Cass. civ. n. 21331/2013
La delibazione della sentenza ecclesiastica dichiarativa della nullità del matrimonio non produce alcun effetto di caducazione delle statuizioni contenute nella precedente sentenza dichiarativa della cessazione degli effetti civili del matrimonio relative all'obbligo di corresponsione dell'assegno divorzile, ove su tali statuizioni si sia formato il giudicato, ai sensi dell'art. 324 c.p.c., non costituendo in se stessa un "giustificato motivo" sopraggiunto, legittimante, ai sensi dell'art. 9, comma primo, della legge 1° dicembre 1970, n. 898, la revisione del provvedimento economico contenuto nella sentenza di divorzio.
Cass. civ. n. 10391/2012
La ripartizione del trattamento di reversibilità fra ex coniuge e coniuge superstite, va fatta "tenendo conto della durata del rapporto" cioè sulla base del criterio temporale, che, tuttavia, a seguito della sentenza della Corte costituzionale n. 419 del 1999, per quanto necessario e preponderante, non è però esclusivo, comprendendo la possibilità di applicare correttivi di carattere equitativo applicati con discrezionalità; fra tali correttivi è compresa la durata dell'eventuale convivenza prematrimoniale del coniuge superstite e dell'entità dell'assegno divorzile in favore dell'ex coniuge, senza mai confondere, però, la durata della prima con quella del matrimonio, cui si riferisce il criterio legale, nè individuare nell'entità dell'assegno divorzile un limite legale alla quota di pensione attribuibile all'ex coniuge, data la mancanza di qualsiasi indicazione normativa in tal senso.
Cass. civ. n. 3924/2012
La domanda di revisione dell'assegno di divorzio e quella riconvenzionale di riconoscimento di una quota di t.f.r. sono oggettivamente connesse ai sensi dell'art. 36 c.p.c., perché il diritto all'assegno, di cui si discute nel giudizio di revisione, è il presupposto di entrambe, non rilevando, inoltre, se il diritto alla quota del t.f.r. maturi successivamente alla sentenza di divorzio; pertanto, l'art. 40 c.p.c. ne consente il cumulo nello stesso processo, sebbene si tratti di azioni di per sé soggette a riti diversi.
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Il reclamo avverso i provvedimenti di modifica delle condizioni del divorzio, resi dal tribunale ai sensi dell'art. 9, primo comma, legge 1° dicembre 1970, n. 898, costituisce un mezzo di impugnazione, ancorché devolutivo, e come tale ha per oggetto la revisione della decisione di primo grado nei limiti del "devolutum" e delle censure formulate ed in correlazione alle domande proposte in quella sede con la conseguenza che in sede di reclamo, mentre possono essere allegati, stante la libertà di forme proprie del procedimento, fatti nuovi, non possono essere proposte nuove eccezioni in senso stretto, che snaturerebbero il reclamo stesso quale mezzo di impugnazione e, come tale, avente la funzione di rimuovere vizi del precedente provvedimento.
Cass. civ. n. 3635/2012
In tema di trattamento economico a favore del coniuge divorziato, ai fini del riconoscimento della pensione di reversibilità, in caso di morte dell'ex coniuge, occorre distinguere tra l'ipotesi di attribuzione di un assegno divorzile, che costituisce il presupposto necessario per il riconoscimento della pensione di reversibilità, e quella, alternativa, costituita dalla mera erogazione di una somma, anche rateizzata, ovvero del trasferimento di un altro bene o diritto, il cui conferimento preclude il riconoscimento, per il futuro, di una nuova domanda a contenuto economico, dovendosi ritenere che la suddetta corresponsione "una tantum" sia idonea a definire stabilmente i rapporti economici tra le parti e tale da determinare un miglioramento della situazione del beneficiario, incompatibile con ulteriori prestazioni aggiuntive, ivi compresi i trattamenti pensionistici.
Cass. civ. n. 30033/2011
È ammissibile la richiesta di assegno di divorzio nel procedimento per la modifica delle relative condizioni, ove esso non sia stato precedentemente chiesto, purché si dia conto di circostanze sopravvenute, rispetto alle statuizioni del divorzio operanti "rebus sic stantibus".
Cass. civ. n. 23471/2011
Nel giudizio di opposizione all'esecuzione, promossa sulla base di un provvedimento con il quale, all'esito del procedimento camerale di revisione delle condizioni stabilite con la sentenza di divorzio, si sia provveduto alla rideterminazione dell'assegno di mantenimento dovuto in favore del figlio, il giudice non è chiamato a decidere in ordine alla decorrenza dell'obbligo di corrispondere l'importo dell'assegno, ma esclusivamente ad interpretare il titolo posto a fondamento dell'azione esecutiva per accertare quale sia la decorrenza in esso prevista, senza possibilità di introdurre censure riguardanti l'interpretazione di norme di legge (come quelle di cui agli artt. 6 e 9 legge n. 898 del 1970), la cui applicazione è coperta dalla definitività del provvedimento posto a fondamento dell'azione esecutiva.
Cass. civ. n. 16744/2011
In tema di trattamento economico a favore del coniuge divorziato, il riconoscimento giudiziale della titolarità dell'assegno divorzile è condizione per l'attribuzione di una quota della pensione di reversibilità, mentre resta irrilevante la modalità solutoria del debito, pattuita fra le parti - come nella specie - in forma "una tantum", come espressamente consentito dall'art. 5, ottavo comma, della legge 1° dicembre 1970, n. 898, in via alternativa all'ordinaria corresponsione periodica.
Cass. civ. n. 12546/2011
È manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale, per contrarietà con l'art. 3 Cost., dell'art. 5 della legge 28 dicembre 2005, n. 263, norma di interpretazione autentica dell'art. 9 della legge 6 marzo 1987, n. 74, e come tale retroattiva ed applicabile ai giudizi in corso - secondo cui il diritto del coniuge divorziato alla pensione di reversibilità, o ad una quota di essa in caso di concorso con altro coniuge superstite, presuppone che il richiedente sia titolare, al momento della morte dell'ex coniuge, di un assegno di divorzio, giudizialmente riconosciuto ai sensi dell'art. 5 della legge predetta - sollevata per la sola circostanza che le variate necessità di vita, le quali in astratto avrebbero potuto consentire la modifica delle condizioni in caso di mutamento della situazione economica di uno degli ex coniugi, siano intervenute dopo il decesso del coniuge già titolare in vita del trattamento pensionistico, trattandosi di una ipotetica situazione di fatto atta a determinare, semmai, in caso di una sua autonoma rilevanza, un'irragionevole condizione di miglior favore rispetto a quella goduta allorquando l'ex coniuge era in vita.
Cass. civ. n. 10077/2011
Nel procedimento di revisione dell'assegno di divorzio, ai fini dell'adeguamento del predetto alla rivalutazione monetaria è ammissibile la domanda riconvenzionale, che sia introdotta dal coniuge convenuto, ai fini della riduzione dell'assegno stesso, poiché si tratta di pretesa strettamente collegata con quelle oggetto della domanda principale, implicante l'opportunità di un "simultaneus processus"; si tratta invero, pur se nel rito camerale, di un giudizio contenzioso, nel quale il giudice ha il dovere di pronunciarsi sulle domande ritualmente proposte, avendo tra l'altro la possibilità, nell'ambito di una loro trattazione congiunta, di valutare la complessiva situazione determinatasi e così se si siano verificate circostanze tali da giustificare la modifica di una decisione assunta "rebus sic stantibus".
Cass. civ. n. 18/2011
Il provvedimento di revisione dell'assegno divorzile postula l'accertamento di una sopravvenuta e significativa modifica delle condizioni economiche degli ex coniugi, secondo una valutazione comparativa idonea ad integrare i giustificati motivi di cui all'art. 9 della legge 1 dicembre 1970, n. 898 allorchè, come nella fattispecie, alla sopraggiunta incapacità, per ragioni di età e di salute, di uno di essi di mantenersi da solo, come in precedenza avvenuto con attività lavorative saltuarie, si contrapponga lo sviluppo, da parte dell'altro coniuge, di una buona capacità di reddito.
Cass. civ. n. 25564/2010
Ai fini della ripartizione del trattamento di reversibilità, in caso di concorso fra coniuge divorziato e coniuge superstite, sulla base della durata dei rispettivi matrimoni, si deve avere riguardo alla data della celebrazione, non rilevando che uno di essi (nella specie, quello celebrato presso l'ambasciata di Somalia a Roma) sia trascritto solo successivamente nell'ordinamento italiano, quando i coniugi abbiano incontestatamente goduto per tutto il periodo della sua durata un possesso di stato conforme all'atto di matrimonio, circostanza che, a norma dell'art. 131 c.c., sana ogni difetto di forma sin dalla sua celebrazione.
Cass. civ. n. 10222/2010
Come per tutti i provvedimenti conseguenti alla pronuncia di separazione o di divorzio, anche per l'assegnazione della casa familiare vale il principio generale della modificabilità in ogni tempo per fatti sopravvenuti, non essendo a ciò ostativa la mancanza di una espressa previsione nell'art. 9 della legge 1 dicembre 1970, n. 898, come sostituito dall'art. 13 della legge 6 marzo 1987 n. 74; la predetta modificabilità, al pari di quella prevista specificamente per l'affidamento dei figli, nonché per la misura e le modalità dell'assegno divorzile, costituisce infatti un principio generale che trascende la specifica previsione normativa, pur quando, come nella specie, l'originaria statuizione sia stata espressamente giustificata a titolo di integrazione delle disposizioni di carattere economico, sul presupposto, venuto meno in concreto, della presenza dei figli minori non economicamente autosufficienti, potendo semmai giustificarsi, in tale situazione, una rideterminazione dell'assegno divorzile.
Cass. civ. n. 11913/2009
In materia di revisione dell'assegno di divorzio, il diritto a percepirlo di un coniuge ed il corrispondente obbligo a versarlo dell'altro, nella misura e nei modi stabiliti dalla sentenza di divorzio, conservano la loro efficacia, sino a quando non intervenga la modifica di tale provvedimento, rimanendo del tutto ininfluente il momento in cui di fatto sono maturati i presupposti per la modificazione o la soppressione dell'assegno, con la conseguenza che, in mancanza di specifiche disposizioni, in base ai principi generali relativi all'autorità, intangibilità e stabilità, per quanto temporalmente limitata ("rebus sic stantibus"), del precedente giudicato impositivo del contributo di mantenimento, la decisione giurisdizionale di revisione non può avere decorrenza anticipata al momento dell'accadimento innovativo, rispetto alla data della domanda di modificazione.
Cass. civ. n. 8734/2009
La decisione giudiziale riguardante la ripartizione della pensione di reversibilità tra l'ex coniuge divorziato e il coniuge superstite al momento del decesso deve essere resa, ai sensi dell'art. 9 della legge 1 dicembre 1970, n. 898, nel testo vigente, con sentenza. Ne consegue che il provvedimento assunto dal giudice di secondo grado con decreto conserva la natura e il valore di sentenza, e può essere impugnato con ricorso per cassazione per vizi motivazionali, ex art. 360, primo comma, n. 5 c.p.c., anche prima dell'entrata in vigore del d.lgs. 2 febbraio 2006, n. 40.
