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Articolo 678 Codice di procedura penale

(D.P.R. 22 settembre 1988, n. 447)

[Aggiornato al 30/11/2024]

Procedimento di sorveglianza

Dispositivo dell'art. 678 Codice di procedura penale

1. Il magistrato di sorveglianza, nelle materie attinenti alle misure di sicurezza e alla dichiarazione di abitualità o professionalità nel reato o di tendenza a delinquere, e il tribunale di sorveglianza, nelle materie di sua competenza, se non diversamente previsto, procedono, a richiesta del pubblico ministero, dell'interessato, del difensore o di ufficio, a norma dell'articolo 666. Quando vi è motivo di dubitare dell'identità fisica di una persona, procedono comunque a norma dell'articolo 667, comma 4(1).

1-bis. Il magistrato di sorveglianza, nelle materie attinenti alla rateizzazione e alla conversione delle pene pecuniarie, alla remissione del debito e alla esecuzione delle pene sostitutive della semilibertà e della detenzione domiciliare e delle pene conseguenti alla conversione della pena pecuniaria, e il tribunale di sorveglianza, nelle materie relative alle richieste di riabilitazione, alla valutazione sull'esito dell'affidamento in prova, anche in casi particolari, alla dichiarazione di estinzione del reato conseguente alla liberazione condizionale e al differimento dell'esecuzione della pena nei casi previsti dal primo comma, numeri 1) e 2), dell'articolo 146 del codice penale, procedono a norma dell'articolo 667, comma 4(2)(6).

1-ter. Quando la pena da espiare non è superiore a un anno e sei mesi, per la decisione sulle istanze di cui all'articolo 656, comma 5, il presidente del tribunale di sorveglianza, acquisiti i documenti e le necessarie informazioni, designa il magistrato relatore e fissa un termine entro il quale questi, con ordinanza adottata senza formalità, può applicare una delle misure menzionate nell'articolo 656, comma 5. L'ordinanza di applicazione della misura è comunicata al pubblico ministero e notificata all'interessato e al difensore, i quali possono proporre opposizione al tribunale di sorveglianza entro il termine di dieci giorni. Il tribunale di sorveglianza, quando è proposta opposizione, procede, a norma del comma 1, alla conferma o alla revoca dell'ordinanza. Allo stesso modo il tribunale di sorveglianza procede quando l'ordinanza non è stata emessa. Durante il termine per l'opposizione e fino alla decisione sulla stessa, l'esecuzione dell'ordinanza è sospesa(7).

2. Quando si procede nei confronti di persona sottoposta a osservazione scientifica della personalità, il giudice acquisisce la relativa documentazione e si avvale, se occorre, della consulenza dei tecnici del trattamento.

3. Le funzioni di pubblico ministero sono esercitate, davanti al tribunale di sorveglianza, dal procuratore generale presso la corte di appello e, davanti al magistrato di sorveglianza, dal procuratore della Repubblica presso il tribunale della sede dell'ufficio di sorveglianza.

3.1. Quando ne fa richiesta l'interessato l'udienza si svolge in forma pubblica. Si osservano, in quanto compatibili, le disposizioni degli articoli 471 e 472.

3.2. L'avviso di fissazione dell'udienza, notificato all'interessato, contiene, a pena di nullità, l'avvertimento della facoltà di parteciparvi personalmente. Se l'interessato detenuto o internato ne fa richiesta, il giudice dispone la traduzione. Si applicano in ogni caso le forme e le modalità di partecipazione a distanza nei procedimenti in camera di consiglio previste dalla legge. La partecipazione all'udienza avviene a distanza anche quando l'interessato, detenuto o internato, ne fa richiesta ovvero quando lo stesso è detenuto o internato in un luogo posto fuori dalla circoscrizione del giudice. Ove lo ritenga opportuno, il giudice dispone la traduzione dell'interessato(3).

3-bis. Il tribunale di sorveglianza e il magistrato di sorveglianza, nelle materie di rispettiva competenza, quando provvedono su richieste di provvedimenti incidenti sulla libertà personale di condannati da Tribunali o Corti penali internazionali, danno immediata comunicazione della data dell'udienza e della pertinente documentazione al Ministro della giustizia, che tempestivamente ne informa il Ministro degli affari esteri e, qualora previsto da accordi internazionali, l'organismo che ha pronunciato la condanna(4)(5).

Note

***DIFFERENZE RISPETTO ALLA FORMULAZIONE PREVIGENTE***
(in verde le modifiche e in "[omissis]" le parti della norma non toccate dalla riforma)


[omissis]
1-bis. Il magistrato di sorveglianza, nelle materie attinenti alla rateizzazione e alla conversione delle pene pecuniarie, alla remissione del debito e alla esecuzione delle pene sostitutive della semilibertà e della detenzione domiciliare e delle pene conseguenti alla conversione della pena pecuniaria, e il tribunale di sorveglianza, nelle materie relative alle richieste di riabilitazione, alla valutazione sull’esito dell’affidamento in prova, anche in casi particolari, alla dichiarazione di estinzione del reato conseguente alla liberazione condizionale e al differimento dell’esecuzione della pena nei casi previsti dal primo comma, numeri 1) e 2), dell’articolo 146 del codice penale, procedono a norma dell’articolo 667, comma 4.
[omissis]

__________________

(1) Tale comma è stato così sostituito dall'art. 4, co. 1, lett. b) del D.L. 2018 n. 123. In precedenza, il comma era stato sostituito dall’art. 1, comma 1, lett. b), del D.L. 23 dicembre 2013, n. 146, convertito nella L. 21 febbraio 2014, n. 10, e successivamente dichiarato illegittimo dalla Corte cost., con sent. 19-21 maggio 2014, n. 135, nella parte in cui non consentiva che, su istanza degli interessati, il procedimento per l'applicazione delle misure di sicurezza si svolgesse, davanti al magistrato di sorveglianza e al tribunale di sorveglianza, nelle forme dell'udienza pubblica. Il testo precedente prevedeva: "Il tribunale di sorveglianza nelle materie di sua competenza, e il magistrato di sorveglianza nelle materie attinenti alla rateizzazione e alla conversione delle pene pecuniarie, alla remissione del debito, ai ricoveri previsti dall'articolo 148 del codice penale, alle misure di sicurezza, alla esecuzione della semidetenzione e della libertà controllata e alla dichiarazione di abitualità o professionalità nel reato o di tendenza a delinquere, procedono, a richiesta del pubblico ministero, dell'interessato, del difensore o di ufficio, a norma dell'articolo 666. Tuttavia, quando vi è motivo di dubitare della identità fisica di una persona, procedono a norma dell'articolo 667."
(2) Il presente comma è stato inserito dall’art. 1, comma 1, lett. c), del D.L. 23 dicembre 2013, n. 146, convertito nella L. 21 febbraio 2014, n. 10.
(3) I commi 1-ter, 3.1 e 3.2 sono stati inseriti dall'art. 4 comma 1. lett. b) del D.L. 2018 n. 123.
(4) L'ultimo comma è stato aggiunto dall’art. 3, comma 1, del D.L. 26 giugno 2014, n. 92, convertito nella L. 11 agosto 2014, n. 117.
(5) La Corte costituzionale, con sentenza 15 aprile - 5 giugno 2015, n. 97, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale del presente comma nella parte in cui non consente che, su istanza degli interessati, il procedimento davanti al tribunale di sorveglianza nelle materie di sua competenza si svolga nelle forme dell'udienza pubblica.
(6) Comma così modificato dall'art. 39, co. 1 del D.Lgs. 10 ottobre 2022 n. 150 (c.d. "Riforma Cartabia").
(7) Il comma 1-ter è stato modificato dall'art. 10, comma 2, lettere a) b) c) e d) del D.L. 4 luglio 2024, n. 92, convertito con modificazioni dalla L. 8 agosto 2024, n. 112.

