Cass. pen. n. 42540/2018
In tema di procedimento di esecuzione l'omessa acquisizione del parere del pubblico ministero nel caso di dichiarazione di inammissibilità "de plano" della richiesta, ai sensi dell'art. 666, comma 2, cod. proc. pen., dà luogo a una nullità deducibile a iniziativa non soltanto del pubblico ministero, ma anche della parte privata. (In motivazione la Corte ha chiarito che l'acquisizione del parere, oltre a garantire il contraddittorio cartolare con l'organo titolare della potestà esecutiva, consente il confronto e il reciproco controllo ed è l'unico meccanismo attraverso il quale la parte privata può conoscere la posizione della controparte sul tema dedotto "in executivis" attraverso l'incidente proposto).
Cass. pen. n. 40151/2018
In tema di esecuzione, è rilevabile anche di ufficio dalla Corte di cassazione la preclusione processuale che, ai sensi dell'art. 606, comma secondo, cod. pen., determina la inammissibilità dell'istanza meramente reiterativa di una domanda già esaminata e che si limiti a riproporre identiche questioni in assenza di nuovi elementi, conseguendone anche la inammissibilità del ricorso per cassazione proposto avverso la decisione esecutiva che l'abbia rigettata nel merito invece di dichiararla inammissibile. (Nella specie, la Suprema Corte ha dichiarato la inammissibilità del ricorso proposto avverso l'ordinanza del giudice dell'esecuzione che, omettendo erroneamente di rilevare la preclusione processuale, aveva rigettato nel merito una richiesta di applicazione dell'indulto meramente reiterativa di precedente istanza già respinta con ordinanza avverso la quale il condannato aveva proposto analogo ricorso in cassazione).
Cass. pen. n. 39608/2018
In tema di confisca di prevenzione, i creditori muniti di ipoteca iscritta sui beni confiscati all'esito dei procedimenti per il quali non si applica la disciplina del d.lgs. 6 settembre 2011, n. 159, devono presentare la domanda di ammissione del loro credito al giudice dell'esecuzione presso il tribunale che ha disposto la confisca nel termine di decadenza previsto dall'art. 1, comma 199, della legge 24 dicembre 2012, n. 228, anche nel caso in cui non abbiano ricevuto le comunicazioni di cui all'art. 1, comma 206, della stessa legge, in quanto il termine di decadenza decorre indipendentemente dalle predette comunicazioni. L'applicazione di detto termine è, comunque, subordinata all'effettiva conoscenza, da parte del creditore, del procedimento di prevenzione in cui è stata disposta la confisca o del provvedimento definitivo di confisca ed è, in ogni caso, fatta salva la possibilità per il creditore di essere restituito nel termine stabilito a pena di decadenza, se prova di non averlo potuto osservare per causa a lui non imputabile. (In motivazione, la Corte ha precisato che la medesima disciplina si applica alle altre categorie di creditori richiamate dall'art. 1, comma 198, della legge n. 228 del 2012, quale risultante a seguito della sentenza additiva della Corte costituzionale n. 94 del 2015).
Cass. pen. n. 31025/2018
In tema di beni confiscati ai sensi dell'art. 12-sexies d.l. 8 giugno1992, n. 306, convertito in legge 7 agosto 1992, n. 356, all'esito diprocedimenti iscritti nel registro di cui all'art. 335 cod. proc. pen.prima del 13 ottobre 2011, l'incidente di esecuzione finalizzato alla tutela dei diritti dei terzi deve - per effetto della norma di interpretazione autentica dell'art. 1, commi 194 ss., legge 24 dicembre 2012, n. 228, contenuta nell'art. 37 legge 17 ottobre 2017, n. 161 - seguire le forme del rito camerale partecipato ex art. 666, comma 3, cod. proc. pen., con la conseguenza che avverso il provvedimento emesso dal giudice dell'esecuzione è proponibile unicamente il ricorso per cassazione e non l'opposizione di cui all'art. 674, comma 4, cod.proc. pen..
Cass. pen. n. 15534/2018
In tema di confisca per equivalente, la natura sanzionatoria del provvedimento non osta alla tutela del diritto sul bene oggetto di confisca vantato da un terzo estraneo alla condotta illecita altrui, che versa in condizione di buona fede (Fattispecie in cui un istituto bancario vantava un diritto di garanzia reale sul bene confiscato iscritto prima del sequestro).
Cass. pen. n. 51053/2017
Il procedimento di esecuzione non ha natura di giudizio di impugnazione e perciò non soggiace al principio devolutivo, volto a delimitare il concreto contenuto dell'esecuzione; conseguentemente sussiste il dovere del giudice di decidere anche in ordine alle domande nuove formulate dalla parte privata solo con memoria in corso di procedimento, fatta salva la necessità che, a salvaguardia del principio del contraddittorio, sia garantito alla parte pubblica un termine per controdedurre.
Cass. pen. n. 25504/2017
Nel periodo intercorrente fra il passaggio in giudicato della sentenza (nella specie, di patteggiamento) e l'inizio della fase di esecuzione della pena, spetta al giudice dell'esecuzione la competenza a decidere sulle questioni relative alle misure cautelari personali ancora in corso, detentive e non detentive, con ordinanza de plano, emessa ai sensi dell'art. 667, comma quarto, cod. proc. pen., suscettibile di opposizione davanti allo stesso giudice.
Cass. pen. n. 20156/2017
È affetta da abnormità e pertanto è ricorribile per cassazione l'ordinanza del giudice dell'esecuzione, che, in dispositivo, rigetta l'istanza di applicazione della disciplina della continuazione, mentre in motivazione ritiene insussistente la competenza a provvedere, senza peraltro l'indicazione del giudice ritenuto competente.
Cass. pen. n. 19358/2017
In tema di incidente di esecuzione, l'art. 666 comma secondo cod. proc. pen., nella parte in cui consente al giudice la pronuncia di inammissibilità qualora l'istanza costituisca una mera riproposizione di una richiesta già rigettata, configura una preclusione allo stato degli atti che, come tale, non opera quando vengano dedotti fatti o questioni che non hanno formato oggetto della precedente decisione. (Fattispecie nella quale la Suprema Corte ha annullato il provvedimento con il quale il giudice dell'esecuzione, giudicando irrilevante un documento prodotto dalla difesa che non aveva formato oggetto di valutazione ai fini della precedente decisione, aveva dichiarato inammissibile la richiesta di applicazione della disciplina del reato continuato).
Cass. pen. n. 9780/2017
Anche in tema di incidente di esecuzione, il ricorso per cassazione non può devolvere questioni diverse da quelle proposte con la richiesta e sulle quali il giudice di merito non è stato chiamato a decidere; peraltro, dalla dichiarata inammissibilità in sede di legittimità non deriva, in concreto, lesione alcuna per la parte, che ben potrà far valere la diversa questione con altra richiesta, dal momento che il divieto del "ne bis in idem" non opera per le nuove istanze, fondate su presupposti di fatto e motivi di diritto prima non prospettati.
Cass. pen. n. 6051/2017
In materia di esecuzione, la preclusione stabilita dall'art. 666, comma secondo, cod. proc. pen. ad una nuova pronuncia sul medesimo "petitum", legittimante la dichiarazione "de plano" di inammissibilità di istanze meramente reiterative di altre già rigettate, non è assoluta, ma opera soltanto allo stato degli atti, con la conseguenza che la prospettazione di nuovi elementi di fatto (sopravvenuti o preesistenti, purché diversi da quelli precedentemente presi in considerazione) comporta che il relativo provvedimento possa essere assunto solo ad esito di procedimento camerale in contraddittorio. (In applicazione del principio, la S.C. ha annullato con rinvio l'ordinanza di un giudice dell'esecuzione che aveva dichiarato "de plano" inammissibile una nuova istanza di sospensione dell'ordine di demolizione di un manufatto nonostante che, dopo il rigetto della prima, il giudice amministrativo avesse sospeso in sede cautelare il provvedimento di diniego della concessione in sanatoria).
Cass. pen. n. 20237/2016
In tema di impugnazione delle misure di prevenzione, anche a seguito dell'entrata in vigore del D.Lgs. n. 159 del 2011 (cosiddetto "codice antimafia") avverso i provvedimenti di sequestro e di reiezione dell'istanza di revoca del sequestro - disposti nei confronti di soggetti indiziati di appartenenza ad associazione mafiosa - è ammessa solo l'opposizione, innanzi allo stesso giudice, nelle forme dell'incidente di esecuzione e non anche il ricorso per cassazione.
Cass. pen. n. 47766/2015
L'illegalità della pena, derivante da palese errore giuridico o materiale da parte del giudice della cognizione, privo di argomentata valutazione, ove non sia rilevabile d'ufficio in sede di legittimità per tardività del ricorso, è deducibile davanti al giudice dell'esecuzione, adito ai sensi dell'art. 666 cod. proc. pen.
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L'illegalità della pena, derivante dall'omessa erronea applicazione da parte del tribunale delle sanzioni previste per i reati attribuiti alla cognizione del giudice di pace, non è deducibile innanzi al giudice dell'esecuzione, giacché la richiesta rimodulazione della pena comporta una valutazione complessiva di tutti i parametri di commisurazione del trattamento sanzionatorio, del tutto eccentrica rispetto all'ambito di intervento del giudice dell'esecuzione. (Nella fattispecie il Tribunale, incompetente funzionalmente, aveva applicato per il delitto di lesioni la pena della reclusione in luogo della sanzione prevista dall'art. 52 D.Lgs. 28 agosto 2000, n. 274 per i reati attribuiti al giudice di pace).
Cass. pen. n. 13342/2015
In tema di richiesta di riabilitazione, avverso il provvedimento reso dal tribunale di sorveglianza è prevista solo la facoltà di proporre opposizione innanzi al medesimo tribunale, anche quando trattasi di declaratoria di inammissibilità dell'istanza, con la conseguenza che quando è invece proposto ricorso per cassazione, lo stesso, in forza del principio di conservazione delle impugnazioni, deve essere qualificato come opposizione e gli atti vanno trasmessi al giudice competente. (In motivazione, la Corte ha evidenziato che la declaratoria di inammissibilità dell'istanza di riabilitazione, non è emessa a norma dell'art. 666, comma secondo, c.p.p., ma risulta disposta nell'ambito del procedimento speciale previsto dall'art. 667, comma quarto, c.p.p., espressamente richiamato dall'art. 678, comma 1 bis, dello stesso codice).
Cass. pen. n. 8585/2015
Il giudice dell'esecuzione può porre a base della decisione soltanto le prove che siano state formalmente ammesse prima delle conclusioni delle parti; ne consegue che è affetta da nullità ex art. 178, comma primo, lett. b) e c), cod. proc. pen., per violazione del contraddittorio, la decisione assunta sulla base di documenti acquisiti fuori udienza, mediante ordinanza, successivamente alla riserva della decisione.
Cass. pen. n. 7877/2015
La preclusione del cosiddetto giudicato esecutivo è inoperante solo quando sono dedotti elementi nuovi, di fatto o di diritto, cronologicamente sopravvenuti alla decisione, ovvero sono prospettati elementi pregressi o coevi che, tuttavia, non abbiano formato oggetto di considerazione, neppure implicita, da parte del giudice. (Fattispecie in cui la Corte ha affermato che l'omessa analisi circa l'esatta individuazione della pena irrogata per la violazione più grave nel reato continuato, al fine di valutare se sussistessero i presupposti per la revoca dell'indulto, è questione oggetto di necessaria considerazione implicita da parte del giudice, come tale deducibile solo mediante impugnazione).
Cass. pen. n. 6290/2015
In tema di applicazione dell'amnistia e dell'indulto, avverso il provvedimento emesso dal giudice dell'esecuzione - sia che questi abbia deciso "de plano", ai sensi dell'art. 667 cod.proc.pen., sia che abbia provveduto irritualmente ex art. 666 cod.proc.pen.- è data soltanto facoltà di proporre opposizione. (Fattispecie in cui la Corte ha qualificato come opposizione il ricorso presentato avverso il provvedimento di rigetto dell'istanza di condono, emesso dal giudice dell'esecuzione a seguito di procedimento svoltosi in camera di consiglio e non con procedura "de plano").