Cass. civ. n. 28990/2008
In tema di assegno di mantenimento, deve ritenersi ammissibile, stante l'opportunità del "simultaneus processus" innanzi allo stesso giudice per la definizione delle questioni patrimoniali connesse, la proposizione della domanda di adeguamento dell'assegno di separazione nel corso del giudizio di divorzio, poiché questo è dovuto fino al passaggio in giudicato della sentenza che definisce detto giudizio; con la conseguenza che può convertirsi il contributo al mantenimento del coniuge separato in assegno provvisorio ai sensi dell'art. 4 della legge 1 dicembre 1970, n. 898 e con l'ulteriore conseguenza che, in pendenza del giudizio di divorzio, deve ritenersi preclusa dal divieto del "ne bis in idem" la medesima richiesta proposta in sede di modifica dei patti della separazione.
Cass. civ. n. 23880/2008
In presenza di un coniuge superstite avente i requisiti per la pensione di reversibilità, il diritto del coniuge divorziato ad una quota del trattamento di reversibilità dell'ex coniuge deceduto costituisce diritto autonomo d'indole previdenziale, limitato solo quantitativamente dall'omologo diritto spettante al coniuge superstite, il quale, dunque, nel giudizio volto alla ripartizione in quote dell'unica pensione di reversibilità che gli spetta in astratto, non ha interesse a dolersi della decorrenza data all'altrui diritto.
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In caso di scioglimento del rapporto di lavoro a causa di morte del dipendente, ai fini della ripartizione della indennità di fine rapporto tra coniuge divorziato e coniuge superstite del defunto, aventi entrambi i requisiti per la relativa attribuzione, va applicato il criterio della durata dei rispettivi matrimoni, di cui all'art. 9, terzo comma, della legge 1 dicembre 1970, n. 898, come sostituito dall'art. 13 della legge 1 marzo 1987, n. 74, riferito alla quota legale di spettanza del coniuge superstite, come previamente determinata, anche eventualmente in ragione del concorso con altri superstiti aventi diritto sul medesimo emolumento.
Cass. civ. n. 10578/2008
L'instaurazione del procedimento di revisione delle condizioni di divorzio non comporta acquiscenza tacita alla pronuncia di cessazione degli effetti civili del matrimonio, atteso che l'acquiescenza tacita prevista dall'art. 329 c.p.c. è riconducibile esclusivamente ad una impugnazione non ancora proposta, dovendosi altrimenti ricorrere, per il conseguimento dei medesimi effetti, ad una rinuncia espressa all'impugnazione.
Cass. civ. n. 18367/2006
Ove, a sostegno della richiesta di revisione nel senso della diminuzione o della soppressione dell'assegno di divorzio, siano allegati sopravvenuti oneri familiari dell'obbligato (derivanti, nella specie, dalla nascita di due figli, generati dalla successiva unione), il giudice deve verificare se detta sopravvenienza determini un effettivo depauperamento delle sue sostanze, facendo carico all'istante — in vista di una rinnovata valutazione comparativa della situazione delle parti — di offrire un esauriente quadro in ordine alle proprie condizioni economico-patrimoniali.
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In tema di revisione dell'assegno di divorzio, allorché a fondamento dell'istanza dell'ex coniuge obbligato, rivolta ad ottenere la totale soppressione del diritto al contributo economico, sia dedotto il miglioramento delle condizioni economiche dell'ex coniuge beneficiario (nella specie dipendente dall'acquisto per successione ereditaria della proprietà e della comproprietà di beni immobili), il giudice, ai fini dell'accoglimento della domanda, non può limitarsi a considerare isolatamente detto miglioramento, attribuendo ad esso una valenza automaticamente estintiva della solidarietà post-coniugale, ma — assumendo a parametro l'assetto di interessi che faceva da sfondo, e da risultato, al precedente provvedimento sull'assegno divorzile — deve verificare se l'ex coniuge, titolare del diritto all'assegno, abbia acquistato, per effetto di quel miglioramento, la disponibilità di «mezzi adeguati», ossia idonei a renderlo autonomamente capace, senza necessità di integrazioni ad opera dell'obbligato, di raggiungere un tenore di vita analogo a quello avuto in costanza di matrimonio.
Cass. civ. n. 18199/2006
La ripartizione del trattamento di reversibilità, in caso di concorso tra coniuge divorziato e coniuge superstite aventi entrambi i requisiti per la relativa pensione, deve essere effettuata, oltre che sulla base del criterio della durata dei rispettivi matrimoni, anche ponderando ulteriori elementi, correlati alla finalità solidaristica che presiede al trattamento di reversibilità, tra i quali va ricompresa la durata delle rispettive convivenze prematrimoniali. E siccome per convivenza prematrimoniale deve intendersi quella caratterizzata da un grado di stabilità e da comportamenti dei conviventi corrispondenti, in una effettiva comunione di vita, all'esercizio di diritti e doveri connotato da reciprocità e corrispettività, ad essa non può equipararsi il semplice fidanzamento non accompagnato da effettiva convivenza tra i promessi sposi. Il periodo di fidanzamento precedente al matrimonio tra i coniugi poi divorziatisi, pertanto, non può essere preso in considerazione ai fini della ripartizione del trattamento di reversibilità, a nulla rilevando che il matrimonio trovasse allora un (temporaneo) ostacolo in una condizione personale del fidanzato (il quale, come ufficiale dell'aeronautica, non poteva unirsi in matrimonio, secondo la legge applicabile ratione temporis, prima del compimento dei venticinque anni), né che il comune sentire sociale dell'epoca (nella specie, attorno al 1950) disapprovasse la convivenza more uxorio, soprattutto per un ufficiale.
Cass. civ. n. 17248/2006
La ripartizione della pensione di reversibilità tra ex coniuge e coniuge superstite deve essere determinata in relazione alla situazione esistente al momento del decesso al quale è collegato il beneficio previdenziale, e non può tenere conto di fatti sopravvenuti, atteso che l'art. 9, terzo comma, della legge n. 898 del 1970, e succ. modif., diversamente da quanto previsto dal primo comma dello stesso articolo, non contempla la possibilità di revisione della effettuata ripartizione della pensione di reversibilità in relazione alla sopravvenienza di giustificati motivi.
Cass. civ. n. 898/2006
In tema di procedimento per la modificazione dell'assegno di divorzio, al giudizio di secondo grado nascente dal reclamo è applicabile, pur in difetto di un espresso richiamo all'art. 342 c.p.c., il principio della specificità dei motivi di impugnazione, da tale norma sancito per il giudizio di appello.
Cass. civ. n. 5422/2006
Il diritto del coniuge divorziato alla pensione di reversibilità, o ad una quota di essa in caso di concorso con altro coniuge superstite — di cui all'art. 9 della legge 6 marzo 1987, n. 74 — presuppone (anche ai sensi dell'art. 5 della legge 28 dicembre 2005, n. 263, norma interpretativa, quindi retroattiva ed applicabile anche ai giudizi in corso) che il richiedente al momento della morte dell'ex coniuge sia titolare di assegno di divorzio giudizialmente riconosciuto ai sensi dell'art. 5 della legge predetta, non essendo sufficiente che egli versi nelle condizioni per ottenerlo e neppure che in via di fatto o anche per effetto di private convenzioni intercorse tra le parti abbia ricevuto regolari erogazioni economiche dal de cuius quando questi era in vita.
Cass. civ. n. 5378/2006
In tema di revisione dell'assegno di divorzio, la sopravvenuta diminuzione dei redditi da lavoro dell'obbligato è suscettibile di assumere rilievo, quale possibile giustificato motivo di riduzione o soppressione dell'assegno, ai sensi dell'art. 9 della legge n. 898 del 1970 — nel quadro di una rinnovata valutazione comparativa della situazione economica delle parti ed in quanto risulti oggettivamente idonea ad alterare l'equilibrio determinato al momento della pronuncia di divorzio — anche se dipendente da una libera scelta dello stesso obbligato riguardo all'oggetto ed alle modalità di svolgimento della propria attività lavorativa, quale, nella specie, quella di svolgere tale attività a tempo parziale, anziché a tempo pieno.
Cass. civ. n. 5060/2006
Ai fini della determinazione delle percentuali di riparto della pensione di reversibilità del de cuius tra il coniuge divorziato e quello superstite, nel caso in cui un cittadino italiano, già coniugato con una italiana, abbia successivamente acquisito la cittadinanza di uno Stato estero, con perdita di quella italiana, e contratto matrimonio con altra cittadina di quello Stato prima della entrata in vigore nello Stato italiano della legge sul divorzio, trovando applicazione, quanto ai rapporti tra i contraenti il primo matrimonio, l'art. 18 delle disposizioni sulla legge in generale (nel testo applicabile nella specie ratione temporis), secondo il quale i rapporti personali tra coniugi di diversa cittadinanza sono regolati dall'ultima legge nazionale comune, e cioè, nella specie, quella italiana, la durata del secondo matrimonio, pur valido alla stregua dell'ordinamento dello Stato estero, non può essere computata se non dalla data in cui, introdotto nell'ordinamento italiano l'istituto del divorzio, sia stata pronunciata la cessazione degli effetti civili del matrimonio contratto in Italia.
Cass. civ. n. 2338/2006
La revisione delle disposizioni della sentenza di cessazione degli effetti civili o di scioglimento di matrimonio concernenti gli assegni di divorzio e di mantenimento dei figli, regolate dall'art. 9 della legge 1 dicembre 1970 n. 898, presuppone la sopravvenienza di giustificati motivi, sicché deriva dallo stesso sistema la necessità di verificare, sino al momento della decisione del giudice di merito, anche in sede di reclamo, se tali motivi siano o meno sopravvenuti, estendendo l'ambito di valutazione ai nuovi elementi di fatto, attinenti alla domanda introduttiva del procedimento.
Cass. civ. n. 17320/2005
Ai sensi dell'art. 9 legge n. 898 del 1970 (così come modificato dall'art. 2 legge n. 436 del 1978 e dall'art. 13 legge n. 74 del 1987), le sentenze di divorzio passano in cosa giudicata «rebus sic stantibus», rimanendo cioè suscettibili di modifica quanto ai rapporti economici o all'affidamento dei figli, in relazione alla sopravvenienza di fatti nuovi, mentre la rilevanza dei fatti pregressi e delle ragioni giuridiche non addotte nel giudizio che vi ha dato luogo rimane esclusa in base alla regola generale secondo cui il giudicato copre il dedotto e il deducibile. Pertanto, nel caso di mancata attribuzione dell'assegno divorzile, in sede di giudizio di divorzio, per rigetto o per mancanza della relativa domanda, la determinazione dello stesso può avvenire solo in caso di sopravvenienza di giustificati motivi, concernenti la indisponibilità di mezzi adeguati e la impossibilità oggettiva di procurarseli, ovvero le condizioni o il reddito dei coniugi. Tale principio trova applicazione anche nella ipotesi in cui il coniuge divorziato che chiede per la prima volta l'assegno sia rimasto contumace nel giudizio di divorzio, non potendosi essere a lui riconosciuta una posizione diversa da quella del coniuge che, essendosi costituito, non abbia chiesto l'attribuzione di detto assegno.
