La questione sottoposta all’esame della Cassazione nasceva dal ricorso proposto da due contribuenti, venditori di una porzione immobiliare, contro l’avviso di rettifica e liquidazione di imposta con cui l’Agenzia delle Entrate aveva revocato loro le agevolazioni fiscali per la prima casa, avendo considerato la loro abitazione quale immobile di lusso. Sulla base, infatti, di una relazione dell’Agenzia del Territorio, l’ente di riscossione aveva accertato che l’abitazione dei ricorrenti aveva una superficie superiore ai 240 mq, indicati dall’art. 6 del D.M. 2 agosto 1969 come limite massimo per godere delle agevolazioni fiscali per la prima casa.
Sia la Commissione Tributaria Provinciale, in primo grado, sia la Commissione Tributaria Regionale, adita in appello, rigettavano, però, le istanze dei ricorrenti, i quali decidevano, quindi, di rivolgersi alla Corte di Cassazione.
I contribuenti, con un unico ed articolato motivo di ricorso, impugnavano la pronuncia emessa in appello, eccependo la violazione e falsa applicazione dell’art. 52 del T.U.R., dell’art. 2697 del c.c., dell’art. 6 del D.M. 2 agosto 1969, nonché delle norme poste a presidio dell'onere di motivazione degli atti amministrativi, con riferimento, in particolare, al fatto che fossero state cedute due distinte unità abitative.
I ricorrenti lamentavano, infatti, in primo luogo, come i giudici di merito avessero errato nel ritenere assolto l’onere probatorio, gravante sulla controparte, attraverso il mero richiamo al parere dell’Agenzia del Territorio, il quale non era idoneo a fondare la valutazione dell’immobile come abitazione di lusso. Gli stessi eccepivano, poi, come i giudici d’appello non si fossero pronunciati in merito al fatto che l’immobile oggetto di compravendita non avesse, in realtà, una natura unitaria, essendo composto da due unità abitative, e risultando, così, idoneo a giustificare il godimento delle agevolazioni richieste.
La Suprema Corte ha, tuttavia, rigettato il ricorso.
Quanto, innanzitutto, all’asserito mancato assolvimento dell’onere della prova posto a carico dell’Ufficio finanziario, gli Ermellini hanno evidenziato come il relativo motivo di ricorso fosse inammissibile, in quanto la Commissione Tributaria Regionale ha ritenuto legittimo l’avviso inviato ai ricorrenti, basandosi sulla perizia di stima redatta dal Settore Servizi Tecnici.
In relazione, poi, al fatto che l’abitazione fosse, in realtà, composta da due unità immobiliari, i giudici di legittimità hanno, innanzitutto, evidenziato come, l’art. 6 del D.M. 2 agosto 1969, qualifichi come abitazione di lusso “le singole unità immobiliari aventi superficie utile complessiva superiore a mq 240 (esclusi i balconi, le terrazze, le cantine, le soffitte, e scale e posto macchine)”.
Gli Ermellini hanno, altresì, richiamato l’art. 40 del D.P.R. n. 1142/1949, il quale qualifica come distinta unità immobiliare urbana “ogni fabbricato, o porzione di fabbricato od insieme di fabbricati che appartenga allo stesso proprietario e che, nello stato in cui si trova, rappresenta, secondo l’uso locale, un cespite indipendente”.
Alla luce del combinato disposto delle suddette norme, la Suprema Corte ha ritenuto opportuno richiamare un suo precedente orientamento in base al quale “Ai fini fiscali devono essere considerate abitazioni di lusso, ai sensi dell'art. 6 del D.M. 2 agosto 1969, tutti gli immobili aventi una superficie utile complessiva maggiore di 240 metri quadrati, a nulla rilevando che si tratti di appartamenti compresi in fabbricati condominiali o di singole unità abitative” (Cass. Civ., n. 23591/2012).
Esaminando il caso di specie sulla base di tali osservazioni, i giudici di legittimità non hanno potuto far altro che rilevare come non vi fosse alcun dubbio di essere in presenza di un’unica unità immobiliare, risultando, dunque, irrilevante che la stessa fosse composta, al suo interno, da due unità abitative.