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Articolo 6 Legge sul divorzio

(L. 1 dicembre 1970, n. 898)

[Aggiornato al 28/02/2023]

Dispositivo dell'art. 6 Legge sul divorzio

1. L'obbligo, ai sensi degli articoli 315 bis e 316 bis del codice civile, di mantenere, educare ed istruire i figli nati o adottati durante il matrimonio di cui sia stato pronunciato lo scioglimento o la cessazione degli effetti civili, permane anche nel caso di passaggio a nuove nozze di uno o di entrambi i genitori.

2. Il tribunale che pronuncia lo scioglimento o la cessazione degli effetti civili del matrimonio applica, riguardo ai figli, le disposizioni contenute nel capo II, del titolo IX, del libro primo, del codice civile.

3. [In particolare il tribunale stabilisce la misura ed il modo con cui il genitore non affidatario deve contribuire al mantenimento, all'istruzione e all'educazione dei figli, nonché le modalità di esercizio dei suoi diritti nei rapporti con essi.](1)

4. [Il genitore cui sono affidati i figli, salva diversa disposizione del tribunale, ha l'esercizio esclusivo della potestà su di essi; egli deve attenersi alle condizioni determinate dal tribunale. Salvo che non sia diversamente stabilito, le decisioni di maggiore interesse per i figli sono adottate da entrambi i genitori. Il genitore cui i figli non siano affidati ha il diritto ed il dovere di vigilare sulla loro istruzione ed educazione e può ricorrere al tribunale quando ritenga che siano state assunte decisioni pregiudizievoli al loro interesse.](1)

5. [Qualora il genitore affidatario non si attenga alle condizioni dettate, il tribunale valuterà detto comportamento al fine del cambio di affidamento.](1)

6. L'abitazione nella casa familiare spetta di preferenza al genitore cui vengono affidati i figli o con il quale i figli convivono oltre la maggiore età. In ogni caso ai fini dell'assegnazione il giudice dovrà valutare le condizioni economiche dei coniugi e le ragioni della decisione e favorire il coniuge più debole. L'assegnazione, in quanto trascritta, è opponibile al terzo acquirente ai sensi dell'articolo 1599 del codice civile.

7. Il tribunale dà inoltre disposizioni circa l'amministrazione dei beni dei figli e, nell'ipotesi in cui l'esercizio della responsabilità genitoriale sia affidato ad entrambi i genitori, circa il concorso degli stessi al godimento dell'usufrutto legale.

8. [In caso di temporanea impossibilità di affidare il minore ad uno dei genitori, il tribunale procede all'affidamento familiare di cui all'art. 2 della legge 4 maggio 1983, n. 184.](1)

9. [Nell'emanare i provvedimenti relativi all'affidamento dei figli e al contributo per il loro mantenimento, il giudice deve tener conto dell'accordo fra le parti: i provvedimenti possono essere diversi rispetto alle domande delle parti o al loro accordo, ed emessi dopo l'assunzione di mezzi di prova dedotti dalle parti o disposti d'ufficio dal giudice, ivi compresa, qualora sia strettamente necessario anche in considerazione della loro età, l'audizione dei figli minori.](1)

10. [All'attuazione dei provvedimenti relativi all'affidamento della prole provvede il giudice del merito, e, nel caso previsto dal comma 8, anche d'ufficio. A tal fine copia del provvedimento di affidamento è trasmessa, a cura del pubblico ministero, al giudice tutelare.](1)

11. [Nel fissare la misura dell'assegno di mantenimento relativo ai figli il tribunale determina anche un criterio di adeguamento automatico dello stesso, almeno con riferimento agli indici di svalutazione monetaria.](1)

12. [In presenza di figli minori, ciascuno dei genitori è obbligato a comunicare all'altro, entro il termine perentorio di trenta giorni, l'avvenuto cambiamento di residenza o di domicilio. La mancata comunicazione obbliga al risarcimento del danno eventualmente verificatosi a carico del coniuge o dei figli per la difficoltà di reperire il soggetto.](1)

Note

(1) Comma abrogato dal D. Lgs. 28 dicembre 2013, n. 154.

Massime relative all'art. 6 Legge sul divorzio

Cass. civ. n. 18538/2013

La determinazione del contributo che per legge grava su ciascun coniuge per il mantenimento, l'educazione e l'istruzione della prole, a differenza di quanto avviene nella determinazione dell'assegno spettante al coniuge separato o divorziato, non si fonda su di una rigida comparazione della situazione patrimoniale di ciascun coniuge. Pertanto, le maggiori potenzialità economiche del genitore affidatario concorrono a garantire al minore un migliore soddisfacimento delle sue esigenze di vita, ma non comportano una proporzionale diminuzione del contributo posto a carico dell'altro genitore.

Cass. civ. n. 23631/2011

In tema di cessazione degli effetti civili del matrimonio, non può disporsi l'assegnazione parziale della casa familiare, a meno che l'unità immobiliare sia del tutto autonoma e distinta da quella destinata ad abitazione della famiglia, ovvero questa ecceda per estensione le esigenze della famiglia e sia agevolmente divisibile. (Nella specie, la S.C. ha cassato la sentenza che aveva disposto l'assegnazione parziale, in favore del coniuge non affidatario dei figli, della porzione immobiliare posta al piano sottostante, pur in mancanza di prova, tra l'altro, dell'autonomia dalla restante parte dell'abitazione familiare).

Cass. civ. n. 4735/2011

L'assegnazione della casa coniugale disposta sulla base della concorde richiesta dei coniugi in sede di giudizio di separazione, in assenza di figli minori o maggiorenni non autosufficienti, non è opponibile né ai terzi acquirenti, né al coniuge non assegnatario che voglia proporre domanda di divisione del bene immobile di cui sia comproprietario, poiché l'opponibilità è ancorata all'imprescindibile presupposto che il coniuge assegnatario della casa coniugale sia anche affidatario della prole, considerato che in caso di estensione dell'opponibilità anche all'ipotesi di assegnazione della casa coniugale come mezzo di regolamentazione dei rapporti patrimoniali tra i coniugi, si determinerebbe una sostanziale espropriazione del diritto di proprietà dell'altro coniuge, in quanto la durata del vincolo coinciderebbe con la vita dell'assegnatario. (Nella specie la Corte ha confermato la pronuncia di merito che, in accoglimento della domanda di divisione, constatata la non comoda divisibilità dell'immobile e l'assenza di domande di assegnazione, aveva disposto la vendita all'incanto, dopo aver accertato l'inopponibilità al terzo, futuro acquirente, del provvedimento di assegnazione, peraltro trascritto successivamente alla domanda di divisione).