Cass. civ. n. 15111/2005
La controversia tra l'ex coniuge e il coniuge superstite per l'accertamento della ripartizione — ai sensi dell'art. 9, comma terzo, della legge n. 898 del 1970, come sostituito dall'art. 13 della legge n. 74 del 1987 — del trattamento di reversibilità deve necessariamente svolgersi in contraddittorio con l'ente erogatore atteso che, essendo il coniuge divorziato, al pari di quello superstite, titolare di un autonomo diritto di natura previdenziale, l'accertamento concerne i presupposti affinché l'ente assuma un'obbligazione autonoma, anche se nell'ambito di una erogazione già dovuta, nei confronti di un ulteriore soggetto.
Cass. civ. n. 11793/2005
La sentenza di divorzio, in relazione alle statuizioni di carattere patrimoniale in essa contenute, passa in cosa giudicata rebus sic stantibus tuttavia, la sopravvenienza di fatti nuovi, successivi alla sentenza di divorzio, non è di per sè idonea ad incidere direttamente ed immediatamente sulle statuizioni di ordine economico da essa recate e a determinarne automaticamente la modifica, essendo al contrario necessario che i «giustificati motivi» sopravvenuti siano esaminati, ai sensi dell'art. 9 della legge 1 dicembre 1970, n. 898, e succ. modif., dal giudice da tale norma previsto, e che questi, valutati detti fatti, rimodelli, in relazione alla nuova situazione, ricorrendone le condizioni di legge, le precedenti statuizioni. Da tanto consegue che l'ex coniuge tenuto, in forza della sentenza di divorzio, alla somministrazione periodica dell'assegno divorzile, il quale abbia ricevuto la notifica di atto di precetto con l'intimazione di adempiere l'obbligo risultante dalla predetta sentenza, non può — in assenza di revisione, ai sensi del citato art. 9 della legge n. 898 del 1970, delle disposizioni concernenti la misura dell'assegno di divorzio da corrispondere all'ex coniuge — dedurre la sopravvenienza del fatto nuovo, in ipotesi suscettibile di determinare la modifica dell'originaria statuizione contenuta nella sentenza di divorzio, nel giudizio di opposizione a precetto, essendo del pari da escludere che il giudice di questa opposizione debba rimettere la causa al giudice competente ex art. 9 della legge n. 898 del 1970.(Nella specie l'obbligato, proponendo opposizione a precetto, aveva contestato il diritto dell'ex coniuge a procedere ad esecuzione forzata sostenendo che il diritto alla corresponsione periodica dell'assegno, al cui pagamento egli era stato condannato con la sentenza di divorzio, era venuto meno a seguito del passaggio in giudicato della sentenza della corte d'appello che aveva dichiarato efficace in Italia la pronuncia ecclesiastica di nullità del matrimonio concordatario celebrato tra i coniugi).
Cass. civ. n. 4291/2005
In tema di divorzio, il provvedimento di assegnazione della casa familiare é revocabile solo in presenza di circostanze fattuali sopravvenute alla sentenza divorzile, e modificatrici della situazione da questa considerata, le quali costituiscono il proprium del giudizio di revisione di cui all'art. 9 della legge n. 898 del 1970, come sostituito dall'art. 13 della legge n. 74 del 1987. (In applicazione del principio di cui alla massima, la S.C. ha cassato la decisione della corte di appello confermativa del decreto del tribunale che aveva motivato la disposta revoca del provvedimento di assegnazione della casa coniugale non già in ragione della verificazione di un evento posteriore alla sentenza di divorzio, tale da giustificare la revisione di detto provvedimento, ma alla stregua della insussistenza, nella specie, del presupposto dell'assegnazione stessa, individuato nella necessità di assicurare la continuità dell'abitazione ai figli conviventi minori o maggiorenni non autosufficienti economicamente, in quanto mancavano figli conviventi con l'ex coniuge assegnatario).
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La disposizione dell'art. 9 della legge 1 dicembre 1970 n. 898, come modificato dalla legge 6 marzo 1987 n. 74, là dove sancisce l'osservanza del procedimento in camera di consiglio (artt. 737 e ss. c.p.c.) per la revisione delle disposizioni concernenti l'affidamento dei figli e di quelle relative alla misura e alla modalità dei contributi da corrispondere ai sensi degli artt. 5 e 6, si riferisce anche alla revisione delle disposizioni relative all'assegnazione della casa familiare al coniuge più debole, la quale costituisce una modalità di assetto dei rapporti tra i divorziati da comprendere nel concetto giuridico di “contributi” indicato nell'enunciazione dell'art. 9, il cui rinvio agli artt. 5 e 6, disposto nell'ultima parte del primo comma, per essere totale, comprende anche l'assegnazione della casa familiare.
Cass. civ. n. 6272/2004
In tutti i procedimenti riguardanti le pretese del coniuge divorziato sulla pensione di reversibilità si applica il rito camerale; tuttavia, l'adozione del rito ordinario non costituisce motivo di nullità, sia perché questa non è sancita da alcuna norma, sia — in osservanza del principio di conservazione degli atti — perché il rito ordinario consente di raggiungere il medesimo risultato con maggiori garanzie per la difesa e per il contraddittorio.
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La controversia tra il coniuge superstite e l'ex coniuge per la ripartizione, ai sensi dell'art. 9 della legge n. 898 del 1970 (e succ. modif.), del trattamento di reversibilità non comporta la necessità della presenza in giudizio dell'Istituto che eroga la pensione, a differenza di quanto avviene nella diversa ipotesi, disciplinata dal secondo comma della citata disposizione, del rapporto tra l'ex coniuge e l'Istituto in assenza di un coniuge superstite. Ciò tuttavia non esclude che, anche in presenza di un coniuge superstite, la parte possa avere interesse a coinvolgere l'Istituto in giudizio, affinché la sentenza faccia stato anche nei suoi confronti e si eviti il rischio che esso assuma una posizione di estraneità rispetto al contenuto della decisione.
Cass. civ. n. 17018/2003
In tema di pensione di reversibilità da ripartire tra il coniuge superstite e l'ex coniuge superstite, tutte le volte in cui, per decisione del tribunale o per accordo dei divorziandi, sia stata determinata una forma di assegno la cui erogazione periodica non abbia a cessare con il decesso dell'obbligato, deve, cionondimeno, ritenersi soddisfatto il requisito della previa titolarità di assegno di cui all'art. 5 della legge per l'accesso alla pensione di reversibilità o, in concorso con il superstite, alla sua ripartizione, tale permanente erogazione non rilevando in alcun modo sull'an debeatur del credito all'intero o alla sua quota, ma soltanto sulla misura della quota (e cioè in una sede nella quale ben possono avere la giusta considerazione i rilievi afferenti alla permanente percezione dei ratei dello statuito assegno da parte del coniuge divorziato).
Cass. civ. n. 15164/2003
Ai fini della ripartizione del trattamento di reversibilità fra coniuge divorziato e coniuge superstite, aventi entrambi i requisiti per la relativa pensione, il criterio della durata dei rispettivi matrimoni, di cui all'art. 9, terzo comma, della legge n. 898 del 1970 (nel testo novellato dall'art. 13 della legge n. 74 del 1987), non ha valore esclusivo, dovendo il giudice — in ragione del carattere solidaristico dell'istituto — valutare, in relazione al caso concreto, anche ulteriori elementi, quali l'ammontare dell'assegno goduto dal coniuge divorziato prima del decesso dell'ex coniuge, le condizioni di ciascun coniuge, e ogni altra circostanza inerente alla particolarità della situazione (cfr. Corte Cost., sent. n. 419 del 1999); tra essi, assume rilievo nche la convivenza prematrimoniale del secondo coniuge con il de cuius la quale può essere assunta dal giudice come elemento della sua valutazione complessiva, e giustificare una ripartizione della pensione di reversibilità diversa da quella proporzionale alla durata dei rispettivi rapporti matrimoniali.
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In materia di ripartizione del trattamento pensionistico di reversibilità tra coniuge divorziato e coniuge superstite, le somme percepite dall'uno o dall'altro coniuge in base a sentenza di primo grado provvisoriamente esecutiva, riformata in appello, sono irripetibili nei soli limiti in cui siano riconducibili a prestazioni che, per la loro misura e le condizioni economiche del percettore, possano ritenersi dirette ad assicurare unicamente i mezzi economici necessari per far fronte alle esigenze di vita, così da essere normalmente consumate per adempiere a tale loro destinazione.
Cass. civ. n. 15148/2003
In tema di divorzio e con riguardo al trattamento economico del coniuge divorziato in caso di morte dell'ex coniuge, nel caso in cui il divorzio sia stato pronunciato e l'assegno di divorzio giudizialmente stabilito durante la vigenza della disciplina anteriore alla legge 6 marzo 1987, n. 74, e tuttavia il decesso del coniuge sia avvenuto dopo l'entrata in vigore della legge citata, la disciplina applicabile è quella dettata dall'art. 13 di quest'ultima (il quale ha, da ultimo, sostituito, introducendo un regime radicalmente innovativo, l'art. 9 della legge 1 dicembre 1970, n. 898), con la conseguenza che, unitamente al possesso degli altri requisiti, è sufficiente, al fine di poter aspirare alla pensione di reversibilità, o ad una quota di essa, che il coniuge divorziato sia titolare di assegno divorzile giudizialmente stabilito, senza che assumano rilievo la natura e l'entità dell'assegno stesso, nè le concrete successive vicende ad esso relative (prevedendo il citato art. 13 uno specifico procedimento giurisdizionale quale unico mezzo idoneo a determinare l'eventuale perdita della titolarità dell'assegno divorzile da parte del coniuge divorziato e, quindi, la mancanza del relativo requisito per poter aspirare alla pensione di reversibilità).
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In tema di divorzio, ai fini della individuazione dei criteri di ripartizione della pensione di reversibilità tra coniuge superstite e coniuge divorziato, ai sensi dell'art. 9, terzo comma, della legge 1 dicembre 1970, n. 898, come sostituito dall'art. 13 della legge 6 marzo 1987, n. 74, alla convivenza more uxorio tra coniuge superstite e coniuge deceduto deve essere riconosciuta, nell'ambito del criterio legale della durata del rapporto (inteso come durata legale del rapporto matrimoniale), anche alla luce dell'art. 2 Cost. e della giurisprudenza costituzionale, non soltanto, al pari di altri possibili e diversi criteri, una valenza «correttiva» dei risultati derivanti dall'applicazione del criterio temporale, bensì un distinto ed autonomo rilievo giuridico, a condizione che la detta convivenza sia caratterizzata da un grado di stabilità, nonchè da comportamenti dei conviventi corrispondenti, in una effettiva comunione di vita, all'esercizio di «diritti» e «doveri» connotato da reciprocità e corrispettività (caratteristiche che devono essere rigorosamente dimostrate dal coniuge superstite con idonei mezzi probatori).
