Brocardi.it - L'avvocato in un click! CHI SIAMO   CONSULENZA LEGALE

Articolo 2946 Codice Civile

(R.D. 16 marzo 1942, n. 262)

[Aggiornato al 26/11/2024]

Prescrizione ordinaria

Dispositivo dell'art. 2946 Codice Civile

Salvi i casi in cui la legge dispone diversamente, i diritti si estinguono per prescrizione con il decorso di dieci anni(1).

Note

(1) Si tratta di una cosiddetta norma di chiusura, applicabile se non è stabilito un termine più breve o più lungo. Un periodo più lungo, ventennale, è ad esempio previsto in armonia con il termine per l'usucapione, (v. art. 1158), per l'estinzione dei diritti reali su cosa altrui dagli artt. 954, 970, 1014, 1073. Altre prescrizioni ultradecennali risultano poi quelle di superficie ex art. 952, enfiteusi ex art. 957, usufrutto ex art. 978, uso ex art. 1021, abitazione ex art. 1022 e ipoteca ex art. 2808. Le prescrizioni con termini più brevi, perciò infradecennali, sono richiamate dagli artt. 2947-2953, ma possono ricordarsi anche quelle dettate in tema di annullamento dei negozi (v. art. 1442).

Ratio Legis

La norma è posta al fine di stabilire la cosiddetta prescrizione ordinaria decennale, applicabile in tutti i casi in cui la legge non disponga altrimenti.

Spiegazione dell'art. 2946 Codice Civile

Prescrizione decennale. Eccezioni

Se il regolamento della prescrizione è, nel nuovo codice, sostanzial­mente identico a quello del codice del 1865, diverso è invece, il periodo prescrizionale, giacché dai trenta anni dell'art. 2135 esso è stato ridotto a dieci. La facilità e la celerità dei mezzi di comunicazione e, di conseguenza, la possibilità di essere rapidamente informati di quanto avviene anche lontano da noi e di provvedere ai propri interessi, la maggiore attività degli scambi e l'aumentato ritmo della vita economica avevano fatto riconoscere, già da tempo, l'eccessiva lunghezza del termine di trenta anni e la necessità di abbreviarlo. D'altra parte il rilievo che in diversa materia la prescrizione era inizialmente più breve (materia commerciale) o in seguito era stata ridotta ad un periodo meno lungo aveva costituito — in accoglimento di voti auspicati non solo da giuristi ma da una larga corrente dell'opinione pubblica – il motivo di un disegno di legge per la riduzione della prescrizione a dieci anni che, presentato dal guardasigilli Rocco al Senato nella lo applica sia a materie civili che a quelle commerciali, evitando in tal modo il sorgere di controversie, non infrequenti per la determinazione di prescrizioni relative a particolari rapporti giuridici.

Ma la riduzione del periodo prescrizionale non è assoluta in quanto sono fatti salvi casi, previsti nello specifico, nei quali un diritto si estingue in un tempo superiore al decennio: ciò avviene per una categoria di diritti di rilevante importanza, quelli reali su cose altrui, ai quali la prescrizione decennale non si applica, data la loro particolare natura ; essi sono disciplinati dal libro della proprietà e propriamente dagli articoli 954, ult. comma, 970, 1073, comma 1, c.c.

Prescrizione dell'actio iudicati

Fatta eccezione per questi (ed altri) casi espressamente considerati da norme positive e richiamato il contenuto del secondo comma dell'art. 2934, la portata dell'articolo in esame è generale ; esso colpisce ogni diritto, quindi anche nello derivante dal pro iudicato. Il codice nulla ice su a punto,' ma sul principio non pare che possa sussistere dubbio alcuno ; oggi, eliminata la distinzione tra prescrizione civile e commerciale, è venuto meno il fondamento di una delle più dibattute controversie sotto gli abrogati codici civile e commerciale : l'applicabilità o meno al giudicato riguardante materia regolata da quest'ultimo dell'ordinaria prescrizione trentennale disciplinata dal cod. civile ; la migliore e prevalente dottrina si eta pronunciata nel primo senso sul giusto rilievo che, una volta emessa la sentenza, il diritto da questa riconosciuto ed affermato era identico, qualunque fosse stata la materia su cui quella aveva deciso : il diritto derivante dall'actio iudicati, perciò, poteva essere colpito solo dalla prescrizione trentennale. Piuttosto un dubbio sulla prescrittibilità, in generale, dell'actio iudicati dopo il decorso di dieci anni, si potrebbe profilare oggi per il fatto che il nuovo codice ha espressamente escluso l'applicabilità della prescrizione decennale ad alcuni diritti, l'estinzione dei quali invece si compie, come s'è visto, dopo un periodo di tempo maggiore ; ora, dicevamo, si potrebbe dubitare se pure il giudicato su tali diritti si prescriva in dieci anni, quando i diritti stessi sono, sottoposti ad una più lunga prescrizione ; per l'ipotesi inversa, cioè di un diritto soggetto a prescrizione più breve dell'ordinaria decennale , il codice (art. 2953) ha precisato che l'actio iudicati si prescrive in dieci anni ; nulla dice per il caso di cui sopra ; noi, però, pensiamo che qualunque possa essere la natura del diritto oggetto del giudicato, la prescrizione da cui questo sarà colpito, debba essere sempre quella decennale non solo per le considerazioni innanzi svolte, ma anche per il rilievo che non si giustificherebbe il diverso trattamento fatto ad un caso che, se non è identico a quello previsto dal codice, al pari di questo, però, deve essere considerato perché, fondata sui medesimi principi, si delinea chiara l'eadem ratio decidendi.

Relazione al Codice Civile

(Relazione del Ministro Guardasigilli Dino Grandi al Codice Civile del 4 aprile 1942)

Massime relative all'art. 2946 Codice Civile

Cass. civ. n. 10188/2023

L'eccezione di prescrizione del credito vantato (nella specie in relazione ai canoni di locazione di alloggio di edilizia residenziale pubblica), e quella di erronea quantificazione dello stesso non comportano, di per sé, implicito riconoscimento della titolarità, dal lato passivo, del rapporto e non ostano, pertanto, alla possibilità di contestarne la sussistenza nel successivo corso del giudizio di primo grado, integrando una mera difesa, come tale sottratta al regime delle preclusioni.