Cass. civ. n. 3905/2011

In tema di accertamento della capacità economica dei genitori, ai fini della determinazione dell'assegno di mantenimento dei figli minori in sede di divorzio, alle risultanze delle dichiarazioni fiscali dei redditi dev'essere attribuito valore solo indiziario, il giudice disponendo di ampio potere istruttorio giustificato dalla finalità pubblicistica della materia, che gli consente di ancorare le sue determinazioni ad adeguata verifica delle condizioni patrimoniali delle parti e delle esigenze di vita dei figli, prescindendo dalla prova addotta dalla parte istante ed attingendo a tutti i dati comunque facenti parte del bagaglio istruttorio.

Cass. civ. n. 9310/2009

L'assegnazione della casa familiare ad uno dei coniugi in sede di divorzio è atto che, quando sia opponibile ai terzi, incide sul valore di mercato dell'immobile; ne consegue che, ove si proceda alla divisione giudiziale del medesimo, di proprietà di entrambi i coniugi, si dovrà tener conto, ai fini della determinazione del prezzo di vendita, dell'esistenza di tale provvedimento di assegnazione, che pregiudica il godimento e l'utilità economica del bene rispetto al terzo acquirente.

Cass. civ. n. 4205/2006

Il ricorso introduttivo del giudizio di divorzio rappresenta l'atto di riscontro della tempestività delle domande proposte dal ricorrente, cosicché la domanda del ricorrente, non contenuta nel ricorso introduttivo ma avanzata nella fase dinanzi al presidente del tribunale, di condanna dell'altro coniuge, non affidatario, al rimborso di quanto da esso percepito in passato, dalla data della separazione e fino all'introduzione del divorzio, a titolo di assegni familiari per il figlio minorenne, soggiace alla sanzione dell'inammissibilità, siccome introduce, nell'originario contenzioso, un nuovo tema di indagine, riguardante direttamente i rapporti di dare ed avere tra i coniugi. Alla stessa sanzione non soggiace, invece, la domanda del medesimo ricorrente — sempre proposta nella fase presidenziale — rivolta ad ottenere la condanna, per il futuro, al versamento degli assegni familiari per il figlio minorenne che l'altro coniuge, non affidatario, avrebbe percepito per il periodo successivo all'introduzione della richiesta di divorzio, atteso che una tale domanda, esibendo un contenuto immediatamente coinvolgente il mantenimento del figlio, si risolve nella sollecitazione al giudice del divorzio affinché eserciti il suo potere d'ufficio, tenuto conto che il contributo cui il coniuge non affidatario è tenuto a favore del figlio in caso di divorzio non è governato né dal principio di disponibilità né dal principio della domanda, attese le preminenti finalità pubblicistiche relative alla tutela e alla cura dei minori.

Cass. civ. n. 3030/2006

In materia di divorzio, l'assegnazione della casa familiare all'ex coniuge affidatario prevista dall'art. 6, comma sesto, della legge 1 dicembre 1970, n. 898 (come sostituito dall'art. 11 della legge 6 marzo 1987, n. 74) risponde all'esigenza di conservare l'habitat domestico, inteso come il centro degli affetti, degli interessi e delle consuetudini in cui si esprime e si articola la vita familiare. Ne consegue che, ove manchi tale presupposto, per essersi i figli già sradicati dal luogo in cui si svolgeva la esistenza della famiglia — indipendentemente dalla possibilità di una ipotetica riunione degli stessi al genitore già affidatario —, viene meno la ragione dell'applicazione dell'istituto in questione, che non può neanche trovare giustificazione nella circostanza che il coniuge già affidatario sia comproprietario dell'immobile in questione, salvo che ricorra un accordo, anche tacito, tra le parti in tal senso, rimanendo, in caso contrario, i rapporti tra gli ex coniugi regolati dalle norme sulla comunione, e, in particolare, dall'art. 1102 c.c.

Cass. civ. n. 1198/2006

Al fine dell'assegnazione ad uno dei coniugi separati o divorziati della casa familiare, nella quale questi abiti con un figlio maggiorenne, occorre che si tratti della stessa abitazione in cui si svolgeva la vita della famiglia allorché essa era unita, ed inoltre che il figlio convivente versi, senza colpa, in condizione di non autosufficienza economica.

Cass. civ. n. 21087/2004

In tema di separazione o divorzio e nella ipotesi in cui uno dei coniugi abbia chiesto un assegno di mantenimento per i figli, la domanda, se ritenuta fondata, deve essere accolta, in mancanza di espresse limitazioni, dalla data della sua proposizione, e non da quella della sentenza, atteso che i diritti ed i doveri dei genitori verso la prole, salve le implicazioni dei provvedimenti relativi all'affidamento, non subiscono alcuna variazione a seguito della pronuncia di separazione o divorzio, rimanendo identico l'obbligo di ciascuno dei coniugi di contribuire, in proporzione delle sue capacità, all'assistenza ed al mantenimento dei figli.

Cass. civ. n. 20319/2004

L'assegnazione della casa familiare ad uno dei coniugi, cui l'immobile non appartenga in via esclusiva, instaura un vincolo (opponibile anche ai terzi per nove anni, e, in caso di trascrizione, senza limite di tempo) che oggettivamente comporta una decurtazione del valore della proprietà, totalitaria o parziaria, di cui è titolare l'altro coniuge, il quale da quel vincolo rimane astretto, come i suoi aventi causa, fino a quando il provvedimento non venga eventualmente modificato. Ne consegue che di tale decurtazione deve tenersi conto indipendentemente dal fatto che il bene venga attribuito in piena proprietà all'uno o all'altro coniuge, ovvero venduto a terzi in caso di sua infrazionabilità in natura.