Ratio Legis

Il comma 3 dell’art. 27 Cost. stabilisce che le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato. Ebbene, la concreta realizzazione delle funzioni e dei fini costituzionalmente attribuiti alla pena dipende soprattutto dalle regole e dalle modalità di esecuzione della pena. Perciò, il legislatore disciplina la magistratura di sorveglianza, a cui sono affidate funzioni di controllo sull’esecuzione della pena. Questo controllo ha proprio lo scopo di verificare la coerenza e l’efficienza del trattamento penitenziario rispetto al fine della rieducazione del condannato.

Spiegazione dell'art. 678 Codice di procedura penale

L’art. 678 c.p.p. tratteggia le forme dei procedimenti di sorveglianza, considerando tre diversi tipi di procedure: quella garantita, quella semplificata e quella attribuita al giudice relatore.

Il legislatore parte dal procedimento garantito. Il comma 1 stabilisce che, nelle rispettive materie di competenza, il magistrato di sorveglianza e il tribunale di sorveglianza procedono su richiesta del pubblico ministero, dell’interessato o del difensore oppure d’ufficio ai sensi dell’art. 666 del c.p.p.: questa forma di procedimento assume le forme del rito camerale con un contraddittorio rafforzato tra le parti.

Nello specifico, il magistrato di sorveglianza segue questo tipo di procedimento nelle materie relative alle misure di sicurezza e alla dichiarazione di abitualità o professionalità nel reato o di tendenza a delinquere. Il tribunale di sorveglianza – quando opera come giudice di primo grado – segue tale forma di procedimento in specifiche materie come, ad esempio, quella delle misure alternative alla detenzione.

In tal caso, sarà dato avviso almeno dieci giorni prima della data di udienza. Il comma 3.2 dell’art. 678 c.p.p. precisa che l’avviso di fissazione dell’udienza deve contenere – a pena di nullità – l’avvertimento che l’interessato ha la facoltà di parteciparvi personalmente. In ogni caso, è comunque disciplinata la partecipazione all’udienza a distanza.

L’udienza si svolge in camera di consiglio, con la presenza obbligatoria del pubblico ministero e del difensore. Tuttavia, il comma 3.1 dell’art. 678 c.p.p. stabilisce che, quando ne fa richiesta l’interessato, l’udienza si svolge in forma pubblica: si applicano, in quanto compatibili, l’art. 471 del c.p.p. e l’art. 472 del c.p.p. che disciplinano la pubblicità dell’udienza e i casi in cui essa si debba svolgere a porte chiuse.

In virtù del richiamo all’art. 660 del c.p.p., alla magistratura di sorveglianza vanno riconosciuti gli stessi poteri di iniziativa probatoria d’ufficio che sono riconosciuti al giudice dell’esecuzione. Peraltro, il comma 2 dell’art. 678 c.p.p. precisa che, se si procede nei confronti di persona sottoposta ad osservazione scientifica della personalità, il giudice può acquisire la relativa documentazione e, se è necessario, può avvalersi della consulenza dei tecnici del trattamento.

Rispetto al procedimento di esecuzione, ci sono due grandi differenze:
  • il procedimento di sorveglianza può essere instaurato anche d’ufficio;
  • a norma del comma 3, davanti al tribunale di sorveglianza, le funzioni di pubblico ministero sono esercitate dal procuratore generale presso la corte di appello; invece, davanti al magistrato di sorveglianza, sono esercitate dal procuratore della Repubblica presso il tribunale della sede dell'ufficio di sorveglianza.

Poi, il legislatore prende in considerazione la procedura semplificata. Infatti, l’art. 678 c.p.p. stabilisce che ci sono dei casi in cui il magistrato di sorveglianza e il tribunale di sorveglianza procedono a norma del comma 4 dell’art. 667 del c.p.p.: ossia, la decisione viene presa de plano e il contraddittorio è solo eventuale e differito alla fase dell’opposizione al provvedimento.

Nello specifico, il magistrato di sorveglianza e il tribunale di sorveglianza seguono il procedimento semplificato del comma 4 dell’art. 667 del c.p.p. in queste ipotesi:
  1. ai sensi del comma 1, quando c’è motivo di dubitare dell’identità fisica di una persona;
  2. il comma 1-bis precisa che il magistrato di sorveglianza segue la procedura semplificata anche in tema di rateizzazione e conversione delle pene pecuniarie, di remissione del debito e di esecuzione delle pene sostitutive della semilibertà e della detenzione domiciliare e delle pene conseguenti alla conversione della pena pecuniaria; il tribunale di sorveglianza segue la procedura semplificata anche nelle materie relative alle richieste di riabilitazione, alla valutazione sull’esito dell’affidamento in prova, alla dichiarazione di estinzione del reato conseguente alla liberazione condizionale e al differimento dell’esecuzione della pena nei casi previsti dai numeri 1) e 2) del comma 1 dell’art. 146 del c.p. (esecuzione della pena nei confronti di donna incinta o di madre con bambino con meno di un anno).

Ancora, il codice considera la procedura attribuita al giudice relatore. Il comma 1-ter disciplina questo tipo di procedimento in tema di concessione di misura alternativa a favore del condannato libero a cui sia stata sospesa una pena da espiare, anche residua, fino ad un anno e sei mesi. In tal caso, se l’interessato ha richiesto una misura alternativa a norma dell’art. 656 del c.p.p., il presidente del tribunale di sorveglianza designa il magistrato relatore e fissa un termine entro cui quest’ultimo, con ordinanza adottata senza formalità, può applicare in via provvisoria una delle misure menzionate nel comma 5 dell’art. 656 del c.p.p..