Cass. civ. n. 27015/2022

La legge che modifica il termine di prescrizione di un diritto, in assenza di apposita disciplina transitoria, è applicabile anche ai diritti già sorti al momento della sua entrata in vigore (e non ancora estinti) ove preveda un termine più lungo del precedente e non anche se ne introduca uno più breve, tenuto conto che il principio di irretroattività non osta all'applicazione della legge sopravvenuta ai rapporti sorti anteriormente che non abbiano ancora esaurito i loro effetti, ma soltanto all'elisione degli effetti già verificatisi o in corso di verificazione.

Cass. civ. n. 15142/2021

I poteri inerenti al diritto di proprietà, incluso quello di esigere il rispetto delle distanze, non si estinguono per il decorso del tempo, salvi gli effetti dell'usucapione del diritto a mantenere la costruzione di distanza inferiore a quella legale: ne consegue che anche la domanda volta ad ottenere il rispetto delle distanze legali è imprescrittibile, trattandosi di azione reale modellata sullo schema dell'"actio negatoria servitutis", rivolta non ad accertare il diritto di proprietà dell'attore, ma a respingere l'imposizione di limitazioni a carico della proprietà suscettibili di dar luogo a servitù. (Cassa con rinvio, CORTE D'APPELLO BRESCIA, 29/03/2016).

Cass. civ. n. 25644/2017

Nell'ipotesi di un contratto di appalto pubblico divenuto inefficace per effetto dell'annullamento dell'aggiudicazione da parte dell’organo di controllo, la P.A. è tenuta al risarcimento del danno per le perdite e i mancati guadagni subiti dal privato aggiudicatario, qualificandosi tale responsabilità come "da contatto qualificato" tra le parti, assimilabile anche se non coincidente con quella di tipo contrattuale, in quanto derivante dalla violazione da parte dell'amministrazione del dovere di buona fede, di protezione e di informazione che ha comportato la lesione dell’affidamento incolpevole del privato sulla regolarità e legittimità dell’aggiudicazione. Ne consegue, pertanto, l’applicabilità del termine decennale di prescrizione ex art. 2946 c.c., che decorre dalla data dell’illecito e che è da considerarsi interrotto a seguito dell’impugnazione da parte del privato dell’atto amministrativo ritenuto illegittimo, purché la P.A., chiamata a risarcire il danno, sia stata parte del processo amministrativo.

Cass. civ. n. 747/2011

In tema di compravendita, l'impegno del debitore di eliminare i vizi che rendano il bene inidoneo all'uso cui è destinato (ovvero che ne diminuiscano in modo apprezzabile il valore economico) di per sé non dà vita ad una nuova obbligazione estintiva-sostitutiva dell'originaria obbligazione di garanzia, ma consente al compratore di non soggiacere ai termini di decadenza ed alle condizioni di cui all'art. 1495 cod. civ.; ne consegue che, ove il compratore, anziché chiedere la risoluzione del contratto o la riduzione del prezzo, agisca per l'esatto adempimento dell'obbligo di riparazione o sostituzione della "res", assunto spontaneamente dal debitore sulla base del riconoscimento dell'esistenza dei vizi, ugualmente non si determina un effetto novativo dell'obbligazione originaria e la prescrizione - venuta meno la regola "eccezionale" dell'art. 1495 cod. civ. - decorre secondo l'ordinario termine decennale di cui all'art. 2946 cod. civ. (Cassa con rinvio, App. Napoli, 01/02/2005).

Cass. civ. n. 27144/2006

Il leasing traslativo costituisce una operazione di prestito finanziario finalizzata all'acquisto del bene, con conseguente obbligazione unica di pagamento del prezzo e dei relativi interessi, frazionata in più rate aventi scadenza periodica; ne consegue l'applicabilità dell'art. 2946 cod. civ., con riferimento alla sorta capitale ed agli interessi. (Cassa con rinvio, App. Milano, 17 Maggio 2002).

Cass. civ. n. 12238/2006

L'azione promossa dal lavoratore subordinato ed avente ad oggetto il riconoscimento della qualifica superiore si prescrive nell'ordinario termine decennale di cui all'art. 2946 cod. civ., mentre le azioni dirette ad ottenere le differenze retributive derivanti dal suddetto riconoscimento si prescrivono nel termine quinquennale previsto dall'art. 2948 cod. civ. . (Cassa con rinvio, Trib. Palermo, 28 Maggio 2003).

Notizie giuridiche correlate all'articolo

Hai un dubbio o un problema su questo argomento?

Scrivi alla nostra redazione giuridica

e ricevi la tua risposta entro 5 giorni a soli 29,90 €

Nel caso si necessiti di allegare documentazione o altro materiale informativo relativo al quesito posto, basterà seguire le indicazioni che verranno fornite via email una volta effettuato il pagamento.

SEI UN AVVOCATO?
AFFIDA A NOI LE TUE RICERCHE!

Sei un professionista e necessiti di una ricerca giuridica su questo articolo? Un cliente ti ha chiesto un parere su questo argomento o devi redigere un atto riguardante la materia?
Inviaci la tua richiesta e ottieni in tempi brevissimi quanto ti serve per lo svolgimento della tua attività professionale!

Consulenze legali
relative all'articolo 2946 Codice Civile

Seguono tutti i quesiti posti dagli utenti del sito che hanno ricevuto una risposta da parte della redazione giuridica di Brocardi.it usufruendo del servizio di consulenza legale. Si precisa che l'elenco non è completo, poiché non risultano pubblicati i pareri legali resi a tutti quei clienti che, per varie ragioni, hanno espressamente richiesto la riservatezza.

S. P. chiede
lunedì 02/12/2024
“Con la presente scrivo per richiedere una consulenza legale rigurado la mia posizione professionale.

L'azienda presso cui sono impiegato da tre mesi non conteggia ne paga il tempo straordinario a me e anche ai miei colleghi.
Si vuole sapere:

1) se tale inadempienza sia sufficiente per permettermi di licenziarmi con giustificato motivo
2) nel prossimo futuro ci sarà una transazione gestita dal sindacato per inquadrare i dipendenti con un altro contratto collettivo; qualora al passaggio nel nuovo regime contrattuale sussistesse ancora l'inadempienza, decorerebbe un termine per pretendere il dovuto, oppure il credito rimane esigibile durante il prosièguo del nuovo contratto?