Cass. civ. n. 12309/2004

In materia di separazione e di divorzio, l'assegnazione della casa familiare, malgrado abbia anche riflessi economici, particolarmente valorizzati dall'art. 6, sesto comma, della legge n. 898 del 1970 (come sostituito dall'art. 11 della legge n. 74 del 1987), risulta finalizzata alla esclusiva tutela della prole e dell'interesse di questa a permanere nell'ambiente domestico in cui è cresciuta, non potendo essere disposta, a mò di componente degli assegni rispettivamente previsti dagli artt. 156 c.c. e 5 della legge n. 898 del 1970, allo scopo di sopperire alle esigenze economiche del coniuge più debole, a garanzia delle quali sono destinati unicamente gli assegni sopra indicati, onde la concessione del beneficio in parola resta subordinata all'imprescindibile presupposto dell'affidamento di figli minori o della convivenza con figli maggiorenni ed economicamente non autosufficienti, laddove, nell'ipotesi in cui l'alloggio de quo appartenga in proprietà ad uno solo dei coniugi e manchino figli in possesso dei requisiti anzidetti, il titolo di proprietà vantato da quest'ultimo preclude ogni eventuale assegnazione dell'immobile all'altro, rendendo poi ridondante e superflua ogni e qualsivoglia pronuncia di assegnazione in favore del coniuge proprietario.

Cass. civ. n. 13736/2003

Come per tutti i provvedimenti conseguenti alla pronuncia di separazione o di divorzio, anche per l'assegnazione della casa familiare vale il principio generale della modificabilità in ogni tempo per fatti sopravvenuti: tale intrinseca provvisorietà, tuttavia, non incide sulla natura e sulla funzione della misura, posta ad esclusiva tutela della prole, con la conseguenza che anche in sede di revisione resta imprescindibile il requisito dell'affidamento di figli minori o della convivenza con figli maggiorenni non autosufficienti. Pertanto, se è vero che la concessione del beneficio ha anche riflessi economici, particolarmente valorizzati dall'art. 6, sesto comma, della legge sul divorzio, nondimeno l'assegnazione in parola non può essere disposta al fine di sopperire alle esigenze economiche del coniuge più debole, a garanzia delle quali è unicamente destinato l'assegno di divorzio.

Cass. civ. n. 13664/2003

Il provvedimento di rilascio della casa familiare emanato nei confronti del coniuge, proprietario esclusivo dell'immobile, non può essere fatto utilmente valere nei confronti del terzo che si trovi nel godimento dell'immobile in forza di un titolo che gli assicuri un possesso autonomo incompatibile con la pretesa fatta valere in via esecutiva, e ciò sin quando il coniuge assegnatario procedente non si sia munito di un titolo esecutivo valido nei confronti del terzo, che cessi così di essere tale.

Cass. civ. n. 12705/2003

Nel caso di assegnazione della casa familiare al coniuge affidatario, ai sensi degli artt. 155, comma quarto, c.c. – in tema di separazione personale –, e 6, comma sesto, della legge 1 dicembre 1970, n. 898 (come sostituito dall'art. 11 della legge 6 marzo 1987, n. 74) – in tema di divorzio –, il terzo acquirente del bene in epoca successiva al provvedimento di assegnazione è tenuto, negli stessi limiti di durata (nove anni dalla data dell'assegnazione, ovvero, nel caso di trascrizione, anche oltre i nove anni) nei quali è a lui opponibile il provvedimento stesso, a rispettare il godimento del coniuge del suo dante causa, nello stesso contenuto e nello stesso regime giuridico propri dell'assegnazione, quale vincolo di destinazione collegato all'interesse dei figli. Ne consegue che è escluso qualsiasi obbligo di pagamento da parte del beneficiario per tale godimento, atteso che ogni forma di corrispettivo verrebbe a snaturare la funzione stessa dell'istituto, in quanto incompatibile con la sua finalità esclusiva di tutela della prole, ed inciderebbe direttamente sull'assetto dei rapporti patrimoniali tra i coniugi dettato dal giudice della separazione o del divorzio.

Cass. civ. n. 11096/2002

Ai sensi dell'art. 6, comma 6, della legge 1 dicembre 1970, n. 898 (nel testo sostituito dall'art. 11 della legge 6 marzo 1987, n. 74), applicabile anche in tema di separazione personale, il provvedimento giudiziale di assegnazione della casa familiare al coniuge affidatario, avendo per definizione data certa, è opponibile, ancorché non trascritto, al terzo acquirente in data successiva per nove anni dalla data dell'assegnazione, ovvero – ma solo ove il titolo sia stato in precedenza trascritto - anche oltre i nove anni.

Cass. civ. n. 9071/2002

La disposizione dell'art. 6 della legge n. 898 del 1970, come sostituito dall'art. 11 della legge n. 74 del 1987 (dettata in materia di divorzio, ma applicabile anche alla separazione personale dei coniugi), ferma restando la tutela dell'interesse dei figli a permanere nell'ambiente domestico nel quale sono cresciuti, prevede, come presupposto necessario ai fini dell'assegnazione della casa coniugale, la valutazione delle condizioni economiche dei coniugi, tale disposizione, tuttavia, non impone l'assegnazione al coniuge economicamente più debole (che non vanti sulla stessa diritti reali o di godimento), neanche se a lui siano affidati figli minori o con lui convivano figli maggiorenni non ancora economicamente autosufficienti, qualora l'equilibrio delle condizioni economiche dei coniugi e la tutela di quello più debole possano essere perseguiti altrimenti (la S.C. ha così cassato la sentenza che aveva sostenuto la decisione unicamente sulla «necessità» di garantire l'esigenza del figlio maggiorenne, incolpevolmente non autosufficiente, a permanere nell'abitazione originaria, insieme con il padre non proprietario della casa).

Cass. civ. n. 11696/2001

In materia di divorzio, l'assegnazione della casa coniugale è finalizzata alla protezione della prole e non è prevista in funzione della debolezza economica di uno dei coniugi, alle cui esigenze è destinato l'assegno divorzile, con la conseguenza che il giudice non può, in assenza di figli conviventi, assegnare la casa coniugale, in comproprietà fra i coniugi, a quello fra i due che ritenga più debole. (Nella specie la S. C. ha cassato la decisione del giudice di merito che aveva assegnato la casa in comproprietà degli ex coniugi a quello ritenuto più debole economicamente onde sopperire a tale situazione di debolezza).

