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Articolo 2697 Codice Civile

(R.D. 16 marzo 1942, n. 262)

[Aggiornato al 25/09/2024]

Onere della prova

Dispositivo dell'art. 2697 Codice Civile

Chi vuol far valere un diritto in giudizio [99 c.p.c., 100 c.p.c.] deve provare i fatti che ne costituiscono il fondamento [115 c.p.c.](1).

Chi eccepisce l'inefficacia di tali fatti ovvero eccepisce che il diritto si è modificato o estinto deve provare i fatti su cui l'eccezione si fonda(2).

Note

(1) L'onere di provare un fatto ricade su colui che invoca proprio quel fatto a sostegno della propria tesi (onus probandi incumbit ei qui dicit): chi vuol far valere in giudizio un diritto deve quindi dimostrare i fatti costitutivi, che ne hanno determinato l'origine. Ad esempio, Primus il quale reclami l'osservanza da parte di Secundus di un certo contratto, dovrà dare dimostrazione dell'avvenuta stipula del medesimo, esibendone l'avvenuta scrittura, o ancora, colui che vanta una pretesa risarcitoria di natura extracontrattuale dovrà provare la lesione del generale principio del "neminem laedere", tutelato dall'art. 2043.
Perciò è necessaria la dimostrazione del fatto costitutivo del danno, dell'entità di quest'ultimo e infine dell'esistenza dell'elemento psicologico, attribuito quindi all'autore. La vittima di un tamponamento, ad esempio, avrà l'onere di dimostrare, in aggiunta al fatto storico in sè considerato, anche la presenza di un requisito soggettivo di responsabilità (almeno al grado della colpa), in capo all'autore del sinistro, provando la non osservanza delle regole del codice della strada.
(2) Colui che contesta la rilevanza di tali fatti in giudizio ha invece l'onere di dimostrarne l'inefficacia, o provare eventuali altri fatti che abbiano modificato o fatto venir meno il diritto vantato, chiamati rispettivamente fatti impeditivi, modificativi ed estintivi.
Di conseguenza, tenendo fede all'esempio della nota precedente riguardante l'osservanza delle norme contrattuali, il convenuto dovrà dimostrare l'invalidità del contratto (fatto impeditivo), oppure che, ad esempio, è intervenuto un patto di proroga nel termine di adempimento (modificativo), o ancora che è intervenuta una risoluzione consensuale del contratto (estintivo).

Ratio Legis

La norma esprime, in tema di prove civili, il fondamentale principio dispositivo in forza del quale alla base della decisione del giudice devono essere poste soltanto le prove che le parti hanno prodotto nel corso del procedimento. Le disposizioni applicabili e la conseguente decisione finale del giudice dovranno dunque essere fondate su atti o fatti mostrati da attore e convenuto, con eccezione dei tassativi casi di possibilità di acquisizione della prova d'ufficio, ex lege previsti.

Brocardi

Actore non probante, reus absolvitur
Adfirmanti incumbit probatio
Ei incumbit probatio qui dicit
Idem est non esse et non apparere
In excipiendo reus fit actor
Manifesta haid indigent probatione
Negativa non sunt probanda
Non esse et non probari paria sunt
Onus probandi ei incumbit qui agit, non qui negat
Onus probandi incumbit ei qui dicit
Qui excipit probare debet quod excipitur

Spiegazione dell'art. 2697 Codice Civile

Classificazione dei fatti rispetto all’onere della prova

E' stato giustamente affermato che la teoria della ripartizione dell'onere della prova, benché alcuni scrittori neghino la utenza del problema, costituisce la spina dorsale del processo civile. Onere, in senso generalissimo, può definirsi la condizione il cui adempi­mento è necessario per ottenere il conseguimento di un vantaggio ma­teriale o processuale : l'adempimento dell'onere di prova è la condi­zione necessaria per ottenere la formazione del convincimento del giudice propria affermazione, che costituisce la premessa necessaria alla richiesta di attribuzione di un bene della vita. Le teorie sulla ripartizione dell’ onere sono varie e si collegano all'intero sistema proces­suale e sostanziale del diritto in un dato luogo ed in un dato tempo.

L'art. 1312 cod. civ. 1865, in relazione all'erronea o quanto meno angusta collocazione sistematica di cui abbiamo fatto cenno or ora, distribuiva l'onere della prova fra chi domanda l'esecuzione di una ob­bligazione, e chi ne afferma la estinzione mercé pagamento o altro fatto. La, dottrina, utilizzando i risultati della scienza tedesca, sviluppò questo principio ( più sistematicamente Chiovenda) creando le due categorie dei fatti costitutivi ed estintivi, il cui concetto non presenta forse grandi difficoltà. Costitutivo è il fatto che, se provato, realizza una fattispecie giuridica a favore di chi lo deduce ; estintivo quello che, se provato, costituisce, rispetto alla cennata fattispecie, uno status libertatis.

Ma non appena si viene all'applicazione pratica di tali concetti sorgono le difficoltà. Si tratta di vedere quali sono i limiti della fatti­specie che deve essere provata da chi l'afferma (e che primieramente è l'attore). Si è fatto il caso (Chiovenda) di colui che afferma che il convenuto si è obbligato a dargli , e si chiede : se il convenuto afferma di averlo fatto per scherzo, chi avrà l'onere della prova ? Dovrà l'attore provare la serietà della promessa o il convenuto il contrario ?

Il criterio generalmente adottato è quello della normalità: l'attore deve provare gli estremi tipici della fattispecie ed il convenuto il concorso di elementi atipici (nel caso suddetto, la non serietà della manifesta­zione di volontà). Così fra le due categorie predette venne ad insinuarti quella dei fatti impeditivi, la cui definizione solleva dispute assai vivaci. L'articolo distribuisce i fatti giuridici sotto quattro categorie : costitutivi (I comma), impeditivi (2 comma — I a parte), modificativi (2a parte), estintivi (3 parte). Non li definisce, ma valgono i criteri sopra enunciati, già largamente applicati dalla giurisprudenza e dalla stessa dottrina.



Fatti notori. Regole di esperienza

È necessario pure tener conto di alcuni principii, non scritti in questo codice, ma che influiscono sull'onere della prova.

Tale è innanzi tutti quello secondo cui i fatti notoria non egent probatione. Per notorio si intende un fatto normalmente conosciuto da tutti gli individui di media condizione e cultura in un determinato momento storico (ad es. la esistenza di Napoleone, la scoperta della elettricità, la legge di gravità, etc). È pure comune insegnamento che non egent probatione i fatti non controversi. Ma poichè il semplice silenzio non implica accettazione, si tratta in sostanza di valutare il contegno pro­cessuale della parte che avrebbe interesse a negare il fatto, a norma dell'art. 116, cpv., cod. proc. civ. (v. commento all'art. 2697, n. 6).