In attesa di una risposta
porgo distinti saluti

Consulenza legale i 12/12/2024
Il lavoratore può rassegnare le dimissioni per giusta causa – e dunque senza preavviso – quando si sia verificata una causa che non consenta la prosecuzione nemmeno provvisoria del rapporto. In questo modo, nel caso in cui il recesso sia stato determinato da un fatto colpevole del datore di lavoro, il lavoratore che receda per giusta causa conserva il diritto a percepire la Naspi, oltre che l’indennità sostitutiva del mancato preavviso, quale indennizzo per la mancata percezione delle retribuzioni per il periodo necessario al reperimento di una nuova occupazione, tenuto conto che l’interruzione immediata del rapporto è, in realtà, imputabile al datore di lavoro.
Secondo la giurisprudenza, è pacifico che il reiterato mancato pagamento di voci retributive legittimi il lavoratore al recesso per giusta causa esonerandolo dall’obbligo di preavviso e la configurabilità delle dimissioni per giusta causa può sussistere anche quando il recesso non segua immediatamente i fatti che lo giustificano (Corte appello Milano, sez. lav., 18/01/2019, n. 1788).
Tuttavia, una giurisprudenza meno recente (Tribunale Milano, 16/11/1994), ha stabilito che non costituisce giusta causa di dimissioni il mancato pagamento dello straordinario nel caso in cui il lavoratore goda di un considerevole trattamento retributivo di superminimo. Dall’altro, la Cassazione ha stabilito che un’illegittima riduzione della retribuzione può giustificare le dimissioni senza preavviso del lavoratore (Cassazione civile, sez. lav., 08/05/2008, n. 11362).

Pertanto, non vi è una certezza assolta che il mancato pagamento degli straordinari venga considerata giusta causa di dimissioni. Infatti, la valutazione della gravità dell’inadempimento del datore di lavoro ai suoi obblighi contrattuali è rimessa al sindacato del giudice chiamato a decidere la controversia tra le parti. Bisognerà, inoltre, valutare se gli eventi che avrebbero generato le dimissioni siano provabili in giudizio, se gli straordinari erano autorizzati o, quantomeno, previsti da contratto. Nel caso in cui si riesca a dare prova di questi elementi, allora si potrà tentare la soluzione delle dimissioni per giusta causa.

Per quanto riguarda la prescrizione dei crediti retributivi, si precisa che ai sensi dell’art. 2946 c.c. tutto ciò che viene corrisposto dal datore con una periodicità annuale o infra annuale si prescrive entro cinque anni: la retribuzione, le differenze retributive, le competenze correlate alla cessazione del rapporto di lavoro, il compenso per lavoro straordinario, le festività coincidenti con la domenica.

La prescrizione decennale opera, invece, in alcune rivendicazioni residuali come quelle derivanti dal riconoscimento del premio di invenzione o, comunque, da titoli autonomi rispetto alla retribuzione stipendiale.
Per quanto riguarda la decorrenza di tale prescrizione, ponendo fine ad un dibattito giurisprudenziale, la Corte di Cassazione con la sentenza n. 26246/2022 ha affermato che nel nuovo quadro normativo, la reintegrazione del lavoratore che subisca un licenziamento illegittimo, non costituisce “la forma ordinaria di tutela contro ogni forma illegittima di risoluzione” e assume, dunque, un carattere “recessivo” rispetto alla tutela indennitaria.

Ne consegue quindi che il lavoratore durante il rapporto di lavoro ritorna a versare in una condizione soggettiva di subalternità psicologica data dall’incertezza circa la tutela (reintegratoria – prevista per ipotesi residuali - o indennitaria) applicabile in caso di licenziamento illegittimo. Una tutela che si svela al lavoratore solo ex post nell’ambito di un giudizio di impugnazione del licenziamento intimato dal datore di lavoro.

La Corte di cassazione è tornata quindi a ribadire che la prescrizione del credito retributivo decorre dalla cessazione del rapporto di lavoro.

La modifica del CCNL non fa cessare il rapporto di lavoro, bensì vengono modificate le condizioni contrattuali. Pertanto, non inizierà a decorrere il termine di prescrizione quinquennale.
Infatti, in caso di modifica del CCNL, sono fatti salvi i diritti già acquisiti, quali le retribuzioni per prestazioni di lavoro svolte durante la vigenza del primo contratto collettivo. La sostituzione del CCNL di riferimento non costituisce rinunzia a diritti acquisiti dal lavoratore.

Tuttavia, in sede di transazione sarà necessario prestare attenzione all’eventuale inserimento di clausole di rinuncia e transazione ai sensi dell’art. 2113 c.c.
Ad ogni modo, la dichiarazione del lavoratore di aver ricevuto quanto a lui spettante a titolo di retribuzioni ed emolumenti vari può assumere il valore di rinuncia e transazione solo se risulta accertato che il dipendente la ha sottoscritta con la consapevolezza dei diritti rinunciati e con il cosciente intento di abdicarvi (Cass. 19 settembre 2016, n. 183219).
Tuttavia, secondo il Tribunale di Milano (sentenza 11 novembre 2022) gli accordi transattivi sono insuscettibili di determinare alcuna rinunzia da parte dei lavoratori, nei confronti del proprio datore di lavoro nel caso in cui siano fatti sottoscrivere ai lavoratori in un tempo ridottissimo («cinque minuti»), senza possibilità alcuna di leggerne e comprendere il contenuto. Nel caso di specie non era emersa la prova dell’effettiva consapevolezza, in capo al lavoratore firmatario, del contenuto e dell’estensione dei diritti dismessi con il negozio transattivo.


M. P. . chiede
sabato 09/03/2024
“Gentili Avvocati

Chiedo una consulenza di cuore a voi esperti, a causa di pareri legali discordanti in merito alla prescrizione.

Premessa:

Dopo la morte di mio padre avvenuta nel 2010, a seguito della successione, abbiamo scoperto di aver ereditato una sentenza di risarcimento a 50.000€, emessa nei confronti di mio padre dal Tribunale di... Dalla relata di notifica della sentenza, eseguita separatamente a noi eredi (mia mamma, me e mio fratello) a gennaio 2014 ad oggi, i creditori, ovvero un (condominio) non hanno mai esercitato il loro diritto con una formale richiesta di messa in mora, una diffida, né tantomeno un precetto sia per attivare la decorrenza degli interessi legali, e soprattutto interrompere i termini di prescrizione previsti in 10 anni.