Cass. civ. n. 11526/2003
L'art. 6, n. 1, della Convenzione di Bruxelles del 27 settembre 1968 — ratificata e resa esecutiva in Italia con legge 21 giugno 1971, n. 804 —, secondo il quale, in caso di pluralità di convenuti, il convenuto domiciliato nel territorio di uno Stato contraente può essere citato davanti al giudice nella cui circoscrizione è situato il domicilio di uno di essi, ha riguardo all'ipotesi del cumulo soggettivo di cui all'art. 33 c.p.c. e soccorre (come ha chiarito la Corte di giustizia nella sentenza 27 settembre 1988, in causa C-189/87) se le varie domande promosse da uno stesso attore nei confronti di più convenuti hanno tra loro un vincolo di connessione tale da rendere opportuna un'unica trattazione e decisione, onde evitare soluzioni che potrebbero essere tra loro incompatibili se le cause fossero decise separatamente. Pertanto, sussiste la giurisdizione del giudice italiano nel caso di domanda di revisione delle disposizioni contenute nella sentenza di divorzio — ex art. 9 della legge n. 898 del 1970, come sostituito dall'art. 13 della legge n. 74 del 1987 —, con riferimento all'obbligo di mantenimento per il figlio maggiorenne, proposta nei confronti sia dell'ex coniuge che del figlio, soltanto uno dei quali domiciliato in Italia.
Cass. civ. n. 3384/2003
Esula dal novero delle controversie previdenziali, soggette al rito speciale di cui all'art. 442, c.p.c., ed è, quindi, attribuita al tribunale secondo il rito ordinario, ai sensi dell'art. 9 della legge n. 898 del 1970, la controversia tra l'ex coniuge divorziato ed il coniuge superstite avente ad oggetto la ripartizione tra essi della quota di pensione reversibile, in quanto il relativo giudizio riguarda esclusivamente la quantificazione di siffatte quote in applicazione dei criteri stabiliti dalla legge n. 898 del 1970 e non involge profili concernenti il rapporto assicurativo e previdenziale con l'ente previdenziale, che già corrisponda il relativo trattamento per intero al coniuge superstite e che sia stato chiamato in giudizio al solo fine di rendergli opponibile la sentenza. (Fattispecie relativa a spostamento della competenza territoriale in relazione alla ritenuta applicabilità del rito previsto per le controversie previdenziali).
Cass. civ. n. 113/2003
In caso di revisione dell'assegno di divorzio, ai sensi dell'art. 9 della legge n. 898 del 1970, il giudice può stabilire che il nuovo importo dello stesso decorra dalla data della domanda di revisione, e non da quella della decisione su di essa, in analogia con quanto dispone l'art. 445 c.c. per le pronunce in tema di alimenti, al pari delle quali quelle
ex art. 9 cit. hanno natura non costitutiva, ma determinativa dell'entità della somministrazione di denaro connessa a uno
status (di coniuge divorziato) del quale la parte è già titolare, e in applicazione del principio generale secondo il quale un diritto non può restare pregiudicato dal tempo necessario per farlo valere in giudizio.
Cass. civ. n. 14004/2002
L'accertamento del diritto all'assegno di divorzio va effettuato verificando l'adeguatezza dei mezzi economici a disposizione del richiedente a consentirgli il mantenimento di un tenore di vita analogo a quello goduto in costanza di matrimonio, o che poteva legittimamente e ragionevolmente fondarsi su aspettative maturate nel corso del matrimonio, fissate al momento del divorzio, mentre la liquidazione in concreto dell'assegno, ove sia riconosciuto tale diritto per non essere il coniuge richiedente in grado di mantenere con i propri mezzi detto tenore di vita, va compiuto in concreto tenendo conto delle condizioni dei coniugi, delle ragioni della decisione, del contributo personale ed economico dato da ciascuno alla conduzione familiare ed alla formazione del patrimonio di ognuno e di quello comune, del reddito di entrambi, valutandosi tutti i suddetti elementi anche in rapporto alla durata del matrimonio. Ne consegue che la domanda di soppressione dell'assegno, ai sensi dell'art. 9 della legge n. 898 del 1970 (nel testo modificato dall'art. 13 della legge n. 74 del 1987) — in relazione alla sopravvenienza di “giustificati motivi” che si alleghi essere costituiti dal sopravvenire di maggiori redditi per il destinatario dell'assegno — implica una reiterata valutazione comparativa della situazione delle parti, tenendo conto dei redditi di ciascuna di esse, allo scopo di assicurare, con il minore sacrificio possibile per l'obbligato, il mantenimento, per il titolare dell'assegno, del tenore di vita che l'art. 5 della legge stessa ha inteso, quanto meno in via tendenziale, garantire.
Cass. civ. n. 13060/2002
Allorquando l'assegno di divorzio, attribuito allo scopo di evitare l'apprezzabile deterioramento delle precedenti condizioni di vita del coniuge richiedente, pur essendo di natura eminentemente assistenziale, sia destinato — nei fatti — a soddisfare, per la sua non elevata entità,mere esigenze di carattere alimentare, esso non si differenzia dall'assegno di mantenimento corrisposto in sede di separazione, con la conseguenza che le somme corrisposte a tale titolo, nel caso in cui venga meno il diritto all'assegno o se ne riduca l'entità, non sono suscettibili di ripetizione.
Cass. civ. n. 10458/2002
In presenza di un coniuge superstite avente i requisiti per la pensione di reversibilità, il diritto del coniuge divorziato ad una quota del trattamento di reversibilità (art. 9, comma terzo, dell'art. 9, legge n. 898 del 1970 nel testo novellato dall'art. 13 della legge n. 74 del 1987) dell'ex coniuge deceduto, costituisce non soltanto un diritto avente natura e funzione di prosecuzione del precedente assegno di divorzio, ma un autonomo diritto (avente natura previdenziale al pari di quel diritto che si configura invece — ai sensi del secondo comma dell'art. 9 cit. — allorché manchi un coniuge superstite avente i requisiti per la pensione di reversibilità) al trattamento di reversibilità, che l'ordinamento gli attribuisce, condizionandolo alla mancanza di passaggio a nuove nozze da parte dello stesso ed alla titolarità dell'assegno di cui all'art. 5 della citata legge n. 898 del 1970, e cioè dell'assegno la cui somministrazione fosse stata disposta, con la sentenza di divorzio, sul presupposto della mancanza di mezzi di mantenimento adeguati o della impossibilità di procurarseli per ragioni oggettive. Pertanto, in tale ipotesi, la pensione di reversibilità ha uno dei suoi necessari elementi genetici nella titolarità attuale dell'assegno di divorzio (come riconosciuto anche dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 419 del 1999), con la conseguenza che il relativo diritto compete solo nei casi in cui, in sede di regolamentazione dei rapporti economici al momento del divorzio, le parti non abbiano convenuto la corresponsione di un capitale una tantum. Così interpretata, la previsione normativa di cui agli artt. 9, terzo comma, e 5, sesto comma, della legge n. 898 del 1970 manifestamente non si pone in contrasto con l'art. 3 della Costituzione.
Cass. civ. n. 4202/2001
Una volta che nel giudizio con il quale sia stata chiesta la cessazione degli effetti civili di un matrimonio concordatario venga accertata la spettanza, ad una delle parti, dell'assegno di divorzio, ed una volta che su di essa si sia formato il giudicato, la relativa statuizione si rende intangibile ai sensi dell'art. 2909 c.c. anche nel caso in cui successivamente ad essa sopravvenga la delibazione di una sentenza ecclesiastica di nullità del matrimonio.
Cass. civ. n. 3037/2001
L'adozione del rito camerale per i procedimenti relativi a tutte le pretese del coniuge divorziato aventi ad oggetto la pensione di reversibilità trova applicazione anche dopo la novella n. 74 del 1987 (per effetto della quale è stato soppresso l'ultimo comma dell'art. 9 della L. n. 898/1970, secondo il quale, nei procedimenti de quibus, il tribunale «provvede in camera di consiglio», non rilevando che quest'ultima, riformulando con l'art. 13 le disposizioni del citato art. 9, L. n. 898/1970, contempli esplicitamente l'adozione del rito predetto solo con riferimento alla revisione delle disposizioni concernenti l'affidamento dei figli e di quelle riguardanti la misura e le modalità dei contributi da corrispondere ai sensi degli artt. 5 e 6 stessa legge.
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Il procedimento introdotto con domanda giudiziale diretta alla ripartizione, tra gli aventi diritto, della pensione di reversibilità spettante all'ex coniuge superstite va definito con un provvedimento avente forma di sentenza, giusto disposto dell'art. 9, comma quinto della L. n. 898/1970 (come sostituito dall'art. 13 della L. n. 74/1987), con la conseguenza che il provvedimento stesso deve, comunque, presentare (a prescindere dalla forma, contenziosa o camerale, del procedimento) i requisiti formali essenziali della sentenza, tra cui la sottoscrizione del giudice (art. 132, comma secondo, n. 5, c.p.c.). È, pertanto, del tutto legittimo il provvedimento sottoscritto dal solo presidente del collegio tutte le volte in cui questi, essendo stato relatore della causa, ne risulti altresì l'estensore (sulla base dell'indicazione espressa di tali rispettive qualità).
Cass. civ. n. 282/2001
L'art. 9, comma terzo, della L. n. 898 del 1970, nel testo novellato dall'art. 13 della L. n. 74 del 1987, prevede che, nella ripartizione della pensione di reversibilità tra il coniuge superstite e l'ex coniuge, occorre tener conto della durata del matrimonio, nel senso che non è possibile prescindere dall'elemento temporale, e che ad esso può essere attribuito, secondo le circostanze, valore preponderante e anche decisivo. Ma tale criterio, nel contesto normativo, anche a seguito della sentenza della Corte costituzionale n. 419 del 1999, non si pone come unico ed esclusivo parametro cui conformarsi automaticamente ed in base ad un mero calcolo matematico, potendo essere corretto da altri criteri, in relazione alle particolarità del caso concreto, nella misura in cui ciò sia necessario per evitare, per quanto possibile, che l'ex coniuge sia privato dei mezzi necessari a mantenere il tenore di vita che gli avrebbe dovuto assicurare (o contribuire ad assicurare) nel tempo l'assegno di divorzio, ed il secondo coniuge del tenore di vita che il de cuius gli assicurava (o contribuiva ad assicurargli) in vita. In tale ottica, anche la esistenza di un periodo di convivenza prematrimoniale del secondo coniuge, può essere assunta dal giudice come elemento della sua valutazione complessiva, ma solo in relazione al suddetto fine perequativo, e non quale indice di per sé giustificativo del computo del relativo periodo ai fini della ripartizione della pensione.