Cass. pen. n. 4461/2015
In caso di "abolitio criminis" del reato per il quale è intervenuta condanna, il giudice dell'esecuzione non può modificare l'originaria qualificazione o accertare il fatto in modo difforme da quello ritenuto in sentenza, né sussumere la condotta del condannato sotto una diversa fattispecie, se la riconducibilità della condotta a detta fattispecie non ha mai formato oggetto di accertamento e di formale contestazione nel giudizio di cognizione.
Cass. pen. n. 53017/2014
In tema di procedimento di sorveglianza, il decreto di inammissibilità per manifesta infondatezza può essere emesso "de plano", ai sensi dell'art. 666, secondo comma, c.p.p., soltanto con riguardo ad una richiesta identica, per oggetto e per elementi giustificativi, ad altra già rigettata ovvero priva delle condizioni previste direttamente dalla legge e non con riferimento al reclamo al tribunale avverso le decisioni del magistrato di sorveglianza, che è riconducile al genus dell'impugnazione, sicché la dichiarazione di inammissibilità, ricorrendo una delle tassative ragioni indicate nell'art. 591 c.p.p., è di competenza del giudice dell'impugnazione e, quindi, dell'organo collegiale e non del presidente del Tribunale di sorveglianza.
Cass. pen. n. 32401/2014
È inammissibile la richiesta di applicazione dell'indulto proposta dal condannato dopo che analoga richiesta, formulata dal pubblico ministero, sia stata rigettata dal giudice dell'esecuzione, a nulla rilevando che la stessa provenga da soggetto diverso, laddove si tratti della riproposizione di identiche questioni in assenza di nuovi elementi.
Cass. pen. n. 25345/2014
L'art. 666, comma secondo, cod. proc. pen. nel prevedere l'inammissibilità delle istanze meramente reiterative di altre già rigettate quando non venga prospettato, a sostegno di esse, alcun elemento nuovo, non richiede che il precedente provvedimento di rigetto abbia acquisito carattere di definitività, poiché la disposizione anzidetta è volta non solo ad impedire, ma anche a prevenire l'eventualità di contrastanti decisioni sul medesimo punto in presenza di una immutata situazione di fatto.
Cass. pen. n. 27702/2014
Il mutamento di giurisprudenza intervenuto con decisione delle Sezioni Unite o anche di una delle Sezioni della Corte di cassazione, purché connotato da caratteristiche di stabilità e univocità, integra un "nuovo elemento" di diritto, che rende ammissibile la riproposizione in sede esecutiva della richiesta di revoca della confisca in precedenza rigettata. (Fattispecie in cui la Corte ha ritenuto ammissibile la riproposizione dell'istanza di revoca della confisca degli immobili abusivamente lottizzati, presentata dai terzi acquirenti in buona fede, i quali avevano invocato l'applicazione del sopravvenuto mutamento giurisprudenziale che aveva recepito i principi della Corte EDU riguardanti i limiti di applicazione della misura ablatoria nei confronti dei soggetti estranei al reato).
Cass. pen. n. 14677/2014
Non configura un caso di inesistenza giuridica o abnormità del provvedimento l'applicazione di pena illegale, per errore nella determinazione o nel calcolo di essa, e, ove la sua determinazione sia frutto non di argomentata valutazione, ma di palese errore giuridico o materiale, se ne impone la rettifica o la correzione da parte del giudice dell'esecuzione, nel rispetto dei principi contenuti nell'art. 25, comma secondo, Cost. e nell'art. 7 CEDU, i quali escludono la possibilità d'infliggere una pena superiore a quella applicabile al momento in cui il reato è stato commesso. (Fattispecie in cui la Suprema Corte ha dichiarato inammissibile il ricorso del condannato avverso l'ordinanza con la quale il giudice dell'esecuzione, in relazione a decreto penale che aveva applicato la pena detentiva congiuntamente a quella pecuniaria, benché l'ipotesi di reato contestata prevedesse l'applicazione delle due sanzioni solo alternativamente, si era limitato a rilevare l'ineseguibilità della prima e più afflittiva sanzione, escludendo l'inesistenza o l'abnormità dell'intero provvedimento).
Cass. pen. n. 30319/2013
Gli elementi di prova acquisiti nel corso del giudizio di cognizione, all'esito del quale è stata disposta la confisca, possono essere utilizzati anche nel procedimento di esecuzione intentato dai terzi proprietari dei beni oggetto della misura ablativa, i quali, ove rimasti estranei a suddetto giudizio, sono abilitati a fornire prove valide e conducenti in proprio favore. (Fattispecie relativa all'opposizione verso il provvedimento di rigetto della richiesta di restituzione di beni confiscati ai sensi dell'art.12 sexies, D.L. n. 306 del 1992 conv. in l. n. 356 del 1992).
Cass. pen. n. 29203/2013
Il provvedimento di revoca dell'indulto, adottato d'ufficio dal giudice dell'esecuzione, è affetto da nullità assoluta, ai sensi dell'art. 178, comma primo, lett. b) c.p.p., perché il procedimento di esecuzione, salvo che per l'applicazione dell'amnistia o dell'indulto, richiede l'impulso di parte.
Cass. pen. n. 19998/2013
Non viola il principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato il giudice della esecuzione che, a fronte di una richiesta del P.M. di sequestro preventivo di beni finalizzato alla confisca di cui all'art.12 sexies, D.L. 8 giugno 1992, n. 306, conv. in l. 8 agosto 1992, n. 356, deliberi direttamente il provvedimento di confisca.
Cass. pen. n. 13790/2013
Nel procedimento di esecuzione, il termine di cinque giorni, indicato nell'art. 666, comma secondo, c.p.p. per la notificazione all'interessato del decreto di inammissibilità della richiesta, è meramente ordinatorio e la sua mancata osservanza non dà luogo ad alcuna nullità, ma determina solo lo slittamento del termine per l'eventuale proposizione del ricorso per cassazione.
Cass. pen. n. 11421/2013
Il provvedimento che il giudice dell'esecuzione assume "de plano", senza fissazione dell'udienza in camera di consiglio, fuori dei casi espressamente stabiliti dalla legge é affetto da nullità d'ordine generale e di carattere assoluto, rilevabile d'ufficio in ogni stato e grado del procedimento. (Fattispecie relativa ad omessa fissazione di udienza camerale a seguito della richiesta di eliminazione dell'iscrizione nel casellario giudiziale di sentenza di patteggiamento, in violazione dell'art. 40 del d.P.R. n. 313 del 2002).
Cass. pen. n. 7945/2013
È inammissibile la domanda di affidamento in prova al servizio sociale proposta dal condannato con riguardo a titolo di privazione della libertà sopravvenuto durante l'attuazione del diverso beneficio della detenzione domiciliare cui lo stesso condannato sia stato ammesso con precedente decisione del Tribunale di sorveglianza, dovendo applicarsi l'art. 51 bis Ord. Pen. e non potendo ritenersi giustificata la riproposizione della richiesta, già respinta, della misura più ampia.
Cass. pen. n. 4083/2013
In sede esecutiva, il principio di conversione dell'impugnazione è applicabile anche in caso di opposizione sulla base del principio generale di conservazione degli atti giuridici e del "favor impugnationis" (Nella specie la Corte ha qualificato come opposizione ex art. 667, comma quarto, cod. proc. pen., disponendone la trasmissione alla corte d'appello, il ricorso per cassazione proposto avverso il provvedimento conseguente all'istanza di revoca della confisca emesso non "de plano", bensì a seguito di irrituale fissazione della comparizione delle parti).
Cass. pen. n. 43208/2012
Non rientra nelle attribuzioni del giudice dell'esecuzione l'applicazione di sanzioni amministrative accessorie, giacché non equiparabili alle pene accessorie. (Nella specie si trattava della revoca della patente di guida per il reato di guida in stato di ebbrezza).
Cass. pen. n. 11770/2012
In tema di confisca, avverso il provvedimento del giudice dell'esecuzione - sia che questi abbia deciso "de plano" ai sensi dell'art. 667, quarto comma, c.p.p. sia che abbia provveduto irritualmente nelle forme dell'udienza camerale ex art. 666 c.p.p. - è prevista solo la facoltà di proporre opposizione, sicché come tale deve essere riqualificato l'eventuale ricorso per cassazione proposto avverso il suddetto provvedimento, nel rispetto del principio generale della conservazione degli atti giuridici e del "favor impugnationis", con conseguente trasmissione degli atti al giudice competente.
Cass. pen. n. 5158/2012
In presenza di un provvedimento di unificazione di pene concorrenti, è legittimo nel corso dell'esecuzione, lo scioglimento del cumulo, quando occorre procedere al giudizio sull'ammissibilità della domanda di concessione di un beneficio penitenziario (nel caso di specie, detenzione domiciliare ai sensi dell'art. 47 ter, comma primo bis L. n. 354 del 1975), ostacolata dalla circostanza che nel cumulo è compreso un titolo di reato rientrante nel novero di quelli elencati nell'art. 4 bis L. n. 354 del 1975, sempre che il condannato abbia espiato la parte di pena relativa al delitto ostativo.
Cass. pen. n. 5137/2012
Il provvedimento con cui il giudice dell'esecuzione dichiari condonata la pena può essere revocato in sede esecutiva solo in presenza di fatti nuovi e non sulla scorta di elementi preesistenti. (Nella specie, la Corte ha cassato il provvedimento del giudice dell'esecuzione, di revoca dell'indulto, adottato sulla scorta di una sentenza di condanna già passata in giudicato nel momento in cui il medesimo giudice aveva concesso il beneficio).
Cass. pen. n. 3370/2012
L'incidente di esecuzione non può essere utilizzato per far valere vizi afferenti il procedimento di cognizione e la sentenza che lo ha concluso, ostandovi le regole che disciplinano la cosa giudicata, la quale si forma anche nei confronti di provvedimenti affetti da nullità assoluta. (Nella specie, la Corte ha ritenuto non poter essere dedotti in sede di incidente di esecuzione, errori di calcolo della pena commessi nella fase di cognizione).
Cass. pen. n. 3311/2012
Il provvedimento di confisca della cosa sequestrata, contenuto nella sentenza di condanna (cui è assimilata, in parte "qua", quella di applicazione della pena) o di proscioglimento, fa stato nei confronti dei soggetti che hanno partecipato al procedimento di cognizione, con la conseguenza che solamente i terzi che non abbiano rivestito la qualità di parte nel processo in cui sia stata disposta la confisca sono legittimati a far valere davanti al giudice dell'esecuzione i diritti vantati su un bene confiscato con sentenza irrevocabile. (Nella specie, la Corte ha ritenuto che una società, nei cui confronti era stata disposta in sede di patteggiamento, nell'ambito di un procedimento ex D.L.vo n. 231 del 2001, la confisca di una somma di denaro, non potesse poi contestare, con incidente di esecuzione, l'entità della somma confiscata).
Cass. pen. n. 18288/2010
Il mutamento di giurisprudenza, intervenuto con decisione delle Sezioni Unite, integrando un nuovo elemento di diritto, rende ammissibile la riproposizione, in sede esecutiva, della richiesta di applicazione dell'indulto in precedenza rigettata.
Cass. pen. n. 47537/2008
Nel procedimento instaurato a seguito di opposizione ad ordinanza assunta "de plano" dal giudice dell'esecuzione non è consentita, pena la nullità del provvedimento finale per violazione del principio del contraddittorio, la modificazione dell'oggetto della decisione, in quanto, pur non avendo l'opposizione stessa natura di atto di impugnazione, la devoluzione, per quanto ampia, della cognizione alla fase partecipata non può che riguardare il medesimo "thema decidendum" oggetto del provvedimento "de plano".
Cass. pen. n. 47024/2008
Il ricorso per cassazione proposto contro il decreto del presidente del tribunale di sorveglianza che dichiari "de plano" inammissibile l'istanza del condannato di misura alternativa alla detenzione non ha effetto sospensivo e, di conseguenza, è legittima la riemissione da parte del pubblico ministero, che già l'abbia emesso, dell'ordine di esecuzione con contestuale sospensiva a norma dell'art. 656, comma quinto, c.p.p..
Cass. pen. n. 43024/2008
È inammissibile l'opposizione proposta avverso provvedimento del giudice dell'esecuzione (nella specie in tema d'applicazione dell'indulto) mediante il ricorso al servizio postale, in quanto la sua natura di rimedio non impugnatorio impone l'osservanza della disposizione generale di cui all'art. 121 c.p.p., che prevede il deposito in cancelleria dell'atto.