Nel corso degli anni, si sono tenute una dozzina di assemblee condominiali, a tutt'oggi, SOLO mia madre riceve via mail le convocazioni dell'amministratore per gli (eredi XXX) ovvero, omettendo di convocare me e mio fratello, che viviamo in residenze completamente diverse. Detto questo, che sarà da accettare la regolarità delle convocazioni, in seduta d'assemblea, a fronte della sentenza di condanna al risarcimento ......mia madre propose delle soluzioni :

1) presentazione di progetto per l'intervento di ripristino al muro di contenimento (oggetto del risarcimento) e realizzazione box interrati, (deliberato in assemblea) e purtroppo non realizzato per insufficienza di capitale, 2) nel 2022 un ingegnere da noi incaricato, in seduta d'assemblea prospetto una soluzione Eco/sisma bonus 110, (deliberata in assemblea), ed a carico nostro eventuali spese extra per " il muro di contenimento /. Non si è mai trovata una ditta disponibile ad eseguire i lavori 110% con regolare presentazione di cilas.

Tengo a precisare che per ragioni di sicurezza, intendiamo comunque sistemare lo stato dei luoghi prima possibile, però, non è chiaro se le assemblee sopracitate, possano aver interrotto i termini di prescrizione, magari ipotizzando un "riconoscimento del debito" oppure, come è stato detto, i creditori dovevano esercitare formalmente una richiesta del credito mediante una messa in mora, diffida o precetto.

Gentilmente, col cuore in mano, vi chiedo di aiutarci a capire la legge cosa prevede....prescrizione SI, prescrizione No.

Grazie in anticipo

Consulenza legale i 19/03/2024
Dalla lettura del dispositivo della sentenza citata nel quesito si evince in maniera molto chiara come il defunto fu a suo tempo condannato a titolo di risarcimento al pagamento di una determinata somma di denaro nei confronti della controparte, oltre al pagamento delle spese legali di giudizio. Al di là di questo, dalla lettura del dispositivo non emerge null’altro, non emerge, per esempio, la condanna a rimettere in pristino e riparare i vizi agli immobili compravenduti.
Nonostante un esito molto favorevole, parrebbe che tale sentenza non sia mai stata messa in esecuzione dalla controparte né nei confronti del de cuius, né nei confronti dei suoi eredi, nonostante essa sia stata loro notificata in forma esecutiva ormai nel lontano gennaio del 2014.
Ad oggi, marzo del 2024, sono trascorsi più di dieci anni dall’ultima notifica ed è ragionevole supporre che il termine decennale di prescrizione di cui all’ art 2946 del c.c. sia ormai decorso, anche se per dare una risposta più precisa sul punto sarebbe necessario sapere il motivo e per quali effetti è stata fatta la notifica agli eredi nel gennaio del 2014.

Pare piuttosto improbabile che durante le riunioni condominiali (le cui convocazioni inviate dall’amministratore alla comproprietà appaiono comunque valide), sia avvenuta una qualche circostanza che possa aver costituito una interruzione della prescrizione.
Si deve infatti tener ben presente che il de cuius fu solamente condannato a pagare una somma di denaro e null’altro, soprattutto egli non fu condannato ad accollarsi i costi relativi a futuri interventi che dovevano essere realizzati nel palazzo ed occasionati dalla vicenda per cui si era in causa.

Ciò comporta che gli oneri condominiali relativi agli interventi deliberati dall'assemblea in passato, o che verranno deliberati in futuro, dovranno essere ripartiti tra tutti i condomini seguendo le norme indicate dagli art.1123 e ss. del c.c., non essendoci alcun valido titolo che imponga agli attuali eredi del de cuius e attuali condomini di sopportare da soli i costi di rifacimento di una qualsivoglia parte comune dell’edificio.


Anonimo chiede
giovedì 18/05/2023
“Vi espongo il mio quesito:vorrei sapere quando va in prescrizione l'esecuzione di una sentenza della corte d'appello mai impugnata riguardante l'eliminazione di un manufatto non a distanza regolamentare.
nel 2015 usciva sentenza che vedeva me più un vicino vittoriosi nei confronti di un confinante che in forza ad un permesso a costruire ha realizzato una sopraelevazione che non rispetta le distanze dal nostro fabbricato,è stato pertanto condannato alla eliminazione a proprie spese di tale manufatto fino a 10 metri di distanza dalle nostre ringhiere.il confinante è ricorso in appello avverso e per la riforma della sentenza.la corte d'appello nel 2019 ha rigettato l'appello condannandolo anche alle spese.a giugno 2022 il mio vicino gli ha inviato un atto di precetto per farlo demolire e lui ha inviato anche a me una proposta transattiva che io non ho accettato.ad oggi sembra non essere cambiato nulla ma vorrei sapere fino a quando posso vantare nei suoi confronti l'esecuzione della sentenza in riferimento all'eliminazione del manufatto prima che vada in prescrizione?
tenendo conto che la sentenza di primo grado è stata emessa nel 2015,quella di secondo grado nel 2019 e l'atto di precetto inviato solo dal mio vicino nel 2022( eventualmente vale anche per me per interrompere la prescrizione).
leggevo su internet che per l'abbattimento non c'è prescrizione?se si vale anche per il mio caso?
preferirei che questo consulto non venisse pubblicato vi porgo cordiali saluti.”
Consulenza legale i 26/05/2023
Per rispondere al presente quesito è necessario fare una distinzione tra la prescrizione dell’azione di riduzione in pristino, prevista dall’art. 872 del c.c. in caso di violazione delle norme sulle distanze tra edifici, e la prescrizione di una sentenza passata in giudicato che ha accertato l’esistenza di un determinato diritto.

L’azione di riduzione in pristino è un’azione di tipo reale quindi imprescrittibile, salvo gli effetti di un’eventuale usucapione (Cass. civ. n. 867/2000).
Ciò significa che colui che costruisce in violazione di legge usucapisce il diritto a mantenere l’immobile nelle condizioni in cui si trova dopo vent’anni senza che sia stato introdotto un giudizio per chiederne la demolizione; l’imprescrittibilità dell’azione però permette al vicino, nel periodo di vent’anni prima dell’usucapione del diritto, di intraprenderla in qualsiasi momento.