Cass. civ. n. 14022/2000
Il rito adottato dal legislatore, con l'art. 9 della legge sul divorzio, ai fini della modificazione dell'assegno divorzile, risulta regolato, in via generale, dagli artt. 737 ss., c.p.c., e, quanto alle forme, in parte risulta disciplinato espressamente da tale normativa, mentre, nella parte non regolata, risulta rimesso nel suo svolgimento — che è attuato con impulso di ufficio — alla disciplina concretamente dettata dal giudice la quale dovrà garantire il rispetto del principio del contraddittorio e di quello del diritto di difesa. Da ciò deriva, quanto al procedimento di primo grado, che in esso non vigano le preclusioni previste per il giudizio di cognizione ordinario, con la conseguenza che in esso: 1) potranno essere proposte per tutto il corso di esso domande nuove, anche riconvenzionali, in conformità delle direttive dettate dal giudice nella gestione del processo, senza con ciò peraltro che la loro eventuale mancata proposizione possa impedirne la proposizione in separato giudizio; 2) potranno essere ammesse altresì prove nuove, anche in correlazione con i fatti sopravvenuti dedotti nel corso del processo; fatti che — peraltro — anche in questo caso il giudice dovrà e potrà prendere in esame se ed ove dedotti e sempre nei limiti delle domande proposte. Più in particolare trattasi di un procedimento svolgentesi nell'interesse delle parti ed anche nel quale — diversamente da quanto accade nel caso in cui si tratti di modifica dell'assegno di mantenimento di figli minori — vige il principio della domanda e della corrispondenza fra il «chiesto» ed il «pronunciato», investendo l'«officiosità del procedimento» unicamente il profilo dell'impulso al suo svolgimento, ed, in certa misura (ai sensi dell'art. 738, comma terzo) l'acquisizione di materiale probatorio. Quanto poi al giudizio di secondo grado nascente dal «reclamo», fermo che quest'ultimo costituisce un mezzo di impugnazione avente carattere «devolutivo» e come tale ha per oggetto la revisione della decisione di primo grado nei limiti del devolutum e delle censure formulate ed in correlazione alle domande formulate in quella sede, in esso giudizio, mentre possono essere allegate — stante la libertà di forme proprie del procedimento — fatti nuovi, non possono essere proposte domande nuove, in quanto queste ultime snaturerebbero la natura del reclamo quale mezzo di impugnazione e, come tale, avente la funzione di rimuovere vizi del precedente provvedimento.
Cass. civ. n. 12389/2000
Ai fini dell'integrazione della fattispecie costitutiva del diritto dell'ex coniuge alla pensione di reversibilità ai sensi dell'art. 9 legge sul divorzio, è necessaria (anche alla luce dei principi affermati dalla Corte cost. con la sentenza n. 87 del 1995) la titolarità dell'assegno di divorzio giudizialmente riconosciuta; la medesima sussiste anche quando l'attribuzione è effettuata a seguito di domanda congiunta di divorzio, posto che gli effetti relativi ai rapporti economici tra i coniugi, anche se risultanti dagli accordi intervenuti tra gli stessi, si producono per mezzo della pronuncia del Tribunale, che decide con sentenza all'esito della valutazione dei presupposti di cui all'art. 4 legge sul divorzio e non si limita, come nell'omologazione della separazione consensuale, ad esercitare un potere di controllo su atti posti in essere da altri soggetti e destinati a conservare la loro autonomia logico-giuridica, ma ingloba e fa proprie, come mero presupposto della decisione, le pattuizioni intervenute tra le parti.
Cass. civ. n. 2920/2000
L'art. 9, terzo comma, della L. n. 898 del 1970, nel testo vigente, prevede che nella ripartizione della pensione di reversibilità fra il coniuge superstite e l'ex coniuge occorre tener conto della durata del matrimonio, nel senso che non è possibile prescindere dall'elemento temporale, e che ad esso può essere attribuito, secondo le circostanze, valore preponderante ed anche decisivo. Ma tale criterio, nel contesto normativo, non si pone come unico ed esclusivo parametro cui conformarsi automaticamente ed in base ad un mero calcolo matematico. Nel suo apprezzamento il giudice potrà ponderare ulteriori elementi, correlati alle finalità che presiedono al diritto di reversibilità, da utilizzarsi, eventualmente, quali correttivi del risultato che conseguirebbe all'applicazione del mero criterio temporale. Esigenze di coordinamento sistematico (anche a seguito della sentenza della Corte costituzionale n. 419 del 1999) portano ad individuare nell'ambito dello stesso art. 5 (sesto comma) tali ulteriori elementi di giudizio, tra i quali potranno assumere specifico rilievo l'ammontare dell'assegno goduto dal coniuge divorziato prima del decorso dell'ex coniuge e le condizioni dei soggetti coinvolti nella vicenda matrimoniale. Se, infatti, la funzione dell'assegno divorzile è eminentemente assistenziale, anche questo profilo deve essere suscettibile di valutazione in funzione correttiva del criterio, non eludibile, dell'elemento temporale.
Cass. civ. n. 2381/2000
Nelle controversie relative alla modifica delle condizioni patrimoniali imposte con sentenza di divorzio, con riferimento al mantenimento dei figli minori, che rientrano tra quelle per le quali è previsto l'intervento obbligatorio del P.M., ai sensi dell'art. 9 della L. n. 898 del 1970, come modificato dall'art. 13 della L. n. 74 del 1987, è sufficiente, al fine di assicurare l'osservanza di detto precetto normativo, che l'ufficio del P.M. venga ufficialmente informato del procedimento, affinché il suo rappresentante sia posto in grado di intervenire e di esercitare i poteri attribuitigli dalla legge, restando irrilevante che in concreto egli non partecipi alle udienze e non formuli conclusioni.
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La mancata partecipazione del P.M. nei giudizi relativi alla revisione dell'assegno per il mantenimento dei figli minori di genitori divorziati può essere fatta valere come motivo di gravame solo da chi intende salvaguardare gli interessi dei figli stessi, e non, quindi, dal genitore che, chiedendo che sia ridotta, o azzerata, la misura dell'assegno posto a suo carico, mira a contrastare quell'interesse, per la cui tutela è disposta la garanzia della partecipazione del P.M.
Cass. civ. n. 1222/2000
Ove, oltre al coniuge divorziato ed al coniuge superstite, esistano anche figli del lavoratore defunto (e/o altri parenti od affini a suo carico) aventi diritto alla indennità di buonuscita ai sensi dell'art. 2122 c.c., dal coordinamento di tale disposizione con l'art. 9 della legge 898/70 si estrae complessivamente la regola che al coniuge divorziato, nella fattispecie considerata (di concorso di plurimi aventi diritto), va attribuita una quota della quota del coniuge superstite; per cui, tra i due (od eventualmente più) coniugi, dovrà in pratica, suddividersi la quota di spettanza del coniuge superstite, come previamente determinata in ragione del concorso di questi con gli altri superstiti aventi diritto
ex art. 2122, comma primo, c.c. Devesi, per altro, precisare, ai fini di tale preventiva determinazione, che dei due criteri all'uopo indicati dal predetto art. 2122 c.c. — secondo il quale «la ripartizione della indennità se non vi è accordo tra gli aventi diritto (primo), deve farsi secondo il bisogno di ciascuno (secondo)» —non risulta applicabile, giacché incompatibile, il primo, e rileva quindi unicamente il successivo (ripartizione «secondo il bisogno»).
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L'espressione «altri assegni» contenuta nell'art. 9, nuovo testo, L. n. 898/1970 deve intendersi riferita ad ogni attribuzione anche solo in senso lato previdenziale spettante in dipendenza della morte all'ex coniuge. Anche con riguardo agli «altri assegni», tra i quali rientra l'indennità di buonuscita, il citato art. 9, terzo comma, attribuisce al coniuge divorziato una «quota» formante oggetto di un suo diritto autonomo, che trova la sua fonte diretta nella qualità stessa di ex coniuge in relazione alla funzione e disciplina (concorrentemente) previdenziale dell'emolumento in questione. Il diritto del coniuge divorziato ha natura, quindi, identica a quella del diritto riconosciuto al coniuge superstite, sì che l'un diritto non deriva dall'altro ma entrambi concorrono fra loro in pari grado ed allo stesso titolo (e cioè, iure proprio), in ragione della durata dei rispettivi rapporti di coniugio.
Cass. civ. n. 412/2000
È ammissibile il ricorso per cassazione ai sensi dell'art. 111, secondo comma, Cost. proposto avverso la pronuncia assunta in sede di appello, ai sensi dell'art. 9 legge divorzio, con il quale si denuncia l'omessa verifica da parte del giudice di merito dell'effettiva sussistenza di una modificazione delle condizioni economiche dell'istante tali da giustificare il riconoscimento all'ex coniuge di un assegno di mantenimento originariamente non previsto; tale omissione integra infatti il vizio di violazione di legge in relazione agli artt. 5 e 9 della legge sul divorzio.
Cass. civ. n. 13044/1999
L'assegno erogato dall'Inail per infortunio sul lavoro ha natura risarcitoria e non previdenziale, e da ciò consegue che il coniuge divorziato il quale non sia qualificabile come erede non abbia alcuna legittimazione sostanziale alla richiesta, a titolo di reversibilità, di quota del relativo importo corrisposto, al coniuge superstite (e ad eventuali altri eredi), mortis causa.
Cass. civ. n. 4902/1999
Non è causa né di inammissibilità né di improponibilità della domanda (né, tantomeno, di rigetto della medesima) la mancata produzione, da parte dell'ex coniuge superstite, dell'atto notorio dal quale risultino “tutti gli eventuali aventi diritto” in caso di richiesta di attribuzione, a titolo di assegno divorzile, di una quota della pensione di reversibilità erogata dall'Inps al coniuge superstite. A tale, mancata produzione consegue, difatti, il solo effetto che il richiedente, dichiarando implicitamente, di essere l'unico avente diritto all'attribuzione di una quota di pensione, si assume la relativa responsabilità nel caso di dichiarazione non rispondente al vero, al pari di quanto avviene nell'ipotesi in cui, nell'atto notorio, non siano indicati tutti gli aventi diritto, ma solo alcuni di essi.
Cass. civ. n. 379/1999
L'art. 9 della legge n. 898 del 1970 prevede la partecipazione del pubblico ministero al procedimento di revisione delle condizioni di divorzio soltanto «per i provvedimenti relativi ai figli», pertanto la suddetta partecipazione non è necessaria nei procedimenti che hanno ad oggetto la misura dell'assegno spettante all'ex coniuge.
Cass. civ. n. 12540/1998
In tema di divorzio, l'art. 13 della legge 6 marzo 1987, n. 74, sostituendo l'art. 9 della legge 1 dicembre 1970, n. 898 (come riformulato dall'art. 2 della legge 1 agosto 1978, n 436), ha introdotto un regime radicalmente diverso, sia sul piano sostanziale che su quello processuale, rispetto alla disciplina previgente sul trattamento economico del divorziato a seguito del decesso dell'ex coniuge avente diritto a pensione che non abbia lasciato un coniuge superstite avente titolo a pensione di reversibilità. Mentre, infatti, alla stregua del predetto art. 2 della legge n. 436 del 1978, il trattamento attribuibile al coniuge divorziato in tale ipotesi consisteva in una prestazione patrimoniale di natura non ontologicamente previdenziale, rimessa alla discrezionalità del giudice in relazione sia all'an che al quantum, e determinabile dal Tribunale ordinario, secondo il rito della camera di consiglio, secondo le più recenti disposizioni, il diritto del divorziato non dipende da una pronuncia giudiziale, ed il quantum dell'attribuzione varia automaticamente secondo la dinamica incrementativa prevista per quella pensione, mentre le eventuali controversie sono attribuite alla competenza degli organi giurisdizionali cui è istituzionalmente affidata la cognizione delle controversie in materia di trattamenti previdenziali (in via generale, giudice del lavoro; Corte dei conti, se la pensione sia a carico dello Stato. Dalla descritta differenziazione tra la disciplina previgente e quella attuale, deriva la profonda diversificazione, quanto a petitum, a causa petendi e a regime processuale, dell'azione diretta all'attribuzione ex art. 13 della legge n. 74 del 1987 rispetto a quella prevista dall'art. 2 della legge n. 436 del 1978. Ne consegue che, ove con l'atto introduttivo dell'azione giudiziale il divorziato abbia fondato la sua pretesa su uno dei richiamati regimi, la successiva richiesta, nel corso del medesimo giudizio, dell'attribuzione, in alternativa, del trattamento previsto nell'altro regime realizza una inammissibile mutatio libelli. Né il giudice che accerti l'infondatezza della domanda sulla base del regime invocato può decidere alla stregua dell'altro, essendo carente del potere di sostituire d'ufficio un'azione diversa a quella formalmente ed espressamente proposta.