L’ordinanza provvisoria è comunicata al pubblico ministero e notificata all’interessato e al difensore, i quali possono proporre opposizione al tribunale di sorveglianza entro dieci giorni. Durante il termine per l’opposizione, l’esecuzione dell’ordinanza è sospesa:
  • se non viene presentata opposizione, il tribunale di sorveglianza conferma senza formalità la decisione del magistrato;
  • se l’ordinanza provvisoria non è stata emessa dal magistrato relatore oppure se non è stata confermata o se è stata proposta opposizione, il tribunale di sorveglianza procede a norma del comma 1 dell’art. 678 c.p.p., fissando un’apposita udienza per prendere la decisione.

Infine, il comma 3-bis stabilisce che, quando provvede su richieste di provvedimenti incidenti sulla libertà personale di condannati da Tribunali o Corti penali internazionali, la magistratura di sorveglianza deve dare immediata comunicazione della data dell’udienza e della relativa documentazione al Ministro della giustizia, che tempestivamente ne informa il Ministro degli affari esteri e, se previsto da accordi internazionali, l’organismo che ha pronunciato la condanna.

Relazione al D.Lgs. 150/2022

(Relazione illustrativa al decreto legislativo 10 ottobre 2022, n. 150: "Attuazione della legge 27 settembre 2021, n. 134, recante delega al Governo per l'efficienza del processo penale, nonché in materia di giustizia riparativa e disposizioni per la celere definizione dei procedimenti giudiziari")

1 
Quanto alle pene sostitutive, l’intervento si giustifica in ragione della necessità di sostituire i riferimenti alle abolite sanzioni della semidetenzione e della libertà controllata con quelli alla semilibertà sostituiva e alla detenzione domiciliare sostituiva.
Il magistrato di sorveglianza, infatti, è competente per l’esecuzione di tali nuove pene sostitutive.


Quanto alle pene pecuniarie, si ritiene opportuno introdurre un espresso riferimento alla competenza del magistrato di sorveglianza non solo per la conversione, ma anche per l’esecuzione delle pene da conversione. Tra queste, infatti, vi è il lavoro di pubblica utilità sostitutivo, in relazione al quale la competenza è del giudice che ha applicato la pena sostitutiva della pena detentiva e del magistrato di sorveglianza che ha applicato la pena stessa come pena da conversione di una pena pecuniaria non eseguita.

Massime relative all'art. 678 Codice di procedura penale

Cass. pen. n. 13381/2018

In tema di procedimento di sorveglianza, non è irragionevole, né esorbita i poteri conferitigli dall'ordinamento, la decisione del magistrato di sorveglianza che, investito da un'istanza del condannato che contenga una pluralità di doglianze, provveda a separare i procedimenti, dando origine a distinti giudizi in funzione delle peculiarità di ciascun rito e dei relativi fondamenti di diritto sostanziale. (Fattispecie in cui, a fronte di una richiesta di differimento dell'esecuzione della pena per motivi di salute ai sensi degli artt. 146 e 147 cod. pen., in cui il condannato si doleva anche delle condizioni di detenzione, con espresso riferimento alla violazione dell'art. 3 CEDU, il Magistrato di sorveglianza aveva trattato in modo separato le singole questioni, aprendo un ulteriore procedimento ai fini della tutela inibitoria e risarcitoria disciplinate dagli artt. 35-bis e 35-ter ord. pen.).

Cass. pen. n. 50160/2017

Nel procedimento di sorveglianza, ai fini dell'eventuale rinvio dell'udienza camerale, non è rilevante l'impedimento del difensore a seguito di concomitante impegno professionale, attesa l'assenza di espresse disposizioni normative in tal senso e la specificità del procedimento, che risiede nella necessità di assicurare celerità all'applicazione del giudicato, dovendo sopperirsi alla mancanza del difensore di fiducia con la nomina di uno d'ufficio. (In motivazione la Corte ha precisato che l'impedimento è invece rilevante nel giudizio camerale di appello nel quale trova applicazione l'art. 420-ter, comma quinto, cod. proc. pen.).

Cass. pen. n. 49768/2017

In tema di limitazioni alla libertà di corrispondenza del detenuto, nel caso di richiesta da questi avanzata ai sensi dell'art. 18-ter, comma 5, ord. pen. per ottenere la consegna di missive specificamente individuate, non può il magistrato di sorveglianza, qualora le stesse non siano ancora state sottoposte al vaglio dell'autorità giudiziaria, limitarsi a dichiarare che non v'è luogo a provvedere per tale motivo, in quanto gli incombe il dovere di decidere nel merito e, a tal fine, è tenuto a fissare udienza per verificare in contraddittorio, anche attraverso approfondimenti istruttori, le ragioni del mancato inoltro delle missive alla predetta autorità.

Cass. pen. n. 24281/2017

Il procedimento per l'applicazione delle misure di sicurezza deve svolgersi davanti al magistrato di sorveglianza con udienza pubblica, senza tuttavia la necessità che il provvedimento sia letto pubblicamente.

Cass. pen. n. 48678/2015

Il tribunale di sorveglianza, chiamato a decidere su istanza di affidamento in prova al servizio sociale, ha l'onere di acquisire di ufficio la relazione sull'osservazione del condannato, condotta in istituto, se del caso anche mediante rinvio dell'udienza, non potendo la sua mancanza agli atti ricadere negativamente sull'interessato, sempre che il beneficio richiesto sia ammissibile e che il periodo di detenzione sofferto sia idoneo a consentire l'osservazione della personalità del detenuto e ad elaborare il programma di trattamento.

Cass. pen. n. 3092/2015

Il magistrato e il tribunale di sorveglianza, nell'ambito delle rispettive competenze, in forza del rinvio operato dall'art. 678 c.p.p. alla disciplina del procedimento di esecuzione, sono titolari di poteri istruttori d'ufficio, con facoltà di chiedere alle autorità competenti tutti i documenti ritenuti utili ai fini della decisione e di assumere le prove occorrenti in udienza. (In applicazione del principio, la S.C. ha annullato la decisione del tribunale di sorveglianza che aveva dichiarato inutilizzabile un documento, attestante la revoca di una sanzione disciplinare irrogata durante il periodo di detenzione espiato all'estero, e prodotto dal condannato per ottenere il beneficio della liberazione anticipata, perché non redatto in lingua italiana e non corredato da traduzione asseverata da giuramento, pur essendo possibile disporre, anche d'ufficio, la traduzione).

Cass. pen. n. 7724/2014

Il Tribunale di sorveglianza, chiamato a decidere sull'istanza di affidamento in prova al servizio sociale, non ha l'obbligo di acquisire la relazione sull'osservazione della personalità nel caso in cui il condannato sia libero, l'osservazione non sia stata condotta per un periodo di tempo prolungato durante la carcerazione in ambito intramurario e le risultanze documentali rivelino l'inidoneità della misura richiesta, a fronte dell'accertata pericolosità del richiedente e dell'assenza di prospettive di una sperimentazione fruttuosa in attività risocializzanti, tale da non richiedere ulteriori approfondimenti.