Cass. pen. n. 41334/2008
In tema di procedimento di esecuzione, la richiesta del condannato di acquisizione di documenti rilevanti ai fini della decisione deve essere comunque sempre rivolta a quel giudice, quand'anche concernente documenti contenuti nel fascicolo delle indagini preliminari.
Cass. pen. n. 45326/2007
In tema di confisca, avverso il provvedimento del giudice dell'esecuzione - sia che questi abbia deciso "de plano" ai sensi dell'art. 667, quarto comma, c.p.p. sia che abbia provveduto irritualmente nelle forme dell'udienza camerale ex art. 666 c.p.p. - è prevista solo la facoltà di proporre opposizione, sicché come tale deve essere riqualificato l'eventuale ricorso per cassazione proposto avverso il suddetto provvedimento, nel rispetto del principio generale della conservazione degli atti giuridici e del "favor impugnationis", con conseguente trasmissione degli atti al giudice competente.
Cass. pen. n. 37343/2007
Qualora il giudice dell'esecuzione, adito per l'applicazione dell'amnistia o dell'indulto, anziché procedere de plano fissi l'udienza di comparizione delle parti e decida all'esito di essa, la relativa ordinanza non è immediatamente ricorribile per cassazione, ma è suscettibile di opposizione dinanzi al medesimo giudice, il cui provvedimento è successivamente impugnabile con ricorso per cassazione. (Nella specie la Corte ha qualificato come opposizione il ricorso e ha disposto la trasmissione degli atti al giudice dell'esecuzione per l'ulteriore corso).
Cass. pen. n. 35500/2007
È affetta da nullità l'ordinanza con cui il giudice dell'esecuzione, anziché decidere nel contraddittorio camerale con l'osservanza delle formalità di cui all'art. 666 commi terzo e quarto c.p.p., si pronunci, al di fuori delle ipotesi di inammissibilità per manifesta infondatezza o mera riproposizione di richiesta già rigettata, contemplate dallo stesso articolo, « de plano» (Fattispecie nella quale il giudice dell'esecuzione aveva dichiarato « de plano» inammissibile, per ritenuta incompetenza funzionale, la richiesta del P.M. di revoca dell'ordine di demolizione di manufatto abusivo).
Cass. pen. n. 30737/2007
Pur avendo sostanziale natura civilistica, al procedimento di recupero delle spese processuali anticipate dallo Stato è applicabile la procedura d'incidente d'esecuzione qualora si faccia questione dell'esistenza e della validità del titolo esecutivo.
Cass. pen. n. 26021/2007
L'ordinanza con la quale il giudice dell'esecuzione ha irritualmente rigettato, non de plano ma all'esito della procedura di cui all'art. 666, comma terzo, c.p.p., un'istanza di dissequestro di cose confiscate, non è ricorribile in Cassazione, ma opponibile innanzi allo stesso giudice dell'esecuzione che, al contrario del giudice di legittimità, ha cognizione piena delle doglianze. Peraltro, l'eventuale ricorso in Cassazione erroneamente proposto dalla parte non è inammissibile, ma va riqualificato come opposizione contro il provvedimento censurato, in virtù del principio generale di conservazione degli atti giuridici, e del conseguente favor impugnationis.
Cass. pen. n. 1396/2006
Nel procedimento di esecuzione, l'acquisizione di atti, anche in copia, del procedimento di cognizione (salvo che trattasi di atti mancanti di cui debbasi ricostruire il contenuto) non costituisce attività istruttoria soggetta alle regole del contraddittorio, dal momento che l'intero fascicolo del procedimento di cognizione deve ritenersi sempre a disposizione del giudice dell'esecuzione che lo può (e, il più dello volte, lo deve) consultare. (Nella specie, in applicazione di tale principio, la Corte ha ritenuto legittima l'acquisizione, al di fuori del contraddittorio, da parte del giudice dell'esecuzione, mediante richiesta alla polizia giudiziaria che lo aveva a suo tempo eseguito, di un decreto di sequestro emesso nel corso del procedimento di cognizione).
Cass. pen. n. 19061/2004
L'art. 666, comma secondo, c.p.p. — nel prevedere la possibilità di dichiarare de plano l'inammissibilità della richiesta, quando la stessa sia manifestamente infondata per difetto delle condizioni di legge — non è applicabile in tema di affidamento in prova al servizio sociale, nel caso in cui il richiedente non abbia allegato un'attività di lavoro, non rientrando tale elemento tra le condizioni richieste dalla legge per la concessione del beneficio in esame e dovendosi valutare la mancanza di un'occupazione stabile unitamente agli altri elementi riguardanti la personalità del richiedente, sicché il decreto di inammissibilità della richiesta da parte del presidente del Tribunale di sorveglianza va, in tal caso, annullato senza rinvio.
Cass. pen. n. 3054/2004
È illegittima la declaratoria di inammissibilità di domanda di ammissione a benefici penitenziari adottata de plano dal presidente del tribunale di sorveglianza sul rilievo dell'incompatibilità della misura alternativa alla detenzione con lo stato di custodia cautelare in carcere del condannato (nella specie, peraltro, sopravvenuto all'istanza), in quanto tale incompatibilità non è configurabile in linea di principio, ma va accertata in concreto, sicché la sua ricorrenza va affidata esclusivamente al giudizio del tribunale di sorveglianza
Cass. pen. n. 27737/2003
In materia di esecuzione, il potere presidenziale di dichiarare, ai sensi dell'art. 666, c.p.p., l'inammissibilità dell'istanza per difetto delle condizioni di legge può essere esercitato solo quando non implichi alcuna valutazione discrezionale. (Fattispecie nella quale veniva deliberato l'annullamento con rinvio di una dichiarazione di inammissibilità, pronunciata dal presidente de plano, di un'istanza di detenzione domiciliare che presupponeva una valutazione sulla valutazione di compatibilità con la detenzione cautelare per altro titolo).
Cass. pen. n. 23344/2003
Pur operando la disciplina della sospensione dei termini processuali nel periodo feriale anche nel processo di esecuzione, nel caso in cui venga disposto un rinvio di udienza ad una data che cade nel periodo feriale senza che il difensore opponga alcuna eccezione, tale comportamento determina una sanatoria ai sensi dell'art. 183, comma 1, lett. b) c.p.p.
Cass. pen. n. 19918/2003
L'unico rimedio esperibile contro il provvedimento di cui all'art. 260, comma 3, c.p.p. - con il quale l'autorità giudiziaria abbia disposto l'alienazione o la distruzione di cose sottoposte a sequestro - è l'incidente di esecuzione, trattandosi di questione concernente la fase esecutiva del sequestro, e pertanto la competenza a decidere è demandata allo stesso giudice che ha emesso il provvedimento con le forme proprie della procedura camerale previste dall'art. 666 c.p.p.
Cass. pen. n. 18070/2003
In tema di procedimento di esecuzione, l'avviso di fissazione dell'udienza camerale, pur in assenza di un'esplicita previsione, deve contenere l'oggetto del procedimento, anche in forma succinta o con riferimento ad atti già a conoscenza delle parti, al fine di assicurare i diritti del contraddittorio. Tale principio non viene meno nell'ipotesi di confisca obbligatoria disposta ex art. 12 sexies della legge n. 356 del 1992, in quanto la decisione del giudice dell'esecuzione, pur essendo sottratta all'istanza di parte, caratterizzandosi come obbligatoria o d'ufficio, è comunque subordinata alla condizione che la parte sia messa in grado di superare la presunzione legale di illecita accumulazione patrimoniale provando la legittima provenienza della cosa sequestrata; ne consegue che tale provvedimento non può essere adottato senza che l'interessato sia specificamente informato sull'oggetto della decisione.
Cass. pen. n. 17029/2003
La declaratoria di inammissibilità di istanza di affidamento in prova al servizio sociale adottata de plano dal Presidente del tribunale di sorveglianza sul rilievo che l'entità della pena residua da espiare è superiore al limite massimo previsto dalla legge per l'ammissione alla misura alternativa è legittima anche se, trattandosi di pena risultante da più sentenze di condanna, ancora non sia intervenuto il provvedimento di unificazione da parte del competente ufficio del pubblico ministero.
Cass. pen. n. 11345/2003
In tema di false comunicazioni sociali, la nuova formulazione del reato, introdotta dall'art. 1 del R.D. 16 marzo 1942, n. 267, comporta che, per i fatti pregressi giudicati con sentenza irrevocabile, spetta al giudice dell'esecuzione, sulla base dello schema procedimentale dell'art. 666, comma quinto, c.p.p., accertare se sussistano nella fattispecie, già giudicata, i requisiti previsti dalla nuova disciplina (quali, ad esempio, il superamento delle soglie di punibilità). In ipotesi di accertamento negativo, si determinano gli effetti dell'abolitio criminis, in quanto il fatto non è più previsto dalla legge come reato, con conseguente possibilità di revoca della sentenza definitiva, ai sensi degli artt. 2, comma secondo, c.p. e 673 c.p.p.
Cass. pen. n. 10771/2003
In tema di contraddittorio nel procedimento di esecuzione (art. 666, comma 4, c.p.p.), qualora il condannato, detenuto in luogo posto fuori dalla circoscrizione del giudice che procede, chieda di essere sentito personalmente, previa traduzione all'udienza camerale, il giudice deve disporre tale traduzione o la audizione davanti al magistrato di sorveglianza del luogo, in quanto, ai fini dell'instaurazione del contraddittorio è sufficiente che vi sia una richiesta ad essere ascoltati, attenendo le ulteriori indicazioni a modalità di attuazione del diritto di audizione che sono riservate alla decisione del giudice. Ne consegue che l'omessa audizione dell'interessato, che ne abbia fatto comunque richiesta, è causa di nullità assoluta, ai sensi dell'art. 178, lett. c), c.p.p., rilevabile anche d'ufficio.
Cass. pen. n. 3127/2003
Nel procedimento di esecuzione, l'art. 666, comma 4, c.p.p., prevede che l'udienza camerale si svolga con la presenza necessaria del difensore dell'“interessato”, oltre che del pubblico ministero; a tal fine, una volta che il giudice abbia delibato in ordine alla necessaria partecipazione di soggetti diversi dal condannato al procedimento di esecuzione, la condizione di “interessato” non può derivare dalla maggiore o minore “pregnanza” dell'interesse che la parte abbia effettivamente alla decisione, derivante dalla sua posizione processuale. Concretizza, quindi, una ipotesi di nullità assoluta, sanzionata in base all'art. 178 c.p.p., l'omessa designazione di un difensore d'ufficio agli altri interessati che ne erano privi e la mancata partecipazione dei medesimi difensori all'udienza camerale.
Cass. pen. n. 40880/2002
Il procedimento di prevenzione ha istituzionalmente i suoi necessari referenti nel pubblico ministero e nel proposto, sicché l'omessa citazione del terzo, al quale sono intestati i beni ritenuti nella disponibilità del proposto, sia che si tratti di una mancata partecipazione sin dall'inizio del procedimento o di una mancata partecipazione solo, ad alcune fasi del medesimo, non ne comporta la nullità e non invalida l'applicazione della misura di prevenzione patrimoniale, ferma restando la facoltà dell'estraneo di esplicare le sue difese mediante incidente di esecuzione. (Fattispecie nella quale il terzo era stato chiamato a partecipare al procedimento fino al momento in cui la Corte di appello aveva revocato il sequestro dell'immobile e non nelle fasi successive che avevano comportato a seguito del ricorso del P.G. la confisca del bene).
Cass. pen. n. 16/2002
La competenza a deliberare sulla richiesta di anticipazione o liquidazione finale del compenso presentata dal custode di cose sequestrate nell'ambito di procedimento penale appartiene nella fase successiva alla sentenza irrevocabile al giudice dell'esecuzione, nella fase delle indagini preliminari al P.M. il quale provvede con decreto motivato, nel corso del giudizio di cognizione al giudice che ha la disponibilità del procedimento il quale provvede de plano, osservandosi, in tutti i casi, le forme stabilite per il procedimento di esecuzione a norma dell'art. 666 c.p.p.