Cass. civ. n. 11630/2001

La assegnazione della casa familiare, di cui i coniugi siano comproprietari, al coniuge affidatario dei figli non ha più ragion d'essere e, quindi, il diritto di abitazione, che ne scaturisce, viene meno nel momento in cui il coniuge, cui la casa sia stata assegnata, ne chiede, nel corso del giudizio per lo scioglimento della comunione conseguente (nel caso di specie) a divorzio, l'assegnazione in proprietà, acquisendo così, attraverso detta assegnazione, anche la quota dell'altro coniuge. In tal caso, il diritto di abitazione (che è un atipico diritto personale di godimento e non un diritto reale) non può essere preso in considerazione, al fine di determinare il valore di mercato dell'immobile, sia perché è un diritto che l'art. 155, comma quarto c.c., prevede nell'esclusivo interesse dei figli e non nell'interesse del coniuge affidatario degli stessi, sia perché, intervenuto lo scioglimento della comunione a seguito di separazione personale o di divorzio, non può più dirsi rilievo, per la valutazione dell'immobile ad un diritto, che, con l'assegnazione della casa familiare in proprietà esclusiva al coniuge affidatario dei figli, non ha più ragione di esistere.

Cass. civ. n. 15291/2000

In materia di divorzio, allorché la casa di abitazione abbia perso il suo carattere «familiare», per non essere più destinata a stabile dimora dei figli e del genitore affidatario, la medesima può essere assegnata al coniuge che ne sia proprietario (nella specie, i figli maggiorenni si erano trasferiti all'estero assieme alla madre).

Cass. civ. n. 15065/2000

A seguito della separazione o del divorzio, la prole ha diritto ad un mantenimento tale da garantirle un tenore di vita corrispondente alle risorse economiche della famiglia ed analogo, per quanto possibile, a quello goduto in precedenza; il solo cambiamento della condizione familiare dei genitori tenuto all'assegno, per la formazione di una nuova famiglia, e le sue accresciute responsabilità non legittimano di per sé una diminuzione del contributo per il mantenimento dei figli nati in precedenza, poiché la costituzione di un nuovo nucleo familiare è espressione di una scelta e non di una necessità e lascia inalterata la consistenza degli obblighi nei confronti della prole (nella specie, la S.C. ha cassato con rinvio la sentenza d'appello che aveva diminuito l'assegno fissato in primo grado per aver il padre contratto nuovo matrimonio, da cui era nato un bambino, con donna disoccupata).

L'art. 6, comma nono, L. n. 898 del 1970, come l'art. 155, comma settimo c.c. in materia di separazione, disponendo che i provvedimenti relativi all'affidamento dei figli ed al contributo per il loro mantenimento «possono essere diversi rispetto alle domande delle parti o al loro accordo, ed emessi dopo l'assunzione di mezzi di prova dedotti dalle parti o disposti d'ufficio dal giudice», opera una deroga alle regole generali sull'onere della prova, attribuendo al giudice poteri istruttori di ufficio per finalità di natura pubblicistica, con la conseguenza che le domande delle parti non possono essere respinte sotto il profilo della mancata dimostrazione degli assunti sui quali si fondano e che i provvedimenti da emettere devono essere ancorati ad una adeguata verifica delle condizioni patrimoniali dei genitori e delle esigenze di vita dei figli esperibile anche di ufficio (nella specie, la S.C. ha cassato con rinvio la sentenza del giudice d'appello che aveva ritenuto superate le esigenze prospettate dalla madre nel richiedere l'aumento dell'assegno per il figlio per aver il padre dichiarato, che questi non frequentava più la piscina, non era più iscritto a un istituto privato e non necessitava più di baby sitter, in assenza di una specifica contestazione della madre).

Cass. civ. n. 9689/2000

Con la pronuncia di cessazione degli effetti civili del matrimonio viene meno lo stato di separazione dei coniugi e, con esso, la regolamentazione dei rapporti tra i medesimi, anche per quanto riguarda l'eventuale assegnazione della casa familiare ad uno di loro; pertanto, il coniuge assegnatario della casa coniugale in sede di separazione che sia anche comproprietario dell'immobile, qualora la sentenza di divorzio non ne preveda l'assegnazione, non ha più diritto all'utilizzo esclusivo del bene.

Cass. civ. n. 266/2000

In materia di divorzio, il giudice non può, in assenza di figli conviventi, procedere all'assegnazione della casa coniugale in comproprietà fra i coniugi, salvo che ricorra un accordo (anche tacito) tra le parti affinché la casa sia assegnata al coniuge avente diritto all'assegno di mantenimento quale componente di questo (nella specie la Suprema Corte ha cassato la decisione del giudice di merito che aveva desunto la sussistenza di un accordo tacito dalla mancata richiesta di modifica dei provvedimenti presidenziali che avevano disposto l'assegnazione nel giudizio di separazione e dalla mancata impugnazione della sentenza di separazione sul punto).

Cass. civ. n. 6312/1999

Nella materia dell'affidamento di figli minori, in cui il giudice della separazione e del divorzio devono attenersi al criterio fondamentale dell'interesse della prole, la circostanza che uno dei genitori risieda all'estero non limita di per sè l'affidamento del figlio a questi ma comporta una più complessa e delicata indagine circa l'interesse del minore, stante l'inevitabile compressione dei rapporti che il genitore non affidatario dovrà subire e le difficoltà che al medesimo deriveranno nell'espletamento del suo diritto-dovere di concorrere all'istruzione ed all'educazione del figlio

Il giudice della separazione e del divorzio, nel disciplinare il diritto-dovere del genitore non affidatario di mantenere, istruire ed educare la prole, ha quale misura e limite l'attuazione del preminente interesse del figlio e può legittimamente imporre quelle cautele e restrizioni che siano necessarie ad evitare un pregiudizio alla salute psicofisica dello stesso, arrivando anche a sospendere gli incontri allorquando la continuazione dei rapporti genitore-figlio esporrebbe il minore a rischi gravi e comprovati per la sua crescita serena ed equilibrata. (Nella specie, la S.C. ha ritenuto legittima la decisione del giudice di merito che, in un caso di genitore non affidatario residente all'estero, aveva disposto che le visite di questi al minore, per evitare il nocumento derivatogli in passato dai continui trasferimenti, si svolgessero in Italia e che il minore potesse espatriare solo col consenso della madre affidataria).

Nel giudizio di separazione e divorzio, i provvedimenti necessari alla tutela degli interessi morali e materiali della prole, tra i quali rientrano anche quelli di attribuzione e determinazione di un assegno di mantenimento a carico del genitore non affidatario, possono essere adottati d'ufficio.

Cass. civ. n. 4370/1999

La disciplina del secondo comma dell’art. 6 della legge 27 luglio 1978 n. 392, concernente l’opponibilità al terzo della successione del coniuge separato, cui sia stato attribuito dal giudice il diritto di abitare nella casa familiare, non si applica nel caso di separazione di fatto.