Tale è in secondo luogo quello secondo cui il giudice può applicare, all'infuori di ogni attività di parte, le c. d. regole di esperienza. Esse dif­feriscono dal fatto notorio in quanto non rappresentano una nozione ma il mezzo per giungervi : partecipano delle presunzioni (v. articoli 2727-2729 di questo .cod.) e del processo logico che il giudice segue per giungere alla pronuncia.

Ciò era già stato ampiamente riconosciuto da dottrina e giurispru­denza : l'art. 115 del vigente cod. di proc. civ. dopo aver ribadito nel suo primo comma che «salvo i casi previsti dalla legge » (i quali riassu­mono il principio c. d. inquisitorio) «il giudice deve porre a fondamento della decisione le prove proposte dalle parti o dal pubblico ministero », aggiunge nel capoverso che « può tuttavia, senza bisogno di prova porre a fondamento della decisione le nozioni di fatto che rientrano nella comune esperienza » nella quale formula, che si riferisce essenzial­mente ai fatti notori, possono farsi in certo senso rientrare anche le regole di esperienza.

Relazione al Libro delle Obbligazioni

(Relazione del Guardasigilli al Progetto Ministeriale - Libro delle Obbligazioni 1941)

60 Come ho detto nelle premesse generali della presente relazione, ho creduto per intanto di mantenere in questo libro il principio dell'art. 1312 cod. civ. (art. 71).
L'ho fatto seguire da un capoverso che commina di nullità i patti diretti ad invertire o a modificare l'onere legale della prova. Ho creduto di escludere la validità di queste convenzioni preventive perché esse concernerebbero l'attività processuale delle parti, che deve invece essere regolata soltanto dalla legge, con esclusione di ogni liberta contrattuale, se vuole ri­spondere in concreto allo spirito del processo civile, desumibile dai suoi nuovi lineamenti.
61 Ho poi riportato in questa sede, con alcune modifica­zioni che ne chiariscono la portata, il principio della c.d. astrazione processuale della causa, che si trovava affermato negli articoli 1120 e 1121 cod. civ.
In effetti, bisogna riconoscere che una delle ragioni principali per cui il problema della causa è stato fonte di inter­minabili discussioni non ancora sopite, si deve scorgere nell'infelice sistemazione delle norme del codice, modellate pe­dissequamente sulle corrispondenti di quello francese. Mentre nell'art. 1104 il codice civile considera la causa come elemento essenziale del contratto, negli articoli 1119-1121 regola la causa dell'obbligazione, perpetuando così l'equivoco di una man­canza di discriminazione dei due concetti.
Essendosi nel mio progetto parlato esclusivamente di causa del contratto, gli articoli 1120 e 1121 non dovevano più essere riprodotti in quella sede, perché è chiaro che non si può par­lare di un'astrazione semplicemente processuale della causa del contratto, dato che ogni contratto esprime necessariamente, nella sua realtà oggettiva, l'elemento della causa e ne individua la natura. Invece, il problema dell'astrazione processuale si presenta ogni qualvolta l'assunzione e la esistenza di un'ob­bligazione risulta provata da una dichiarazione (normalmente documentata) che si presenta esternamente come promessa e come riconoscimento di debito, ma non risulta quale sia la fonte mediata (contrattuale o meno) dell'obbligo, ossia la causa oggettiva della promessa o del riconoscimento. In tal caso il principio dell'astrazione processuale porta alla conse­guenza che il creditore deve essere dispensato dal provare quale sia la fonte da cui l'obbligazione deriva, potendo solo il debitore provarne l'inesistenza.
In fondo perciò l'astrazione ora ricordata si risolve in un'eccezione al principio dell'onere della prova, perché il creditore, dovendo dimostrare il fatto costitutivo dell'obbligo, avrebbe il dovere di provare la fonte dalla quale l'obbligo stesso deriva,
essendo la mera dichiarazione di essere debitore non idonea, dal punto di vista sostanziale (salvi i cast di negozio astratto), a produrre un'obbligazione valida.
L'art. 72 risponde, per la sua sede e per la sua formula­zione, ai principi ora cennati, e contribuirà probabilmente a rendere più chiaro e comprensibile il problema della causa.

Massime relative all'art. 2697 Codice Civile

Cass. civ. n. 12064/2023

L'onere di contestazione, la cui inosservanza rende il fatto pacifico e non bisognoso di prova, sussiste soltanto per i fatti noti alla parte, non anche per quelli ad essa ignoti.

Cass. civ. n. 9863/2023

Le regole sull'onere della prova sono disposizioni di giudizio residuali rispetto al principio di acquisizione probatoria - secondo il quale le risultanze istruttorie, comunque ottenute, concorrono alla formazione del libero convincimento del giudice (non condizionato dalla loro provenienza) - e trovano, dunque, applicazione solo in presenza di un fatto rilevante rimasto ignoto sulla base delle emergenze probatorie.

Cass. civ. n. 4681/2023

L'onere di contestazione, la cui inosservanza rende il fatto pacifico e non bisognoso di prova, sussiste soltanto quando i fatti controversi siano noti alla parte, con la conseguenza che spetta a chi denunci la violazione del principio di non contestazione allegare che la controparte era a conoscenza della circostanza assunta come controversa, non essendo altrimenti configurabile a carico della predetta un onere di contestazione sulla questione.

Cass. civ. n. 1997/2023

In tema di valutazione delle prove, il divieto per il giudice di trarre dai documenti ritualmente prodotti la conoscenza di fatti non allegati dalle parti riguarda soltanto i fatti principali, e cioè i fatti posti dalle parti (e che devono essere dedotti necessariamente da queste ultime) a sostegno delle loro domande e delle loro eccezioni, e non riguarda, invece, i fatti secondari, rilevanti nel processo soltanto quali elementi di conoscenza, dai quali risalire logicamente all'accertamento dei fatti principali, poiché tale divieto è finalizzato ad evitare che il giudice, analizzando il materiale probatorio, supplisca alle carenze delle parti nell'assolvimento dell'onere di indicare precisamente i fatti posti a fondamento delle domande e delle eccezioni.

Cass. civ. n. 29063/2022

Il principio dell'onere della prova positivizzato nell'art. 2697 c.c., applicabile anche al processo tributario, prescinde dal grado di intrinseca attendibilità delle affermazioni che una parte faccia a suo favore, cosicché, per effetto della struttura dialettica del giudizio, che pone le parti in identica posizione, occorre necessariamente che la verifica dei fatti posti a fondamento della domanda (o delle eccezioni) passi attraverso il vaglio di elementi diversi dalla mera affermazione che di essi faccia la parte a proprio vantaggio.