Cass. pen. n. 20240/2002
La definizione del reclamo del detenuto al magistrato di sorveglianza avverso il provvedimento del direttore dell'istituto penitenziario in materia di colloqui e conversazioni telefoniche deve avvenire con provvedimento de plano e non all'esito del procedimento previsto dagli artt. 666 e 678 c.p.p., in quanto la sentenza n. 26 del 1999 della Corte cost., dichiarativa dell'illegittimità costituzionale degli artt. 35 e 69 della L. 26 luglio 1975 n. 354 nella parte in cui essi non prevedono una tutela giurisdizionale nei confronti degli atti dell'Amministrazione penitenziaria lesivi di diritti del detenuto, nel richiamare la necessità di un intervento legislativo ad hoc, ha escluso la possibilità di una pronuncia additiva, sul rilievo che nessuno dei procedimenti «tipici» previsti dalla legge, compreso in essi quello di sorveglianza, può essere considerato un rimedio giurisdizionale di carattere generale, tale da poter essere esteso alla procedura che si instaura a seguito di reclamo.
Cass. pen. n. 38296/2001
Il potere del giudice dell'esecuzione di concedere la sospensione condizionale della pena non ha portata generale, ma è strettamente connesso al riconoscimento del concorso formale o della continuazione, e non può essere esteso ad altre ipotesi, stante l'intangibilità del giudicato ad opera del giudice suindicato al di fuori dei casi specifici e circoscritti, previsti espressamente dalla legge. (Fattispecie in cui la Corte ha ritenuto che nessun potere fosse attribuito dalla legge al giudice dell'esecuzione sulla concedibilità della sospensione condizionale della pena sebbene fosse intervenuta la depenalizzazione dei reati oggetto di condanne pregresse ritenute ostative alla concessione del beneficio, in relazione ad una ulteriore successione condanna).
Cass. pen. n. 37587/2001
La richiesta di ammissione al patrocinio a spese dello Stato deve contenere l'indicazione del processo cui si riferisce, giacché essa ha effetto soltanto nell'ambito di un singolo, specifico procedimento, essendo diversi gli interessi sottesi ad eventuali, differenti istanze, pur se proposte dallo stesso soggetto al medesimo giudice nel corso di procedure aventi eguale contenuto, ma formanti oggetto di separati procedimenti. Ne consegue che la presentazione di una ulteriore istanza di ammissione al patrocinio a spese dello Stato nell'ambito di procedimento di sorveglianza relativo alla concessione della medesima misura alternativa, già rigettata una prima volta, non fa cessare l'interesse dell'istante ad ottenere una decisione sull'analoga domanda avanzata in precedenza, non potendosi tacitamente ritenere, attesa la diversità dei procedimenti, che la proposizione della seconda istanza privi di interesse la prima e, quindi, che la stessa, essendo carente dei requisiti di legge per la sua prospettazione, possa essere dichiarata inammissibile con decreto presidenziale assunto de plano.
Cass. pen. n. 2199/2001
Nella procedura di incidente di esecuzione avente ad oggetto l'opposizione alla determinazione del compenso del custode di cose sequestrate nel corso di un procedimento penale, il giudice dell'esecuzione, prima di tenere l'udienza camerale, non deve procedere alla nomina del difensore d'ufficio atteso che il richiamo — contenuto nell'art. 666, comma 4, c.p.p. — alla partecipazione necessaria del difensore riguarda soltanto l'imputato o il condannato, non le altre parti private.
Cass. pen. n. 29344/2001
In tema di affidamento in prova al servizio sociale (artt. 47 e 47 bis ord. pen.), l'irreperibilità dell'istante, se può legittimare il rigetto della richiesta per motivi di merito (con riferimento ai contatti con il servizio sociale, all'adempimento delle prescrizioni ed al relativo controllo), non costituisce una ipotesi d'inammissibilità rilevabile de plano, ai sensi dell'art. 666, comma 2, c.p.p.
Cass. pen. n. 29025/2001
In tema di benefici penitenziari, il provvedimento con il quale il pubblico ministero, a seguito di richiesta di affidamento c.d. «terapeutico» presentata da condannato tossicodipendente o alcooldipendente, abbia negato la sospensione dell'esecuzione della pena, non è impugnabile mediante ricorso per cassazione e contro di esso può essere proposto esclusivamente incidente davanti al giudice dell'esecuzione ai sensi dell'art. 666 c.p.p.
Cass. pen. n. 29024/2001
In tema di benefici penitenziari, attesa la natura necessariamente interinale e provvisoria della sospensione dell'esecuzione preordinata all'esame della richiesta di affidamento in prova c.d. «terapeutico», la quale, ai sensi dell'art. 91, commi 3 e 4, D.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, dura soltanto «fino alla decisione del tribunale di sorveglianza», è inammissibile per mancanza di interesse, originaria o sopravvenuta, il ricorso per cassazione contro l'ordinanza del giudice dell'esecuzione che, a seguito di incidente, su detta sospensione abbia provveduto, sia nel caso in cui l'impugnazione sia stata proposta dopo la pronuncia del tribunale di sorveglianza, sia nel caso in cui detta pronuncia sia intervenuta dopo la presentazione del gravame e prima del giudizio di legittimità, considerato che in tali ipotesi dall'eventuale accoglimento del ricorso non potrebbe derivare alcun concreto e pratico vantaggio, non residuando più, a seguito della decisione del tribunale, qualunque ne sia il contenuto, alcuno spazio di operatività della sospensione, con la conseguenza che il giudizio di legittimità si tradurrebbe unicamente nella verifica astratta dell'esattezza di un provvedimento provvisorio, divenuto ormai inattuabile. (In applicazione di tale principio la Corte, rilevato che nella specie l'istanza di affidamento terapeutico avanzata dal ricorrente era stata rigettata dal tribunale di sorveglianza competente dopo la presentazione dell'impugnazione, ha dichiarato inammissibile il ricorso proposto dal condannato contro l'ordinanza del giudice dell'esecuzione che, in sede di incidente, aveva negato la sospensione dell'esecuzione in attesa della definizione del procedimento).
Cass. pen. n. 29022/2001
La confisca dei beni patrimoniali dei quali il condannato per determinati reati non sia in grado di giustificare la provenienza, prevista dall'articolo 12-sexies D.L. 8 giugno 1992 n. 306, convertito in legge 8 agosto 1992 n. 356, come modificato dal D.L. 20 giugno 1994 n. 399, convertito in legge 8 agosto 1994 n. 501, può essere disposta anche dal giudice dell'esecuzione che provvede de plano, a norma degli articoli 676 e 667, comma 4, c.p.p., ovvero all'esito di procedura in contraddittorio a norma dell'art. 666 dello stesso codice, salvo che sulla questione non abbia già provveduto il giudice della cognizione, con conseguente preclusione processuale.
Cass. pen. n. 28967/2001
In tema di ammissione al lavoro sostitutivo, la domanda non può essere respinta perché l'attività prospettata, consistente nel prestare servizio volontario presso un'associazione, non presenta i requisiti di un «rapporto di lavoro» coperto da assicurazione e perché non sussiste alcuna convenzione fra l'associazione e il Ministero della giustizia o l'Ufficio di sorveglianza; tali circostanze, infatti, non sono ricomprese fra i requisiti necessariamente richiesti dall'art. 105 della legge 24 novembre 1981, n. 689. (Nell'affermare tali principi, la Corte ha ritenuto che l'attività volontaria di «barelliera» presso un'associazione di assistenza legalmente riconosciuta risponde perfettamente al dettato normativo; che la presenza di una convenzione è dalla legge prevista come eventuale; che il tenore letterale della norma di legge citata esclude che possa sussistere un rapporto di lavoro fra il condannato e l'ente o associazione, posto che deve trattarsi di attività non retribuita a favore della collettività; e, infine, che eventuali dubbi circa la copertura assicurativa possono essere oggetto di accertamento da parte del magistrato di sorveglianza, ai sensi del comma 5 dell'art. 666 c.p.p.).
Cass. pen. n. 20984/2001
La omessa citazione della parte tenuta al pagamento del compenso dovuto al custode di cose sequestrate, e cioè il ministero del tesoro e, nel caso di condanna, il soggetto privato destinatario dell'obbligo, è causa di nullità assoluta del procedimento per incidente di esecuzione, per violazione dell'art. 666, comma terzo, c.p.p., richiamato dall'art. 695.
Cass. pen. n. 4104/2000
È esperibile incidente di esecuzione, ai sensi dell'art. 666 c.p.p., avverso il provvedimento con il quale il presidente del tribunale, rilevata la mancata impugnazione di ordinanza cautelare emessa all'esito di appello proposto ai sensi dell'art. 310 c.p.p., abbia disposto la trasmissione di detta ordinanza, per la sua esecuzione, agli organi di polizia giudiziaria.
Cass. pen. n. 3679/2000
È illegittimo il provvedimento con il quale il tribunale di sorveglianza non consente all'interessato la produzione di copia di un provvedimento giurisdizionale, assumendone l'intempestività sotto il profilo del mancato rispetto dei termini stabiliti nell'art. 666, comma terzo, c.p.p., in quanto quest'ultima disposizione si riferisce solo alle memorie difensive e non ai documenti. (Nella specie si trattava di un'ordinanza del tribunale che aveva respinto la proposta di applicazione di una misura di prevenzione a carico dell'interessato, potenzialmente rilevante ai fini della decisione del giudice di sorveglianza).
Cass. pen. n. 803/1999
Nel procedimento di prevenzione la mancata partecipazione dell'interessato all'udienza in tanto può assumere rilievo in quanto questi abbia chiesto di essere sentito personalmente. Ne consegue che, in mancanza di una siffatta richiesta, ritualmente viene celebrato il giudizio di prevenzione, a prescindere anche dalla sussistenza di un legittimo impedimento.
Cass. pen. n. 1880/1999
Il giudice dell'esecuzione non può applicare d'ufficio la confisca di cui all'art. 19 L. 28 febbraio 1985 n. 47, e ciò in quanto tale misura — che ha natura di sanzione amministrativa obbligatoria, automatica ed accessoria all'accertamento, anche pattizio, di una lottizzazione abusiva — non è assimilabile all'omonima misura di sicurezza patrimoniale cui si riferisce l'art. 676 c.p.p., il quale indica in modo tassativo le competenze del giudice dell'esecuzione per le quali è consentito il procedimento de plano, nella cui stessa natura è implicita la procedibilità d'ufficio; ne consegue che ai fini dell'applicazione in executivis della predetta sanzione è necessaria l'istanza di parte, da trattare con la procedura di cui all'art. 666 c.p.p.
Cass. pen. n. 9/1999
L'applicazione della confisca non determina l'estinzione del preesistente diritto di pegno costituito a favore di terzi sulle cose che ne sono oggetto quando costoro, avendo tratto oggettivamente vantaggio dall'altrui attività criminosa, riescano a provare di trovarsi in una situazione di buona fede e di affidamento incolpevole. In siffatta ipotesi la custodia, l'amministrazione e la vendita delle cose pignorate devono essere compiute dall'ufficio giudiziario e il giudice dell'esecuzione deve assicurare che il creditore pignoratizio possa esercitare il diritto di prelazione sulle somme ricavate dalla vendita. (Nell'affermare detto principio la Corte - giudicando in fattispecie di usura - ha altresì precisato che la tutela del diritto di pegno e la sua resistenza agli effetti della confisca non comporta l'estinzione delle obbligazioni facenti capo al condannato, che in tal modo trarrebbe comunque un vantaggio dall'attività criminosa, bensì determina la sola sostituzione del soggetto attivo del rapporto obbligatorio in virtù delle disposizioni sulla surrogazione legale di cui all'art. 1203 c.c., dato che al creditore garantito subentra lo Stato, il quale può esercitare la pretesa contro il debitore-reo per conseguire le somme che non ha potuto acquistare perché destinate al creditore munito di prelazione pignoratizia).
