Nel caso di specie, il
ricorrente dava esecuzione nei confronti di una nota compagnia assicurativa ad un
titolo esecutivo formatosi precedentemente. Il ricorrente, agendo in qualità di presunto
erede, vedeva opporsi la
società esecutata, che contestava l’assenza di qualsivoglia prova di detta qualità in capo al creditore.
L’opposizione all’esecuzione era accolta dal
Giudice di Pace e, successivamente, “confermata” dal Tribunale di Roma che, con sentenza n. 8680/2016, rigettava il gravame del successore-appellante.
Il Tribunale, in particolare, osservava che il solo documento depositato in quell’occasione, ovvero la denuncia di
successione, appariva irrilevante ai fini della prova della qualità di erede; onere probatorio che, per essere assolto, avrebbe richiesto la
produzione delle certificazioni anagrafiche.
Con ordinanza n. 30505/2019 la Suprema
Corte di Cassazione, concordando sul punto con il Tribunale, ha poi dichiarato manifestamente infondato il ricorso del creditore, basato su un unico motivo. Con quest’ultimo il ricorrente sosteneva che, fin dal principio, la società opponente avesse confessato, qualificandolo come tale, la qualità di erede del
creditore procedente.
La Corte di Cassazione, in primo luogo, ha ritenuto che: “
Gli atti processuali vanno interpretati nel loro complesso, e dal complesso dell’atto di opposizione è evidente che la società opponente contestava proprio il possesso della qualità di erede in capo al creditore procedente”. I Giudici di legittimità, inoltre, richiamando la pronuncia di merito oggetto di ricorso, ne confermavano la correttezza nella parte in cui la sentenza
"ha ritenuto che la mera denuncia di successione non sia prova del possesso della qualità di chiamato all’eredità, in quanto conforme al consolidato orientamento di questa Corte”.
L’arresto giurisprudenziale di cui sopra, dunque, conferma il filone interpretativo che impone, nell’ottica dell’
assunzione della qualità di erede, il rispetto dei presupposti necessari ad agire in giudizio, la c.d.
legitimatio ad causam.
Non a caso il Supremo Consesso richiama la sentenza, della medesima sezione, n. 13738/2005, in virtù della quale colui che promuove l’azione, in qualità di erede del soggetto indicato come titolare (originario) del diritto, dovrà “allegare la propria legittimazione per essere subentrato nella medesima posizione del proprio autore, fornendo la prova, in ottemperanza all’onere di cui all’art. 2697 c.c., del decesso della parte originaria e della sua qualità di erede, perché altrimenti resta indimostrato uno dei fatti costitutivi del diritto di agire (o contraddire)”.
Tale onere, come anticipato, può essere adempiuto dal (presunto) delato solo e soltanto con la produzione degli atti dello stato civile.