La questione sottoposta all’esame degli Ermellini era nata in seguito alla decisione del nipote del de cuius, nominato erede universale da quest’ultimo con due successivi testamenti olografi, di citare in giudizio la moglie e la figlia del dante causa al fine, da un lato, di ottenere l’accertamento della validità di dette schede testamentarie, e, dall’altro, di sentir dichiarare, al contempo, la nullità e l’inefficacia della modifica di alcune polizze vita di cui erano beneficiarie le convenute, per incapacità naturale del disponente.
A sostegno della propria tesi, l’attore precisava che il de cuius, nei mesi successivi alla redazione dei testamenti con cui lo aveva nominato erede universale, aveva subito alcuni ricoveri ospedalieri durante i quali era risultato affetto da demenza senile, unita ad alcuni episodi confusionali.
D’altro canto, l’uomo precisava, al contempo, di aver fatto sottoporre ad una perizia grafica le firme apposte sulla modifica delle polizze vita, di cui, in precedenza, era lui stesso beneficiario, le quali erano risultate essere state firmate in uno stato di incapacità naturale.
Le convenute si costituivano in giudizio e la figlia del de cuius faceva valere un testamento pubblico, successivo ai due olografi prodotti dall’attore, con il quale ella veniva nominata erede universale.
Di fronte a ciò, l’attore, nell’ambito della prima udienza di comparizione, chiedeva che fosse accertata la nullità o, quantomeno, disposto l’annullamento del testamento pubblico per incapacità di intendere e di volere del testatore, essendo esso stato redatto successivamente ai suddetti ricoveri.
Il Tribunale adito in primo grado, accoglieva le istanze attoree, disponendo l’annullamento del testamento pubblico per incapacità naturale del testatore e dichiarando, altresì, la nullità di una delle polizze assicurative.
Di fronte all’appello proposto dalle convenute, la Corte territoriale adita disponeva un accertamento medico legale da cui risultava che l’esordio della malattia del testatore non poteva farsi coincidere, di per sé, con una condizione di stabile e permanente incapacità. Per questo motivo, i Giudici di secondo grado rigettavano la domanda di annullamento del testamento pubblico.
Rimasto soccombente all’esito del giudizio di seconde cure, l’originario attore ricorreva dinanzi alla Corte di Cassazione, lamentando la violazione e la falsa applicazione degli artt. 591, comma 2, 2697 e 2729 del c.c. A suo avviso, infatti, gli esiti delle indagini cliniche avrebbero dovuto indurre la Corte d’Appello ad applicare il principio dell’inversione dell’onere della prova, stabilendo che non spettasse all’attore l’onere di provare l’incapacità del testatore al momento della redazione del testamento, ma che fosse, invece, dovere della parte che ne sosteneva la validità, quello di provare l’eventuale esistenza di un lucido intervallo nel momento della stesura della scheda testamentaria.
La Suprema Corte ha accolto il ricorso.
Gli Ermellini hanno, innanzitutto, sottolineato come, ai sensi dell’art. 591, comma 2, n. 3, del c.c., la prova dell’incapacità del testatore deve esistere al momento dell’atto e non genericamente al tempo dell’atto. La giurisprudenza di legittimità ha, però, avuto modo di precisare che “il giudice di merito può trarre la prova dell'incapacità del testatore dalle sue condizioni mentali in epoca anteriore o posteriore al testamento, sulla base di una presunzione, potendo l'incapacità essere dimostrata con qualsiasi mezzo di prova: ricorrendo tale ipotesi spetta alla parte che sostiene la validità del testamento l'onere di provare un eventuale lucido intervallo nel momento della formazione del testamento” (Cass. Civ., n. 6236/1980; Cass. Civ., n. 3411/1978).
Esaminando il caso di specie alla luce di tale precisazione, i Giudici della Cassazione hanno evidenziato come la Corte di merito abbia negato l’applicazione del suddetto principio nel caso de quo, in mancanza di un’evenienza scientifica che consentisse di affermare che il decorso della malattia avesse già raggiunto la fase dell’incapacità, al momento della redazione del testamento. Tuttavia, quanto sostenuto dalla Corte d'Appello può essere facilmente confutato sulla base del fatto che le condizioni mentali del testatore, posteriori o anteriori, sono rilevanti non in quanto prova diretta dell’incapacità al tempo della redazione del testamento, ma perché autorizzano il giudice a fondare su di esse una presunzione.
La Corte territoriale, tuttavia, nonostante il consulente tecnico incaricato avesse accertato che meno di due mesi dopo la stesura del testamento la malattia avesse completato il suo naturale decorso, raggiungendo una condizione di stabile demenza, ha deciso di definire il giudizio applicando la regola della presunzione di capacità quando, invece, in ossequio ai suddetti principi di diritto, nonché alla minima distanza temporale dei fatti, spettava alla parte che affermava la validità del testamento l’onere di provare che il decorso della malattia non avesse ancora raggiunto lo stadio dell’incapacità al momento della stesura della scheda testamentaria.
La Cassazione ha, quindi, ritenuto opportuno affermare il principio di diritto per cui “in tema di incapacità di testare a causa di incapacità di intendere e di volere al momento della redazione del testamento, il giudice del merito può trarre la prova dell'incapacità del testatore dalle sue condizioni mentali, anteriori o posteriori, sulla base di una presunzione, potendo l'incapacità stessa essere dimostrata con qualsiasi mezzo di prova; conseguentemente, quando l'attore in impugnazione abbia fornito la prova di una condizione di permanente e stabile demenza nel periodo immediatamente susseguente alla redazione del testamento, poiché in tal caso la normalità presunta è l'incapacità, spetta a chi afferma la validità del testamento la prova della sua compilazione in un momento di lucido intervallo”.