Cass. pen. n. 6584/1999
È inammissibile per manifesta infondatezza la richiesta di affidamento in prova al servizio sociale ove la stessa sia priva della indicazione della residenza e dell'ambiente di inserimento, lavorativo o meno. Tale carenza, infatti, impedisce la valutazione delle prospettive di rieducazione e di prevenzione, cui è subordinata l'ammissione al beneficio, e non consente neppure di acquisire le necessarie notizie attraverso informativa dei competenti servizi sociali, a norma dell'art. 666, comma 5, c.p.p. D'altra parte, la mancanza di una stabile residenza non consente neppure il necessario supporto ed il costante controllo del servizio sociale e del magistrato di sorveglianza del luogo, competente ad adeguare le prescrizioni alle concrete esigenze trattamentali. (Nell'enunciare il principio di cui in massima, la S.C. ha ritenuto legittima la declaratoria di inammissibilità della istanza adottata de plano a norma dell'art. 666, comma 2, c.p.p.).
Cass. pen. n. 497/1999
Per il procedimento di esecuzione l'art. 666 c.p.p. stabilisce che, quando non si debba dichiarare la inammissibilità della richiesta, il giudice deve provvedere in camera di consiglio con le forme di cui all'art. 127 e previo avviso alle parti. Il provvedimento di sospensione dell'esecuzione adottato de plano va, quindi, considerato come abnorme, poiché costituisce esercizio di un potere che esula da ogni posizione normativa, ed è perciò impugnabile.
Cass. pen. n. 1020/1999
Il giudice dell'esecuzione è obbligato a procedere all'unificazione delle pene concorrenti quando le questioni connesse al cumulo siano sollevate nel procedimento previsto dall'art. 666 c.p.p. e, in particolare, quando il provvedimento di unificazione presuppone la pregiudiziale statuizione in materia di revoca dei benefici o su altre questioni che incidano sulla determinazione della pena da unificare.
Cass. pen. n. 5687/1999
L'art. 666, comma 2, c.p.p. nel prevedere l'inammissibilità delle istanze meramente reiterative di altre già rigettate quando non venga prospettato, a sostegno di esse, alcun elemento nuovo, non richiede affatto che il precedente provvedimento di rigetto abbia acquisito carattere di definitività; il che ben si giustifica anche sotto il profilo della ratio legis, considerando che la disposizione anzidetta è volta non solo ad impedire, ma anche a prevenire l'eventualità di contrastanti decisioni sul medesimo punto in presenza di una immutata situazione di fatto.
Cass. pen. n. 4732/1998
Non è ricorribile per cassazione il decreto con cui viene respinta l'istanza di sospensione dell'esecuzione del provvedimento reiettivo della domanda di affidamento in prova al servizio sociale nelle more della decisione sulla sua impugnazione.
Cass. pen. n. 3208/1998
La norma di cui all'art. 666, secondo comma, c.p.p., che prevede come causa di inammissibilità la mera riproposizione di una richiesta già rigettata, basata sui medesimi elementi, costituisce principio di carattere generale, applicabile anche al di fuori del procedimento di esecuzione per il quale è dettata. (Fattispecie, nella quale la corte d'appello, dinanzi alla quale pendeva il procedimento per la celebrazione del giudizio di secondo grado, aveva dichiarato inammissibile l'istanza di espulsione dal territorio dello Stato di uno straniero, condannato in primo grado per traffico di ingenti quantità di stupefacenti, in quanto analoga istanza era stata respinta con precedente suo provvedimento. La S.C., nell'enunciare il principio di cui in massima, ha ritenuto corretto l'operato del giudice di merito, aggiungendo che frattanto era anche sopravvenuta la legge 6 marzo 1998 n. 40, abolitrice dell'istituto dell'espulsione dello straniero a sua richiesta, per cui tale espulsione comunque non sarebbe stata praticabile.
Cass. pen. n. 2793/1998
In materia di procedimento di esecuzione, il decreto di inammissibilità può essere emesso nelle ipotesi espressamente richiamate di manifesta infondatezza dell'istanza o di mera riproposizione di richiesta già rigettata. La manifesta infondatezza, in specie, deve riguardare il difetto delle condizioni di legge, intese, in senso restrittivo, come requisiti non implicanti una valutazione discrezionale, ma direttamente imposti dalla norma. Dunque, la ratio del provvedimento de plano, in assenza di contraddittorio, consiste proprio nella rilevabilità ictu oculi di ragioni che rivelino alla semplice prospettazione, senza uno specifico approfondimento, la mancanza di fondamento dell'istanza. Ne consegue che ogni qualvolta si pongano problemi di valutazione, imponenti l'uso di criteri interpretativi in relazione al thema probandum, deve essere data all'istante la possibilità dell'instaurazione del contraddittorio con il procedimento camerale previsto — sul modello di quello tipico ex art. 127 c.p.p. — dai commi 3 e 9 dell'art. 666 c.p.p.
Cass. pen. n. 2538/1998
La disposizione dell'art. 666, comma settimo, c.p.p., circoscritta alle ordinanze pronunciate nel procedimento di esecuzione si pone come norma eccezionale, e pertanto non è estensibile per analogia, rispetto al principio generale fissato dall'art. 588, comma primo, stesso codice, per il quale la proposizione di impugnazione sospende l'esecuzione del provvedimento impugnato, salva diversa disposizione di legge. Ne consegue che l'eccezionale deroga prevista dal citato art. 666, comma settimo, non si applica ai decreti di inammissibilità pronunciati a norma del precedente secondo comma. (Fattispecie relativa a ricorso per cassazione avverso decreto di inammissibilità dell'istanza di affidamento in prova al servizio sociale, in pendenza della quale il P.M. aveva disposto la sospensione dell'ordine di carcerazione, poi confermata dal giudice dell'esecuzione. Nell'enunciare il principio sopra trascritto, la S.C. ha escluso che la disposizione dell'art. 588, comma primo, c.p.p. riguardi solo il processo di cognizione, essendo essa ricompresa tra le disposizioni generali sulle impugnazioni, delle quali alcune soltanto chiaramente limitate al giudizio di cognizione e altre di portata generale).
Cass. pen. n. 1622/1998
- Il procedimento che si svolge davanti al giudice dell'esecuzione, secondo le disposizioni dell'art. 666 c.p.p., non ha natura di impugnazione, ma è un procedimento di prima istanza volto a stabilire, nell'interesse della giustizia, il concreto contenuto dell'esecuzione; ad esso non trova pertanto applicazione la disciplina sulle impugnazioni, richiamata dal comma sesto del medesimo art. 666, che riguarda solo il ricorso per cassazione nei confronti dell'ordinanza decisoria che conclude il predetto procedimento. (Fattispecie in cui a fronte di un incidente di esecuzione con cui il P.M. aveva contestato soltanto la liquidazione delle spese di conservazione liquidate al custode di un ciclomotore, il giudice dell'esecuzione ha accolto il rilievo, ma ha aumentato di ufficio l'indennità di custodia).
Cass. pen. n. 1602/1998
A norma dell'art. 666, comma 6, c.p.p. al procedimento di esecuzione sono applicabili le disposizioni sull'impugnazione, ed in particolare quella di cui all'art. 597, comma primo, in tema di appello, ripetuta al comma primo dell'art. 609 per il ricorso per cassazione, secondo cui la cognizione del giudice del gravame è limitata ai punti della decisione investiti dai motivi di impugnazione. (Fattispecie in cui la Corte ha annullato con rinvio la decisione del giudice dell'esecuzione che, a fronte di un incidente di esecuzione con cui il P.M. aveva contestato soltanto la liquidazione delle spese di conservazione liquidate al custode di un ciclomotore, ha aumentato d'ufficio l'indennità di custodia).
Cass. pen. n. 285/1998
Il giudice dell'esecuzione al quale sia chiesto di estendere all'imputato nei cui confronti si è formato il giudicato gli effetti favorevoli di altra successiva sentenza pronunciata nei confronti di un coimputato, non può limitarsi a compiere una mera valutazione di astratta compatibilità della condanna che riguarda l'uno con l'assoluzione nei confronti dell'altro, ma deve valutare se l'impugnazione proposta dal coimputato che ha sortito effetti favorevoli sia fondata su motivi non esclusivamente personali, compiendo cioè una valutazione di merito.
Cass. pen. n. 852/1998
Il pubblico ministero, nell'ambito delle sue autonome ed esclusive attribuzioni di organo che cura l'esecuzione in materia penale, è tenuto a compiere una sommaria delibazione dell'ammissibilità della domanda, al fine di evitare che la legalità ed effettività della pena vengano vanificate da richieste pretestuose e manifestamente carenti dei presupposti di legge. A tale scopo è anzitutto tenuto, per espressa previsione normativa, a verificare che non sia superato il limite di pena entro il quale è ammesso il beneficio (e, trattandosi di pene concorrenti, considerate come unicum in sede esecutiva, ad eseguirne il cumulo, ove non si sia già provveduto), nonché, per identità di ratio, ad estendere il controllo agli altri presupposti di ammissibilità dell'istanza di affidamento e a tutte quelle altre situazioni che, nel procedimento di sorveglianza, sarebbero oggetto di delibazione sommaria da parte del presidente del tribunale a norma dell'art. 666, comma secondo, c.p.p. Ove, pur essendovi tenuto, il P.M. non provveda a sospendere o far cessare l'esecuzione dell'ordine di carcerazione a seguito dell'istanza di affidamento in prova terapeutico, il richiedente può far valere eventuali doglianze mediante incidente di esecuzione, trattandosi di questione che investe il titolo esecutivo, sia pure limitatamente a un'ipotesi di transitoria inefficacia. E il giudice dell'esecuzione resta investito di un controllo limitato alla verifica del corretto esercizio del potere attribuito al P.M., sotto il duplice profilo dell'osservanza della sommaria valutazione di ammissibilità dell'istanza e dell'esattezza e congruenza delle ragioni poste a base del suo rigetto.
Cass. pen. n. 748/1998
In sede di esecuzione non sono deducibili questioni concernenti la fase della cognizione che in essa avrebbero dovuto essere denunziate con i mezzi di gravame disposti dalla legge. (Fattispecie relativa a eccepita nullità del decreto di citazione a giudizio).
Cass. pen. n. 2099/1997
Avverso il decreto del presidente del tribunale di sorveglianza che dichiara inammissibile, per difetto delle condizioni di legge, un'istanza diretta ad ottenere un beneficio penitenziario o una misura alternativa alla detenzione non è ammessa alcuna opposizione, ma esclusivamente il ricorso per cassazione previsto dall'art. 666 c.p.p. (espressamente richiamato, quanto al procedimento di sorveglianza, dall'art. 678 dello stesso codice).
Cass. pen. n. 3252/1997
L'atto con cui si dà ingresso al procedimento di cui all'art. 666 c.p.p. non ha natura di atto di impugnazione e, pertanto, non ne può essere dichiarata l'inammissibilità per il solo fatto che, a sostegno della domanda, non siano stati enunciati motivi specifici.
Cass. pen. n. 1142/1997
L'assenza del pubblico ministero all'udienza camerale prevista dall'art. 666 c.p.p. non è causa di nullità assoluta ed insanabile e deve, pertanto, essere dedotta dalla parte privata che intenda dolersene e che sia presente, entro il termine fissato dall'art. 182, comma secondo, c.p.p.
Cass. pen. n. 4235/1997
Nell'incidente di esecuzione svolto con le forme del rito camerale ai sensi dell'art. 666 comma terzo c.p.p., il giudice può decidere anche su oggetti non compresi nell'istanza di attivazione della procedura e quindi nel decreto di fissazione dell'udienza, che infatti non deve contenere, a pena di nullità, l'indicazione dell'oggetto. Una volta attivata la procedura con la esplicita richiesta dell'applicazione dell'istituto del concorso formale o della continuazione tra reati, il giudice, con l'accoglimento della richiesta, può concedere d'ufficio i benefici di cui agli artt. 163 e 175 c.p. senza ulteriore richiesta di parte, attesa la natura pubblicistica di tali istituti, volti alla risocializzazione del condannato.
Cass. pen. n. 5642/1997
Il potere del presidente del tribunale di sorveglianza di dichiarare inammissibile l'istanza del condannato (nella specie di affidamento in prova al servizio sociale) ai sensi dell'art. 666 c.p.p. è limitato ai casi in cui tale istanza sia manifestamente infondata per difetto delle condizioni di legge ovvero quando essa sia identica ad altra richiesta, basata sui medesimi elementi, già rigettata. La verifica dell'inesistenza delle condizioni richieste dalla legge non deve implicare una valutazione sul merito dell'accoglibilità della domanda, ma deve riguardare unicamente i presupposti minimi indefettibili, in assenza dei quali la domanda non potrebbe mai trovare accoglimento. (Fattispecie nella quale il presidente del tribunale di sorveglianza aveva dichiarato inammissibile l'istanza del condannato, per essere questi sottoposto a procedimento penale. La S.C., nell'enunciare il principio di cui in massima, ha ritenuto che tale pronuncia travalicasse i suoi poteri).