Cass. pen. n. 51083/2013

In tema di procedimento di sorveglianza, qualora dopo la presentazione da parte del condannato dell'istanza di accesso ad una misura alternativa alla detenzione, sopraggiungano altre istanze volte ad incidere sulla medesima misura o comunque siano ad essa connesse o collegate, rimane ferma, in virtù del principio della "perpetuatio iurisdictionis", la competenza per territorio del Tribunale di Sorveglianza radicatasi con riferimento alla situazione esistente al momento della prima richiesta di misura alternativa. (Fattispecie in cui dopo il riconoscimento del differimento dell'esecuzione della pena nelle forme della detenzione domiciliare, avendo richiesto il Procuratore generale di rivalutare le condizioni di salute del condannato, è stato ritenuto competente a decidere il Tribunale di Sorveglianza che aveva concesso il differimento, essendo irrilevante la circostanza che il condannato si trovasse agli arresti domiciliari in un luogo rientrante nella competenza di altro Tribunale).

Cass. pen. n. 44572/2010

Il decreto con cui il presidente del tribunale di sorveglianza dichiara inammissibile l'istanza di misure alternative (nella specie la misura della detenzione domiciliare) è suscettibile di ricorso per cassazione e non già di opposizione al tribunale, stante l'applicabilità dell'art. 666 c.p.p. come richiamato dall'art. 678 c.p.p. con conseguente abrogazione della procedura prevista dall'art. 71 sexies ord. pen.

Cass. pen. n. 24164/2004

In materia di esecuzione, il potere presidenziale di rilievo dell'inammissibilità senza contraddittorio è limitato ai casi in cui appaiono ictu oculi insussistenti i presupposti normativi della richiesta, sicché rimangono riservate al collegio — ed al rito camerale — sia la pronuncia di incompetenza, sia questioni di diritto di non univoca soluzione, sia la delibazione di fondatezza nel merito dell'istanza.

Cass. pen. n. 5523/2004

Nel procedimento di sorveglianza non possono essere dedotte con ricorso per cassazione le lacune istruttorie occorse nella fase di merito che non siano state denunciate dinanzi al giudice competente per essa, anche se quest'ultimo giudichi in unico grado.

Cass. pen. n. 17029/2003

La declaratoria di inammissibilità di istanza di affidamento in prova al servizio sociale adottata de plano dal Presidente del tribunale di sorveglianza sul rilievo che l'entità della pena residua da espiare è superiore al limite massimo previsto dalla legge per l'ammissione alla misura alternativa è legittima anche se, trattandosi di pena risultante da più sentenze di condanna, ancora non sia intervenuto il provvedimento di unificazione da parte del competente ufficio del pubblico ministero.

Cass. pen. n. 41139/2002

Nel procedimento di sorveglianza integra nullità assoluta e insanabile l'omessa notificazione dell'avviso di udienza all'interessato anche se quest'ultimo sia presente ad essa, qualora non risulti che l'avviso esista e che il destinatario sia a conoscenza del suo contenuto.

Cass. pen. n. 20240/2002

La definizione del reclamo del detenuto al magistrato di sorveglianza avverso il provvedimento del direttore dell'istituto penitenziario in materia di colloqui e conversazioni telefoniche deve avvenire con provvedimento de plano e non all'esito del procedimento previsto dagli artt. 666 e 678 c.p.p., in quanto la sentenza n. 26 del 1999 della Corte cost., dichiarativa dell'illegittimità costituzionale degli artt. 35 e 69 della L. 26 luglio 1975 n. 354 nella parte in cui essi non prevedono una tutela giurisdizionale nei confronti degli atti dell'Amministrazione penitenziaria lesivi di diritti del detenuto, nel richiamare la necessità di un intervento legislativo ad hoc, ha escluso la possibilità di una pronuncia additiva, sul rilievo che nessuno dei procedimenti «tipici» previsti dalla legge, compreso in essi quello di sorveglianza, può essere considerato un rimedio giurisdizionale di carattere generale, tale da poter essere esteso alla procedura che si instaura a seguito di reclamo.

Cass. pen. n. 13789/2002

Nel procedimento di prevenzione il richiamo del comma sesto dell'art. 4 della legge 27 dicembre 1956 n.1423, che rinvia, per la individuazione delle norme applicabili, agli artt. 636 e 637 del codice di rito abrogato, deve intendersi riferito alle corrispondenti disposizioni del nuovo c.p.p. e dunque all'art. 678 (procedimento di sorveglianza), che a sua volta richiama l'art. 666 (procedimento di esecuzione). Ne consegue che, anche nel procedimento di prevenzione, il giudice può chiedere alle autorità competenti tutti i documenti e le informazioni di cui ha bisogno, con l'unico limite del rispetto del contraddittorio.

Cass. pen. n. 2323/2001

Nel procedimento per la revoca dei benefici penitenziari non è prevista la previa indicazione, nell'avviso di udienza, delle violazioni che si addebitano al condannato, né, comunque, delle circostanze da valutare nell'udienza stessa, restando il diritto di difesa salvaguardato dalla possibilità di esame degli elementi risultanti dal fascicolo. (Nella specie, la Corte ha ritenuto legittimo il provvedimento di revoca della semilibertà assunto dal tribunale di sorveglianza, nel quale si era tenuto conto anche di relazioni dei servizi sociali, contenute nel fascicolo, che non avevano formato oggetto di discussione orale).

Cass. pen. n. 4692/2000

In tema di esecuzione non sussiste un onere probatorio a carico del soggetto che invochi un provvedimento giurisdizionale favorevole, ma solo un onere di allegazione, cioè un dovere di prospettare e di indicare al giudice i fatti sui quali la sua richiesta si basa, incombendo poi alla autorità giudiziaria il compito di procedere ai relativi accertamenti. (Fattispecie in tema di riabilitazione in cui il tribunale di sorveglianza, rilevando che la rinuncia della persona offesa al risarcimento del danno emergeva da una dichiarazione non autenticata — e quindi priva di valenza probatoria — discostandosi dal principio sopra enunciato, aveva respinto la istanza del condannato).

Cass. pen. n. 1805/1999

In sede di ricorso per cassazione avverso provvedimento del tribunale di sorveglianza di diniego di applicazione di misura alternativa alla detenzione non può richiedersi la sospensione dell'esecutività del decreto impugnato, in quanto il ricorso non sospende l'esecuzione dell'ordinanza, mentre la sospensione può, all'occorrenza, essere richiesta al giudice a quo.

