Tale consolidato orientamento recentemente è stato ribadito dalla Corte di Cassazione con la sentenza n. 28865 del 19 ottobre 2021.
Il rigore della prova della proprietà che deve essere fornita dal rivendicante trova giustificazione - ricorda la Suprema Corte - nella fondamentale regola per cui nemo plus iuris ad alium transferre potest quam ipse habet (nessuno può trasferire ad altri maggiori diritti di quanti ne abbia egli stesso), ragion per cui non può considerarsi sufficiente la prova dell’acquisto a titolo derivativo, che al più indica la legittimazione a possedere. Se, dunque, il rivendicante non fornisce piena prova della proprietà, egli sarà destinato a soccombere, anche nel caso in cui il convenuto non abbia dimostrato di essere proprietario né di essere legittimato a possedere.
La Corte, inoltre, precisa che l’onere probatorio in capo al rivendicante non si alleggerisce “neppure se il convenuto abbia invocato il proprio diritto sulla cosa e la sua prova sia fallita” in quanto un tentativo di difesa del convenuto non può finire per pregiudicare le sue ragioni.
Per tale ragione, dunque, i giudici di legittimità affermano espressamente che l’eccezione di usucapione non comporta un automatico riconoscimento della proprietà dell’attore, il cui onere della prova resta rigoroso.
Tanto chiarito, la Cassazione ammette però un’ipotesi in cui l’onus probandi del rivendicante è alleggerito, cioè il caso in cui il convenuto eccepisca l’usucapione riconoscendo che il rivendicante era proprietario del bene all’epoca in cui assume di avere iniziato a possedere.
In tal caso, infatti, l’usucapione eccepita non è in contrasto con la proprietà dell’attore.
Tale ammissione del convenuto, in particolare, potrà essere:
· espressa;
· tacita o implicita;
· risultante dalla mancanza di specifiche contestazioni.
Tale pronuncia ha segnato la conclusione di un’intricata vicenda relativa ad un fondo di oltre 450 ettari, vicenda che è opportuno ripercorrere nelle sue tappe salienti.
Precedentemente alla vicenda giudiziale ora giunta in Cassazione, un soggetto aveva proposto, avverso una società, istanza per l’accertamento dell’avvenuta usucapione di un fondo. In particolare, si trattava dell’usucapione speciale per la piccola proprietà rurale, la quale si compie in forza del possesso continuato per quindici anni ai sensi dell’art. 1159 bis.
La società si era opposta e, conseguentemente, l’istanza era stata rigettata con sentenza definitiva.
Successivamente, la società aveva dunque agito giudizialmente in rivendicazione, sicchè il convenuto si era difeso proponendo l’eccezione di usucapione.
Ebbene, la domanda di rivendica è stata ritenuta meritevole di accoglimento da parte del Tribunale prima e della Corte d’appello poi. In entrambi i gradi di giudizio, infatti, i giudici hanno ritenuto che, a fronte dell’eccezione di usucapione del convenuto e della vicenda pregressa, l’onere della prova in capo al rivendicante dovesse ritenersi attenuato (segnatamente, era stata ritenuta sufficiente la prova del titolo di acquisto del rivendicante).
Avverso il provvedimento di secondo grado è stato proposto ricorso in Cassazione e da ciò è scaturita la recente pronuncia esaminata, con la quale la Suprema Corte ha cassato con rinvio la sentenza impugnata.