Cass. civ. n. 12910/2022

Il principio di vicinanza della prova non deroga alla regola di cui all'art. 2697 c.c. (che impone all'attore di provare i fatti costitutivi del proprio diritto e al convenuto la prova dei fatti estintivi, impeditivi o modificativi del diritto vantato dalla controparte) ma opera allorquando le disposizioni attributive delle situazioni attive non offrono indicazioni univoche per distinguere le suddette due categorie di fatti, fungendo da criterio ermeneutico alla cui stregua i primi vanno identificati in quelli più prossimi all'attore e dunque nella sua disponibilità, mentre gli altri in quelli meno prossimi e quindi più facilmente suffragabili dal convenuto, di modo che la vicinanza riguarda la possibilità di conoscere in via diretta o indiretta il fatto, e non già la possibilità concreta di acquisire la relativa prova.

Cass. civ. n. 8018/2021

L'onere probatorio gravante, a norma dell'art. 2697 c.c., su chi intende far valere in giudizio un diritto, ovvero su chi eccepisce la modifica o l'estinzione del diritto da altri vantato, non subisce deroga neanche quando abbia ad oggetto "fatti negativi", in quanto la negatività dei fatti oggetto della prova non esclude né inverte il relativo onere, tanto più se l'applicazione di tale regola dia luogo ad un risultato coerente con quello derivante dal principio della riferibilità o vicinanza o disponibilità dei mezzi di prova, riconducibile all'art. 24 Cost. e al divieto di interpretare la legge in modo da rendere impossibile o troppo difficile l'esercizio dell'azione in giudizio. Tuttavia, non essendo possibile la materiale dimostrazione di un fatto non avvenuto, la relativa prova può essere data mediante dimostrazione di uno specifico fatto positivo contrario, o anche mediante presunzioni dalle quali possa desumersi il fatto negativo. (In applicazione del principio, la S.C. ha confermato la sentenza che aveva posto a carico del vettore la prova della mancata stipulazione di polizza assicurativa, quale condizione, contrattualmente stabilita, di rinuncia al diritto di rivalsa da parte della società assicuratrice che aveva risarcito, all'avente diritto assicurato, il danno derivante dal furto delle cose trasportate). (Rigetta, CORTE D'APPELLO ROMA, 14/03/2019).

Cass. civ. n. 5413/2021

L'onere di provare il fatto interruttivo della prescrizione, ritualmente introdotto nel processo, grava su chi ha esercitato il diritto soggetto a prescrizione; perché sorga detto onere, è sufficiente la dimostrazione che il diritto è venuto in essere e poteva essere fatto valere in un momento in relazione al quale esso, in mancanza del menzionato fatto interruttivo, avrebbe dovuto essere considerato estinto quando è stato azionato. (Cassa con rinvio, CORTE D'APPELLO ROMA, 11/11/2017).

Cass. civ. n. 14610/2014

In tema di onere della prova, la parte convenuta in giudizio per il pagamento di una somma di denaro che eccepisca di avere adempiuto alla propria obbligazione ammette, per ciò stesso, sia pur implicitamente, l'esistenza del rapporto su cui si fonda la pretesa della controparte, la quale, conseguentemente, è sollevata dall'onere della relativa prova, incombendo sul convenuto il compito di dimostrare il proprio assunto difensivo in base al principio per cui chi eccepisce l'estinzione del diritto fatto valere nei suoi confronti deve provare il fatto su cui l'eccezione si fonda.

Cass. civ. n. 3576/2013

L'onere di contestazione - la cui inosservanza rende il fatto pacifico e non bisognoso di prova - sussiste soltanto per i fatti noti alla parte, non anche per i fatti ad essa ignoti.

Cass. civ. n. 16917/2012

In tema di riparto dell'onere della prova ai sensi dell'art. 2697 c.c., l'onere di provare i fatti costitutivi del diritto grava sempre su colui che si afferma titolare del diritto stesso ed intende farlo valere, ancorché sia convenuto in giudizio di accertamento negativo.

Cass. civ. n. 12108/2010

In tema di riparto dell'onere della prova ai sensi dell'art. 2697 c.c., l'onere di provare i fatti costitutivi del diritto grava su colui che si afferma titolare del diritto stesso ed intende farlo valere, ancorché sia convenuto in giudizio di accertamento negativo. Ne consegue che nel giudizio promosso da una società per l'accertamento dell'insussistenza dell'obbligo contributivo preteso dall'INPS sulla base di verbale ispettivo, incombe sull'Istituto previdenziale la prova dei fatti costitutivi del credito preteso, rispetto ai quali il verbale non riveste efficacia probatoria. (Nella specie, la S.C., in applicazione del principio di cui alla massima, ha escluso che incombesse sulla società promotrice del giudizio di accertamento negativo del credito contributivo dell'INPS l'onere di provare l'inesistenza, dovendosi escludere che alle dichiarazioni dei lavoratori riportate nel verbale ispettivo potesse attribuirsi efficacia probatoria).

Cass. civ. n. 20104/2009

In tema di prove, non può supplirsi all'onere di provare i fatti costitutivi della domanda con la richiesta alla controparte di esibizione di documenti, integrando, tra l'altro, l'inosservanza all'ordine di esibizione, quando concesso, un comportamento liberamente valutabile dal giudice di merito, ai sensi dell'art. 116, secondo comma, c.p.c.

Cass. civ. n. 21544/2008

In tema di risarcimento del danno, il creditore che voglia ottenere, oltre il rimborso delle spese sostenute, anche i danni derivanti dalla perdita di "chance" - che, come concreta ed effettiva occasione favorevole di conseguire un determinato bene, non costituisce una mera aspettativa di fatto ma un'entità patrimoniale a sé stante, giuridicamente ed economicamente suscettibile di autonoma valutazione - ha l'onere di provare, pur se solo in modo presuntivo o secondo un calcolo di probabilità, la realizzazione in concreto di alcuni dei presupposti per il raggiungimento del risultato sperato ed impedito dalla condotta illecita della quale il danno risarcibile deve essere conseguenza immediata e diretta. (Nel caso di specie, la S.C., cassando con rinvio, ha ritenuto che il giudice di merito avesse erroneamente omesso di vagliare il nesso tra l'inabilità temporanea conseguente ad un infortunio riguardante una dipendente ed il mancato rinnovo alla stessa del contratto di lavoro, rinnovato, invece, a tutti gli altri dipendenti).