Cass. civ. n. 8654/1998
I provvedimenti di cui all'art. 9, primo comma, L. 898/70 in tema di assegno di divorzio devono ritenersi pronunciati “allo stato degli atti”, attesane la funzione di bilanciamento e riequilibrio degli interessi contrapposti degli ex coniugi, con conseguente possibilità di loro revisione (in aumento o in diminuzione, sino addirittura alla radicale elisione dell'assegno), in qualsiasi tempo, per effetto del mutamento delle condizioni economiche delle parti, e senza che il coniuge resistente possa efficacemente opporre, alla controparte, l'eventuale exceptio iudicati.
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Il provvedimento di revisione dell'assegno divorzile postula non soltanto l'accertamento di una sopravvenuta modifica delle condizioni economiche degli ex coniugi, ma anche la idoneità di tale modifica ad immutare il pregresso assetto patrimoniale realizzato con il precedente provvedimento attributivo dell'assegno, secondo una valutazione comparativa delle condizioni economiche di entrambe le parti. Nella particolare ipotesi in cui il motivo di revisione si appalesi di consistenza tale da condurre alla revoca, tout court, dell'assegno divorzile, è indispensabile, poi, procedere al rigoroso accertamento della effettività dei predetti mutamenti e verificare l'esistenza di un nesso di causalità tra essi e la nuova situazione patrimoniale conseguentemente instauratasi, onde dedurne, con motivato convincimento, la circostanza che l'ex coniuge titolare dell'assegno abbia acquisito la disponibilità di mezzi adeguati e del tutto idonei a conservargli un tenore di vita analogo a quello condotto in costanza di matrimonio.
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La norma di cui all'art. 334, primo comma, c.p.c. (secondo la quale la parte nei cui confronti sia stata proposta impugnazione può, a sua volta, impugnare la sentenza nonostante il decorso del termine di gravame — cosiddetta “impugnazione tardiva” —, investendo qualsiasi capo della pronuncia) è espressione di un principio generale delle sistema delle impugnazioni, applicabile anche ai giudizi camerali aventi ad oggetto contrapposte posizioni di diritto soggettivo e destinati a concludersi con provvedimenti di carattere decisorio. Ne consegue che, nell'ambito della fase del gravame di un procedimento instaurato, ex art. 9 della L. n. 898 del 1970, per l'esonero dall'obbligo di versamento dell'assegno divorzile, il resistente è legittimato ad avanzare le proprie richieste di modifica del decreto impugnato indipendentemente dalla scadenza del termine per la proposizione del reclamo in via principale.
Cass. civ. n. 8427/1998
La norma di cui all'art. 9 della L. 898/70, nel consentire la revisione delle condizioni del divorzio relative (tra l'altro) ai rapporti economici per sopravvenienza di “giustificati motivi”, può essere legittimamente applicata anche all'ipotesi in cui l'assegno divorzile sia stato originariamente negato ovvero non abbia costituito oggetto di richiesta al momento del divorzio, senza che assuma, all'uopo, rilievo la circostanza del decorso di un lungo periodo di tempo tra la sentenza di divorzio e la sopravvenuta richiesta, stante la imprescrittibilità e la irrinunciabilità del diritto all'assegno. L'apprezzamento della rilevanza dei fatti sopravvenuti (onde inferirne l'esistenza dei “giustificati motivi” richiesti dalla norma) va, anche in tal caso, compiuto con riguardo alla natura ed alla funzione dell'assegno divorzile — rivolto ad assicurare, in ogni tempo, la disponibilità di quanto necessario al godimento di un tenore di vita adeguato alla pregressa posizione economico-sociale dell'ex coniuge sulla base di una valutazione comparativa della rispettiva situazione delle parti ed in proporzione alle sostanze dell'obbligato —, così che “fatti sopravvenuti” potranno legittimamente dirsi i mutamenti delle condizioni patrimoniali di uno o di entrambi i coniugi, attesane la potenziale idoneità a variare i termini della situazione di fatto e ad alterare l'equilibrio economico accertato al momento della pronuncia di divorzio.
Cass. civ. n. 159/1998
Il diritto al trattamento di reversibilità, previsto, dall'art. 9, comma secondo, della legge n. 898 del 1970 nel testo novellato dall'art. 13 legge 6 marzo 1987, n. 74, a favore del coniuge divorziato, in assenza di un coniuge superstite avente i requisiti per la pensione di reversibilità, purché il rapporto da cui trae origine il trattamento pensionistico sia anteriore alla sentenza di divorzio, e purché sussistano gli ulteriori requisiti della titolarità dell'assegno di divorzio e del mancato passaggio a nuove nozze, sorga nel coniuge divorziato, in via autonoma ed automatica, nel momento della morte del pensionato, in forza di un'aspettativa maturata, sempre in via autonoma e preventiva, nel corso della vita matrimoniale, sicché è insuscettibile di essere vanificato dal successivo decorso degli eventi relativi al rapporto matrimoniale. Esso — inoltre — non rappresenta la continuazione — mutato il debitore — del diritto all'assegno divorzile del quale era titolare nei confronti dell'ex coniuge avanti la sua morte, ma un autonomo diritto di natura squisitamente previdenziale, alla pensione di reversibilità, collegato automaticamente alla fattispecie legale, di modo che prescinde da ogni pronuncia giurisdizionale che, ove necessaria, ha natura meramente dichiarativa.
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Nel caso di concorso fra coniuge divorziato e coniuge superstite, aventi entrambi i requisiti per la pensione di reversibilità, ai fini della determinazione (ex art. 9, comma terzo, della legge n. 898 del 1970, nel testo novellato dall'art. 13 della legge n. 74 del 1987) della quota da attribuirsi al coniuge divorziato (o — più puntualmente — ai fini della ripartizione del trattamento di reversibilità tra il coniuge superstite e quello divorziato) non possono essere utilizzati criteri diversi da quello della «durata del rapporto» matrimoniale, ossia dal semplice dato numerico rappresentato dalla proporzione fra le estensioni temporali dei rapporti matrimoniali degli stessi coniugi con l'ex coniuge deceduto. E tale durata del rapporto matrimoniale non può essere intesa che come coincidente con la durata legale del medesimo, e pertanto non possono assumere rilevanza, in pregiudizio del «coniuge divorziato», la eventuale cessazione della convivenza matrimoniale ancora prima della pronuncia di divorzio, o (in favore — questa volta — del «coniuge superstite») l'eventuale periodo di convivenza more uxorio con l'ex coniuge deceduto, che abbia preceduto la stipulazione del nuovo matrimonio. Ne consegue che la quota della pensione di reversibilità spettante a ciascuno dei coniugi, non può che essere data dal rapporto tra la durata legale del suo matrimonio con l'ex coniuge e la misura costituita dalla somma dei due periodi matrimoniali, e che rimane preclusa l'adozione di qualsiasi altro criterio di valutazione, anche se in funzione di mera emenda o di mera correzione del risultato conseguito.
Cass. civ. n. 6619/1997
Ai fini della spettanza, al coniuge divorziato, del diritto ex art. 9 della legge n. 898 del 1970, quale risulta dalle modifiche introdotte con la legge 6 marzo 1987, n. 74, ad una quota della pensione di reversibilità da ripartire con il coniuge superstite, si rendono presupposti il fatto che, alla data del decesso, il binubo già godesse di una pensione (o avesse diritto alla stessa), nonché il fatto dell'esistenza di un coniuge superstite avente i requisiti per la pensione di reversibilità. Si rende invece indifferente quale sia l'evento che abbia dato luogo alla percezione della pensione da parte del binubo, e — perciò — anche l'eventualità per cui trattisi di pensione di invalidità, o il fatto del collocarsi della maturazione del diritto del binubo alla pensione (o dell'evento cui si collega il diritto pensionistico) in data anteriore o successiva alla cessazione del primo matrimonio.
Cass. civ. n. 3159/1997
Alla stregua del disposto dell'art. 38 (nuovo testo) att. c.c., sulla competenza del tribunale per i minorenni, coordinato con le norme dettate degli artt. 155 e 317 c.c., 9 della L. 1 dicembre 1970, n. 898 e 710 c.p.c., i provvedimenti di revisione delle condizioni di affidamento dei figli minori di coniugi separati, in forza di separazione giudiziale o separazione consensuale omologata, ovvero di coniugi il cui matrimonio sia stato annullato o sciolto, rientrano nella suddetta competenza del tribunale dei minorenni nei soli casi in cui come causa di quella revisione si chieda un intervento ablativo o limitativo della potestà genitoriale sulla prole, a norma degli artt. 330 e 333 c.c., mentre, in ogni altro caso, sono devoluti alla competenza del tribunale ordinario.
Cass. civ. n. 75/1997
L'espressa previsione contenuta nell'art. 9 ultimo comma della legge 1 dicembre 1970, n. 898, come sostituito dall'art. 13 della legge 6 marzo 1987, n. 74, per il quale la decisione delle controversie relative al conseguimento da parte del coniuge divorziato di una quota della pensione di reversibilità spettante all'altro coniuge, deve essere resa con sentenza, comporta che, a prescindere dalle forme o dal rito da adottare in tali controversie, la pronunzia sulle stesse, ove emessa in sede d'appello, è suscettibile di ricorso per cassazione, entro gli ordinari termini di cui agli artt. 325 e 327 c.p.c., poiché quando la legge per il provvedimento del giudice richiede la forma della sentenza, le eventuali peculiarità del procedimento che conduce alla sua emanazione, non sono idonee — in difetto di specifiche indicazioni legislative — a degradare a mera apparenza formale la definizione del provvedimento ed a sottrarre quest'ultimo all'operatività dei termini per la proposizione del gravame contro le sentenze.