Nel caso di specie l’azione è già stata introdotta e si è conclusa con una sentenza di condanna.
Attualmente, quindi, tra le parti è pendente una sentenza passata in giudicato di riconoscimento del diritto alla demolizione del bene costruito non a distanza legale.

Quella che si potrà prescrivere è la possibilità di fare valere il proprio diritto in forza della sentenza passata in giudicato, non essendo possibile riproporre la medesima azione giudiziaria per il principio del ne bis in idem.

L’art. 2946 c.c. stabilisce che i diritti si prescrivono in dieci anni salvo i casi di prescrizioni brevi previste dalla legge.
Il diritto accertato da una sentenza passata in giudicato si prescrive quindi in dieci anni.
Tale principio è affermato anche dall’art. 2953 del c.c. che prevede una deroga alle prescrizioni brevi dei diritti nei casi in cui sia intervenuta una sentenza passata in giudicato; in questo caso la prescrizione diventa di dieci anni.

Nel caso di specie, quindi, la sentenza passata in giudicato farà si che il diritto riconosciuto giudizialmente potrà essere fatto valere non oltre i dieci anni senza che sia stato messo in morail debitore (il proprietario del bene non costruito a distanza) ai sensi dell’art. 2943 del c.c..

La notifica di un atto di precetto in questo senso è sicuramente efficace e interrompe la prescrizione che, per quanto è dato sapere in questa sede, ha iniziato a decorre nel 2019 con l’emissione della sentenza di appello di conferma di quella di primo grado.
Dalla notifica del precetto, senza che venga coltivata poi la procedura esecutiva, riprenderanno a decorrere altri dieci anni prima che si prescriva la sentenza.

Si ritiene, però, che la notifica del precetto effettuata da una delle parti non abbia efficacia interruttiva della prescrizione anche per l’altra.
Questo perché le norme sulla solidarietà attiva tra creditori non sono applicabili, trovandosi in presenza di un’azione con natura reale che non dà vita ad un rapporto di tipo obbligatorio tra le parti.
Le norme del Codice civile sulle distanze, infatti, sono poste a tutela del diritto di proprietà e seguono quindi la titolarità di esso, non la singola persona.

Ad ogni modo si rileva che, se anche si ritenesse di applicare per analogia l’istituto della solidarietà alla fattispecie in analisi, i due soggetti interessati non si possono ritenere creditori solidali perché la solidarietà attiva non si presume, a differenza di quella passiva, nemmeno in caso di identità qualitativa della prestazione o in presenza del medesimo titolo (Cass. civ. n. 8235/2000).
Perché un credito sia solidale è necessario che sia stato pattuito espressamente dalle parti.

É pur vero che nel caso specifico l’obbiettivo di entrambe le parti è ottenere la demolizione del bene quindi l’attivazione della procedura esecutiva da parte di uno solo dei due aventi diritto porterà al risultato desiderato anche dall’altro, salva l’ipotesi di un eventuale accordo transattivo tra colui che ha agito giudizialmente e il proprietario che ha costruito non ha distanza.
In questo caso il confinante che non ha aderito all’esecuzione rimarrà fuori dall’accordo e dovrà attivarsi autonomamente per ottenere la demolizione del bene.

Senza dubbio sarà però possibile per i confinanti (dopo aver notificato entrambi il precetto) procedere con un’unica azione esecutiva oppure proporre intervento nel giudizio proposto da solo uno dei due aventi diritto.


Anella A. chiede
mercoledì 16/03/2022 - Lazio
“Ho acquistato un appartamento in data 26.06.2010, con la clausola che il venditore si impegnava a farmi avere tutti i documenti necessari per la definizione di una sanatoria (già richiesta) per un ampliamento ed un abuso edilizio, nonchè l'agibilità. Non avendo il venditore fatto nulla in merito, a febbraio di quest'anno ho incaricato un geometra che si sta occupando della cosa (da circa un mese). Ho subito chiamato il venditore e gli ho inviato un watsapp con il preventivo delle spese per completare la pratica, ma lui mi ha eccepito la prescrizione (sempre con un watsapp). Trasmetto in allegato un estratto dell'atto di compravendita dove è confermato l'obbligo assunto dal venditore. Andando in causa, avrei possibilità di vincerla? (ps. Ieri ho ricevuto la concessione in sanatoria, ed ora devo avviare la pratica per l'agibilità).”
Consulenza legale i 18/03/2022
Un famoso brocardo latino che lo studente apprende nei primi mesi di giurisprudenza dice: "vigilantibus, non dormientibus iura succurrunt" che tradotto in lingua corrente significa: "Le leggi giovano a chi vigila, non a chi dorme". In altre parole il diritto tutela coloro che maggiormente adoperano sollecitudine, vigilanza, scaltrezza, mentre la parte negligente, poco avveduta, mal consigliata, è destinata inevitabilmente a soccombere, anche quando potrebbe e dovrebbe riuscir vittoriosa.

Tale importante principio del diritto romano è rimasto un punto fermo e granitico anche negli ordinamenti moderni. In Italia vi è appunto l’art. 2946 del c.c. che ci dice che i diritti si estinguono per prescrizione con il decorso di 10 anni.
Per evitare il decorso della prescrizione è necessario che il titolare del diritto compia un atto che costituisca esercizio di quel determinato diritto. Per esempio la classica raccomandata di messa in mora con la quale il creditore intima un pagamento al proprio debitore fa si che il decorso della prescrizione venga interrotto e il conteggio del termine decennale ricomincia dal giorno in cui il creditore ha inviato la intimazione di pagamento.

Nel caso specifico il rogito di acquisto faceva sorgere il diritto dell’acquirente di pretendere dal venditore di essere manlevato dai costi per sanare un abuso sull’immobile acquistato. Per quanto ci è dato sapere nell’arco di più di 10 anni tale diritto non è stato in alcun modo esercitato dal suo titolare e quindi il diritto deve considerarsi estinto: pertanto, ogni azione giudiziaria tesa a farlo valere sarebbe inutile in quanto cadrebbe sotto la tagliola della prescrizione.