Cass. civ. n. 15162/2008

Il principio generale di riparto dell'onere probatorio di cui all'art. 2697 c.c. deve essere contemperato con il principio di acquisizione, desumibile da alcune disposizioni del codice di rito (quale ad esempio l'art. 245, comma secondo, c.p.c.) ed avente fondamento nella costituzionalizzazione del principio del giusto processo, in base al quale le risultanze istruttorie, comunque acquisite al processo, e quale che sia la parte ad iniziativa o ad istanza della quale si siano formate, concorrono tutte alla formazione del convincimento del giudice. Ne deriva che la soccombenza dell'attore consegue alla inottemperanza dell'onere probatorio a suo carico soltanto nell'ipotesi in cui le risultanze istruttorie, comunque acquisite al processo, non siano sufficienti per provare i fatti che costituiscono il fondamento del diritto che si intende far valere in giudizio.

Cass. civ. n. 384/2007

L'onere probatorio gravante, a norma dell'art. 2697 c.c., su chi intende far valere in giudizio un diritto, ovvero su chi eccepisce la modifica o l'estinzione del diritto da altri vantato, non subisce deroga neanche quando abbia ad oggetto «fatti negativi», in quanto la negatività dei fatti oggetto della prova non esclude né inverte il relativo onere, gravando esso pur sempre sulla parte che fa valere il diritto di cui il fatto, pur se negativo, ha carattere costitutivo; tuttavia, non essendo possibile la materiale dimostrazione di un fatto non avvenuto, la relativa prova può esser data mediante dimostrazione di uno specifico fatto positivo contrario, o anche mediante presunzioni dalle quali possa desumersi il fatto negativo. (Fattispecie relativa a domanda di trasferimento coattivo di un fondo, sul presupposto dell'accertamento negativo della sussistenza del diritto di prelazione agraria in capo a un confinante, che aveva esercitato la prelazione alla quale il preliminare era subordinato).

Cass. civ. n. 19064/2006

La violazione del precetto di cui all'art. 2697 c.c. si configura soltanto nell'ipotesi che il giudice abbia attribuito l'onere della prova ad una parte diversa da quella che ne è gravata secondo le regole dettate da quella norma, non anche quando, a seguito di una incongrua valutazione delle acquisizioni istruttorie, il giudice abbia errato nel ritenere che la parte onerata abbia assolto tale onere, poiché in questo caso vi è soltanto un erroneo apprezzamento sull'esito della prova, sindacabile in sede di legittimità solo per il vizio di cui all'art. 360 n. 5 c.p.c.

Cass. civ. n. 13958/2006

Non sussistendo nel vigente ordinamento processuale un onere, per la parte, di contestazione specifica di ogni fatto dedotto ex adverso, la mera mancata contestazione in quanto tale non può avere automaticamente l'effetto di prova, onde il giudice che ritenga non raggiunta la prova di una circostanza, consistente in un fatto dedotto in esclusiva funzione probatoria, semplicemente allegata dall'attore, non incorre in violazione di legge o vizio di motivazione nel non aver tenuto conto, quale elemento probante, della non contestazione da parte del convenuto (fattispecie in tema di allegazione della qualità di imprenditore ai fini della liquidazione del maggior danno per svalutazione monetaria in obbligazione pecuniaria).

Cass. civ. n. 5488/2006

Nel vigente ordinamento processuale i fatti allegati da una delle parti vanno considerati «pacifici» — e quindi possono essere posti a fondamento della decisione — quando siano stati esplicitamente ammessi dalla controparte oppure quando questa pur non avendoli espressamente contestati abbia tuttavia assunto una posizione difensiva assolutamente incompatibile con la loro negazione, così implicitamente ammettendone l'esistenza. (Nella specie la S.C. ha cassato la sentenza di merito che aveva respinto perché priva di prova la domanda di rilascio di un fondo rustico, benché il resistente avesse sempre impostato le proprie difese sulla legittimità della detenzione del fondo da parte sua, assumendo di essere anche titolare del diritto di prelazione sul terreno).

Cass. civ. n. 4622/2004

Ai fini della ripartizione dell'onere della prova, allorché il convenuto non si limiti a contestare genericamente l'assunto attoreo, ma contrapponga una difesa articolata su fatti diversi da quelli posti a, base della domanda, propone una eccezione in senso sostanziale di cui è tenuto a fornire la dimostrazione ai sensi dell'art. 2697 c.c. (Nella specie, relativa alla richiesta da parte del lavoratore di rimborsi spese per consegne a domicilio, il datore di lavoro aveva sostenuto, senza provarlo, che le consegne erano state effettuate «sulla strada» percorsa dalla lavoratrice per rientrare nella propria abitazione).

Cass. civ. n. 2299/2004

La mancata specifica contestazione di un fatto costitutivo del diritto dedotto da uno dei contendenti lo rende incontroverso e non più bisognoso di prova, in quanto l'atteggiamento difensivo delle parti, valutato alla stregua della regola di condotta processuale di cui all'art. 167 comma 1 c.p.c., che impone al convenuto di prendere posizione in comparsa di risposta sui fatti posti dall'attore a fondamento della domanda, espunge il fatto stesso dall'ambito degli accertamenti richiesti; non sussistono tali presupposti qualora lo stesso attore — ad esempio — introduca il tema probatorio concernente la titolarità attiva del rapporto, ancorché parte convenuta si sia difesa avanzando argomentazioni logicamente successive alla questione della titolarità, ma non incompatibili con il diniego della stessa. (Fattispecie relativa a giudizio risarcitorio in cui era controversa l'appartenenza del veicolo danneggiato all'attore; la S.C. ha negato che si fosse formata non contestazione sul punto, in quanto l'attore stesso aveva prodotto una dichiarazione sostitutiva di atto notorio volta a superare le risultanze del registro automobilistico e la compagnia assicuratrice convenuta aveva contestato la sussistenza «dei presupposti e delle condizioni dell'azione» negando la sussistenza della responsabilità extracontrattuale del convenuto nel sinistro, senza con ciò riconoscere che ove dell'illecito fosse stato ritenuto responsabile l'assicurato, titolare del diritto al risarcimento sarebbe stato l'attore)

Cass. civ. n. 17336/2003

In tema di procedimento civile, il principio dell'onere della prova non implica che il fondamento del diritto vantato debba essere dimostrata unicamente dalle prove prodotte dal soggetto gravato dal relativo onere. Tale fondamento può invece desumersi da elementi altrimenti acquisiti o acquisibili al processo, anche attraverso l'esercizio da parte del giudice dei poteri officiosi riconosciutigli in materia dall'ordinamento processuale. (Nella specie, la S.C. ha cassato con rinvio la sentenza impugnata, che aveva rigettato l'istanza di espletamento di una consulenza tecnica finalizzata ad accertare la ricorrenza di difformità progettuali rispetto ad un accordo negoziale avente ad oggetto la compravendita di un terreno edificabile, sebbene la parte ricorrente avesse prodotto una planimetria costituente, quanto meno, un principio di prova).