Cass. pen. n. 3005/1999

In tema di esecuzione di pena detentiva nei confronti di condannato che si trovi agli arresti domiciliari per il fatto oggetto della condanna da eseguire, il tribunale di sorveglianza provvede de plano e senza garanzia di contraddittorio soltanto nell'eventualità che ritenga di poter applicare la misura alternativa della detenzione domiciliare. In caso contrario, deve essere seguita la procedura in contraddittorio prevista dagli artt. 678, comma primo, e 666 c.p.p., con la conseguenza che l'inosservanza del comma terzo di tale ultimo articolo, concernente l'avviso all'interessato dell'udienza di discussione, e la mancata partecipazione del difensore prevista come necessaria dal quarto comma di tale articolo, determinano una nullità di ordine generale, insanabile e rilevabile di ufficio in ogni stato e grado del procedimento.

Cass. pen. n. 1975/1999

Nel procedimento di sorveglianza, il parere del P.G., obbligatorio ma non vincolante, può essere modificato nel corso del procedimento medesimo, senza preclusione alcuna e senza alcun riflesso sulla legittimità del provvedimento giurisdizionale che lo recepisca o lo disattenda. (Non risultano precedenti).

Cass. pen. n. 1468/1999

È illegittimo il decreto di inammissibilità di istanza per la concessione di benefici penitenziari, emesso de plano dal Presidente del tribunale di sorveglianza sul rilievo dell'irreperibilità dell'istante, considerata impeditiva alla verifica della sussistenza dei presupposti per la concessione degli invocati benefici, in quanto la reperibilità del condannato al momento dell'avviso per l'udienza di trattazione dell'istanza diretta ad ottenere i benefici penitenziari non è requisito richiesto dalla legge a pena di inammissibilità.

Cass. pen. n. 292/1999

Atteso il disposto dell'art. 236, comma 2, att. coord. trans. c.p.p., secondo cui «nelle materie di competenza del tribunale di sorveglianza continuano ad osservarsi le disposizioni processuali della legge 26 luglio 1975 n. 354 diverse da quelle contenute nel capo II bis del titolo II della stessa legge», deve ritenersi che, nel caso di provvedimenti adottati dalla magistratura di sorveglianza, con la procedura di cui all'art. 666 c.p.p., richiamata dall'art. 678, comma 1, stesso codice, il termine per proporre ricorso per cassazione non sia quello di 10 giorni previsto dall'art. 71 ter della citata legge n. 354/1975 (non più operante in quanto ricompreso appunto nel capo II bis del titolo II), ma quello ordinario di 15 giorni previsto per tutti i provvedimenti di camera di consiglio dall'art. 585, comma 1, lett. a), c.p.p., indubbiamente ricompreso fra le «disposizioni sulle impugnazioni» richiamate nel comma 6 del summenzionato art. 666 c.p.p.

Cass. pen. n. 4867/1998

Il tribunale di sorveglianza, nel decidere sui reclami in materia di permessi premio, non può legittimamente adottare la procedura de plano ma è tenuto ad osservare le forme del procedimento camerale nel contraddittorio delle parti, ai sensi del combinato disposto degli artt. 666 e 678, comma 1, c.p.p.

Cass. pen. n. 2418/1998

Nel procedimento di esecuzione e in quello di sorveglianza di cui agli artt. 666 e 678 c.p.p. la mancata notifica al difensore di fiducia — del quale è necessaria la partecipazione e perciò obbligatoria la presenza — dell'avviso di udienza in camera di consiglio determina una nullità di ordine generale, assoluta e insanabile dell'udienza, nondimeno tenuta in presenza del difensore d'ufficio, e degli atti successivi compresa l'ordinanza conclusiva, ai sensi degli artt. 178 lett. c) e 179 c.p.p.

Cass. pen. n. 503/1998

È abnorme l'ordinanza con la quale il tribunale di sorveglianza, chiamato a decidere sull'istanza di liberazione anticipata, rinvii il procedimento a tempo indeterminato, in attesa di conoscere l'esito di un procedimento penale instauratosi a carico dell'istante.

Cass. pen. n. 6378/1998

L'eccezione di incompetenza per territorio deve essere eccepita a pena di decadenza, anche nel procedimento di conversione della pena che rientra tra quelli demandati alla magistratura di sorveglianza (art. 678 c.p.p.), prima della conclusione della relativa udienza camerale, sicché detta eccezione non può essere rilevata per la prima volta mediante ricorso per cassazione.

Cass. pen. n. 5007/1997

Nel procedimento di sorveglianza ben possono essere valutati fatti storicamente accertati, costituenti ipotesi di reato riferibili al condannato, senza necessità di attendere la definizione del relativo procedimento penale. Ed invero, in questa sede quel che conta è solo la valutazione della condotta del condannato al fine di stabilire se lo stesso — prescindendo dall'accertamento giudiziale della sua responsabilità — sia meritevole dei benefici penitenziari alternativi alla detenzione. (Fattispecie relativa a revoca dell'affidamento in prova al servizio sociale disposta nei confronti di condannato che aveva più volte violato le prescrizioni impostegli, si era reso responsabile di danneggiamento in un ospedale e si era fatto sorprendere in compagnia di noti pregiudicati).

Cass. pen. n. 6761/1997

Atteso il principio generale, ricavabile dall'art. 666, comma secondo, c.p.p., richiamato dall'art. 678 stesso codice, per cui le decisioni di competenza del tribunale di sorveglianza in materia di misure alternative alla detenzione sono sempre decisioni allo stato degli atti, e non essendovi ragione di negare l'applicabilità di tale principio anche con riguardo al beneficio della liberazione anticipata, deve ritenersi che, qualora tale beneficio sia stato negato non sulla base di una valutazione del complessivo comportamento tenuto dal condannato nel semestre preso in considerazione (valutazione di per sè non più rivedibile), ma sulla base, essenzialmente, della pendenza di un procedimento penale per fatto commesso in quel semestre, l'intervenuta definizione di detto procedimento con sentenza assolutoria nel merito ben può legittimare l'adozione di una nuova decisione con la quale, in difformità dalla precedente, venga concessa, per quel medesimo semestre, la liberazione anticipata precedentemente negata.

Cass. pen. n. 6602/1996

Nel caso in cui l'ordine di esecuzione della pena divenuta definitiva sia stato sospeso dal P.M. in pendenza di una istanza di detenzione domiciliare ed il condannato permanga nel precedente stato di arresti domiciliari, competente a decidere su una istanza di ricovero in ospedale è il tribunale di sorveglianza avanti al quale pende l'istanza di detenzione domiciliare. Non può infatti essere ritenuto competente né il Gip o il giudice che hanno proceduto, essendo la condanna divenuta definitiva, né il magistrato di sorveglianza, in applicazione dell'art. 11 della L. 26 luglio 1975, n. 354, non essendo il condannato ristretto in carcere.

