La questione sottoposta al vaglio degli Ermellini era nata in seguito alla domanda proposta da una coppia di genitori, contro la Provincia di Perugia, al fine di ottenere la sua condanna al risarcimento dei danni subiti dal figlio minorenne, il quale, mentre era a bordo del proprio ciclomotore, era caduto a causa di una voragine presente sulla strada che stava percorrendo.
Di fronte al rigetto della domanda risarcitoria da parte del Tribunale, adito in secondo grado, gli originari attori, unitamente al figlio, divenuto, nel frattempo, maggiorenne, ricorrevano dinanzi alla Corte di Cassazione, eccependo, in primo luogo, la violazione e la falsa applicazione degli artt. 2051 e 2053 c.c. A loro avviso, infatti, il Giudice di seconde cure aveva errato nel rigettare la loro domanda, affermando che la strada non presentava intrinseche connotazioni di concreta pericolosità, senza, però, indicare a quali altre ipotetiche cause si sarebbe dovuto ascrivere il sinistro, posto che era incontestato il fatto che il danno fosse derivato proprio dalla strada.
I ricorrenti lamentavano, poi, da un lato, come il Tribunale avesse alterato l’onere della prova, e, dall’altro, come non fossero state prese in considerazione le dichiarazioni rese dai testimoni, con particolare riferimento a quelle rese da un dipendente della Provincia convenuta, il quale aveva affermato che proprio dopo l’incidente de quo si era provveduto a ripristinare l’asfalto in via cautelativa.
La Suprema Corte ha accolto il ricorso.
Gli Ermellini hanno, innanzitutto, evidenziato come la stessa Cassazione abbia già avuto modo di affermare che “custodi sono tutti i soggetti, pubblici o privati, che hanno il possesso o la detenzione della cosa” (Cass. Civ., n. 3651/2006; Cass. Civ., n. 20317/2005).
Posto, quindi, che, ai sensi dell’art. 14 del Codice della strada, “gli enti proprietari delle strade sono tenuti a provvedere: a) alla manutenzione, gestione e pulizia delle strade, delle loro pertinenze e arredo, nonché delle attrezzature, impianti e servizi; b) al controllo tecnico dell’efficienza delle strade e relative pertinenze; c) all’apposizione e alla manutenzione della segnaletica prescritta”, e considerato che, a loro carico, è senza dubbio configurabile la responsabilità per cosa in custodia, ex art. 2051 del c.c., in ragione del particolare rapporto con la strada, vige, in materia, il consolidato principio di diritto per cui “in caso di sinistro, dei danni conseguenti ad omessa o insufficiente manutenzione, il proprietario o il custode (tale essendo anche il possessore, il detentore o il cessionario) risponde ex art. 2051 del c.c. salvo che dalla responsabilità presunta a suo carico si liberi dando la prova del caso fortuito”.
Ciò significa che il danneggiato che chieda il risarcimento del danno sofferto in conseguenza dell’omessa o insufficiente manutenzione della cosa in custodia o delle sue pertinenze, invocando la responsabilità del custode, è tenuto a provare che i danni subiti derivino da detta cosa, in relazione alle circostanze del caso concreto. Prova, questa, che consiste nella dimostrazione del verificarsi dell’evento dannoso e della sua derivazione dalla cosa in custodia, e che può essere fornita anche con presunzioni (Cass. Civ., n. 3651/2006).
L’art. 2051 del c.c., infatti, facendo eccezione alla regola generale di cui al combinato disposto degli artt. 2043 e 2697 c.c., integra un’ipotesi di responsabilità aggravata, poiché, imponendo al custode, presunto responsabile del danno, di fornire l’eventuale prova liberatoria del caso fortuito, realizza un’inversione dell’onere della prova (cfr. ex multis Cass. Civ., n. 13222/2016).
In ossequio a tale assunto, dunque, il custode è tenuto a dimostrare di aver espletato, con la diligenza adeguata alla natura e alla funzione della cosa ed in base alle circostanze del caso concreto, tutte le dovute attività di controllo, vigilanza e manutenzione, gravanti su di lui sia in base a specifiche disposizioni di legge, sia in ossequio al generale principio del neminem laedere (cfr. Cass. Civ., n. 3651/2006).
Non spetta, quindi, al danneggiato provare l’insidia o il trabocchetto, né l’anomalia presente sul manto stradale, incombendo, al contrario, sul proprietario delle strade pubbliche, l’onere di fornire la prova liberatoria, dimostrando di aver adottato tutte le misure idonee a prevenire e ad impedire che il bene demaniale presenti una situazione di pericolo occulto, produttiva di danno a terzi, con una diligenza adeguata alla natura della cosa e alle circostanze del caso concreto, al fine di far valere, in sostanza, la propria mancanza di colpa (Cass. Civ., n. 4243/2009; Cass. Civ., n. 5445/2006), e, se del caso, invocare il concorso colposo del danneggiato, ex art. 1227 del c.c. (Cass. Civ., n. 19653/2004).