Nel caso in esame, il tribunale di Milano condannava il comune del capoluogo lombardo al risarcimento di oltre 50.000,00 euro nei confronti di un pedone, il quale si era infortunato scivolando da un marciapiede ricoperto da lastre di ghiaccio che si erano formate dopo un’abbondante nevicata. Il giudice di primo grado riconosceva il danno biologico permanente nella misura del 9% e il periodo di invalidità temporanea al 100% di giorni 7, al 75% di giorni 150, al 50% di giorni 30 e al 25% di giorni 25. A questo punto, il Comune impugnava la decisione e la Corte d’appello, accogliendo il gravame, condannava il pedone alla restituzione della somma di oltre 70.000,00 euro, la quale comprendeva anche le spese legali e i compensi dei periti precedentemente saldati dall’Ente.
La vicenda giungeva così in Cassazione, davanti alla quale il ricorrente sollevava i seguenti tre motivi:
- con la prima censura lamentava la violazione e la falsa applicazione dell'art. 2051 del c.c., relativo alla responsabilità da cosa in custodia, dal momento che per il giudice d’Appello, il quale aveva escluso che detta norma potesse essere applicata al Comune, l'appellato avrebbe dovuto dimostrare che il luogo dell’accaduto presentasse un'evidente situazione di pericolo, tale da rendere il danno inevitabile;
- con la seconda censura eccepiva la violazione e la falsa applicazione dell'art. 2051 del c.c., in quanto la Corte d’Appello aveva escluso l'applicabilità di tale norma di legge (responsabilità del custode) all'Ente proprietario della strada, sulla base dell'errato presupposto che nel caso in esame l'appellato non aveva fornito la prova del nesso causale, né aveva dimostrato che lo stato dei luoghi presentasse una situazione di pericolo;
- infine, con la terza censura il ricorrente contestava la violazione, nonché la falsa applicazione dell'art. 115 del c.p.c., dell'art. 116 del c.p.c., nonché dell'art. 2697 del c.c., dell'art. 2727 del c.c. e dell'art. 2729 del c.c. in relazione all'art. 2051 del c.c., vale a dire inversione dell'onere della prova e violazione dei criteri dettati in tema di formazione della prova.
La Suprema Corte, rigettando il ricorso, stabiliva che "il fatto che già da diversi giorni nevicasse e che il marciapiede fosse coperto da lastre di ghiaccio e di neve aveva modificato lo stato del teatro dell'incidente” ed aveva “reso esigibile dal pedone danneggiato una particolare cautela, sulla scorta del principio già richiamato e pertinente, secondo cui la cautela richiesta è direttamente proporzionale al grado di pericolosità della cosa (pericolosità originaria o, come nel caso, di specie acquisita a causa delle intense precipitazioni nevose)".
Inoltre, secondo i Giudici di legittimità, la sentenza impugnata meritava di essere confermata "pur essendo errata nella parte in cui ha ritenuto che il contenuto dell'onere della prova debba atteggiarsi diversamente a seconda della natura della res custodita, provvista di dinamismo interno ovvero statica ed inerte — il che sollecita una corrispondente correzione della motivazione sul punto (correzione possibile, data la mancata incidenza sul dispositivo) nel senso previsto dalla giurisprudenza di legittimità più recente che precisa risolutivamente: 'il danno rilevante - di cui cioè il custode è responsabile - prescinde dalle caratteristiche della cosa custodita, sia quindi essa o meno pericolosa, c.d. seagente (ovvero dotata di intrinseco dinamismo) oppure no (...). In questo complessivo contesto va calata la conclusione, tradizionale nella giurisprudenza di legittimità, dell'accollo al danneggiato della sola prova del nesso causale tra la cosa e il danno' (Cass. 01/02/2018, n. 2482)".