Cass. pen. n. 2706/1997
Nel caso di incompletezza o incertezza del dispositivo il giudice dell'esecuzione ha il potere-dovere di interpretare il titolo esecutivo (sentenza passata in giudicato) e di renderne espliciti il contenuto e i limiti, ricavando dalla sentenza irrevocabile tutti gli elementi che siano necessari per le finalità esecutive con l'ausilio della motivazione. (Fattispecie di esclusione delle aggravanti, non espressamente menzionata in dispositivo).
Cass. pen. n. 6387/1996
È immediatamente proponibile ricorso per cassazione avverso il provvedimento con il quale il giudice dell'esecuzione abbia irritualmente provveduto a norma dell'art. 666, comma terzo, c.p.p. anziché de plano come previsto (nella specie, decidendo sulla restituzione di oggetti confiscati con la sentenza di patteggiamento), giacché la procedura immediatamente adottata, pur non rispettosa dell'art. 676 c.p.p., pone in essere un'anticipata garanzia del contraddittorio, introducibile a rigore solo a seguito dell'opposizione dell'interessato avverso il provvedimento adottato de plano.
Cass. pen. n. 5653/1996
La disposizione dell'art. 486 c.p.p. che prevede i casi di impedimento a comparire dell'imputato e del difensore si impone, se l'impedimento è legittimo, il rinvio dell'udienza, è applicabile anche al processo di esecuzione, per effetto del disposto di cui all'art. 666, comma quarto, c.p.p., che richiede la presenza necessaria del difensore e riconosce il diritto dell'interessato, che ne faccia richiesta, di essere sentito personalmente. (Fattispecie relativa a procedimento di sorveglianza, in relazione al quale la S.C. ha anche ritenuto che la necessità di una prova richiesta dell'interessato di essere sentito personalmente opera solo per il detenuto, per cui occorre disporre la traduzione, non anche per il condannato in stato di libertà, che può presentarsi spontaneamente in camera di consiglio e chiedere di essere sentito personalmente).
Cass. pen. n. 5940/1996
Poiché la partecipazione del condannato all'udienza del tribunale di sorveglianza nella quale si discuta di sua istanza (nella specie, di affidamento in prova al servizio sociale) non è necessaria, in quanto tale partecipazione è prevista solo per il difensore e il pubblico ministero, il suo impedimento assoluto a comparire, quantunque documentato, è irrilevante al fine della legittima celebrazione dell'udienza medesima. (Nella specie, la S.C. ha ritenuto la legittimità dell'udienza anche per l'assenza di una preventiva richiesta del condannato di essere sentito personalmente).
Cass. pen. n. 5896/1996
Avverso il provvedimento di cui agli artt. 666, comma settimo, e 678 c.p.p. (nella specie, rigetto della richiesta di sospensione dell'esecuzione di ordinanza di concessione dell'affidamento in prova al servizio sociale) non è previsto alcun mezzo di impugnazione, né esso può ritenersi ricorribile sotto il profilo della sua diretta incidenza sulla libertà personale. Ne consegue che va dichiarato inammissibile il ricorso per cassazione proposto contro di esso.
Cass. pen. n. 5411/1996
L'avviso di udienza nel procedimento di esecuzione deve contenere, sia pure in forma succinta, o con riferimento ad atti già a conoscenza delle parti, l'indicazione dell'oggetto del procedimento, necessario ai fini del rispetto del principio del contraddittorio, pur in assenza di una esplicita previsione negli artt. 666 e 127 c.p.p. La mancata indicazione dell'oggetto determina nullità ai sensi dell'art. 178, comma primo, lettera c), c.p.p. (Nella specie, all'esito del procedimento di esecuzione, il tribunale di sorveglianza aveva revocato la misura alternativa della semilibertà per un motivo del tutto diverso da quello in ordine al quale, sulla base degli atti, l'interessato aveva preparato la propria difesa).
Cass. pen. n. 2084/1996
Avverso il provvedimento assunto dal giudice dell'esecuzione — come quello adottato dal pretore, quale giudice dell'esecuzione, ex artt. 666, 667 e 676 c.p.p., in risposta all'istanza di dissequestro e restituzione — è proponibile esclusivamente l'incidente di esecuzione ex art. 666 c.p.p. (Nella specie la S.C. ha considerato che il rimedio proposto dall'imputato, e cioè il ricorso al tribunale del riesame avverso l'ordinanza pretorile, era irrituale e che, a mente dell'art. 568, comma 5, c.p.p., applicabile anche con riferimento di rimedi non omogenei, detto ricorso si doveva convertire nel rimedio previsto dalla legge).
Cass. pen. n. 764/1996
L'art. 666, comma 2, c.p.p., prevede la declaratoria di inammissibilità dell'incidente di esecuzione nell'ipotesi di manifesta infondatezza della relativa richiesta nel caso in cui questa costituisce mera riproposizione di una richiesta già rigettata, basata sui medesimi elementi. Tale, dunque, è quella che ripropone altra istanza rivolta al medesimo giudice dell'esecuzione e da questi rigettata, e non già quella che si riferisce al provvedimento emesso dal medesimo giudice, nella esplicazione della diversa funzione della cognizione. (Fattispecie nella quale la Suprema Corte ha annullato il decreto del Gip del Tribunale di Messina, col quale era stata dichiarata inammissibile la richiesta di incidente del custode giudiziario, in ordine al provvedimento col quale lo stesso Gip aveva rigettato l'istanza di modifica del decreto di liquidazione delle spese di custodia e conservazione del bene sequestrato).
Cass. pen. n. 120/1996
Nel procedimento di prevenzione (come del resto in quello di sorveglianza) non è riconosciuto all'interessato il diritto ad intervenire all'udienza, ma soltanto il diritto ad essere sentito qualora ne faccia richiesta; conseguentemente in tale procedimento, a differenza di quanto accade nel processo di cognizione dibattimentale, la mancata partecipazione del proposto all'udienza per legittimo impedimento può assumere rilievo solo quando lo stesso abbia avanzato la suddetta istanza: in assenza di questa, ritualmente viene celebrato il giudizio di prevenzione, a prescindere dalla sussistenza o meno dell'impedimento.
Cass. pen. n. 6625/1996
Poiché la Corte costituzionale, con le sentenze n. 306/1993, 357/1994 e 68/1995 ha dichiarato incostituzionale l'art. 4 bis della L. 26 luglio 1975, n. 354 nella parte in cui esclude l'applicabilità dei benefici previsti dall'ordinamento penitenziario alle persone condannate per i reati indicati nello stesso articolo che non siano collaboratori di giustizia anche quando la collaborazione non è ipotizzabile per il marginale ruolo svolto dal condannato nella attività delittuosa contestata e quando risultino elementi che consentono di escludere in maniera certa l'attualità dei collegamenti con la criminalità organizzata, il presidente del tribunale di sorveglianza non può dichiarare inammissibile l'istanza di affidamento al servizio sociale ai sensi dell'art. 666, comma 2, c.p.p. (richiamato dall'art. 678) sul presupposto della mancanza di condizioni per essere stato l'istante condannato per uno dei delitti indicati nell'articolo, ma l'istanza stessa deve essere esaminata dal tribunale di sorveglianza.
Cass. pen. n. 5897/1995
In tema di procedimento in camera di consiglio (nella specie disciplinato dall'art. 666 c.p.p.), qualora al difensore di fiducia dell'interessato non sia stato dato il prescritto avviso ed egli non sia, per questo, comparso all'udienza, rimane tuttavia dovuto, al medesimo difensore, in quanto tuttora investito del mandato e titolare, quindi, del diritto di impugnazione, l'avviso di deposito del provvedimento decisorio, ai sensi dell'art. 128 c.p.p. Dalla notifica di detto avviso decorreranno, quindi, ai sensi dell'art. 585, comma 2, lett. a), c.p.p., i termini per l'eventuale proposizione del gravame.
Cass. pen. n. 4663/1995
Il decreto di fissazione dell'udienza camerale nel procedimento di sorveglianza è equiparabile al decreto di citazione nel procedimento ordinario. L'omessa notifica del predetto decreto, pertanto, in quanto preclude l'intervento e l'assistenza del condannato, integra una nullità di ordine generale ai sensi degli artt. 178 lett. c) e 179 c.p.p. (Fattispecie in tema di procedimento di sorveglianza per l'ammissione al beneficio della liberazione anticipata).
Cass. pen. n. 3229/1995
Il vigente ordinamento processuale, al pari di quello precedente, non prevede la possibilità di autonoma e diretta impugnazione con il ricorso per cassazione dei provvedimenti emessi dal pubblico ministero nella fase esecutiva, i quali tuttavia possono essere sottoposti al controllo del giudice dell'esecuzione ai sensi dell'art. 666 c.p.p.; il ricorso eventualmente proposto, pertanto, va qualificato come incidente di esecuzione ai sensi dell'art. 568, comma 5, c.p.p., e gli atti vanno trasmessi al giudice competente ex art. 665 dello stesso codice.
Cass. pen. n. 4123/1995
Nel procedimento di sorveglianza, la notifica dell'avviso dell'udienza in Camera di consiglio alle parti e ai difensori avvenuta senza il rispetto del termine minimo di dieci giorni prima della data fissata determina una nullità generale a regime intermedio, che va eccepita nei termini di cui all'art. 180 c.p.p.
Cass. pen. n. 3955/1995
L'avviso al difensore per la partecipazione all'udienza, per cui vi è diritto di assistenza difensiva, è dovuto a chi riveste la qualità di difensore nel momento in cui l'udienza è stabilita dall'ufficio giudiziario, e non anche a chi tale qualità acquista successivamente, altrimenti si attribuirebbe alla parte il potere di ritardare, anche indefinitamente, la celebrazione dell'udienza. (Fattispecie relativa a procedimento di sorveglianza, in cui la Suprema Corte ha precisato che, secondo la disposizione dell'art. 666 c.p.p., applicabile in virtù del richiamo contenuto nell'art. 678, comma 1, stesso codice, è dovuta la nomina di un difensore d'ufficio all'interessato che ne sia privo, senza che sia imposto un preventivo e diverso avviso di procedimento capace di annoverare tra i propri elementi costitutivi l'invito ad esercitare la facoltà di nominare un difensore, sì che è posto a carico dell'interessato stesso l'onere di avvertire il nominando difensore di fiducia perché possa partecipare all'udienza in camera di consiglio).
Cass. pen. n. 2489/1995
Il procedimento incidentale di liquidazione dell'indennità di custodia delle cose sottoposte a sequestro penale e di ristoro delle spese di manutenzione è attivato dalla richiesta del custode cui segue provvedimento de plano opponibile da ciascun interessato mediante incidente di esecuzione a norma degli artt. 666 e segg. c.p.p. e, concernendo l'attribuzione di una somma di denaro, è regolato, là dove non sono previste specifiche disposizioni, quanto ai profili sostanziali, dalle norme civilistiche sul deposito di cose con custodia (artt. 1766 e segg. c.c.) e, quanto ai profili procedimentali, da quelle del codice di procedura civile. Ne deriva che dell'udienza camerale di cui all'art. 666 c.p.p. devono essere avvertiti tutti gli interessati, tra i quali è da comprendere il Ministro del tesoro perché tenuto all'esborso, salvo rivalsa.
Cass. pen. n. 2007/1995
Nel procedimento di esecuzione, la mancata audizione dell'interessato presente, tradotto a seguito di espressa sua richiesta (art. 666, comma 4, c.p.p.), determina nullità della deliberazione, inquadrabile tra quelle a regime intermedio, soggette alle preclusioni temporali stabilite dagli artt. 180 e 182 c.p.p. Detta nullità va, perciò, considerata sanata per inattività della parte, se questa ha omesso di eccepirla tempestivamente, cioè prima della deliberazione.