Cass. pen. n. 1698/1995

Nella procedura che si instaura, dinanzi al magistrato di sorveglianza, a seguito di reclamo avverso provvedimenti disciplinari adottati nei confronti del detenuto dall'amministrazione penitenziaria, non è prevista la presenza dell'interessato all'udienza, ma solo la possibilità, da parte sua, di presentare memorie. Ne consegue che all'interessato non è dovuto avviso dell'udienza fissata per la discussione del reclamo.

Cass. pen. n. 3315/1995

Il tribunale di sorveglianza, nell'ambito del suo potere discrezionale, ben può applicare una misura alternativa non richiesta che comunque rientri in quella più ampia richiesta dal condannato. (Affermando siffatto principio la Cassazione ha ritenuto che legittimamente il suddetto tribunale avesse, a fronte di richiesta di affidamento in prova, ammesso il condannato al regime di semilibertà).

Cass. pen. n. 1299/1995

Il procuratore della Repubblica presso la pretura circondariale non è competente a svolgere le sue funzioni davanti al magistrato di sorveglianza e, conseguentemente non ha alcuna legittimazione ad impugnare i provvedimenti da quest'ultimo emessi; e ciò non solo in applicazione del principio generale, per cui il pubblico ministero trae la sua competenza, di natura derivativa, da quella del giudice presso cui è costituito, ma anche, con riguardo al procedimento di sorveglianza, in applicazione della specifica disciplina di cui all'art. 678, comma terzo, c.p.p., secondo cui le funzioni di pubblico ministero sono esercitate, davanti al magistrato di sorveglianza, dal procuratore della Repubblica presso il tribunale della sede dell'ufficio di sorveglianza.

Cass. pen. n. 2755/1995

In tema di liberazione anticipata (art. 54 dell'ordinamento penitenziario), fermo restando l'obbligo, per il giudice, di acquisire d'ufficio gli elementi di valutazione previsti dall'art. 678, comma 2, c.p.p., deve riconoscersi all'interessato, in applicazione dei principi generali in materia di diritto alla prova, la facoltà - e, al tempo stesso, l'onere - di allegare gli eventuali ulteriori elementi, diversi dalla mera regolarità della condotta, atti a dimostrare la partecipazione all'opera di rieducazione.

Cass. pen. n. 1337/1995

La legittimazione a proporre ricorso per cassazione avverso provvedimenti ricorribili del magistrato di sorveglianza deve essere riconosciuto, in via esclusiva, all'ufficio del pubblico ministero che esercita le sue funzioni presso detto magistrato e quindi, ai sensi dell'art. 678 comma terzo c.p.p. al procuratore della Repubblica presso il tribunale del luogo in cui ha sede l'ufficio di sorveglianza. (Affermando siffatto principio la Cassazione ha dichiarato inammissibile un ricorso proposto dal procuratore della Repubblica presso la pretura avverso provvedimento di sorveglianza che aveva ritenuto inammissibile la richiesta di conversione della pena avanzata dal suddetto pubblico ministero).

Cass. pen. n. 1715/1995

Davanti al magistrato di sorveglianza le funzioni di pubblico ministero sono esercitate dal procuratore della Repubblica presso il tribunale della sede dell'ufficio di sorveglianza, di guisa che legittimato a proporre impugnazione avverso un suo provvedimento è il P.M. presso il tribunale e non quello presso la pretura. (Nella specie, è stato dichiarato inammissibile il ricorso per cassazione proposto dal P.M. presso la pretura circondariale avverso provvedimento del magistrato di sorveglianza).

Cass. pen. n. 1233/1995

L'ufficio del pubblico ministero legittimato a proporre ricorso per cassazione avverso provvedimenti adottati dal magistrato di sorveglianza i quali siano ricorribili ai sensi dell'art. 666, comma secondo, c.p.p., è unicamente quello individuato ai sensi dell'art. 678, comma terzo, c.p.p., e cioè l'ufficio del procuratore della Repubblica presso il tribunale del luogo ove ha sede l'ufficio di sorveglianza. Al suddetto procuratore della Repubblica, quindi, va anche inviato l'avviso di cui all'art. 128 c.p.p. (Nella specie, in applicazione del principio di cui alla prima parte della massima, è stato ritenuto inammissibile il ricorso proposto dal procuratore della Repubblica presso la pretura circondariale avverso un provvedimento del magistrato di sorveglianza).

Cass. pen. n. 4071/1994

L'assegnazione di condannati a una specifica sezione di istituto di pena appositamente istituita e connotata da un più severo regime carcerario non può essere assimilata a un provvedimento di sottoposizione del condannato al regime della sorveglianza particolare di cui all'art. 14 bis L. 26 luglio 1975 n. 354 (cosiddetto ordinamento penitenziario), in quanto le limitazioni che ne conseguono, pur rendendo maggiormente afflittiva la pena, sono riconducibili al potere discrezionale dell'amministrazione penitenziaria di organizzare la vita all'interno degli istituti, tenendo conto della pericolosità dei detenuti, nonché della necessità di assicurarne l'ordinato svolgimento e non si risolvono in un provvedimento di sottoposizione dei suddetti al regime della sorveglianza particolare. Ne consegue che avverso detto provvedimento di assegnazione non è consentito alcun rimedio diretto dinanzi agli organi di giurisdizione penale, in quanto, per il suo carattere di tassatività, il reclamo di cui all'art. 14 ter ord. pen. non è applicabile ai provvedimenti diversi da quelli per i quali è espressamente previsto.

Cass. pen. n. 2151/1994

Non è dovuto l'avviso dell'udienza, nel procedimento di sorveglianza avente ad oggetto la revoca della misura alternativa, al professionista che era stato difensore di fiducia del detenuto nel procedimento relativo alla concessione della misura, ma non specificamente investito di mandato nel procedimento per la revoca. (Nella specie è stato ritenuto sufficiente l'avviso dato al difensore nominato d'ufficio).

Cass. pen. n. 2149/1994

È illegittima — e viziata di nullità assoluta — la revoca dell'affidamento in prova al servizio sociale adottata de plano. (In motivazione, la Suprema Corte ha ribadito che la revoca di una misura alternativa alla detenzione non può essere adottata senza il rispetto del principio del contraddittorio).

Cass. pen. n. 636/1994

Pur non potendosi parlare di formazione del giudicato in materia di istanze di applicazione di misure alternative alla detenzione, trattandosi di decisioni formulate allo stato degli atti, tuttavia nella relativa procedura si realizza l'effetto preclusivo, ai sensi dell'art. 666, secondo comma, c.p.p. applicabile al procedimento di sorveglianza ex art. 678 stesso codice, allorché una nuova istanza dell'interessato, priva di elementi di novità rispetto ad altra in precedenza valutata dal competente giudice di sorveglianza e divenuta non revocabile per mancanza di apposita impugnazione, viene ripresentata.

