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Recesso del committente dall'appalto e diritto dell'appaltatore all'indennizzo per il mancato guadagno

Recesso del committente dall'appalto e diritto dell'appaltatore all'indennizzo per il mancato guadagno
Contratto d’appalto: in caso di recesso unilaterale del committente, l’appaltatore, per essere indennizzato, deve provare l’utile netto che avrebbe conseguito dall’esecuzione delle opere.
La Seconda Sezione Civile della Corte di Cassazione, con la sentenza n. 15304/2020, ha avuto modo di pronunciarsi in materia di contratto d’appalto, precisando quale onere probatorio ricada in capo all’appaltatore che chieda di essere indennizzato del mancato guadagno conseguente al recesso unilaterale del committente dal contratto d’appalto.

La questione sottoposta al vaglio degli Ermellini era nata in seguito alla decisione di un condominio, in veste di committente, di recedere, ex art. 1671 del c.c., dal contratto d’appalto concluso con un’impresa di costruzioni per lo svolgimento di alcune opere.

Di fronte al rigetto, all’esito del giudizio di primo grado, della propria domanda di risarcimento del danno, l’appaltatore proponeva appello, il quale veniva accolto soltanto parzialmente. La Corte territoriale, infatti, condannava il condominio a pagare all’appaltatore una somma di denaro a titolo di indennizzo, ex art. 1671 del c.c., essendo notorio che la parte contrattuale che subisca l’interruzione di un rapporto in essere venga privata dell’utile che dall’esecuzione del contratto le sarebbe derivato, ove la controparte non dimostri un aliunde perceptum, ossia che il danneggiato abbia percepito un utile dallo svolgimento di diverse attività lucrative, nel medesimo periodo in cui avrebbe dovuto eseguire l’appalto oggetto di contestazione. Non trovava, però, accoglimento la domanda di risarcimento del danno per le spese generali d’impresa, le quali, secondo i giudici di merito, non erano state debitamente provate.

Di fronte a tale decisione, il condominio decideva di ricorrere dinanzi alla Corte di Cassazione, lamentando la violazione delle norme che regolano l’onere della prova, nonché del principio di vicinanza della prova, ex art. 2697 del c.c., in relazione all’affermazione secondo cui sarebbe stato onere della parte convenuta dimostrare l’aliunde perceptum dell’impresa, al fine di evitare la corresponsione dell'indennizzo a favore dell'appaltatore.

La Suprema Corte ha accolto il ricorso.

Gli Ermellini, concordemente con quanto affermato dal ricorrente, hanno evidenziato come quanto sostenuto dai giudici di merito, si ponga in contrasto con la costante giurisprudenza di legittimità, la quale, in ossequio al principio della vicinanza al fatto oggetto di prova, ha più volte ribadito che “in ipotesi di recesso unilaterale del committente dal contratto d'appalto, ai sensi dell'art. 1671 cod. civ., grava sull'appaltatore, che chiede di essere indennizzato del mancato guadagno, l'onere di dimostrare quale sarebbe stato l'utile netto da lui conseguibile con l'esecuzione delle opere appaltate, costituito dalla differenza tra il pattuito prezzo globale dell'appalto e le spese che si sarebbero rese necessarie per la realizzazione delle opere, restando salva per il committente la facoltà di provare che l'interruzione dell'appalto non ha impedito all'appaltatore di realizzare guadagni sostitutivi ovvero gli ha procurato vantaggi diversi(Cass. Civ., n. 8853/2017; Cass. Civ., n. 9132/2012).

Contrariamente a ciò, la Corte territoriale, in relazione al caso di specie, ha erroneamente affermato, mediante un apodittico richiamo il fatto notorio, che la sussistenza dell’an del pregiudizio dovrebbe ritenersi dimostrata, non già in ragione della prova offerta dall’appaltatore, bensì dalla mancata allegazione, da parte del committente, dell’aliunde perceptum.


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