Luciano F. chiede
sabato 25/04/2020 - Toscana
“Spett.le Redazione di Brocardi.it, questa nuova richiesta fa seguito al vostro parere con codice Q202025280.
Nel 2007 il TAR così disponeva: " Condanna le parti resistenti alla rifusione in favore della parte ricorrente delle spese e competenze del giudizio che si liquidano complessivamente in € 3.000,00 ( tremila/00), oltre IVA, spese e C.P.A. di cui € 1.500 a carico del Comune di omissis ed € 1.500 a carico della controinteressata". I Comune pagò tempestivamente mentre la controinteressata non ha mai provveduto al pagamento della sua parte. Sembra che il mio legale non abbia notificato la sentenza. Nell'aprile del 2008 fu proposto appello al Consiglio di Stato sia dagli attori che dai convenuti, ovviamente, per differenti motivazioni. Il TAR non ha mai voluto rilasciare copia della Sentenza in forma esecutiva essendo pendente l'appello al Consiglio di Stato. Con Sentenza dell'agosto 2019 il Consiglio di Stato " ... considerato che il Comune intimato ha rilasciato alla controinteressata [...] un nuovo permesso di costruire, per la realizzazione del fabbricato oggetto del presente contenzioso; ritenuto che, secondo quanto dichiarato dagli stessi ricorrenti, tale circostanza abbia determinato la sopravvenuta carenza di interesse a coltivare il presente appello, con conseguente improcedibilità anche di quello incidentale; P.Q.M. il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale ( Sezione quarta), definitivamente pronunciando sull'appello, lo dichiara improcedibile."
Presentata al TAR della Toscana detta Sentenza, la stessa ne rilasciava copia in forma esecutiva nell'ottobre 2019.
La copia della Sentenza è stata inviata, solo per conoscenza, al legale della convenuta che ovviamente non vuole pagare le spese perché sostiene che è intervenuta la prescrizione.
Sembra che il mio legale condivida la tesi del legale di controparte.
Ho provato a fare delle ricerche su internet per comprendere la situazione ed ho trovato gli art. 2943 e 2945, del C.C. e le sentenze della Cassazione Civile Sez. III, n. 24808 del 24/11/2005 e n. 1516, Sezioni Unite, del 27/01/2016, relativi alla prescrizione. Secondo il mio modestissimo parere, proprio a seguito dell'appello al Consiglio di Stato, la prescrizione non è intervenuta.
Gradirei ricevere un vostro parere al riguardo.”
Consulenza legale i 01/05/2020
Ai sensi dell’art. 33 c.p.a. le sentenze di primo grado, cioè quelle pronunciate dai TAR, sono provvisoriamente esecutive.
Questo significa che la parte vittoriosa può pretendere in via coattiva che la decisione venga eseguita dalle parti soccombenti anche prima del suo passaggio in giudicato, che è il momento che ne segna la definitività.
La semplice introduzione del giudizio di appello non è sufficiente a privare la sentenza di tale efficacia, a meno che non venga concessa dal consiglio di stato anche la sua sospensione cautelare, a seguito dell’accertamento della probabile fondatezza dell’impugnazione e dell’esistenza di un pregiudizio non riparabile derivante dall’esecuzione di quanto statuito dal TAR.
Qualora venga disposta tale sospensione, la decisione di primo grado rimane in essere all’interno della realtà giuridica, ma perde la sua forza esecutiva fino al termine del giudizio di appello, ad esito del quale può essere confermata o riformata in tutto o in parte.
In breve, la sentenza di primo grado "esiste" formalmente, ma non potrà essere utilizzata dalla parte vittoriosa per ottenere in via coattiva (con pignoramenti ecc.) il pagamento di quanto le è dovuto dalla parte soccombente.
Va poi chiarito che il termine di prescrizione per l’esecuzione delle sentenze è quello ordinario decennale, che comincia a decorrere da quando il diritto può essere fatto valere, ai sensi dell’art. 2935 c.c..

Dall'applicazione dei principi sopra illustrati al caso concreto, ne deriva che la prescrizione relativa alla condanna alle spese pronunciata nella decisione del TAR oggetto del quesito possa dirsi già compiuta soltanto nel caso in cui la sentenza non sia stata sospesa durante l'appello al Consiglio di Stato.
In tale ipotesi, infatti, la parte vittoriosa era già in possesso di un titolo (la sentenza del TAR del 2007 provvisoriamente esecutiva) che le dava la possibilità di recuperare le somme dovute dalla controinteressata a titolo di spese processuali, titolo che ha deciso di non utilizzare rimanendo inerte e lasciando così scadere il termine di prescrizione.
Qualora, invece, la sentenza del TAR sia stata sospesa dal Consiglio di Stato, il termine di prescrizione non poteva decorrere, in quanto il diritto di credito derivante dalla condanna alle spese non poteva essere azionato dalla parte, che non aveva a disposizione alcun titolo fornito di forza esecutiva.
A parere dello scrivente, la seconda ipotesi sembra la più probabile, alla luce della circostanza che il TAR non abbia rilasciato la copia esecutiva della sentenza fino al termine del processo di appello, ma è comunque necessario chiedere una conferma in tal senso al legale incaricato.

La giurisprudenza citata nella richiesta di parere, invece, non è di aiuto nel caso specifico, poiché si occupa della diversa questione di identificare quali siano gli effetti interruttivi della prescrizione sui diritti sostanziali (come ad esempio i diritti nascenti da obbligazioni contrattuali) in caso di domanda giudiziale inammissibile o di estinzione del processo.

Angelo F. chiede
lunedì 05/09/2016 - Lombardia
“Nel 2006 vado in pensione (settore spedizioni). decido di farmi liquidare il fondo del settore (F.A.S.C.). All atto della liquidaz. sottoscrivo il loro prospetto dove sono evidenz.:rivalutazione, interessi e quota azienda; oltre alla clausola 'non avrei altro a pretendere per qualsiasi titolo o causa'. Nel NOV.15 il FASC con rr mi chiede la restituzione di Euro 564,19; frutto di una revisione cont. (della soc.Parimetrica) che ha riconciliato tutti i conti degli iscritti al fondo; intimandomi di restituire entro 15 gg. Dopo mi sollecito mi viene inviato il prospetto con i conteggi degli interessi oggetto di revisione. Tale richiesta viene giust. dal fatto che il FASC mi ha corrisposto una prestazione previdenziale superiore all importo realmente dovutomi, il tutto sulla ''base di criteri contabili più prudenti, ecc.''. Il quesito è il seguente: a prescindere dalla legittimità di tale richiesta, i termini di prescrizione sono di 5 o 10 anni?
Grazie.”
Consulenza legale i 14/09/2016
Trattandosi di fondo privato e non di INPS, il termine di prescrizione per la richiesta di restituzione di somme erogate in eccedenza è di dieci anni.
Non vi sono, infatti, eccetto che per l'INPS (per il quale, ad esempio, è quinquennale il termine di prescrizione per la richiesta delle differenze dovute a seguito di riliquidazione dei ratei di pensione: art. 38 del Decreto Legge n. 98/2011), discipline particolari che deroghino, in punto di prescrizione, all'art. 2946 cod. civ. (prescrizione ordinaria decennale).

