Il caso sottoposto all’esame della Corte di Cassazione riguardava la titolare di un’impresa edile, la quale si era vista condannare, sia in primo che in secondo grado, a pagare una ingente somma in favore dell’INAIL, a seguito dell’infortunio sul lavoro subito da un proprio dipendente.
Nello specifico, il lavoratore, durante i lavori di ristrutturazione di un immobile, era caduto da un’impalcatura, sulla quale era salito per verificare la stabilità di un ponteggio.
Il giudice, dunque, era giunto alla conclusione di dover condannare il datore di lavoro, in quanto sullo stesso gravava “il preciso obbligo non solo di fornire, ma di assicurarsi che il lavoratore facesse effettivo uso del casco e della cintura di sicurezza”.
Secondo il giudice, inoltre, il comportamento posto in essere dal dipendente non poteva considerarsi caratterizzato da “abnormità e/o imprevedibilità”.
Ritenendo la condanna ingiusta, la titolare dell’impresa edile aveva deciso di rivolgersi alla Corte di Cassazione, nella speranza di ottenere l’annullamento della sentenza sfavorevole.
Osservava la ricorrente, in particolare, che il giudice del precedente grado di giudizio, nel confermare la pronuncia di condanna, avrebbe violato gli artt. 10 e 11 del d.p.r. n. 1124 del 1965, nonché gli artt. 2697, 2729, 2087 e 1218 c.c.
Evidenziava la ricorrente, infatti, che, il giorno dell’infortunio, il lavoratore si era recato sul luogo di lavoro “per un sopralluogo volto alla verifica della stabilità del ponteggio da smontare senza ricevere nessuna direttiva dal datore di lavoro”.
Di conseguenza, secondo la ricorrente, il comportamento del lavoratore “era da porsi come causa esclusiva dell’evento” e doveva considerarsi “abnorme”, dal momento che egli non avrebbe dovuto passare sulla parte superiore del ponteggio.
Evidenziava la ricorrente, infine, che “non vi era la prova che il comportamento tenuto dal lavoratore fosse ricollegabile ad una colpa del datore di lavoro, mentre vi era la prova della imprevedibilità del comportamento” tenuto dal lavoratore, “idonea ad esonerare da qualsivoglia responsabilità il datore di lavoro”.
La Corte di Cassazione, tuttavia, riteneva di dover aderire alle considerazioni svolte dalla Corte d’appello, rigettando il ricorso proposto dalla datrice di lavoro, in quanto infondato.
Osservava la Cassazione, in proposito, che la Corte d’appello aveva, del tutto correttamente e motivatamente, affermato la penale responsabilità del datore di lavoro, il quale aveva “violato gli obblighi di manutenzione e controllo degli impianti e dei dispositivi di sicurezza”.
La Cassazione evidenziava, inoltre, che, nel caso di specie, l’infortunio era avvenuto sul luogo di lavoro e nell’esercizio di un’attività lavorativa, il relazione alla quale lo stesso datore di lavoro aveva sostenuto di aver fornito al dipendente i necessari mezzi di sicurezza.
Precisava la Corte, dunque, che il datore di lavoro, oltre a fornire tali mezzi di protezione, avrebbe dovuto, altresì, individuare “ogni situazione di rischio presente sul luogo di lavoro”, nonché “informare tempestivamente e dettagliatamente il lavoratore” e “sottoporlo alla opportuna vigilanza in ordine al corretto impiego dei medesimi mezzi di prevenzione, essendo tra l'altro al suo primo giorno di lavoro”.
Precisava la Cassazione, infine, che “salire su una parte non calpestabile del ponteggio ed appoggiare un piede su una mantovana” non costituiva certamente un “comportamento connotato da abnormità e/o imprevedibilità in quanto non esorbitava dall'attività lavorativa”.
Alla luce di tali considerazioni, la Corte di Cassazione rigettava il ricorso proposto dalla datrice di lavoro, confermando integralmente la sentenza impugnata.