Nel caso esaminato dalla Cassazione, la Corte d’appello di Palermo aveva confermato la sentenza con cui il giudice di primo grado aveva rigettato la domanda di risarcimento danni proposta da un soggetto nei confronti dell’Assessorato alla sanità della regione siciliana e dei medici che l’avevano sottoposto ad un intervento chirurgico.
Nello specifico, il paziente aveva chiesto il risarcimento a seguito delle complicazioni verificatesi dopo l’intervento chirurgico cui era stato sottoposto.
Secondo la Corte d’appello, in particolare, dagli accertamenti effettuati in corso di causa era emerso come la condotta dei sanitari fosse stata corretta, “sia nella scelta del metodo che nella esecuzione dell'intervento e del trattamento post-operatorio”.
Ritenendo la decisione ingiusta, il paziente aveva deciso di rivolgersi alla Corte di Cassazione, nella speranza di ottenere l’annullamento della sentenza sfavorevole.
La Suprema Corte riteneva, in effetti, di dover dar ragione al paziente, accogliendo il relativo ricorso, in quanto fondato.
Osservavano gli Ermellini, infatti, che, nel caso di specie, il paziente era stato sottoposto ad un intervento chirurgico da considerarsi “di routine”, con la conseguenza che spettava ai medici “superare la presunzione secondo cui le "complicanze" sono state determinate da omessa o insufficiente diligenza professionale o da imperizia, dimostrando, invece, che le stesse derivano da un evento imprevisto ed imprevedibile secondo la diligenza qualificata in base alle conoscenze tecnico-scientifiche del momento” (in tema di diligenza professionale, si veda l’art. 1176 c.c.).
Pertanto, secondo la Cassazione, il giudice, per escludere la responsabilità del medico in caso di complicanze nell’ambito di un intervento di routine, non può limitarsi a rilevare l'accertata insorgenza di tali complicanze ma, deve verificare anche che le stesse siano state imprevedibili ed inevitabili, nonché che non sussiste un rapporto di causalità “tra la tecnica operatoria prescelta e l'insorgenza delle predette complicanze, unitamente all'adeguatezza delle tecniche scelte dal chirurgo per porvi rimedio”.
Alla luce di tali considerazioni, la Corte di Cassazione accoglieva il ricorso proposto dal paziente, annullando la sentenza impugnata e rinviando la causa alla Corte d’appello di Palermo, affinchè la medesima decidesse nuovamente sulla questione, sulla base dei principi sopra enunciati.