Cass. civ. n. 200/2002

La risposta data dalla parte all'interrogatorio deferitole, come non può fornire la prova di fatti favorevoli alla parte stessa, così non è idonea neppure ad invertire, in relazione a tali fatti, l'onere probatorio, il quale continua a gravare su detta parte, la quale, se intende far derivare dalle proprie affermazioni conseguenze giuridiche in proprio favore, deve pertanto dare la dimostrazione dei fatti da essa affermati, senza poter pretendere che, per effetto di dette affermazioni, debba essere la controparte a fornire la prova dell'inesistenza degli stessi.

Cass. civ. n. 11054/2001

Il principio per cui il giudice deve porre a base della sua decisione unicamente i fatti allegati dalle parti e l'altro per cui i fatti pacifici tra le parti non hanno bisogno di essere provati incontrano un limite allorquando la legge richiede per la prova di tali fatti un atto scritto ad substantiam, ciò si verifica per il decreto di esproprio, che, come qualunque provvedimento tipico e nominato, esige una statuizione della P.A. espressa ed esteriorizzata nell'atto, preordinata alla realizzazione degli specifici effetti per esso previsti dall'ordinamento. (Nella specie, la Suprema Corte ha confermato la decisione di merito che aveva dichiarato inammissibile l'opposizione all'indennità di esproprio in un caso in cui il decreto non era stato prodotto dalle parti né risultava dagli atti la sua esistenza, rendendo superfluo l'esercizio di poteri ufficiosi di acquisizione).

Cass. civ. n. 13904/2000

I fatti allegati possono essere considerati «pacifici», esonerando la parte dalla necessità di fornirne la prova, solamente quando l'altra parte abbia impostato la propria difesa su argomenti logicamente incompatibili con il disconoscimento dei fatti medesimi, ovvero quando si sia limitata a contestarne esplicitamente e specificamente taluni soltanto, evidenziando in tal modo il proprio non interesse ad un accertamento degli altri. (Fattispecie relativa ad una causa di lavoro: un dirigente d'azienda aveva chiesto il computo del valore dei cosiddetti fringe benefit nella quantificazione dell'indennità supplementare di licenziamento; la S.C. ha confermato la sentenza che aveva rigettato tale domanda per difetto di prova del valore di tali elementi, in presenza di una mera non contestazione al riguardo da parte del datore di lavoro, che peraltro aveva contestato l'includibilità nel computo di tali elementi).

Cass. civ. n. 536/2000

Il principio generale per cui l'onere della prova grava su colui che allega i fatti posti a fondamento della domanda o dell'eccezione, non viene meno nel caso in cui al giudice è riconosciuto di disporre d'ufficio mezzi di prova ritenuti necessari, in quanto detto potere avendo carattere discrezionale non si pone in funzione sostitutiva dell'onere predetto, con la conseguenza che il mancato esercizio dello stesso non è censurabile in sede di legittimità anche se del tutto immotivato ed anche se disattenda una specifica sollecitazione della parte interessata.

Cass. civ. n. 9592/1998

Il principio dell'onere della prova non implica affatto che la dimostrazione dei fatti costitutivi del diritto preteso debba ricavarsi esclusivamente dalle prove offerte da colui che è gravato dal relativo onere, senza poter utilizzare altri elementi probatori acquisiti al processo, poiché nel vigente ordinamento processuale vige il principio di acquisizione secondo il quale le risultanze istruttorie, comunque ottenute e quale che sia la parte ad iniziativa o ad istanza della quale sono formate, concorrono tutte, indistintamente, alla formazione del convincimento del giudice senza che la diversa provenienza possa condizionare tale formazione in un senso o nell'altro, e, quindi, senza che possa escludersi l'utilizzazione di una prova fornita da una parte per trarne elementi favorevoli alla controparte.

Cass. civ. n. 3775/1996

Ai fini della ripartizione dell'onere della prova, il convenuto, soltanto se contrapponga una difesa articolata su fatti diversi da quelli posti a base della domanda (invece di contestare genericamente l'assunto attoreo), propone una eccezione in senso sostanziale di cui è tenuto a fornire la dimostrazione ai sensi dell'art. 2697 c.c. con le relative conseguenze in caso di prova non offerta o non raggiunta, sicché, se egli si limiti a sostenere la sua estraneità al rapporto giuridico posto a fondamento della domanda e pertanto deduca la mancanza di una delle condizioni dell'azione, quale l'identificazione in esso convenuto del soggetto nei cui confronti la legge conferisce all'attore il diritto azionato, spetta pur sempre a quest'ultimo, a norma dell'art. 2697 citato, l'onere di provare i fatti giuridici da cui deriva tale diritto, mentre, allorché le circostanze costitutive dell'azione esperita siano desumibili ex actis, incombe al convenuto di dimostrarne l'inefficacia.

Cass. civ. n. 5733/1993

L'onere probatorio del convenuto, di contenuto contrario a quello dell'attore, sorge in concreto solo quando quest'ultimo abbia fornito la prova dei fatti posti a fondamento della domanda, con la conseguenza che l'insufficienza della prova con cui il convenuto abbia inteso confortare le contestazioni delle pretese dell'attore non vale a dispensare quest'ultimo dell'onere probatorio a suo carico, salvo, peraltro, il principio, di generale applicazione, per cui i fatti allegati da una parte possono considerarsi pacifici, si da potere essere posti a base della decisione, non solo quando siano stati esplicitamente ammessi dalla controparte, ma anche quando questa non li contesti specificamente ed imposti altrimenti il proprio sistema difensivo.

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Consulenze legali
relative all'articolo 2697 Codice Civile

Seguono tutti i quesiti posti dagli utenti del sito che hanno ricevuto una risposta da parte della redazione giuridica di Brocardi.it usufruendo del servizio di consulenza legale. Si precisa che l'elenco non è completo, poiché non risultano pubblicati i pareri legali resi a tutti quei clienti che, per varie ragioni, hanno espressamente richiesto la riservatezza.