Cass. civ. n. 10797/1998

Quando uno dei coniugi, in sede di divorzio (o separazione) invochi il provvedimento di assegnazione della casa familiare e l'altro contesti tale qualità dell'immobile, spetta a chi chiede il suddetto provvedimento dimostrare la sussistenza della contestata qualità, essendo, in difetto di tale prova, inibita al giudice l'applicazione delle speciali norme che disciplinano l'abitazione della casa familiare in caso di separazione e divorzio, e restando pertanto il rapporto assoggettato alla disciplina dei diritti reali o personali di godimento degli immobili, secondo quanto risultante dal titolo, atteso, peraltro, che l'art. 6 L. n. 898 del 1970 (nel testo modificato dall'art. 11 L. n. 74 del 1987) esclude soltanto l'assegnazione della casa all'ex coniuge col quale non convivono figli minori o maggiorenni non autosufficienti, ma non impone né giustifica di per sé l'assegnazione in presenza dei suddetti figli, potendo anche l'assegnazione non essere disposta in favore di alcuno degli ex coniugi.

Cass. civ. n. 3481/1998

La sentenza di divorzio pronunciata da un giudice italiano, passata in giudicato, la quale abbia attribuito ad uno dei coniugi, ponendolo a carico dell'altro, un assegno di mantenimento in favore del figlio minore da una certa data, non osta alla delibabilità, con efficacia sino al passaggio in giudicato della sentenza italiana, del capo della sentenza di divorzio anteriormente pronunciata dal giudice straniero e passata in giudicato, la quale abbia attribuito allo stesso coniuge, ed a carico dell'altro, un assegno di mantenimento in favore del figlio minore, con diversa misura e per un periodo anteriore alla sentenza di divorzio pronunciata tra le stesse parti dal giudice italiano.

Cass. civ. n. 822/1998

Nell'ipotesi in cui la casa coniugale appartenga in comproprietà ad entrambi i coniugi, manchino figli minori o figli maggiorenni conviventi con uno dei genitori, ed entrambi i coniugi rivendichino il godimento esclusivo della casa coniugale, l'esercizio del potere discrezionale del giudice della separazione non può trovare altra giustificazione se non quella che, in presenza di una sostanziale parità di diritti, può essere favorito il solo coniuge che non abbia adeguati redditi propri, al fine di consentirgli la conservazione di un tenore di vita corrispondente a quello di cui godeva in costanza di matrimonio. Ne consegue che, laddove entrambi i coniugi comproprietari della casa familiare abbiano adeguati redditi propri, il giudice della separazione dovrà respingere le domande contrapposte di assegnazione del godimento esclusivo della casa stessa, lasciandone la disciplina agli accordi tra comproprietari, i quali, ove non riescano a raggiungere un ragionevole assetto dei propri interessi, restano liberi di chiedere la divisione dell'immobile dopo lo scioglimento della comunione familiare che consegue al passaggio in giudicato della sentenza di separazione.

Cass. civ. n. 565/1998

L'art. 6, sesto comma della legge n. 898 del 1970, come sostituito dall'art. 11 della legge n. 74 del 1987, dispone che l'abitazione nella casa familiare spetta di preferenza al genitore cui vengono affidati i figli o con il quale essi convivono oltre la maggiore età. Il genitore che invoca a suo favore il criterio preferenziale previsto dalla legge può limitarsi, dunque, a provare la convivenza con il figlio maggiorenne, perché tale circostanza fa presumere la non autosufficienza economica incolpevole, mentre l'indipendenza economica del figlio maggiorenne o la colpa per il mancato conseguimento di tale indipendenza deve essere provata dal genitore che allega dette circostanze.

Cass. civ. n. 317/1998

In tema di provvedimenti relativi alla prole, conseguenti alla dichiarazione di cessazione degli effetti civili del matrimonio, ed anche in base ai principi sanciti dalla Convenzione di New York del 20 novembre 1989, ratificata con L. n. 176 del 1991, la circostanza che un figlio minore, divenuto ormai adolescente e perfettamente consapevole dei propri sentimenti e delle loro motivazioni, provi nei confronti del genitore non affidatario sentimenti di avversione o, addirittura, di ripulsa — a tal punto radicati da doversi escludere che possano essere rapidamente e facilmente rimossi, nonostante il supporto di strutture sociali e psicopedagogiche — costituisce fatto idoneo a giustificare anche la totale sospensione degli incontri tra il minore stesso ed il coniuge non affidatario. Tale sospensione può essere disposta indipendentemente dalle eventuali responsabilità di ciascuno dei genitori rispetto all'atteggiamento del figlio ed indipendentemente anche dalla fondatezza delle motivazioni addotte da quest'ultimo per giustificare detti sentimenti, dei quali vanno solo valutate la profondità e l'intensità, al fine di prevedere se disporre il prosieguo degli incontri con il genitore avversato potrebbe portare ad un superamento senza gravi traumi psichici della sua animosità iniziale ovvero ad una dannosa radicalizzazione della stessa.

Cass. civ. n. 10791/1997

La ratio legis ed il tenore letterale della norma di cui al secondo comma dell'art. 6 della legge n. 898 del 1970, come sostituito dall'art. 11 della legge n. 74 del 1987 (a mente del quale il tribunale, pronunciando lo scioglimento o la cessazione degli effetti civili del matrimonio, provvede in ordine alla prole con esclusivo riferimento all'interesse morale e materiale di essa e, ove lo ritenga utile all'interesse dei minori, anche in relazione all'età degli stessi, può disporne l'affidamento congiunto o alternato) sono tali da lasciar intendere che la questione dell'affidamento della prole ivi disciplinata è rimessa, in via esclusiva, alla valutazione discrezionale del giudice di merito, il quale, nel dare adeguatamente conto delle ragioni della decisione adottata (secondo il parametro normativo di riferimento costituito dall'interesse del minore), esprime un apprezzamento di fatto non suscettibile di censura in sede di legittimità. (Nella specie, la corte territoriale, nel motivare il rigetto della richiesta di affidamento alternato avanzata dal padre della minore, aveva evidenziato: 1) che la madre, non essendo impegnata in attività lavorativa esterna, era in condizioni di seguire più assiduamente la figlia rispetto al padre, impiegato di banca e, perciò, assente da casa per gran parte della giornata e non in condizione di offrire alla figlia eguale assistenza; 2) che, per il passato, la stessa madre aveva già adeguatamente provveduto alle esigenze materiali e morali del minore; 3) che le modalità di frequentazione stabilite con riguardo al genitore non affidatario consentivano di valorizzare altrettanto adeguatamente la figura paterna. La S.C., nell'enunciare il principio di diritto di cui in massima, ha confermato l'impugnata decisione).