Cass. pen. n. 3246/1995
L'incidente di esecuzione è un rimedio finalizzato all'esame di questioni concernenti non la legittimità del titolo, bensì la sua eseguibilità, come chiaramente si desume dall'art. 670 c.p.p., con la conseguenza che la possibilità di far valere con tale strumento processuale nullità verificatesi nel giudizio di cognizione, le quali investono la sentenza che lo conclude, trova ostacolo insuperabile nelle regole che disciplinano gli effetti del giudicato.
Cass. pen. n. 3237/1995
Il procedimento relativo all'udienza camerale innanzi al tribunale di sorveglianza è regolato da quanto previsto dall'art. 666 c.p.p. come espressamente indicato dal primo comma dell'art. 678 c.p.p., in base al quale, nella ipotesi che l'interessato non abbia nominato alcun difensore di fiducia, il giudice competente gliene nomina uno d'ufficio, salva la possibilità di intervento di quello di fiducia all'udienza camerale ovvero di richiesta, in tale sede, da parte dell'interessato di essere assistito da difensore fiduciario in tale occasione nominato, non assumendo rilevanza, ai fini della ritualità del procedimento, l'esistenza di nomina di difensore per altri procedimenti, puranche sempre inerenti alla materia dell'esecuzione della pena demandata al sopra indicato tribunale.
Cass. pen. n. 1701/1995
L'effetto estensivo dell'impugnazione ex art. 587 c.p.p., lungi dall'impedire il passaggio in giudicato della sentenza nei confronti dell'imputato non impugnante, si pone proprio come rimedio straordinario contro il giudicato e l'esecuzione della sentenza volto ad impedire il verificarsi di situazioni di ingiustificata disuguaglianza. L'esecuzione iniziata a carico del coimputato non impugnante è perciò sempre legittima anche se può essere sospesa sulla base di una valutazione discrezionale del giudice che deve tener conto della effettiva estensibilità dei motivi proposti dal coimputato, della probabilità del loro accoglimento e, in questo caso, di una loro incidenza sulla decisione che vada oltre una modesta riduzione della pena inflitta. Il riconoscimento dell'effetto estensivo dell'impugnazione non è perciò di competenza esclusiva del giudice dell'impugnazione, ma, quando sia stato dato corso all'esecuzione, sarà il giudice dell'esecuzione a dover valutare l'opportunità di sospendere l'esecuzione e questi dovrà pronunciarsi anche nel caso in cui nel proporre l'incidente di esecuzione il condannato non abbia addotto ragioni o motivi specifici o specifiche censure a sostegno della propria richiesta.
Cass. pen. n. 2019/1994
Nel procedimento di esecuzione conseguente a richiesta di terzo di dissequestro e restituzione di somme confiscate a seguito di condanna, la omessa spedizione dell'avviso di udienza al condannato nei cui confronti il provvedimento risulti emesso, determina la nullità assoluta dell'intero procedimento e dell'ordinanza pronunciata: trattasi infatti di nullità derivante dall'omessa citazione dell'interessato (art. 666, comma 3, c.p.p.) equiparata anche dal nuovo codice alla omessa citazione dell'imputato (art. 179, comma 1, c.p.p.).
Cass. pen. n. 3127/1994
Il giudice dell'esecuzione, cui sia richiesta la revoca della sentenza per dedotta sopravvenuta abolizione del reato è tenuto ad interpretare il giudicato e a renderne espliciti il contenuto ed i limiti ricavando dalla decisione irrevocabile tutti gli elementi, anche non chiaramente espressi, che siano necessari ai fini dell'accoglimento o meno dell'istanza; all'uopo non può negarsi al giudice il potere di esaminare anche gli atti essenziali allo scopo (stante la previsione generale di cui all'art. 666 comma quinto c.p.p.). (Fattispecie in tema di condanna per detenzione di sostanze stupefacenti di cui era stata richiesta la revoca, alla luce della normativa post-referendaria in materia, deducendosi che nel capo di imputazione era mancata la contestazione della finalità di spaccio. Affermando il principio di cui sopra la Cassazione ha ritenuto che correttamente il G.E. nel respingere l'istanza avesse valorizzato le contestazioni relative alla suddetta finalità mosse in occasione dei provvedimenti sulla libertà considerando al contempo le specifiche circostanze indicate nella sentenza stessa circa la quantità della sostanza, la presenza di bilancino e destrosio).
Cass. pen. n. 3674/1994
L'art. 666, comma 7, c.p.p., secondo il quale il ricorso contro l'ordinanza decisoria del procedimento di esecuzione non ha efficacia sospensiva (salvo che il giudice che l'ha emessa disponga diversamente), è norma eccezionale di stretta applicazione, in quanto derogatoria del principio generale dell'effetto sospensivo delle impugnazioni, fissato dall'art. 588, comma 1, c.p.p. Pertanto, il ricorso per cassazione proposto avverso il decreto di inammissibilità adottato ai sensi dell'art. 666, comma 2, c.p.p. esplica l'effetto suo proprio di sospendere l'esecuzione del provvedimento fino alla conclusione del giudizio di cassazione.
Cass. pen. n. 896/1994
Qualora il custode giudiziario di un reperto presenti istanza al procuratore della Repubblica, che abbia proceduto alla liquidazione del compenso per custodia, per dolersi del mancato adeguamento di questo alle tariffe ACI, il P.M. non può dichiarare inammissibile detta istanza perché diretta avverso provvedimento per il quale non è previsto opposizione o incidente di esecuzione innanzi allo stesso organo decidente ma, qualificata l'istanza come incidente di esecuzione e ravvisata la propria incompetenza, deve trasmettere gli atti al giudice dell'esecuzione per la decisione sull'incidente sollevato.
Cass. pen. n. 1812/1994
Il mandato conferito al difensore nella fase ordinaria del giudizio di sorveglianza, relativo all'esame dell'istanza di concessione della misura alternativa dell'affidamento in prova al servizio sociale non può estendersi alla fase, del tutto eventuale e diversa, del procedimento di revoca della misura stessa, di iniziativa del magistrato di sorveglianza nella cui giurisdizione essa è in corso e che provvede con decreto alla provvisoria sospensione. Ne consegue che la parte, qualora voglia continuare ad essere difesa dallo stesso legale, deve procedere a nuova nomina, in mancanza della quale viene nominato difensore d'ufficio e il precedente difensore di fiducia non può dolersi di non aver ricevuto l'avviso di udienza.
Cass. pen. n. 1176/1994
Il magistrato di sorveglianza che debba provvedere alla conversione della pena pecuniaria è tenuto, ai sensi dell'art. 678 c.p.p., ad osservare il rito fissato dall'art. 666 stesso codice e, pertanto, deve dare avviso dell'udienza camerale al difensore di fiducia già nominato dall'interessato. L'omissione di tale avviso importa la verificazione di una nullità assoluta ai sensi del combinato disposto degli artt. 178, lettera c) e 179, primo comma, ultima parte, c.p.p.
Cass. pen. n. 673/1994
In tema di procedimento di sorveglianza, nel caso in cui l'avviso per la data dell'udienza sia stato dato senza il rispetto del termine di dieci giorni liberi previsto dall'art. 666, terzo comma, richiamato dall'art. 678 c.p.p., deve ritenersi verificata una nullità di ordine generale ai sensi dell'art. 178, lett. c), c.p.p., in quanto il mancato rispetto di detto termine incide sul diritto della difesa sotto il profilo della sua menomazione in ordine all'apprestamento di mezzi difensivi sia da parte dell'interessato che del suo difensore, la cui partecipazione all'udienza camerale è prevista — a differenza di quella dell'interessato — come necessaria dall'art. 666, quarto comma, del codice di rito.
Cass. pen. n. 272/1994
Nel procedimento di esecuzione, l'omesso avviso della data dell'udienza in camera di consiglio all'interessato e al difensore determina una nullità di ordine generale a termini dell'art. 178, lettera c), c.p.p., di carattere assoluto, rilevabile in ogni stato e grado del giudizio che ricorre, a maggior ragione, allorché il giudice abbia omesso di fissare l'udienza adottando provvedimento de plano. (Fattispecie in tema di revoca del condono disposta dal tribunale a semplice richiesta del P.M.).
Cass. pen. n. 146/1994
La disciplina della sospensione dei termini processuali nel periodo feriale opera anche con riferimento al processo di esecuzione e a quello di sorveglianza, sicché la trattazione degli stessi in tale periodo deve ritenersi illegittima. Tuttavia, nel caso in cui le parti si siano avvalse della facoltà di trattazione della richiesta formulata nell'udienza fissata nel suddetto periodo, può ritenersi verificata la sanatoria generale di cui all'art. 183, lettera b), c.p.p. (Con riferimento al caso di specie la Cassazione ha rilevato che l'interessato ed il suo difensore avevano posto in essere un comportamento processuale univocamente significativo, nel senso di sollecitare una adozione immediata dei provvedimenti invocati, e conseguentemente, ha ritenuto essersi verificata la succitata sanatoria generale).
Cass. pen. n. 4745/1993
Qualora avverso l'ordinanza del giudice dell'esecuzione di revoca, a seguito di opposizione del P.M., di un provvedimento di applicazione di amnistia venga proposto incidente di esecuzione ex art. 666 c.p.p. e questo sia dichiarato inammissibile dallo stesso giudice con ordinanza, poi impugnata con ricorso per cassazione, poiché detto incidente andava qualificato come ricorso per cassazione, secondo il disposto dell'art. 568, quinto comma, c.p.p., e trasmesso alla Suprema Corte, questa deve annullare senza rinvio l'ordinanza di inammissibilità e, qualificato come ricorso per cassazione l'atto proposto ex art. 666 c.p.p., deve dichiarare il ricorso come qualificato inammissibile, ove risulti presentato da difensore non iscritto nell'albo speciale della Corte di cassazione.
Cass. pen. n. 3601/1993
Nel procedimento di esecuzione la declaratoria di inammissibilità della richiesta è di norma emessa dal presidente del collegio (art. 666 c.p.p.) con decreto motivato, ma nulla vieta che per ragioni di economia processuale analogamente possa provvedere de plano il collegio, cui comunque compete il potere-dovere di rilevare le cause di inammissibilità. In tal ultimo caso il provvedimento del collegio, se pronunciato senza contraddittorio, anche se formalmente qualificato come ordinanza, ha comunque il valore giuridico di un decreto, sicché ad esso non si applica il disposto del settimo comma dell'art. 666 c.p.p. che prevede che il ricorso per cassazione non sospende l'esecuzione dell'ordinanza, trovando invece applicazione il principio dell'effetto sospensivo dell'impugnazione, secondo la regola generale contenuta nell'art. 588 c.p.p.
Cass. pen. n. 3509/1993
L'errore non materiale eventualmente occorso in un'ordinanza pronunciata in sede esecutiva (dal giudice dell'esecuzione) può essere eliminato prima che si formi la regiudicata solo attraverso il riesame del provvedimento da parte del giudice del grado ulteriore a seguito di impugnazione e con l'osservanza di determinate condizioni di tempo e di modo, ma mai dal giudice che lo ha emesso. Ne consegue che, una volta applicato l'indulto al condannato in misura ritenuta inferiore a quella dovuta, il provvedimento diviene irrevocabile se non impugnato tempestivamente dalla parte interessata con i normali mezzi apprestati dalla legge e non può subire modificazioni per le preclusioni nascenti dal principio dell'intangibilità del giudicato.
Cass. pen. n. 3478/1993
Poiché nel procedimento esecutivo penale devono considerarsi estese al soggetto interessato tutte le garanzie previste dall'ordinamento per l'imputato nel procedimento di cognizione, in quanto praticabili, anche il procedimento di notificazione — nell'ambito dell'esecuzione — deve compiersi con l'osservanza di tutte le disposizioni dettate con riguardo all'imputato; deve pertanto considerarsi nulla la notificazione dell'avviso prescritto dall'art. 666, terzo comma, c.p.p., effettuata al difensore nominato di ufficio dopo che erasi constatata l'impossibilità di notificazione personale ma senza che fossero state effettuate le ricerche ed emesso il decreto di irreperibilità previsto dall'art. 159 c.p.p.