M. V. P. chiede
sabato 14/10/2023
“Più di 17 anni fa, in data 16 febbraio 2006, lo scrivente sottoscrisse un contratto di cessione del Quinto con EuroXXX, a poi revocato. Ed, infatti, l’Amministrazione Terza Ceduta - Uffici del Tesoro - a seguito dell'intervenuto annullamento, regolarmente comunicato da EuroXXX, smise subito di effettuare la ritenuta mensile a partire dall'Aprile del 2006, con comunicazione allo scrivente, non recapitata per errore d'indirizzo. L'annullamento del contratto è CERTO, anche se non documentato. Fortunatamente, lo scrivente ha ritrovato, i cedolini di stipendio del 2006, dove non compare più la ritenuta della cessione da aprile 2006, e questi, a giudizio dello scrivente, tali cedolini costituiscono PROVA CERTA della cancellazione della cessione. Orbene, nel Novembre 2018, ovvero più di dodici anni dopo, altro Istituto - *****, quale Cessionario del credito, mi ha chiesto il saldo del contratto di cessione, figurante non estinto e ceduto dalla stessa EuroXXX (si, quella delle truffe sulle cessioni denunciate dalla GG.FF nel 2009). Sostiene la cessionaria che, essendo la scadenza dell'originario piano fissata al gennaio 2018, i dieci anni decorrono da quella data. Nel fascicolo della Cessionaria, la revoca non compare, segno che è stata stralciata, e che, per gli effetti, è probabile una truffa della fallita EuroXXX. Una osservazione: Sono d'accordo che, in caso d'insolvenza di un mutuo, la normativa sia questa. Ma ritengo che, nel caso, per la decorrenza della prescrizione non si possa fare riferimento al Piano di Ammortamento decaduto ed alle relative scadenza dei caducati ratei, bensì ritengo che la prescrizione decorra dalla data dell'Interruzione della ritenuta nell'aprile 2006, con prescrizione computata ad aprile del 2016. Ciò per l'assoluta assoluta assenza di comunicazioni di errori, diffide e messe in mora dal 2006 sino al novembre 2018. Non potendo documentare l'avvenuto annullamento della cessione, perché il mio fascicolo al Tesoro, pur dopo approfondite ricerche, è andato disperso (sono pensionato dal 2011). Nel caso, quando può fissarsi la decorrenza della prescrizione? 31 gennaio 2026 (dieci anni dall'ultimo rateo del decaduto Ammortamento), ovvero 30 aprile 2016 (dieci anni dalla cancellazione della ritenuta mensile) ? Grazie.”
Consulenza legale i 23/10/2023
In materia di mutui (e lo stesso dicasi per i contratti di finanziamento, a prescindere dalla sussistenza o meno di una cessione del quinto di stipendi o pensioni), il frazionamento del debito in singole rate non scalfisce l’unitarietà del contratto stesso, motivo per il quale la decorrenza del termine prescrizionale di dieci anni di cui all’art. 2946 del c.c. decorre dalla scadenza dell’ultima rata (Cass. Civ., ordinanza 10 febbraio 2023, n. 4232; nello stesso senso: Cass. 17798/11).
Nell’eventualità di un recesso o di una risoluzione del contratto di finanziamento, ovvero dell’estinzione dell’obbligazione restitutoria (dovuta, ad esempio, al rimborso dell’importo erogato), se dovessero residuare pretese nonostante tali eventi, il termine prescrizionale decorrerebbe dall’evento estintivo dell’obbligazione.

Tanto premesso, nel caso di specie appare necessario verificare l’effettiva estinzione dell’obbligazione restitutoria, da poter opporre al creditore procedente, ad oggi cessionario del credito contestato.

Da quanto si apprende (dalle informazioni fornite), l’importo erogato è stato restituito a EuroXXX, il quale, tuttavia, pare non abbia registrato l’estinzione dell’obbligazione.
Di tale movimento, tuttavia, dovrebbe quantomeno residuarne traccia nella contabilità dell’istituto bancario, stante la ricezione (e si presume l’incasso) dell’assegno circolare all’uopo consegnato.
Ad oggi, al fine di opporsi alla richiesta di pagamento da parte dell’odierno cessionario del presunto credito è necessario dimostrare l’avvenuto pagamento di quanto inizialmente dovuto a EuroXXX (in virtù del contratto di finanziamento che si ritiene estinto), eccependo proprio l’adempimento dell’obbligazione originaria.

Si rammenti che, ai sensi dell’art. 2697 del c.c., grava sul debitore (o presunto tale) l’onere della prova dell’estinzione del diritto del cessionario alla pretesa dell’importo di cui al finanziamento; di conseguenza, è proprio il debitore che dovrà dimostrare di aver provveduto a saldare il debito per il quale si procede.
A tal fine, i cedolini delle retribuzioni versate all’epoca, dai quali risulta non più applicata la trattenuta mensile in forza del contratto di finanziamento, possono essere considerati quale prova dell’estinzione dell’obbligazione.
Per resistere alla pretesa avanzata con un alto grado di probabilità di ottenere un risultato favorevole, tuttavia, si ritiene opportuno corredare la propria eccezione con ulteriore documentazione a dimostrazione dell’effettivo rimborso dell’importo erogato, che pure appare complesso reperire (ad esempio: documentazione contabile o bancaria di EuroXXX, eventualmente di cui richiedere in giudizio l’esibizione documentale ex art. 210 del c.p.c.; estratto conto da cui risulta il movimento in uscita dal conto corrente del debitore; copia dell’assegno circolare).

A tale aspetto è legata anche la questione della decorrenza del termine di prescrizione, che dall’estinzione dell’obbligazione è, peraltro, assorbita.
La dimostrazione della restituzione dell’importo, con conseguente estinzione dell’obbligazione di cui al contratto di finanziamento, rende superflua l’eccezione di prescrizione, posto che non residuerebbe alcun diritto in capo al presunto creditore.
Se, al contrario, non venisse provata l’estinzione dell’obbligazione restitutoria, il contratto di finanziamento sarebbe ancora in essere ed il termine prescrizionale decorrerebbe dalla scadenza dell’ultima rata.

Venendo agli aspetti accessori del quesito, per quanto concerne la correttezza delle successive cessioni del credito, si fa presente che le cessioni di crediti in blocco tra istituti bancari non necessitano della comunicazione ai debitori ceduti, poiché l’art. 58 del T.U. bancario equipara gli effetti di cui all’art. 1264 del c.c. alla notizia dell'avvenuta cessione mediante iscrizione nel registro delle imprese e pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana, obbligo a cui le banche cessionarie sono sottoposte.

Neppure era necessaria una diffida e messa in mora: se l’obbligazione è adempiuta non vi era ragione di inviare alcuna comunicazione; se, al contrario, il contratto è ancora in essere (come la banca cessionaria ritiene) il termine di prescrizione decennale decorre dalla scadenza dell’ultima rata.

Nel caso di specie, nell’eventualità in cui l’odierno cessionario del presunto credito dovesse farsi nuovamente avanti e pretendere l’importo di cui all’originario contratto di finanziamento, si consiglia di dare riscontro evidenziando che l’importo erogato è stato restituito fin dal febbraio 2006, mostrando, altresì, la cessazione delle trattenute mensili a decorrere dal maggio 2006, a dimostrazione dell’estinzione dell’obbligazione restitutoria.