Cass. civ. n. 10258/1997

Il comma sesto dell'art. 6 della legge 1 dicembre 1970, n. 898, come modificato dall'art. 11 della legge 6 marzo 1987, n. 74, nel prevedere che “l'abitazione nella casa familiare spetta di preferenza al genitore cui vengono affidati i figli...” e che “l'assegnazione, in quanto trascritta, è opponibile al terzo acquirente ai sensi dell'art. 1599 c.c.”, pur facendo riferimento alle disposizioni sulla locazione, si applica anche ad altri titoli di godimento, quali il comodato. Tuttavia la trascrizione lascia immutata la qualifica del contratto e l'opponibilità corrisponde al contenuto del titolo preesistente. Consegue che il coniuge assegnatario dell'appartamento dato in comodato è tenuto a restituire l'immobile a richiesta del comodante, secondo quanto dispone l'art. 1810 c.c.

Cass. civ. n. 7680/1997

Il provvedimento di assegnazione della casa coniugale ad uno dei coniugi all'esito del procedimento di separazione personale non è idoneo a costituire un diritto reale di uso o di abitazione a favore dell'assegnatario, ma solo un diritto di natura personale, opponibile, se avente data certa, ai terzi entro il novennio ai sensi dell'art. 1599 c.c. ovvero anche dopo i nove anni se il titolo sia stato in precedenza trascritto. (V. Corte cost. n. 454 del 1989).

Cass. civ. n. 6559/1997

La norma eccezionale di cui all'art. 6 della legge n. 898 del 1970, modificato dall'art. 11 della legge 6 marzo 1987, n. 74, che consente il sacrificio della posizione del coniuge titolare dei diritti reali o personali sull'immobile adibito ad abitazione coniugale, mediante l'assegnazione di questa, in sede di divorzio, all'altro coniuge alla condizione della sua convivenza con figli minori, o maggiorenni non autonomi economicamente, non può trovare applicazione quando il nucleo familiare formato dal coniuge assegnatario e dai figli abbia perso la propria identità originaria, come nel caso di formazione di un aggregato familiare da parte del figlio convivente con il coniuge assegnatario, comportante l'ingresso di persone estranee e il prevalente interesse di sopravvivenza del nuovo nucleo rispetto a quello originario. (Nella specie la S.C. ha confermato, sulla base del riportato principio, la sentenza di merito, che, nel pronunciare il divorzio, aveva disposto la restituzione al marito della casa familiare già assegnata alla moglie al tempo della separazione personale — correlativamente riequilibrando però la posizione economica mediante un assegno di mantenimento riconosciuto a favore della moglie — sulla base del rilievo che non poteva più ritenersi a carico della madre il figlio ventottenne che aveva instaurato un rapporto di convivenza e impiantato un nuovo nucleo familiare).

Cass. civ. n. 11138/1996

In tema di divorzio, l'obbligo del genitore affidatario di provvedere, pur con il concorso dell'altro ex coniuge, il mantenimento dei figli minori è tendenzialmente illimitato, in quanto l'affidatario medesimo deve permanentemente sopportare le spese generali e di organizzazione domestica anche nei periodi in cui i figli dovrebbero vivere presso il genitore non affidatario, ove questi, per qualsivoglia motivo, non eserciti tale diritto-dovere, tenuto conto, altresì, che sarebbe impossibile e estremamente difficile eliminare dette spese in relazione agli indicati periodi. Ne deriva che il pagamento dell'assegno per i figli non può essere sospeso nei periodi in cui i figli stessi vivano presso il genitore non affidatario; mentre è ammissibile una riduzione proporzionale della misura dello stesso, avuto riguardo ai maggiori oneri sopportati dal non affidatario nei menzionati periodi e dalle corrispondenti minori spese (specialmente per vitto e per cure quotidiane) sostenute durante gli stessi dal genitore affidatario.

Cass. civ. n. 10538/1996

In caso di scioglimento del matrimonio o della cessazione dei suoi effetti civili, il giudice, nel procedere all'assegnazione della casa familiare, non può limitarsi a prendere atto della situazione di affidamento della prole o di convivenza con quella maggiorenne ma non ancora economicamente autonoma (così temperando la sua decisione attraverso la valutazione delle condizioni economiche dei coniugi e delle ragioni della decisione, favorendo il coniuge più debole), ma è tenuto ad indicare e valutare le ragioni che, nell'esclusivo interesse della prole, lo inducano a favorire il coniuge affidatario dei figli minori o convivente con figli maggiorenni privi di autonomia. Tale obbligo assume dimensioni di sempre maggiore puntualità ed aderenza alla fattispecie concreta, via via che aumenti l'età della prole ed essa superi la minore età, riducendosi con il passare degli anni la necessità di conservazione dell'ambiente familiare, con attenuazione del disagio psichico e materiale che si accompagna al mutamento dell'abitazione.

Cass. civ. n. 505/1996

La determinazione compiuta dal giudice della separazione in ordine all'assegno di mantenimento dovuto per il figlio non è vincolante per il giudice del divorzio che può rivedere la relativa statuizione, in relazione alle possibilità economiche dei genitori ed alle esigenze del figlio medesimo.

Cass. civ. n. 13039/1995

In tema di assegno di mantenimento per i figli e con riguardo al disposto dell'art. 6, undicesimo comma, dalla legge 1 dicembre 1970, n. 898 (come sostituito dall'art. 11 della legge 6 marzo 1987, n. 74) che impone obbligatoriamente l'adeguamento automatico di detto assegno, la circostanza che il reddito dell'obbligato consista in una retribuzione periodica la quale, a causa della sua disciplina normativa, aumenti nel tempo in misura inferiore a quella corrispondente agli indici di svalutazione monetaria, ai quali sia stato invece commisurato l'adeguamento dell'assegno, non costituisce presupposto per escludere detto adeguamento, potendo solo concretare nel tempo, eventualmente, elemento idoneo a determinare la sopravvenienza di un giustificato motivo di revisione dell'assegno.

Cass. civ. n. 12775/1995

L'art. 6 della legge 1 dicembre 1970, n. 898 (come modificato dall'art. 2 della legge 6 marzo 1987, n. 74), applicabile analogicamente alla separazione personale dei coniugi, nel disporre che «ove il tribunale lo ritenga utile all'interesse dei minori, anche in relazione all'età degli stessi, può essere disposto l'affidamento congiunto o alternato» assegna al giudice del merito un potere discrezionale il cui mancato esercizio non è sindacabile in cassazione in difetto di specifiche istanze delle parti.