Irma D. chiede
martedì 30/08/2016 - Sardegna
“Amministro una società di movimento terra ( scavi, demolizioni ecc ) e, nel 2012, ho eseguito lavori per un cliente che ha pagato, con assegno postale, un acconto pattuito in € 5.000 come in fattura emessa.
Sotto sua richiesta, ho atteso ad emettere fattura per saldo ( circa € 17.000 ) dal momento che si trattava anche di un amico di vecchia data. Nonostante abbia, più volte, richiesto indicazioni circa la possibile data presunta per il pagamento, non ho mai ricevuto risposte certe.
Mi veniva continuamente domandato di attendere a causa dell'insorgenza di problemi.
Non avendo ricevuto nuovi importi, non ho emesso altre fatture anche perchè, se l'avessi fatto avrei dovuto versare l'iva di legge attingendo dalle casse della Società.
Vorrei sapere come posso fare per richiedere in maniera decisa il saldo dovuto.
Temo di poter rientrare nei termini di prescrizione.
Ho provato ad informarmi, leggendo l'articolo 2934 c.c. ma non capisco, in base alla tipologia di lavoro che la società svolge, quale sia il tempo massimo per la richiesta di cui sopra.
Ringraziando anticipatamente, porgo cordiali saluti.

Consulenza legale i 06/09/2016
Partendo dall’ultima domanda posta nel quesito, va subito detto non è ancora decorso il termine di prescrizione per la richiesta di pagamento del saldo.

Infatti, si tratta – così è lecito intuire - di inadempimento ad un contratto di appalto, in forza del quale, a seguito dell’esecuzione integrale della prestazione da parte dell’appaltatore, quest’ultimo non ha però ricevuto integralmente il prezzo pattuito da parte del committente.

Tale situazione non rientra in nessuna di quelle per le quali la legge stabilisce una prescrizione breve (uno, tre o cinque anni), pertanto la domanda di adempimento sarà soggetta alla prescrizione ordinaria decennale di cui all’art. 2946 cod. civ. (nel caso concreto, se i lavori sono terminati nel 2012 – e si presume da contratto che il saldo dovesse avvenire a lavori conclusi – il creditore avrà dieci anni di tempo per richiedere il pagamento).

Per evitare, in ogni caso, il maturare del termine di prescrizione, occorrerà porre in essere un atto interruttivo della stessa, il cui risultato è che la prescrizione ricomincerà a decorrere ex novo dal momento dell’atto interruttivo.

Per rispondere al quesito, in concreto, l’appaltatore dovrà in primo luogo inviare una raccomandata (postale o a mezzo p.e.c.) di messa in mora al debitore, ovvero una comunicazione nella quale si richiede il pagamento del prezzo e degli interessi di mora (dovuti per il ritardo) entro un certo termine, che si ritiene essenziale; va poi dato avviso che in difetto di pagamento entro il termine, il creditore si attiverà per la tutela dei propri interessi. Tale comunicazione può essere sottoscritta dal creditore direttamente oppure (e ciò di solito conferisce maggiore incisività alla richiesta) da un legale per suo conto.

Se il debitore, nonostante la messa in mora e l’intimazione di pagamento, non adempie comunque, il creditore sarà costretto ad intraprendere un determinato percorso che – purtroppo – è inevitabile in quanto obbligatorio per legge, anche se non sempre si rivela rapido ed efficace.

Da qualche anno, nel caso di controversie riguardanti richieste di pagamento di somme di denaro non eccedenti il valore di € 50.000,00 non ci si può rivolgere direttamente all’Autorità Giudiziaria, ma si deve necessariamente ricorrere prima (ovvero quale condizione di procedibilità della domanda giudiziale) al procedimento di “negoziazione assistita” di cui alla legge (D. Lgs n. 132/2014).

Tale procedimento inizia con una comunicazione che una parte (in questo caso sarebbe il creditore) invia all’altra per il tramite del proprio legale (l’assistenza degli avvocati, uno per ogni parte, è indispensabile) e contenente l’invito a stipulare una convenzione di negoziazione. Tale invito deve essere debitamente sottoscritto e indicare l'oggetto della controversia e l'avvertimento che in caso di mancata risposta entro trenta giorni o di rifiuto ciò costituirà motivo di valutazione da parte del giudice ai fini dell'addebito delle spese di giudizio.

La c.d. convenzione di negoziazione non è altro che un accordo tramite il quale le parti convengono “di cooperare in buona fede e lealtà”, al fine di risolvere in via amichevole una controversia, tramite l'assistenza di avvocati.
La convenzione deve contenere sia il termine concordato dalle parti per l'espletamento della procedura (sono infatti queste ultime che si accordano sui tempi di svolgimento della stessa), che non può essere inferiore a un mese e superiore a tre (salvo proroga di 30 giorni su richiesta concorde delle parti), sia l'oggetto della controversia.

La convenzione deve essere redatta poi, a pena di nullità, in forma scritta e deve essere conclusa con l'assistenza di uno o più avvocati, i quali certificano l'autografia delle sottoscrizioni apposte all'accordo sotto la propria responsabilità professionale.

In buona sostanza, il procedimento sopra descritto è di natura amichevole e transattiva e dovrebbe servire – secondo le intenzioni del legislatore – ad evitare il giudizio.
Nel caso però lo scopo non sia raggiunto (perché la controparte non aderisce all’invito o perché l’accordo non si raggiunge), il creditore potrà adìre l’Autorità Giudiziaria.