Cass. pen. n. 3133/1993
In materia di esecuzione, il potere presidenziale di dichiarare, ai sensi dell'art. 666 c.p.p., l'inammissibilità di una richiesta per «manifesta infondatezza», derivante dal «difetto delle condizioni di legge», può essere esercitato soltanto quando tale difetto sia riscontrabile in ordine a requisiti che non implichino alcuna valutazione discrezionale. (Nella specie, in applicazione di tale principio, la Corte ha annullato il decreto con il quale il presidente di un tribunale per i minorenni, in funzione di tribunale di sorveglianza, aveva dichiarato inammissibile una richiesta di affidamento in prova al servizio sociale a cagione dell'intervenuto arresto del richiedente per reati commessi successivamente alla richiesta medesima).
Cass. pen. n. 851/1993
Il provvedimento di liquidazione del compenso al custode di cose sequestrate nel corso di un procedimento penale può essere impugnato unicamente con la procedura dell'incidente di esecuzione.
Cass. pen. n. 1643/1993
L'art. 666, comma ottavo, c.p.p., pur derogando, nel procedimento di esecuzione, alle cui regole il procedimento di sorveglianza deve uniformarsi (art. 678, comma primo, c.p.p.), ai principi generali che impongono la sospensione temporanea del giudizio e la nomina di un curatore speciale quando la cosciente partecipazione dell'interessato sia impedita dal suo stato mentale (v. art. 71, comma primo, c.p.p.), è nondimeno diretto, attraverso la previsione della nomina di un curatore provvisorio, ad assicurare la necessaria tutela processuale del soggetto. Ne consegue che la mancata osservanza di tale disposizione integra una nullità di ordine generale, ex artt. 178, comma terzo, e 180 c.p.p., risolvendosi in inosservanza di disposizione concernente l'integrità e la pienezza del contraddittorio.
Cass. pen. n. 1099/1993
Avverso l'ordine di carcerazione di cui si deduce l'illegittimità è possibile proporre incidente di esecuzione innanzi al giudice all'uopo competente e non avanti al tribunale di sorveglianza, al quale è attribuita in modo tassativo la trattazione di questioni attinenti all'ordinamento penitenziario o a specifiche questioni. In tal caso il procedimento da seguire è quello fissato nell'art. 666 c.p.p., che prevede anche il ricorso per cassazione.
Cass. pen. n. 1515/1993
Il provvedimento, espresso o implicito, emesso dal P.M. ai sensi dell'art. 47, quarto comma, della L. 26 luglio 1975, n. 354, è da lui adottato quale organo dell'esecuzione. Ne deriva che, trattandosi di provvedimento promanante da organo non giurisdizionale, pur se incide sulla libertà personale, non ne è consentita l'immediata impugnabilità, ma lo stesso è soggetto al controllo da parte del giudice dell'esecuzione il quale, se richiesto dalla parte interessata, deve pronunciarsi osservando le garanzie giurisdizionali proprie del procedimento previsto dall'art. 666 c.p.p.
Cass. pen. n. 1868/1993
Le disposizioni di cui agli artt. 70, 71 e 72 c.p.p. in tema di sospensione del procedimento per infermità mentale dell'imputato sono inapplicabili al procedimento esecutivo o a quello di sorveglianza. (A sostegno del principio di cui in massima, la Cassazione ha rilevato che le norme suddette fanno riferimento esclusivo all'imputato mentre l'ipotesi dell'infermità psichica del condannato è disciplinata dall'art. 148 c.p., e che l'ottavo comma, dell'art. 666, c.p.p., disciplina specificamente l'ipotesi in cui un procedimento di esecuzione debba svolgersi nei confronti di un infermo di mente).
Cass. pen. n. 812/1993
ella richiesta di presenziare all'udienza del tribunale di sorveglianza, erroneamente formulata dall'interessato, detenuto in luogo diverso, è implicita — e deve accogliersi a pena di nullità — quella di essere provvisoriamente sentito dal magistrato di sorveglianza
Cass. pen. n. 1026/1993
Le questioni concernenti l'esecuzione dei decreti in materia di misure di prevenzione vanno anch'esse trattate e decise nel rispetto delle regole dettate per il procedimento di esecuzione dagli artt. 665 ss. c.p.p. Pertanto, la deliberazione sull'incidente, dopo l'acquisizione della relazione di perizia medico legale sulle effettive condizioni di salute del sottoposto a seguito di indagine disposta nel contraddittorio delle parti, deve essere adottata previa fissazione di una nuova udienza camerale, con le relative comunicazioni e notificazioni, sicché il provvedimento emesso de plano è viziato da nullità assoluta.
Cass. pen. n. 1009/1993
L'opposizione al decreto di liquidazione di compensi al custode giudiziario di corpi di reato, emesso dopo il passaggio in giudicato della sentenza relativa al processo al quale essi inerivano, instaura un procedimento di esecuzione che, a mente dell'art. 666 c.p.p., si svolge in camera di consiglio con la partecipazione necessaria del pubblico ministero e del difensore, previa notifica a quest'ultimo e alle parti dell'avviso della data della relativa udienza. Trattasi di procedimento camerale con contraddittorio orale, modellato sullo schema di quello previsto dall'art. 127 c.p.p., nel quale la partecipazione del difensore della parte privata e del P.M. è «necessaria». (Fattispecie relativa ad annullamento di ordinanza con la quale il tribunale aveva provveduto de plano, con conseguente violazione dei diritti di difesa dell'interessato).
Cass. pen. n. 291/1993
Per il procedimento di esecuzione, l'art. 666 c.p.p. stabilisce che, quando non si debba dichiarare l'inammissibilità della richiesta, il giudice deve provvedere in camera di consiglio con le forme di cui all'art. 127 c.p.p. e previo avviso alle parti. Il provvedimento di sospensione dell'esecuzione adottato de plano va, quindi, considerato come abnorme, poiché costituisce esercizio di un potere che esula da ogni previsione normativa.
Cass. pen. n. 795/1993
Il decreto di inammissibilità dell'istanza di affidamento in prova al servizio sociale emesso dal presidente di sorveglianza, se illegittimo, va annullato senza rinvio, giacché il predetto presidente non deve adottare alcun ulteriore provvedimento, e gli atti vanno contestualmente trasmessi al tribunale di sorveglianza perché si pronunci sull'istanza.
Cass. pen. n. 45/1993
Il cumulo delle pene, avendo natura amministrativa, rientra fra i compiti del pubblico ministero al fine di rendere possibile una più rapida esecuzione delle pene (salva la facoltà del condannato di adire il giudice dell'esecuzione se ritenga ingiusto il provvedimento adottato); ciò, tuttavia, non esclude che, su richiesta del pubblico ministero, il provvedimento possa essere adottato dall'organo giurisdizionale funzionalmente competente, con la procedura degli incidenti di esecuzione, proprio perché spetta al giudice dell'esecuzione il compito di decidere con efficacia giurisdizionale su ogni tema del rapporto esecutivo. Il giudice dell'esecuzione, peraltro, è obbligato a procedere alla unificazione delle pene concorrenti quando le questioni connesse al cumulo siano sollevate nel procedimento previsto dall'art. 666 c.p.p., ed in particolare quando il provvedimento di unificazione presupponga la pregiudiziale statuizione in materia di revoca dei benefici e applicazione dell'amnistia. (La Cassazione ha altresì precisato che il pubblico ministero che presenti al giudice dell'esecuzione la richiesta diretta alla formazione del cumulo ha l'onere d'indicare specificamente le condanne che vanno incluse nella esecuzione concorsuale).
Cass. pen. n. 416/1993
Posto che la procedura di cui all'art. 666 c.p.p. va osservata anche nel caso di questioni attinenti l'esecuzione di provvedimenti applicativi di misure di prevenzione, l'ordinanza che il giudice abbia pronunciato de plano per la decisione di una di tali questioni è da considerare affetta da nullità assoluta ai sensi dell'art. 179 comma primo c.p.p. Detta nullità è deducibile mediante ricorso per cassazione in base al comma sesto del citato art. 666 c.p.p.
Cass. pen. n. 4256/1992
In tema di procedimento di esecuzione (art. 666 c.p.p.), non sussiste violazione del principio del contraddittorio e del diritto di difesa quando, essendo l'interessato detenuto in luogo posto fuori della circoscrizione del giudice ed avendo egli chiesto non di essere sentito dal magistrato di sorveglianza del luogo di detenzione, ma (cosa cui non aveva diritto), direttamente dal detto giudice, quest'ultimo abbia adottato la propria decisione senza provvedere a detta audizione.
Cass. pen. n. 2303/1992
Nel procedimento di esecuzione, l'inosservanza dell'art. 666, terzo e quarto comma, c.p.p., concernenti l'avviso al difensore e la sua partecipazione all'udienza in camera di consiglio, deve intendersi sanzionata, in mancanza di una specifica previsione, dalla nullità di ordine generale di cui all'art. 179, primo comma, c.p.p., per l'ipotesi dell'assenza del difensore nei casi in cui è obbligatoria la presenza. Ne consegue che l'omessa notificazione dell'avviso con la data fissata per la trattazione dell'incidente di esecuzione al difensore di fiducia dell'interessato e la sua conseguente assenza dall'udienza comportano la nullità assoluta del procedimento e dei provvedimenti adottati.
Cass. pen. n. 3169/1992
Avverso il provvedimento con il quale il pubblico ministero nega la sospensione dell'emissione dell'ordine di carcerazione o della sua esecuzione, chiesta ai sensi dell'art. 47, quarto comma, L. n. 354 del 1975 e successive modificazioni, l'interessato può proporre incidente di esecuzione e non ricorso per cassazione ex artt. 111, secondo comma e 568, secondo comma, c.p.p.
Cass. pen. n. 1119/1992
L'ordinanza emessa de plano, su istanza di parte di revoca di sequestro adottato in relazione al reato di cui all'art. 416 bis c.p., dal giudice che, avendo in sede di appello definito assolutoriamente il procedimento, aveva omesso di provvedervi, non è suscettibile di impugnazione, ma solamente di opposizione nelle forme degli incidenti di esecuzione, davanti lo stesso giudice che l'ha emessa, onde ottenere un provvedimento di carattere giurisdizionale ricorribile per cassazione. Pertanto, il proposto ricorso per cassazione, in base al principio della conversione del mezzo processuale non consentito in altro mezzo consentito, va considerato quale istanza volta a promuovere un incidente di esecuzione.
Cass. pen. n. 79/1992
In sede di incidente di esecuzione, l'indagine affidata al giudice di merito è limitata al controllo dell'esistenza di un titolo esecutivo e della legittimità della sua emissione. A tal fine, il giudice dell'esecuzione non può attribuire rilievo alle nullità eventualmente verificatesi nel corso del processo di cognizione in epoca precedente a quella del passaggio in giudicato della decisione, ma deve limitare il proprio accertamento alla regolarità formale e sostanziale del titolo su cui si fonda l'intrapresa esecuzione. (Nella specie la Corte di cassazione ha rigettato il ricorso del condannato che lamentava illegittimità della declaratoria di contumacia e violazione dei diritti della difesa nel giudizio di cognizione).
Cass. pen. n. 3922/1991
Il vigente ordinamento processuale, al pari di quello precedente, pur attribuendo al pubblico ministero nella fase esecutiva poteri di notevole rilevanza e di immediata incidenza sulla libertà personale (quale quello di disporre l'esecuzione di una pena detentiva irrogata con sentenza passata in giudicato e di ordinare la carcerazione del condannato) non prevede la possibilità di autonoma e diretta impugnazione dei suoi provvedimenti. La ragione dell'inoppugnabilità deve rinvenirsi nella natura non giurisdizionale di tali atti, i quali — promanando da un organo, la cui competenza è generalmente di carattere esecutivo o amministrativo (v. art. 665 del nuovo codice di rito, che trova il suo esatto corrispondente nell'art. 577 del codice abrogato) — non hanno contenuto decisorio in senso stretto e attitudini a definire il rapporto processuale. Essi, se sono sottratti a qualsiasi mezzo impugnatorio, possono, però, al fine di evitare il verificarsi di situazioni pregiudizievoli per il condannato essere sottoposti al controllo del giudice della esecuzione, il quale, se richiesto dalla parte interessata, dovrà pronunciarsi, osservando le garanzie giurisdizionali proprie del procedimento previsto dall'art. 666 c.p.p., con ordinanza che è ricorribile per cassazione. (Fattispecie di ricorso per cassazione avverso decreto di cumulo del procuratore della Repubblica, qualificato come incidente di esecuzione con conseguente trasmissione al giudice dell'esecuzione per l'ulteriore corso).