Cass. pen. n. 949/1994

Nel procedimento di sorveglianza, qualora l'avviso della data di udienza sia dato senza il rispetto del termine di dieci giorni previsto dall'art. 666, terzo comma, c.p.p., richiamato dall'art. 678, deve ritenersi verificata una nullità di ordine generale ai sensi dell'art. 178, lettera c), stesso codice, in quanto concernente l'intervento dell'interessato e la sua assistenza da parte del difensore, la cui partecipazione all'udienza camerale è prevista come necessaria dal quarto comma del citato art. 666.

Cass. pen. n. 146/1994

La disciplina della sospensione dei termini processuali nel periodo feriale opera anche con riferimento al processo di esecuzione e a quello di sorveglianza, sicché la trattazione degli stessi in tale periodo deve ritenersi illegittima. Tuttavia, nel caso in cui le parti si siano avvalse della facoltà di trattazione della richiesta formulata nell'udienza fissata nel suddetto periodo, può ritenersi verificata la sanatoria generale di cui all'art. 183, lettera b), c.p.p. (Con riferimento al caso di specie la Cassazione ha rilevato che l'interessato ed il suo difensore avevano posto in essere un comportamento processuale univocamente significativo, nel senso di sollecitare una adozione immediata dei provvedimenti invocati, e conseguentemente, ha ritenuto essersi verificata la succitata sanatoria generale).

Cass. pen. n. 5517/1994

La disciplina della sospensione dei termini processuali per il periodo feriale opera anche con riferimento al procedimento di sorveglianza. Tuttavia, nel caso in cui all'udienza svoltasi in violazione di tale disciplina abbiano presenziato sia l'interessato che il suo difensore, e non sia stata sollevata alcuna eccezione circa la legittimità del processo, la relativa nullità deve ritenersi sanata.

Cass. pen. n. 4972/1994

Il procedimento di sorveglianza si svolge in camera di consiglio, secondo lo schema del procedimento di esecuzione, a norma degli artt. 678 e 666 c.p.p., che prevedono la partecipazione necessaria del difensore. Ciò significa che il difensore (di fiducia o d'ufficio) deve sempre essere avvisato della data dell'udienza e che se a questa non sia comparso il difensore di fiducia, dev'essere nominato all'interessato un difensore d'ufficio. Non trova, invece, applicazione l'art. 486, quinto comma, c.p.p., che prevede la sospensione od il rinvio del dibattimento ove il difensore sia legittimamente impedito dal momento che esso attiene al solo giudizio di cognizione, come la sua collocazione codicistica rivela.

Cass. pen. n. 3025/1993

La funzione svolta dal magistrato di sorveglianza a norma dell'art. 51 ter ord. pen. è cautelativa e non decisoria, risolvendosi in una provvisoria sospensione della misura alternativa; il relativo provvedimento non si pone, dunque, come un grado precedente di decisione rispetto a quella che promana dal tribunale di sorveglianza, sicché non sussiste incompatibilità a comporre il collegio di detto tribunale chiamato a decidere in ordine alla revoca della misura alternativa da parte del magistrato di sorveglianza che ne ha disposto la sospensione in via provvisoria, il quale, anzi, di norma, ne deve far parte (art. 70, comma sesto, ord. pen.).

Cass. pen. n. 2370/1993

Il procedimento davanti alla magistratura di sorveglianza è disciplinato, in forza dell'espresso rinvio dell'art. 678, primo comma, c.p.p., all'art. 666 dello stesso codice. L'inosservanza del terzo comma di tale articolo, concernente l'avviso all'interessato dell'udienza di discussione — che ha natura di decreto di citazione e deve essere notificato dall'ufficiale giudiziario — determina, al pari della mancata partecipazione del difensore (art. 666, quarto comma), una nullità di ordine generale ex art. 179 c.p.p., rilevabile anche di ufficio in ogni stato e grado del procedimento, inerendo alla costituzione del rapporto processuale.

Cass. pen. n. 4731/1993

Il procedimento di sorveglianza è assoggettato alle regole proprie degli altri procedimenti giurisdizionali, ivi compresa la disciplina circa la definitività dei provvedimenti in caso di esaurimento dell'iter delle impugnazioni e in caso di mancata impugnazione da parte degli aventi diritto. Ne consegue che le decisioni emesse in materia di misure alternative alla detenzione, una volta divenute definitive, impediscono di procedere a successivo riesame in relazione alla medesima situazione ed alle medesime condizioni già prospettate e decise. (Fattispecie in tema di richiesta di concessione dell'affidamento in prova al servizio sociale o della semilibertà).

Cass. pen. n. 2376/1992

In tema di riabilitazione da misure di prevenzione, prevista dall'art. 15 della L. 3 agosto 1988 n. 327, poichè detta norma prevede che per il relativo procedimento si applichino, in quanto compatibili, le disposizioni del codice di procedura penale che regolano il procedimento di riabilitazione da sentenze di condanna, ne consegue che la corte d'appello, tuttora competente funzionalmente a provvedere (non essendo stato il detto art. 15 della legge n. 327/88 abrogato dall'art. 683 del vigente codice di procedura penale, in base al quale la competenza per la riabilitazione ordinaria appartiene ora al tribunale di sorveglianza), deve comunque osservare, ai fini dell'adozione della propria decisione, le forme di cui all'art. 666, richiamato dall'art. 678 c.p.p. (nella specie, in applicazione del principio anzidetto, è stato annullato, per violazione del contraddittorio, il provvedimento con il quale la corte d'appello, de plano, aveva respinto l'istanza di riabilitazione proposta ai sensi dell'art. 15 della legge n. 327/88).

Cass. pen. n. 466/1992

In tema di misure di prevenzione, l'autorizzazione permanente al sorvegliato speciale di allontanarsi in determinate ore del giorno, per ragioni di lavoro, dal luogo anzidetto, implicando necessariamente un giudizio di diminuita pericolosità, non può che rientrare nelle previsioni di cui all'art. 7, comma secondo, della L. 27 dicembre 1956, n. 1423 e, pertanto, richiede l'osservanza delle forme di cui all'art. 4 comma quinto della medesima legge, il cui richiamo agli artt. 636 e 637 del codice di procedura penale previgente è da intendersi ora come riferito all'art. 678 del codice attuale, che a sua volta richiama l'art. 666 dello stesso codice.

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Consulenze legali
relative all'articolo 678 Codice di procedura penale

Seguono tutti i quesiti posti dagli utenti del sito che hanno ricevuto una risposta da parte della redazione giuridica di Brocardi.it usufruendo del servizio di consulenza legale. Si precisa che l'elenco non è completo, poiché non risultano pubblicati i pareri legali resi a tutti quei clienti che, per varie ragioni, hanno espressamente richiesto la riservatezza.