Nicola S. chiede
sabato 28/03/2020 - Veneto
“Ho 58 anni ed un soggetto mi ha causato un infarto e coronaropatia grave - grado di invalidità tra il 71 e l’80%.
Poiché sarei intenzionato ad avanzare richiesta di risarcimento danni non patrimoniali, vorrei conoscere a quanto ammonterebbe il risarcimento.
Ringrazio. Cordiali Saluti”
Consulenza legale i 01/04/2020
Nel quesito viene rappresentata l’esistenza di un danno (coronopatia grave) che sarebbe stato cagionato da un terzo.
Seppur da noi richiesto, non ci sono stati forniti elementi in merito allo svolgimento dei fatti ma soltanto l’epoca degli stessi (gennaio 2020).
Non sappiamo quindi se si sia trattato di un danno contrattuale o extracontrattuale (ad esempio, da sinistro stradale).
E non siamo nemmeno in grado di esprimere una qualche valutazione circa il nesso di causalità né, tanto meno, sugli elementi di prova che verrebbero forniti in un eventuale giudizio.

Nel diritto civile, uno dei principi basilari è quello relativo all’onere della prova consacrato nell’art. 2697 c.c secondo cui chi vuol far valere un diritto in giudizio deve provare i fatti che ne costituiscono il fondamento.
Quando si tratta di risarcimento danni “Ai fini dell’affermazione della responsabilità, sia in materia contrattuale che extracontrattuale, si richiede il nesso di causalità tra l'inadempimento o il fatto illecito e il danno e l'onere della dimostrazione di tale nesso, sia in materia contrattuale che extracontrattuale, è a carico di colui che agisce per il risarcimento.” (Corte di Cassazione, sez. VI Civile - 1, ordinanza n. 28995/17).
Insomma, non basta affermare di aver avuto un danno ma bisogna anche dimostrare che quel danno sia conseguenza di un inadempimento contrattuale oppure di un comportamento contrario alla legge.

Fermo quanto precede, con i soli elementi in nostro possesso tutto quello che possiamo dire in risposta al quesito è che - basandoci sulle tabelle di Milano per il risarcimento del danno non patrimoniale da lesioni macropermanenti- l’importo oscilla tra euro 586.000,00 (71% invalidità permanente) ed euro 682.761,00 (80% invalidità permanente).

Massimo B. chiede
mercoledì 02/10/2019 - Liguria
“Buongiorno Avvocati,
ringrazio per la risposta alla richiesta di consulenza Q201924046 che faceva riferimento alla consulenza Q201821370 e vi disturbo per chiarire meglio la situazione.
L’avvocato della controparte, con il quale è in corso una transazione, sostiene che la sentenza della Cassazione n. 16895/2010, indicata nella prima consulenza, secondo cui l’onere della prova è a carico dell’assicuratore, si riferisca solo alle esclusioni e alle clausole di delimitazione del rischio indennizzabile (soggettive, oggettive, causali, spaziali, temporali).
Invece, sostiene l’avvocato, che l’involontarietà e l’accidentalità del fatto dannoso siano elementi costitutivi della copertura e quindi debbano essere provati dall’assicurato.
Cioè, in estrema sintesi: dato che la polizza copriva solo i danni causati involontariamente e accidentalmente, la compagnia di assicurazione sostiene che l’involontarietà e l’accidentalità del sinistro, in quanto elementi costitutivi della copertura, debbano essere provati dall’assicurato, rimanendo a proprio carico solamente la prova di eventuali clausole di esclusione o di delimitazione.
È vero quanto afferma l’avvocato della controparte?

Grazie e cordiali saluti
M. B.”
Consulenza legale i 04/10/2019
Nei nostri due precedenti pareri, come richiesto nei rispettivi quesiti, si è affrontato principalmente l’aspetto del comportamento doloso dell’assicurato ed evidenziato come venga ripartito in tal caso l’onere della prova.
Il comportamento doloso fa parte, infatti, delle clausole soggettive di delimitazione del rischio.
Trattandosi quindi di una circostanza che esclude il diritto dell’attore-assicurato, cioè di un fatto che comporta il venir meno del diritto al risarcimento, l’onere della relativa prova è a carico di chi lo eccepisce (cioè l’assicurazione).
Ciò è un principio enunciato espressamente dall’art. 2697 del codice civile in merito alla ripartizione dell’onere della prova.

Se invece facciamo riferimento, come nel presente quesito, ai fatti costitutivi della pretesa è corretto quanto afferma il legale di controparte.
Infatti, come ha osservato la Suprema Corte con la pronuncia n. 1558 del 2018: “Nel giudizio promosso dall’assicurato nei confronti dell’assicuratore, ed avente ad oggetto il pagamento dell’indennizzo assicurativo, è onere dell’attore provare che il rischio avveratosi rientri nei “rischi inclusi”, ovvero nella categoria generale di rischi oggetto di copertura assicurativa. Se il contratto contiene clausole di delimitazione del rischio indennizzabile (soggettive, oggettive, causali, spaziali, temporali), la sussistenza dei presupposti di fatto per l’applicazione di tali clausole costituisce un fatto impeditivo della pretesa attorea, e va provato dall’assicuratore.”

Alla luce di ciò, possiamo affermare che corrisponde al vero quanto sostenuto dal legale di controparte.


Giuseppe T. chiede
martedì 16/04/2019 - Sicilia
“Mia mamma vedova deceduta il 05.07.2005 era titolare di un rapporto di conto corrente affidato e alla data della morte presentava un saldo debitore di euro 11.000,00. Nella dichiarazione di successione a favore dei due eredi non è stata evidenziata tale passività ma solo attività di immobili.Dopo la morte ho sollecitato verbalmente l'altro erede per estinguere il debito con la banca con bonifici propri o con la richiesta di un finanziamento cointestato pari al saldo debitore ma con esito negativo.Per non avere problemi con la banca ho iniziato ad agosto 2005 ad effettuare bonifici a decurtazione del debito e cosi piano piano fino al mese di aprile 2011 ho estinto il rapporto per capitale ed intessi (totale versamenti euro 18.000,00).
Da precisare che la banca il 02.05.2007 ha inviato raccomandata indirizzata agli eredi della defunta invitando ad eliminare l'esposizione entro 15 giorni dalla ricezione della raccomandata ma l'altro erede non ha preso in considerazione il sollecito della banca.Visto che il tentativo bonario per il recupero del 50% dell'importo da me versato non è andato a buon fine mi sono rivolto ad un legale che in data 04.07.2016 ha inviato raccomandata con invito a concludere una convenzione di negoziazione assistita per euro 8.000,00 pari al 50% del totale versamento.L'altro erede non ha ritenuto opportuno presentarsi all'incontro nei 30 giorni previsti.A questo punto sono stato costretto ad iniziare una causa per recuperare le somme da me anticipate.Vi chiedo: ho buona possibilità di ottenere sentenza in mio favore?In attesa di celere risposta porgo Distinti saluti.”
Consulenza legale i 18/04/2019
In base all’art. 2946 c.c. i diritti si estinguono per prescrizione con il decorso di dieci anni. Laddove si tratti di un recupero credito relativo ad un pagamento rateale, per il decorso del termine di prescrizione occorre far riferimento all’ultimo pagamento effettuato (nel nostro caso, aprile 2011).