Cass. civ. n. 10557/1996
Con la possibilità di attribuire al coniuge divorziato del coniuge defunto una quota della pensione di reversibilità o un assegno alimentare a carico dell'eredità, gli artt. 9 e 9 bis della legge n. 898 del 1970, come novellata dalla legge n. 436 del 1978, non hanno inteso attuare alcun trasferimento sul coniuge superstite o sugli eredi del de cuius dell'obbligo incombente sul de cuius stesso di corrispondere l'assegno divorzile, ma hanno costituito a favore dell'ex coniuge superstite nuovi ed autonomi diritti di carattere personale, nascenti dalla cessazione e dall'estinzione del diritto all'assegno di divorzio, sulla base di presupposti e di condizioni non coincidenti con quelli che giustificavano quest'ultimo. Pertanto, il tribunale può disporre che una quota della pensione o di altri assegni sia attribuita al coniuge superstite solo in presenza delle circostanze perché sorga il diritto alla pensione di reversibilità e, soprattutto, della premorienza del titolare della pensione diretta, la cui permanenza in vita non consente l'aggiudicazione di una quota di pensione indiretta poiché, in tale ultima ipotesi, è il coniuge pensionato che provvede personalmente alla corresponsione dell'assegno periodico, attingendo la somma dall'importo della pensione diretta da lui percepita.
Cass. civ. n. 7953/1996
La pronunzia sulla revisione dell'assegno di divorzio è emessa rebus sic stantibus, in quanto essa non stabilisce definitivamente sul diritto fatto valere, ma statuisce su un diritto che è correlato a situazioni di fatto suscettibili di variazione nel tempo e che, pertanto, può essere sempre, nuovamente, fatto valere in relazione a variazioni successive di dette circostanze. Ne consegue che, anche al fine di economia processuale, quando la revisione dell'assegno sia fondata su circostanze connotate dalla loro variabilità nel tempo, il giudice di merito deve tener conto, anche di ufficio, di dette circostanze, quali evidenziantesi non fino al momento della domanda (salvo espressa limitazione in questa contenuta), bensì fino al momento della decisione definitiva del merito.
Cass. civ. n. 3232/1996
La domanda giudiziale diretta alla ripartizione tra gli aventi diritto della pensione di reversibilità spettante all'ex coniuge deceduto deve essere decisa con un provvedimento che rivesta la forma della sentenza, secondo quanto testualmente previsto dall'art. 9, comma 5, della legge 1 dicembre 1970, n. 898 (come sostituito dall'art. 13 della legge 6 marzo 1987, n. 74), sicché tale provvedimento deve presentare comunque (a prescindere dalla forma contenziosa o camerale del procedimento), i requisiti formali essenziali della sentenza, tra cui la sottoscrizione a mente dell'art. 132 comma 2 c.p.c. Ne consegue che il provvedimento, ove sia stato erroneamente assunto con la forma del decreto ed il presidente del collegio che lo ha pronunciato non ne sia anche l'estensore, deve essere sottoscritto, oltre che dal presidente del collegio, anche dall'estensore, a pena di nullità assoluta ed insanabile, rilevabile di ufficio, anche in sede di legittimità.
Cass. civ. n. 2273/1996
L'accertamento del diritto all'assegno di divorzio va effettuato verificando l'inadeguatezza dei mezzi (o l'impossibilità di procurarseli per ragioni oggettive), raffrontati ad un tenore di vita analogo a quello avuto in costanza di matrimonio, o che poteva legittimamente e ragionevolmente fondarsi su aspettative maturate nel corso del matrimonio, fissate al momento del divorzio. Nella individuazione di tali aspettative, deve tenersi conto unicamente delle prospettive di miglioramenti economici maturate nel corso del matrimonio che trovino radice nell'attività all'epoca svolta e/o nel tipo di qualificazione professionale e/o nella collocazione sociale dell'onerato, e cioè solo di quegli incrementi delle condizioni patrimoniali dell'ex coniuge che si configurino come ragionevole sviluppo di situazioni e aspettative presenti al momento del divorzio. (Nella specie la Suprema Corte, ai fini della revisione dell'assegno di divorzio, ex art. 9 della L. 1 dicembre 1970, n. 898, ha escluso che costituisse elemento determinativo del tenore di vita, cui commisurare l'adeguatezza dei mezzi, l'evento in sé della vendita di beni immobili pervenuti in eredità all'ex coniuge dopo il divorzio, non risultando tale evento in alcun modo collegato alla situazione di fatto ed alle aspettative maturate nel corso del matrimonio).
Cass. civ. n. 412/1996
A seguito dell'entrata in vigore della L. 6 marzo 1987, n. 74 che, nel modificare la normativa precedente (art. 9, L. n. 898 del 1970, già modificato dalla L. n. 436 del 1978), prevede in caso di morte di uno degli ex coniugi successivamente allo scioglimento o alla cessazione degli effetti civili del matrimonio, l'attribuzione al superstite della totalità o una quota della pensione di reversibilità ove lo stesso sia titolare di un assegno di divorzio, il diritto all'erogazione di tale prestazione previdenziale — e nonostante tale suo carattere previdenziale — sorge solo in caso di previo riconoscimento del diritto a detto assegno mediante specifica statuizione della sentenza di divorzio, non essendo sufficiente la sola maturazione dei presupposti per conseguirlo, e neanche la circostanza che, pur in difetto del titolo previsto, siano intervenute delle erogazioni, sporadicamente o continuativamente, in via di fatto o sulla base di convenzioni tra le parti. (Nella specie, il giudice di merito aveva dato rilievo ai fini in esame ad una modesta erogazione bimestrale effettuata in adempimento di accordi intervenuti tra le parti precedentemente alla sentenza di divorzio).
Cass. civ. n. 9415/1995
Ai fini della revisione dell'assegno di divorzio è necessaria la duplice condizione della sussistenza di una modificazione delle condizioni economiche degli ex coniugi e della idoneità di tale modificazione ad immutare il pregresso assetto realizzato dal precedente provvedimento sull'assegno. L'accertamento della novità o meno delle circostanze fattuali addotte dalla parte — rispetto alla situazione presa in considerazione agli effetti della precedente determinazione giudiziale dell'assegno divorzile — costituisce il proprium del giudizio ex art. 9 della L. 1 dicembre 1970, n. 898, sicché tale accertamento deve essere effettuato dal giudice della revisione senza che la parte debba invocare il giudicato esterno.
Cass. civ. n. 6974/1995
Con la domanda di revisione dell'assegno di divorzio il giudice non è chiamato a rideterminare la misura dell'assegno procedendo ad un rinnovato accertamento del diritto del coniuge beneficiario sulla scorta di tutti i temperamenti che debbono essere tenuti presenti ai fini del calcolo concreto, bensì, unicamente a valutare se siano sopraggiunte circostanze di tale portata da rendere giustificato l'adeguamento di detto assegno, in aumento o in diminuzione, ovvero la sua radicale abolizione, tenendo conto del solo profilo indennitario, sulla base di una valutazione comparativa delle condizioni economiche di entrambe le parti.
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Il decreto con il quale la Corte di appello provvede, su reclamo delle parti, alla revisione dell'assegno di divorzio, è ricorribile per cassazione ai sensi dell'art. 111 Cost. solo per violazione di legge. Di conseguenza, nel caso in cui venga denunciato il vizio di motivazione, la censura è ammissibile solo quando il vizio del procedimento impugnato di traduca nella mancanza della motivazione stessa, e cioè quando si verifica una radicale carenza della medesima con la conseguente nullità del provvedimento per difetto di un requisito di forma indispensabile ai sensi dell'art. 737 c.p.c., ovvero quando essa si estrinsechi in argomentazioni del tutto inidonee a rilevare la ratio decidendi del provvedimento impugnato (motivazione apparente) o fra loro logicamente inconciliabili o comunque obiettivamente incomprensibili (motivazione perplessa), e sempre che tali vizi emergano dal provvedimento in sé, senza alcuna possibilità di verifica della sufficienza e razionalità della motivazione in relazione alle risultanze probatorie.
Cass. civ. n. 1616/1995
In sede di revisione dell'assegno divorzile deve tenersi conto di tutte le condizioni che, a norma dell'art. 5, sesto comma, prima parte, della legge 1 dicembre 1970, n. 898 — come modificato dall'art. 11 della legge 6 marzo 1987, n. 74 — concorrono alla determinazione iniziale di detto assegno, con la conseguenza che il mutamento di una sola delle condizioni sulle quali era stata basata la quantificazione dell'assegno predetto non può essere posta di per sé sola a fondamento della revisione.
Cass. civ. n. 10852/1994
Il procedimento di revisione delle disposizioni della sentenza di cessazione degli effetti civili o di scioglimento di matrimonio concernenti gli assegni di divorzio e di mantenimento dei figli, regolato dall'art. 9 della L. 1 dicembre 1970, n. 74, costituisce un procedimento camerale che si conclude con un decreto motivato, soggetto a reclamo nel termine perentorio di dieci giorni, ai sensi dell'art. 739 c.p.c., dinanzi alla corte d'appello, il cui provvedimento è ricorribile per cassazione a norma dell'art. 111 Cost.
Cass. civ. n. 10474/1994
La norma di cui all'art. 9, comma 2, della L. 1 dicembre 1970, n. 898, nel testo novellato dall'art. 13 della L. 6 marzo 1987, n. 74, prevedendo, in caso di morte dell'ex coniuge ed in assenza di un coniuge superstite di questi avente i requisiti per la pensione di reversibilità, il diritto del coniuge divorziato a tale pensione, definisce la natura della prestazione dovuta a quest'ultimo soggetto, escludendo che possa assimilarsi a detto assegno e, di conseguenza, implicitamente, sottrae alla giurisdizione ordinaria, per devolverla a quella della Corte dei conti in materia di pensione, la controversia afferente all'erogazione della prestazione stessa, allorché il relativo trattamento sia a carico dello Stato.
Cass. civ. n. 4106/1994
Nei procedimenti soggetti al rito camerale, quale quello previsto dall'art. 9 della L. n. 898 del 1970, in tema di revisione delle disposizioni contenute nella sentenza di divorzio, il cancelliere, in base al combinato disposto degli artt. 58 e 739, secondo comma, c.p.c., rientra fra i soggetti legittimati ad effettuare la notificazione dei provvedimenti giurisdizionali dati in confronto di più parti, al fine del decorso del termine perentorio di dieci giorni per la proposizione del reclamo, dovendo, peraltro, una tale notificazione ritenersi effettivamente realizzata solo quando il provvedimento da reclamare sia portato a conoscenza degli interessati nella sua interezza, per il tramite di ufficiale giudiziario, senza che rilevi la mancata certificazione di conformità all'originale del provvedimento o l'indicazione nell'atto notificato della parola «comunicazione» anziché «notificazione», con la conseguenza che deve, nel caso anzidetto, ritenersi inammissibile il reclamo proposto dopo il decorso del menzionato termine dall'avvenuta notificazione.
Cass. civ. n. 3808/1994
Il divieto di prendere conclusioni nuove in sede di rinvio (art. 394, terzo comma, c.p.c.), non opera quando la necessità di una nuova attività assertiva e probatoria sorga nella nuova fase, in conseguenza delle statuizioni della Corte di cassazione; pertanto, in sede di rinvio del giudizio per la modifica delle condizioni di divorzio, è possibile chiedere ed ottenere, rispetto all'assegno per il mantenimento dei figli affidati, un adeguamento del relativo ammontare, alla stregua di circostanze sopravvenute, vertendosi in tema di conservazione del contenuto reale del credito fatto valere con la domanda originaria.
