Oltre alla consegna del denaro, quindi, anche il titolo in forza del quale si chiede la restituzione della somma, nella specie il sottostante contratto di mutuo (disciplinato agli articoli 1813 ss. c.c.), deve perciò essere dimostrato in giudizio dall’attore.
A tali fini, la Cassazione ha affermato che può essere sufficiente anche la causale del bonifico che rechi la formulazione “prestito” o “mutuo”.
Con riferimento al caso in cui l’attore non soddisfi l’onus probandi e, pur avendo provato il fatto del versamento del denaro, non riesca a dimostrarne pienamente il titolo, la Cassazione ha specificato, infatti, che il giudice, per rigettare la domanda di restituzione, dovrà procedere secondo una “particolare cautela”.
Ciò in quanto l’ordinamento non consente trasferimenti di ricchezza acausali: il pagamento, cioè, deve sempre essere sorretto da un titolo giustificativo, sicchè il giudice, per poter rigettare la domanda restitutoria, dovrà capire a che titolo il convenuto possa trattenere il denaro ricevuto.
Il convenuto deve pertanto procedere all’allegazione un titolo diverso, in assenza della quale la domanda di restituzione fondata sulla causale del bonifico potrà essere accolta. A parer della Corte, non è tuttavia idonea a dimostrare il diverso titolo giustificativo la produzione in giudizio di documenti predisposti unilateralmente dall’accipiens in epoca successiva al versamento della somma.
Il caso giunto all’attenzione della Suprema Corte, in particolare, traeva origine dalla domanda giudiziale di ripetizione proposta da una donna contro una società costruttrice di imbarcazioni.
La domanda, nello specifico, aveva ad oggetto la restituzione di un’importante somma, che l’attrice sosteneva di aver versato al convenuto a titolo di mutuo, come si poteva trarre dal bonifico bancario attestante il versamento, la cui causale recava la dicitura “prestito”.
Il Tribunale aveva dato ragione al mutuante e aveva condannato la società alla restituzione della somma.
Quest'ultima, dunque, aveva proposto appello, deducendo che il denaro ricevuto non le era stato “prestato” dalla controparte ma che quella somma le era stata versata a titolo di caparra. L’appellante spiegava infatti di aver intrattenuto con l’attrice (che era una consulente in materia di design) un rapporto professionale finalizzato alla costruzione di uno yacht, su ordine di un terzo soggetto committente. Questo aveva versato l’intera caparra all’attrice, che a sua volta ne aveva versata una parte alla società costruttrice per conto del committente.
A sostegno di tali allegazioni, in particolare, la società versava in atti la ricevuta fiscale inviata al committente dello yacht.
La Corte distrettuale aveva quindi riformato la sentenza di seconde cure, accogliendo la prospettazione dell'appellante e ritenendo non soddisfatto l’onere della prova incombente sul mutuante che agiva in ripetizione. Secondo il Giudice di secondo grado, invero, la causale del bonifico doveva ritenersi insufficiente.
Avverso tale sentenza aveva dunque proposto ricorso la designer, per la quale la causale del bonifico, soprattutto laddove non tempestivamente contestata dal beneficiario, deve valere come imputazione del pagamento e quindi come prova del titolo.
Rilevato come la società costruttrice non abbia adeguatamente dimostrato la diversa giustificazione del versamento, la Corte di Cassazione ha dunque cassato la sentenza con rinvio, ritenendo fondate le censure della ricorrente sulla scorta delle argomentazioni sopra ripercorse.