La questione sottoposta al vaglio degli Ermellini era sorta in seguito alla pronuncia con cui la Corte d’Appello aveva rigettato l’istanza di un uomo, il quale aveva chiesto la revoca o la riduzione dell’assegno divorzile da lui dovuto nei confronti dell’ex moglie. Secondo la Corte territoriale, infatti, i motivi sopravvenuti indicati dall’istante, il quale aveva dedotto il peggioramento delle proprie condizioni patrimoniali, a fronte di un miglioramento di quelle dell’ex moglie, non erano idonei a giustificare l’accoglimento della sua domanda.
A parere della Corte adita, in particolare, non costituivano delle circostanze idonee a modificare in modo significativo l’assetto economico e patrimoniale delle parti, né il fatto che il reddito dell’uomo, il quale svolgeva la professione di avvocato, fosse in diminuzione, né, ancora, il fatto che lo stesso avesse sostenuto delle spese per l’ampliamento della propria abitazione e sottoposto la villa di sua proprietà ad un vincolo di destinazione in favore della nuova moglie, a titolo di liberalità, né, infine, il fatto che l’ex moglie, già al tempo del divorzio, non lavorasse, fosse proprietaria di alcuni immobili e avesse ricevuto in eredità un’ingente somma di denaro ed un appartamento a Roma.
Di fronte a tale decisione, l’uomo ricorreva dinanzi alla Corte di Cassazione eccependo, in primo luogo, una violazione del comma 6 dell’art. 5 della legge divorzio, ritenendo che i Giudici di secondo grado avessero ignorato i nuovi principi, elaborati in sede giurisprudenziale, in ordine ai criteri di attribuzione e quantificazione dell’assegno divorzile. Il ricorrente evidenziava, infatti, come il proprio matrimonio fosse durato soltanto sei anni, durante i quali la moglie non aveva mai lavorato né erano nati dei figli, nonché come la donna, già proprietaria di un’abitazione, avesse ricevuto un lascito ereditario non indifferente, mentre lui percepiva una pensione pari a 1800,00 euro mensili.
Secondo il ricorrente, poi, i Giudici di merito avevano omesso di considerare una circostanza decisiva, rappresentata dal fatto che lui, successivamente al divorzio, si era sposato con un’altra persona, dovendo, quindi, provvedere anche al suo mantenimento.
La Suprema Corte ha accolto il ricorso, giudicando fondati i motivi di doglianza proposti.
Gli Ermellini hanno preliminarmente ribadito come l’art. 9 della legge divorzio richieda, quale presupposto fattuale necessario per procedere al giudizio di revisione dell’assegno divorzile, l’accertamento di una sopravvenuta modifica delle condizioni economiche degli ex coniugi, idonea a mutare il pregresso assetto patrimoniale realizzato con il provvedimento attributivo dell’assegno (Cass. Civ., n. 1119/2020).
Nel caso di specie, invece, concordemente a quanto sostenuto dal ricorrente, la Corte d’Appello non ha tenuto conto di elementi fattuali potenzialmente decisivi. In particolare, i giudici di merito non hanno considerato la non trascurabile eredità acquisita dall’ex moglie, né i sopravvenuti oneri familiari dell’obbligato, ai quali è collegato il sorgere di nuovi obblighi economici, la cui rilevanza è riconosciuta dalla giurisprudenza quale circostanza sopravvenuta idonea a portare alla modifica delle condizioni di divorzio originariamente stabilite (cfr. Cass. Civ., n. 14175/2016; Cass. Civ., n. 6289/2014).
Secondo gli Ermellini, infine, anche la limitata durata del vincolo matrimoniale intercorso tra le parti può assumere un certo rilievo ai fini della modifica o della riduzione dell’assegno divorzile.