Nel caso di specie, purtroppo, non essendo stata ancora emessa fattura per il saldo, difficilmente si potrà ricorrere al rapido procedimento per ingiunzione (che consente di ottenere un decreto ingiuntivo in poco tempo sulla base di idonea prova scritta, tra cui si ritengono sufficienti le fatture), ma si dovrà procedere con una causa ordinaria.

Calogero B. chiede
martedì 22/03/2011 - Lombardia
“Desidero sapere entro quali termini mi posso opporre per difendermi da una "sanzione disciplinare" che mi è stata stata inflitta dal Dirigente Scolastico dell'Istituto Superiore dove insegno!
Ritengo che sia una sanzione ingiusta e persecutoria.
Grazie!
Prof, Calogero Buscarino”
Francesca B. chiede
venerdì 29/10/2010
“L'ordine dei geologi, al quale sono iscritta, mi chiede di pagare la quota del 1994. Sono passati 16 anni ed io non ho la ricevuta (non so se non ho pagato o se l'ho persa). Dopo quanto tempo va in prescrizione l'obbligo di conservare le ricevute della quota degli ordini professionali?
Grazie e saluti”
Consulenza legale i 29/10/2010

Il diritto al pagamento è senz'altro prescritto. In materia di prescrizione dei contributi dovuti agli enti previdenziali dai liberi professionisti, come già chiarito dalla Suprema Corte di Cassazione in più pronunce, si applica non già la disposizione dell'art. 2934 del c.c. bensì le norme di cui ai commi 9 e 10 dell’art. 3 della L. n. 335/95 che prevedono un tempo di prescrizione di addirittura di 5 anni, laddove, invece, la disposizione citata del codice civile fissa il tempo in 10 anni. Non rileva, pertanto, il fatto di aver perduto la ricevuta. Se la richiesta di pagamento è intervenuta dopo 16 anni questa è da considerarsi del tutto prescritta.


C. I. chiede
venerdì 16/06/2023
“Ad oggi a distanza di undici anni con raccomandata a firma del condomino-pseudo amministratore, viene richiesto a mia figlia di rimborsare varie somme a dire rappresentate da spese di proprietà e di gestione dal 2010 al 2017, che avrebbe anticipato per l’unità immobiliare di mia figlia. A tale proposito vorrei sapere se questo condomino che vanta il rimborso di spese condominiali anticipate che sono secondo mè non dovute per gli art. 1134 e 1136 c.c. ed anche in parte prescritte con i 5 anni può di contro richiederne il rimborso appellandosi all'art. 2041 del c.civile e se eventualmente dovesse insorgere un vertenza giudiziale se sarebbe possibile riferirsi ad un organo di mediazione.- In attesa di riscontro molto gradito porgo distinti saluti.-
Consulenza legale i 21/06/2023
Purtroppo il quesito è assolutamente generico e non offre la possibilità di entrare nello specifico della vicenda.
Rimanendo quindi su un piano generale si può dire che il n. 3 dell’art. 2948 del c.c. prevede che la prescrizione per pretendere il pagamento di oneri condominiali sia di 5 anni decorrenti dalla data della delibera assembleare che prevede la spesa. Tuttavia, da quel che pare di capire controparte pone a giustificazione della sua richiesta di pagamento l’aver effettuato a sue spese, ai sensi dell’art. 1134 del c.c., opere urgenti nell’ interesse della cosa comune. Orbene, la giurisprudenza (Cass.Civ.Sez.II, n.19348 del 04.10.2005) ha precisato che il diritto al rimborso per spese urgenti ai sensi dell’art. 1134 del c.c. si prescrive nel termine ordinario decennale di cui all’art. 2946 del c.c., e non ai sensi dell’art. 2948 del c.c.
Per tale motivo anche se i crediti di cui pretende il pagamento la controparte sono sorti in epoca piuttosto remota non è detto che il termine prescrizionale sia interamente decorso, almeno per le annualità più recenti.

Sotto questo aspetto si deve anche tener conto della normativa che disciplina l’interruzione della prescrizione. Ai sensi del 4° co. dell’art. 2943 del c.c. e 1° co. dell’art. 2945 del c.c. se il creditore ha inviato un atto che vale a mettere in mora il suo debitore, il computo del termine prescrizionale deve interrompersi per riprendere repentinamente dal giorno in cui tale atto interruttivo è stato inviato. In virtù di questo sistema “ad elastico”, è possibile che controparte sia ancora nei termini per far valere il suo diritto se in questi anni essa ha inviato una o più lettere di messa in mora per i crediti sorti in annualità più remote, e lo abbia fatto prima del decorso del termine di prescrizione originario.
Prendiamo, ad esempio, il credito sorto nel 2010: se controparte avesse, in ipotesi, inviato un sollecito di pagamento per quel credito nell’anno 2014, prima quindi che il termine quinquennale (o decennale) originario fosse interamente decorso, il computo della prescrizione ripartirebbe nuovamente dall’inizio a partire dall’anno 2014, impedendo quindi il decorso della prescrizione anche per le annualità più remote.

Ad ogni modo, se la prescrizione è definitivamente decorsa controparte non può rifugiarsi nell’azione di generale arricchimento di cui all’ art. 2041 del c.c.. Come ben specifica il successivo art. 2042 del c.c., tale tipo di azione è esperibile nel solo caso in cui colui che ha subito l’ingiusto arricchimento altrui non abbia altra azione per farsi indennizzare il pregiudizio subito. Nel caso specifico l’ordinamento offre ben altri mezzi al creditore per pretendere il rimborso delle spese anticipate (in questo senso si pensi proprio a quanto previsto dall’art. 1134 del c.c.), e certamente non rileva il fatto che il termine prescrizionale sia decorso per disinteresse del soggetto che tali azioni avrebbe ben potuto farle valere. Vi è da dire inoltre che anche l’azione di generale arricchimento, è soggetta al termine prescrizionale decennale con tutte le conseguenze già dette in precedenza.

Hai un dubbio o un problema su questo argomento?

Scrivi alla nostra redazione giuridica

e ricevi la tua risposta entro 5 giorni a soli 29,90 €

Nel caso si necessiti di allegare documentazione o altro materiale informativo relativo al quesito posto, basterà seguire le indicazioni che verranno fornite via email una volta effettuato il pagamento.