Cass. civ. n. 11297/1995

Anche nel vigore della L. 6 marzo 1987, n. 74, il cui art. 11 ha sostituito l'art. 6 della L. 1 dicembre 1970, n. 898, la disposizione del comma 6 di quest'ultima norma, in tema di assegnazione della casa familiare, non attribuisce al giudice il potere di disporre l'assegnazione a favore del coniuge che non vanti alcun diritto — reale o personale — sull'immobile e che non sia affidatario della prole minorenne o convivente con figli maggiorenni non ancora provvisti, senza loro colpa, di sufficienti redditi propri.

Cass. civ. n. 9163/1995

In tema di separazione e di divorzio, sia l'art. 155, quarto comma, c.c., sia l'art. 6, sesto comma, della L. n. 898 del 1970, nel testo sostituito dall'art. 11 della L. n. 74 del 1987, nel prevedere l'assegnazione della casa familiare, non impongono l'assegnazione al coniuge che non sia titolare di un diritto reale o di godimento sulla casa stessa, per il solo fatto di essere affidatario dei figli minori o convivente con figli maggiorenni non ancora autosufficienti economicamente, ma si limitano ad enunciare un criterio preferenziale, con la conseguenza che non è censurabile la decisione del giudice del merito che, pure in presenza di tale affidamento o convivenza, ritenga di non provvedere all'assegnazione per le particolari condizioni del coniuge titolare dell'immobile.

Cass. civ. n. 706/1995

Ai fini della determinazione dell'assegno dovuto ai figli minori o comunque non ancora autosufficienti, ancorché maggiorenni, la valutazione della capacità economica di ciascun genitore, separato o divorziato, deve essere effettuata considerando la complessiva consistenza del patrimonio di ciascuno di essi, quale espressa da ogni forma di reddito od utilità, e quindi anche dal valore intrinseco di beni immobili, siano essi direttamente abitati o diversamente utilizzati.

Cass. civ. n. 9047/1994

In tema di scioglimento o di cessazione degli effetti civili del matrimonio, nel caso in cui l'assegno di mantenimento dei figli minori a favore dell'ex coniuge affidatario sia determinato in una somma fissa mensile, deve ritenersi, in mancanza di diverse disposizioni, che detta somma costituisca, non già il mero rimborso (eventualmente pro quota) delle spese sostenute dall'affidatario per il mantenimento della prole nel mese corrispondente, sibbene una rata mensile di un assegno annuale, determinato in funzione delle esigenze (non solo di mantenimento, ma anche di carattere generale) della prole rapportate all'anno. Ne consegue che il coniuge non affidatario non può ritenersi sollevato dall'obbligo del versamento dell'assegno per il tempo in cui i figli, secondo le modalità di visita fissate in sentenza, si trovino presso di lui, per il solo fatto che in detto periodo egli provveda in modo esclusivo al loro mantenimento.

Cass. civ. n. 7865/1994

A seguito della disposizione innovativa introdotta dall'art. 11 della L. 6 marzo 1987, n. 74 (Nuove norme sulla disciplina dei casi di scioglimento del matrimonio) – secondo cui l'abitazione della casa familiare spetta di preferenza al genitore cui vengono affidati i figli o con il quale i figli convivono oltre la maggiore età, fermo restando che in ogni caso ai fini dell'assegnazione il giudice dovrà valutare le condizioni economiche dei coniugi e le ragioni della decisione e favorire il coniuge più debole – applicabile anche alla separazione nonostante la dizione più restrittiva dell'art. 155, comma 4, c.c., l'assegnazione della casa coniugale va configurata non soltanto come strumento di protezione della prole, ma come mezzo atto a garantire anche il conseguimento di altre finalità, quali l'equilibrio delle condizioni economiche dei coniugi e la tutela del coniuge più debole, con la conseguenza che l'attribuzione del diritto di abitazione nella casa familiare costituisce un provvedimento di contenuto economico avente funzione alternativa o sussidiaria rispetto alla determinazione dell'assegno. Pertanto, la restituzione della casa familiare da parte dell'assegnatario all'altro coniuge, rappresentando una utilità economicamente valutabile in misura pari al risparmio occorrente per godere dell'immobile a titolo di locazione, giustifica un aumento dell'assegno di divorzio o di mantenimento dovuto dal beneficiario della restituzione al coniuge rinunciante.

Cass. civ. n. 6215/1994

Ai fini della determinazione del contributo al mantenimento dei figli il criterio di riferimento è dettato dall'art. 148, comma 1, c.c., secondo il quale i coniugi devono adempiere l'obbligazione «in proporzione alle rispettive sostanze e secondo la loro capacità di lavoro professionale o casalingo». Pertanto, nel caso di divorzio, nella determinazione dell'assegno, non è affatto indifferente il variare delle condizioni reddituali e patrimoniali dei coniugi, poiché a questo esso va direttamente ragguagliato, così da assicurare ai figli lo stesso tenore di vita che avrebbero goduto se la disgregazione del nucleo familiare non si fosse verificata.

Cass. civ. n. 5236/1994

Il provvedimento giudiziale di assegnazione della casa coniugale al coniuge separato o divorziato può essere opposto al terzo titolare del diritto di proprietà che agisca per il rilascio dell'immobile solo nell'ipotesi in cui tale titolarità sia stata acquistata successivamente alla pronuncia del detto provvedimento, mentre, qualora l'acquisto della proprietà sia anteriore, il relativo diritto non può essere pregiudicato dall'assegnazione.

Cass. civ. n. 3050/1994

La sentenza di divorzio, mentre ha importanza costitutiva rispetto all'assegno che uno degli ex coniugi debba all'altro per le esigenze proprie di quest'ultimo (importanza temperata per effetto della modifica apportata all'art. 4, L. 1 dicembre 1970, n. 898 dall'art. 8, L. 6 marzo 1987, n. 74, a seguito della quale il giudice può discrezionalmente far decorrere anche l'assegno divorzile dal momento della domanda), è irrilevante rispetto all'obbligo di mantenere i figli, con la conseguenza che la decorrenza dell'assegno in favore di questi ultimi va fatta risalire alla data della domanda, ovvero alla data dei fatti che ne impongono il riequilibrio, se successivi.