L’aver trasmesso l’invito a concludere la negoziazione assistita il 04.07.16 ha rappresentato sicuramente un ulteriore atto interruttivo. Quindi, dal punto di vista della prescrizione, nulla potrà eccepire l’altro erede in sede di giudizio.

Ciò posto, come prevede l’art. 2697 c.c. chi vuol far valere un diritto in giudizio deve provare i fatti che ne costituiscono il fondamento (e chi eccepisce l'inefficacia di tali fatti ovvero eccepisce che il diritto si è modificato o estinto deve provare i fatti su cui l'eccezione si fonda).
Questo significa che nel presente giudizio di recupero del 50% dell’importo versato, dovrà essere data prova del titolo in base al quale si è pagato, dell’effettivo pagamento e dell’obbligazione della controparte.
Tutto ciò appare pacifico nella presente vicenda: il decesso di Sua madre, il debito con la banca, la lettera di sollecito di quest’ultima, i pagamenti effettuati tra il 2005 e il 2011 (di cui, immaginiamo, Lei abbia tutta la relativa documentazione attestante i versamenti).

Alla luce di quanto precede, se la controparte contestasse il Suo diritto, ai sensi del sopra citato art. 2697 c.c., dovrebbe provare l’inefficacia di tali fatti o magari che il diritto si è estinto.
In mancanza di ciò, possiamo affermare che Lei ha ottime possibilità di uscire vittorioso dal giudizio. Inoltre, ai sensi dell’art. 4 D.L. 132/2014la mancata risposta all'invito entro trenta giorni dalla ricezione o il suo rifiuto può essere valutato dal giudice ai fini delle spese del giudizio e di quanto previsto dagli articoli 96 e 642, primo comma, del codice di procedura civile.”
Questo significa che la parte convenuta in giudizio, oltre alla condanna all’adempimento dell’obbligazione debitoria e le conseguenti spese legali della causa, rischia anche di essere condannata alle spese per responsabilità processuale aggravata ai sensi dell’art. 96 III comma c.p.c.

Simone F. chiede
mercoledì 05/05/2021 - Piemonte
“Tizia e Caio sono una coppia che decide di andare a convivere, stabilendo in via informale (di persona, messaggi, chiamate ecc...) di dividere in quota paritaria il canone di locazione e le future spese.
Si presentano entrambi in un'agenzia e tramite questa trovano un'unita immobiliare di loro gradimento.
Tuttavia, il contratto di locazione viene sottoscritto solamente a nome di Tizia.
Caio non modifica il proprio domicilio o residenza nonostante il trasferimento, ma attiva unicamente una connessione internet a proprio nome nel nuovo immobile.

Successivamente, in seguito a divergenze insanabili, la coppia per volere di Caio si rompe. Si decide quindi di inviare comunicazione per la rescissione anticipata del contratto di locazione, in ragione della quale dovranno essere versati comunque 3 mesi di locazione.
Ora, Caio si dichiara assolutamente contrario a farsi carico delle 3 mensilità.

Esiste una qualche azione esperibile o altra via affinché Caio concorra in maniera totale o parziale nel versamento dei 3 canoni?

Grazie.”
Consulenza legale i 07/05/2021
Per quanto riguarda i rapporti tra locatore e conduttore è indubbio che i tre canoni debbano essere versati integralmente da Tizia, unica titolare del contratto.
Per quanto riguarda invece i rapporti tra Tizia e Caio si osserva quanto segue.
Gli accordi interni prevedevano una divisione paritaria sia del canone di locazione che delle spese. Pertanto, in forza di tali accordi, Caio dovrà rimborsare a Tizia il 50% delle tre mensilità.
La circostanza che il rapporto affettivo si sia concluso per volere di Caio riteniamo non possa alterare il contenuto dei precedenti accordi circa la ripartizione.

Ciò posto, laddove Tizia intenda recuperare coattivamente il suo credito dovrà fornirne la relativa prova in un eventuale giudizio.
E’ principio infatti generale che “chi vuol far valere un diritto in giudizio deve provare i fatti che ne costituiscono il fondamento” (art. 2697 c.c.).

Nel quesito leggiamo che le parti si erano accordate sia a voce, sia telefonicamente che tramite messaggi. Per quanto riguarda questi ultimi, immaginiamo si sia trattato di messaggi inviati utilizzando Whatsapp, Telegram o altri analoghi canali (mail o sms). Ebbene, ai sensi dell'art. 2712 c.c., essi possono essere fonte di prova in giudizio.
Come ha sottolineato la Corte di Cassazione nella pronuncia n.19155 del 2019: lo "short message service" ("SMS") contiene la rappresentazione di atti, fatti o dati giuridicamente rilevanti ed è riconducibile nell'ambito dell'art. 2712 c.c., con la conseguenza che forma piena prova dei fatti e delle cose rappresentate se colui contro il quale viene prodotto non ne contesti la conformità ai fatti o alle cose medesime. [...] Sempre questa Corte (Cass.11606/2018), in tema di efficacia probatoria dei documenti informatici, ha precisato che "il messaggio di posta elettronica (cd. e-mail) costituisce un documento elettronico che contiene la rappresentazione informatica di atti, fatti o dati giuridicamente rilevanti che, seppure privo di firma, rientra tra le riproduzioni informatiche e le rappresentazioni meccaniche di cui all'art. 2712 c.c. e, pertanto, forma piena prova dei fatti e delle cose rappresentate se colui contro il quale viene prodotto non ne disconosca la conformità ai fatti o alle cose medesime".

Ciò posto, la circostanza invece che Caio abbia intestato a suo nome l’utenza internet non costituisce una prova dell’accordo interno tra i due circa la ripartizione delle spese (anche se costituisce sicuramente un elemento probatorio, quanto meno un indizio, che il soggetto abbia utilizzato l’immobile).

Alla luce di quanto precede, in risposta al quesito, possiamo affermare in conclusione quanto segue. Laddove gli accordi di ripartizione dei canoni e spese risultino dai messaggi scambiati questi potranno essere utilizzati quali prova in un eventuale giudizio di recupero del credito relativo al rimborso del 50%. In mancanza, potrebbero essere provati tramite testimoni se qualcuno abbia assistito a tali accordi (ipotesi probabilmente remota).

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