Stefano G. chiede
domenica 11/04/2021 - Lombardia
“Il caso: Condannato a 20 mesi di reclusione commutati in affidamento in prova ai servizi sociali per 13 mesi (5 mesi già scontati in carcere e ai domiciliari).
E' applicabile il l'art 54 del decreto L.vo 28 agosto 2000, n.274 - Lavoro di pubblica utilità ?

Nel caso di risposta positiva e visti i seguenti:
Comma 2: "Il lavoro di pubblica utilità non può essere inferiore a dieci giorni né superiore a sei mesi e consiste ..." Comma 3: "...se il condannato lo richiede, il giudice può ammetterlo a svolgere il lavoro di pubblica utilità per un tempo superiore alle sei ore settimanali";
Comma 4 "La durata giornaliera della prestazione non può comunque oltrepassare le otto ore";
Comma 5: "Ai fini del computo della pena, un giorno di lavoro di pubblica utilità consiste nella prestazione, anche non continuativa, di due ore di lavoro";

Formulo il seguente quesito: se sono affidato in prova ai servizi sociali per 13 mesi, con possibilità di ottenere la liberazione anticipata in circa 12 mesi, ossia 365 gg., ho estinto la condanna se svolgo lavori di pubblica utilità per 912 ore in ragione di 27 ore settimanali per sei mesi? E in questi sei mesi sono libero da restrizioni quali limitata possibilità di locomozione e il dover essere nel domicilio durante le ore notturne?”
Consulenza legale i 13/04/2021
Prima di rispondere al parere, è necessaria una premessa sul sistema sanzionatorio vigente nell’ordinamento italiano.

Il nostro codice penale prevede che il giudice della cognizione (dunque colui il quale è tenuto a giudicare il merito della vicenda penale), riconosciuta la responsabilità dell’imputato, possa comminare due tipi principali di sanzioni, quelle detentive e/o quelle pecuniarie, a seconda di quanto previsto dalla fattispecie penale.

Il codice Rocco (il codice penale vigente, per intenderci) ha, infatti, modificato il codice penale precedente (il codice Zanardelli) prediligendo un’impostazione della pena di tipo detentivo, così eliminando tutte le altre – e diverse – modalità di punizione precedenti che erano diverse dalla esclusiva comminazione della reclusione/arresto.
L’unica eccezione a tale sistema si rinviene proprio nella normativa approntata per il Giudice di Pace che può, in ragione della particolare tenuità dei reati affidati alla sua competenza, comminare pene anche di natura non detentiva, allorché ne sussistano i presupposti.

Fermo restando quanto sopra esposto, occorre un’ulteriore precisazione.

Nel nostro ordinamento è doveroso distinguere tra pene propriamente dette e misure alternative alla detenzione.
Le prime, come anzidetto, possono essere applicate solo dal giudice della cognizione penale, a seguito del riconoscimento della responsabilità dell’imputato; le seconde, invece, vengono applicate solo dal Tribunale di Sorveglianza sulla base di quanto stabilito dalle leggi dell’ordinamento penitenziario. Le misure alternative in questione, tuttavia, non sono affatto delle pene propriamente dette essendo soltanto delle modalità attraverso le quali eseguire, in via alternativa, la pena principale.

Per tale ragione, la risposta al quesito deve essere necessariamente negativa.

Non è affatto possibile pensare che il Tribunale di Sorveglianza applichi, al condannato, non già una misura alternativa, ma una pena “alternativa”, prevista per giunta solo per i reati di competenza del giudice di pace.

Un provvedimento del genere sarebbe assolutamente abnorme e, pertanto, totalmente inefficace.

Va, in ultimo, specificato che il diritto penale è sorretto da una stringente riserva di legge tale per cui non possono essere concesse misure alternative alla detenzione al di fuori di quelle previste dall’ordinamento penitenziario che sono. Tra queste, non è prevista alcuna misura che consenta al condannato, in luogo dell’esecuzione della pena, l’esecuzione di lavori di pubblica utilità.


G. S. chiede
sabato 02/11/2019 - Veneto
“Buongiorno! Sono un ergastolano al quale dall'anno 2008 è stata concessa la misura alternativa della detenzione domiciliare ai sensi dell'art. 47-ter comma 1 O.P. (sono portatore di un cuore artificiale). Il Tribunale di Sorveglianza abitualmente concede la proroga per un anno e poi l'anno successivo la ridiscute (anche se nel mio caso è abbastanza inutile in quanto posso solo peggiorare di salute). Ormai è dal 2014 che l'istanza con tutti gli aggiornamenti (anamnesi patologica remota/prossima, primarie necessità del detenuto ecc ecc) la formulo io e poi la firma il mio avvocato. Mi chiedevo se la possibilità di stare in giudizio personalmente e senza il ministero del difensore viene riconosciuta solo nell’ambito del processo civile oppure se è praticabile anche nell'ambito dell'esecuzione penale. Grazie!
Cordiali saluti

Consulenza legale i 07/11/2019
L’art. 47 ter dell’ordinamento penitenziario prevede che l’istanza volta ad ottenere le misure alternative alla detenzione sia proposta presso il Tribunale di Sorveglianza competente.

Dal canto suo, il codice di procedura penale, all’art. 678 stabilisce che il magistrato e il Tribunale di Sorveglianza procedono a richiesta del pubblico ministero, del difensore o dell’interessato.
Ciò vuol dire che la richiesta di applicazione della detenzione domiciliare può essere presentata anche senza l'ausilio del difensore.

In seguito all’istanza, tuttavia, viene fissata l’udienza in cui si dovrà discutere la richiesta e, purtroppo, nel corso della predetta udienza l’interessato dovrà essere necessariamente munito di un difensore.

Contrariamente al giudizio civile, invero, nel giudizio penale non è prevista la facoltà di “autodifendersi” tenuto conto della forte complessità del temi trattati e, soprattutto, degli interessi in ballo, soprattutto quello della libertà personale.

In conclusione, l’avvocato è indispensabile e irrinunciabile nel caso di specie, alla luce della necessità che questi discuta la richiesta di misura alternativa, pur potendo l’istanza essere proposta anche – e solo – dall’interessato.
Del resto non si potrebbe addossare al giudice l'onere di valutare, caso a caso, chi è in grado di di "difendersi" da solo e chi invece "no".
L'ordinamento giuridico vuole garantire al cittadino la possibilità di far valere i suoi diritti in maniera competente ed efficace. Per questo motivo (oltre che per garantire un funzionamento ordinato del procedimento giudiziario) prevede la necessità dell'assistenza obbligatoria di un avvocato, il quale si presume - per il tipo di studi fatto e l'abilitazione ottenuta all'esercizio della professione forense - dovrebbe garantire tale risultato.