiatrico giudiziario di persona assolta in primo grado per vizio totale di mente, in quanto il richiamo, operato dall'art. 312 c.p.p. all'art. 273, comma secondo, stesso codice, e quindi, in negativo, all'insussistenza di una causa di non punibilità, deve ritenersi riferibile solo alle cause di non punibilità diverse da quelle che, a norma dell'art. 206 c.p., consentono l'applicazione provvisoria di una misura di sicurezza.
Cass. pen. n. 393/1995
In tema di provvedimenti cautelari personali le esigenze di difesa sociale non possono impedire l'adozione della misura della custodia in luogo di cura, in sostituzione di quella in carcere, qualora le condizioni di salute particolarmente gravi dell'indagato non consentano le cure necessarie in stato di detenzione. (Principio affermato con riferimento ad indagato affetto da infermità mentale).
Cass. pen. n. 4374/1993
In presenza di un'infermità di mente che escluda o riduca grandemente la capacità di intendere e di volere dell'imputato sottoposto o da sottoporre a custodia cautelare, il giudice non è necessariamente tenuto a disporre la custodia in luogo di cura esterno, ai sensi dell'art. 286 c.p.p., ma può invece anche disporre, ai sensi dell'art. 98, quinto comma, D.P.R. 29 aprile 1976, n. 431 (regolamento di esecuzione della L. 26 luglio 1975, n. 354, recante norme sull'ordinamento penitenziario e sulle misure privatistiche e limitative della libertà), l'assegnazione dell'imputato ad un istituto o sezione speciale per infermi o minorati psichici.
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La custodia cautelare in luogo di cura, prevista dall'art. 286 c.p.p., non è misura cautelare diversa dalla custodia in carcere, di cui al precedente art. 285, dovendosi invece ritenere che trattasi, nell'uno e nell'altro caso, di unica misura attuata con diverse modalità; ragion per cui, quando il giudice ritenga che siano venute meno le ragioni giustificatrici della custodia in luogo di cura, può disporre la custodia in carcere senza necessità di apposita richiesta del pubblico ministero, formulata ai sensi dell'art. 291, primo comma, c.p.p.
Cass. pen. n. 1824/1992
Il diniego di applicazione della custodia cautelare in luogo di cura in sostituzione della custodia in carcere motivato con l'assenza di pericolosità dell'indagato è in contrasto con il dettato dell'art. 286 c.p.p., che non indica fra le condizioni per la tramutazione della misura un simile requisito, richiedendo soltanto, perché il giudice, nell'esercizio del suo potere discrezionale, disponga il ricovero provvisorio dell'indagato in un'idonea struttura del servizio psichiatrico, che la persona da sottoporre a misura cautelare si trovi in stato di infermità di mente da escludere o da menomare grandemente la sua capacità di intendere e di volere. (Nell'affermare il suddetto principio la S.C. ha precisato che la norma dell'art. 286 c.p.p., con riferimento al tempus commissi delicti, è da riferire tanto alla persona che si sospetti infermo di mente tunc et nunc, quanto, per l'espresso rinvio derivante dall'art. 73, comma terzo, dello stesso codice, all'infermo di mente soltanto
nunc).