Cass. civ. n. 3225/1994
Ove la sentenza di divorzio nulla disponga circa la riduzione dell'assegno di mantenimento posto a carico dell'intimato per il tempo in cui la figlia fosse ospite presso di lui, l'obbligato, per conseguire la decurtazione dell'assegno deve, o impugnare la sentenza, o chiederne la modifica attraverso il procedimento camerale di revisione delle relative disposizioni contenute nella sentenza medesima, ai sensi dell'art. 9 della L. 1 dicembre 1970, n. 898, come sostituito dall'art. 13 della L. 6 marzo 1987, n. 74, mentre non gli è consentito conseguire questo risultato attraverso il rimedio dell'opposizione all'esecuzione, essendosi in presenza di un fatto successivo alla formazione del titolo.
Cass. civ. n. 2873/1994
I motivi sopravvenuti che giustificano la revisione dell'assegno di divorzio (art. 9, L. 1 dicembre 1970, n. 898) ben possono consistere in mutamenti delle condizioni economiche e dei redditi dell'uno, dell'altro o di entrambi gli ex coniugi, da valutare bilateralmente e comparativamente al fine di stabilire se detti mutamenti abbiano determinato l'esigenza di un riequilibrio delle rispettive situazioni economiche.
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Nel giudizio di impugnazione del decreto emesso dal tribunale in sede di revisione della sentenza di divorzio (art. 9, L. 1 dicembre 1970, n. 898) il giudice di appello, al fine di verificare se ed in quale momento si siano verificati, dopo detta sentenza, mutamenti delle condizioni economiche degli ex coniugi tali da giustificare la revisione (in aumento o in diminuzione, fino alla eventuale eliminazione) dell'assegno di divorzio, deve prendere in considerazione tutti gli elementi atti ad incidere, in positivo o in negativo, sulla situazione patrimoniale e reddituale delle parti, ancorché sopravvenuti nel corso del giudizio, fino alla data della decisione sui reclami, dovendosi a tale effetto valutare non soltanto i redditi «reali», ma anche i beni e le risorse capaci di produrre un reddito «figurativo», in funzione del loro eventuale realizzo in denaro.
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Nel procedimento per la revisione delle condizioni del divorzio, disciplinato dall'art. 9 della L. 1 dicembre 1970, n. 898, il rito camerale adottato non prevede una vera e propria fase istruttoria, pur consentendo al giudice di «assumere informazioni» indipendentemente dalla richiesta delle parti, né prescrive alcuna forma di comunicazione o di notificazione alle parti del deposito (o dell'allegazione agli atti del procedimento) delle relazioni con le quali vengono fornite al giudice le informazioni richieste, sicché le parti medesime hanno l'onere di attivarsi per conoscere gli atti e i documenti ritualmente acquisiti al fascicolo processuale.
Cass. civ. n. 5939/1991
In tema di divorzio, l'art. 13 della L. 6 marzo 1987, n. 74, il quale, sostituendo l'art. 9 della L. 1 dicembre 1970, n. 898 (come riformulato dall'art. 2 della L. 1 agosto 1978, n. 436), regola in via innovativa il trattamento economico del divorziato in caso di morte dell'ex coniuge, in concorso o meno con il coniuge superstite di questi, attribuendogli (se non passato a nuove nozze) la pensione di reversibilità od una quota di essa, non quindi la mera possibilità di conseguire, con pronuncia costitutiva, un assegno assimilabile a quello pensionistico, ed altresì fissando, come condizione di tale attribuzione, la titolarità di assegno di divorzio, integra una disposizione sostanziale, incidente sui fatti generatori delle posizioni soggettive del divorziato, non semplicemente sui loro effetti, e, pertanto, in difetto di previsione di retroattività, non può trovare applicazione nelle controversie pendenti, con riguardo a diritti del divorziato ricollegabili a decesso dell'ex coniuge avvenuto prima dell'entrata in vigore della norma medesima, che vanno conseguenzialmente decise in base alla precedente normativa (senza che i diritti stessi possano essere quindi negati per carenza della menzionata condizione introdotta dalla nuova legge).
Cass. civ. n. 305/1990
In tema di attribuzione al coniuge divorziato di parte della pensione spettante al coniuge superstite, a seguito della nuova disciplina sostanziale — immediatamente applicabile anche in sede di legittimità — prevista nell'art. 9, comma terzo, della L. 1 dicembre 1970, n. 898, come sostituito dall'art. 13 della L. 6 marzo 1987, n. 74, deve tenersi conto sia della durata del rapporto (comparando la durata del matrimonio sciolto per divorzio con quella del matrimonio sciolto per morte) sia del fatto che il coniuge divorziato cui sarà attribuita una parte della pensione ne è vero e proprio contitolare, sì che nei suoi confronti varranno le norme circa il cumulo dei trattamenti pensionistici (nella specie, il coniuge divorziato era titolare di una pensione sociale).
Cass. civ. n. 5799/1988
I giusti motivi per la revisione dell'assegno di divorzio, anche nel vigore della L. 6 marzo 1987 n. 74 (che non ha introdotto innovazioni in proposito), vanno individuati sulla base di una indagine comparativa delle condizioni economiche dell'obbligato e dell'avente diritto, sicchè il deterioramento della situazione dell'uno, per effetto del fenomeno inflattivo, può consentire un aumento dell'assegno medesimo nei limiti in cui i redditi dell'altro risultino aggiornati, con l'annullamento, in tutto od in parte, delle conseguenze dell'inflazione.
Cass. civ. n. 2050/1988
Il decreto emesso in camera di consiglio, nella procedura di cui all'art. 9 L. n. 898 del 1970, sostituito dall'art. 13, L. n. 74 del 1987, di revisione delle disposizioni della sentenza di divorzio riguardanti l'affidamento dei figli ed i rapporti patrimoniali, può formare oggetto di notificazione (arg. ex art. 739 c.p.c.), per cui in caso di difetto di notificazione la relativa impugnazione è soggetta al termine annuale di cui all'art. 327 c.p.c.
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Nei procedimenti in camera di consiglio e con riguardo alla procedura per la revisione delle disposizioni riguardanti l'affidamento dei figli ed i rapporti patrimoniali, prevista dall'art. 9 della L. n. 898 del 1970, sostituito dall'art. 13 della L. n. 74 del 1987, il decreto emesso dalla corte di appello a seguito di reclamo è immediatamente esecutivo, riferendosi l'art. 741 c.p.c. ai decreti emessi in primo grado, atteso che ha riguardo ai termini e reclami previsti dagli articoli precedenti. Ne consegue che l'esecuzione di tale decreto da parte dell'obbligato non ne comporta acquiescenza e quindi preclusione alla sua impugnazione in sede di legittimità.
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Il procedimento camerale di revisione delle disposizioni della sentenza di divorzio concernenti le modalità di mantenimento dei figli, di cui all'art. 9, L. n. 898 del 1970, sostituito dall'art. 13, L. 6 marzo 1987, n. 74, è soggetto alla sospensione feriale prevista dalla L. n. 742 del 1969, non potendo confondersi con le cause di alimenti, le quali rientrano, invece, nella previsione dell'art. 92 dell'ordinamento giudiziario e come tali sono escluse dalla detta sospensione a norma dell'art. 3 della cit. L. del 1969.
Cass. civ. n. 146/1988
L'art. 13 della L. 6 marzo 1987, n. 74, che configura una disposizione innovativa rispetto all'art. 9 della L. 898 del 1970 così come sostituito dall'art. 2 della L. 436 del 1978, — applicabile quale ius superveniens ai rapporti controversi rispetto ai quali non sussista alcun provvedimento con efficacia di giudicato — attribuisce al coniuge divorziato del pensionato che non sia passato a nuove nozze, quando manchi il coniuge superstite (sempre che sia titolare di assegno, ai sensi dell'art. 5 L. n. 898 del 1970, ed il rapporto da cui trae origine il trattamento pensionistico sia anteriore alla scadenza) il diritto alla pensione di reversibilità nella sua interezza, comprensivo degli emolumenti accessori di rivalutazione e perequazione con esclusione di ogni parametro con l'assegno di divorzio e di necessaria pronuncia giudiziale, restando devoluto al giudice del lavoro la competenza per la controversia che investa l'an ed il quantum della pensione di reversibilità.
Cass. civ. n. 8094/1987
In caso di appello proposto dall'ente erogatore della pensione avverso la sentenza che riconosce al coniuge divorziato il diritto alla pensione di reversibilità, ai sensi dell'art. 13 della L. n. 74 del 1987, riveste carattere di impugnazione autonoma incidentale contro il capo della sentenza riguardante la decorrenza di detta pensione, il quale conseguentemente deve essere proposto negli stessi termini dell'appello principale.
Cass. civ. n. 4564/1986
Nel giudizio per la revisione in aumento dell'assegno divorzile, il giudice deve accertare la capacità patrimoniale dell'obbligato, tenendo conto delle «spese di produzione», idonee a diminuire la consistenza del suo reddito, ma non è anche tenuto a procedere ad una analitica disamina di tutte le altre voci esposte in detrazione dallo stesso obbligato (nella specie: spese inerenti a proprietà immobiliari, ratei di mutui ecc.), che non sono suscettibili di incidere sulla misura dell'erogazione patrimoniale.
Cass. civ. n. 3080/1985
La facoltà di chiedere una revisione dell'assegno di divorzio, ai sensi dell'art. 9 della legge 1 dicembre 1970, n. 898, non può trovare ostacolo in una transazione circa i rapporti economici di divorzio, in considerazione della nullità per illiceità della causa di un siffatto accordo prima che venga pronunciato lo scioglimento del matrimonio stante la sua interferenza nel comportamento delle parti e sulla loro libertà di difesa in un giudizio di status, e della conseguente impossibilità di ravvisare nell'accordo stesso una valida rinuncia alla predetta revisione.
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Mentre l'assegno di divorzio, nella sua originaria quantificazione, decorre dal momento della formazione del titolo in forza del quale è dovuto, cioè dal passaggio in giudicato della sentenza di scioglimento o di cessazione degli effetti civili del matrimonio, la variazione dell'ammontare dell'assegno medesimo, disposta successivamente in esito a procedimento di revisione ai sensi dell'art. 9 della legge 1 dicembre 1970, n. 898, deve decorrere dalla data della domanda di revisione, non da quella della decisione su di essa, in applicazione del principio generale secondo il quale un diritto non può restare pregiudicato dal tempo necessario per farlo valere in giudizio.
Cass. civ. n. 2687/1982
Il giudizio di revisione dell'assegno di divorzio di cui all'art. 9 della legge 1 dicembre 1970, n. 898, pur svolgendosi in camera di consiglio e nonostante la particolarità di talune forme, configura un procedimento contenzioso che si svolge in pieno contraddittorio tra le parti e si chiude con un provvedimento che, pur con la forma del decreto motivato, ha natura sostanziale di sentenza. Anche in tale giudizio, pertanto, il giudice deve provvedere al regolamento delle spese giudiziali, secondo le ordinarie regole della soccombenza, pur se sia mancata una specifica istanza delle parti.