Nel giudizio di divorzio, nel caso in cui non si debba più provvedere all'assegnazione della casa coniugale, di proprietà comune degli ex coniugi, a seguito dell'allontanamento da essa del coniuge affidatario dei figli, senza richiesta di farvi ritorno, la destinazione della detta casa, che resta affidata alle esclusive decisioni degli ex coniugi quali comproprietari della stessa, ove ne comporti l'alterazione delle rispettive condizioni economiche, può legittimare la richiesta del correlativo riequilibrio a modifica dei pregressi provvedimenti giudiziari al riguardo dei rapporti economici dipendenti dal divorzio, che essendo adottati rebus sic stantibus, non sono suscettibili di passare in giudicato.

Cass. civ. n. 9840/1991

Con riguardo agli accordi di contenuto patrimoniale fra coniugi separati, la nullità del patto, che ne preveda la persistente operatività anche in regime di divorzio (nullità derivante da illiceità della causa, alla stregua dei condizionamenti del patto stesso sulla libertà di difesa nel giudizio di divorzio, nonché della sua interferenza su decisioni collegate anche ad interessi di ordine generale), deve essere affermata pure in riferimento al godimento della casa familiare, senza che rilevi la circostanza che questa sia oggetto di comproprietà dei coniugi medesimi, sempre che si verta in tema di convenzione sui rapporti correlati al matrimonio e non di contratto modificativo dell'assetto dominicale (o costitutivo di diritti reali implicanti detto godimento).

Cass. civ. n. 4620/1991

In tema di divorzio, l'art. 6 sesto comma della L. 1 dicembre 1970, n. 898, nel testo introdotto dall'art. 11 della L. 6 marzo 1987, n. 74, il quale contempla la possibilità di attribuire l'abitazione della casa familiare, oltre che al genitore affidatario di figli minori, anche a quello con cui convivano figli maggiorenni, si riferisce ai figli che, nonostante la maggiore età, abbiano ancora diritto al mantenimento, non avendo ancora raggiunto (senza colpa) l'indipendenza economica. Detta abitazione, pertanto, non è reclamabile nel caso di convivenza con figli maggiorenni ed autosufficienti, senza che rilevi la spettanza dell'assegno di divorzio (la cui tutela esula dalla ratio della citata norma).

Cass. civ. n. 11788/1990

In tema di divorzio, l'art. 11 della L. 6 marzo 1987, n. 74, il quale, riformulando l'art. 6 della L. 1 dicembre 1970, n. 898, stabilisce che l'abitazione della casa familiare spetta di preferenza al genitore cui vengono affidati i figli o con il quale i figli convivono dopo la maggiore età (così recependo l'istituto dettato dall'art. 155 quarto comma c.c. per la separazione, a parte l'innovativa equiparazione fra figli minori e figli maggiorenni ancora conviventi), e poi aggiunge che «in ogni caso, ai fini dell'assegnazione, il giudice dovrà valutare le condizioni economiche dei coniugi e le ragioni della decisione e favorire il coniuge più debole», si limita ad introdurre, con tale ultima disposizione, concorrenti parametri per le valutazioni del giudice, senza toccare il presupposto del potere di disporre dell'abitazione familiare (in deroga alla proprietà od altro titolo implicante il godimento), costituito dall'esistenza della prole.

Cass. civ. n. 1466/1988

Il giudice del divorzio, nel provvedere sull'affidamento dei figli minori, deve valutare la situazione in atto, al fine di adottare le scelte più idonee ad assicurare l'interesse dei minori stessi, garantendone la formazione della personalità ed il regolare sviluppo psico-fisico, mentre non resta vincolato alle decisioni ed agli apprezzamenti in proposito a suo tempo effettuati dal giudice della separazione, vertendosi in tema di statuizioni modificabili in relazione ai fatti sopravvenuti.

Cass. civ. n. 1024/1982

Il provvedimento del giudice del divorzio, in ordine all'affidamento del figlio minore ad uno dei coniugi, per il caso in cui sia accertata l'inidoneità dell'altro coniuge a prenderne cura, e non ricorrano motivi ostativi all'affidamento medesimo, non abbisogna di una specifica e particolare motivazione, circa l'esclusione di un ricorso a terze persone o di un collocamento presso istituti, trattandosi di ipotesi eccezionali rispetto al criterio normale della scelta dell'uno o dell'altro dei genitori.

Cass. civ. n. 259/1978

Nell'ipotesi di separazione tra i coniugi o di divorzio, anche il coniuge non affidatario ha il dovere di vigilare e collaborare allo sviluppo fisico e psichico del figlio; ne consegue che il giudice, pur avendo in materia un potere discrezionale, non può dare disposizioni che, rendendo estremamente difficili gli incontri fra genitore e figlio, impediscano in concreto l'esercizio di tale diritto-dovere, salvo che non si versi nell'ipotesi di pregiudizio per l'educazione della prole, per la quale la legge appresta opportuni rimedi, e sempre che l'azione del genitore non affidatario non vanifichi del tutto la preferenza accordata dal giudice all'altro coniuge, in considerazione della maggiore idoneità di quest'ultimo.

Cass. civ. n. 4969/1977

Nel procedimento di divorzio, il riconoscimento del diritto di un coniuge ad ottenere, ai sensi dell'art. 6 della L. 1° dicembre 1970, n. 898, un concorso dell'altro coniuge nelle spese di mantenimento del figlio maggiorenne, che non sia ancora in grado di procurarsi autonomi mezzi di sostentamento, non postula la chiamata in causa del figlio medesimo.

Cass. civ. n. 1965/1977

Il giudice che pronuncia lo scioglimento del matrimonio, può disporre l'affidamento dei figli minori al genitore residente all'estero quando concorrano circostanze e situazioni le quali consentano di escludere qualsiasi pregiudizio per i minori. La condanna ad un facere è legittima quando il contenuto di esso è precisamente determinato, ovvero determinabile dal giudice della esecuzione ex art. 612 c.p.c., ma non quando la sentenza sia così generica da richiedere, per essere eseguita, la soluzione di nuove controversie di diritto sostanziale. Pertanto, deve ritenersi censurabile, in quanto generica e contraddittoria, la sentenza che affidi il figlio minore alla madre divorziata residente all'estero, e stabilisca altresì alcuni giorni, della settimana, di affidamento al padre residente in Italia, senza stabilire specificamente i mezzi e i modi di trasferimento del minore o del padre.

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