La questione sottoposta al vaglio degli Ermellini era nata dopo che, nel 2013, due coniugi, cointestatari di un conto corrente con relativa carta per il prelievo bancomat, si erano accorti che, nei giorni precedenti, il loro conto era stato azzerato mediante dei prelievi realizzati attraverso il bancomat e da loro non autorizzati.
Dopo aver provveduto a bloccare il bancomat, la coppia citava in giudizio la banca al fine di ottenere il rimborso della somma prelevata abusivamente da ignoti.
L’istituto di credito resisteva in giudizio, depositando una distinta dei movimenti sospetti e facendo, altresì, presente come la tessera bancomat costituisse da sola un documento valido per il prelievo, senza bisogno di ulteriori documenti di identità.
Il Tribunale, adito in primo grado, rigettava l’istanza degli attori, ritenendo che i coniugi non avessero fornito la prova della diligenza usata per impedire il furto o la clonazione del bancomat, nonché evidenziando come non vi fosse alcuna responsabilità della banca per il periodo anteriore al blocco della carta.
Di fronte alla dichiarazione di inammissibilità del gravame pronunciata dalla Corte d’Appello, i correntisti ricorrevano dinanzi alla Corte di Cassazione, eccependo, in particolare, una violazione dell’art. 2697 del c.c. e degli articoli 10 e 12 della l. n. 11/2010, ritenendo che, dal combinato disposto di tali norme, l’onere di provare la diligenza nell’evitare l’incasso fraudolento ricadesse in capo alla banca.
La Suprema Corte ha accolto il ricorso.
Gli Ermellini hanno, innanzitutto, richiamato alcuni principi espressi dalla stessa giurisprudenza di legittimità, in materia di ritenuta responsabilità della banca per l’indebito uso del bancomat da parte di soggetti diversi dal correntista.
La Cassazione ha, infatti, già in precedenza affermato che “in tema di responsabilità della banca in caso di operazioni effettuate a mezzo di strumenti elettronici, anche al fine di garantire la fiducia degli utenti nella sicurezza del sistema (il che rappresenta interesse degli stessi operatori), è del tutto ragionevole ricondurre nell'area del rischio professionale del prestatore dei servizi di pagamento, prevedibile ed evitabile con appropriate misure destinate a verificare la riconducibilità delle operazioni alla volontà del cliente, la possibilità di una utilizzazione dei codici di accesso al sistema da parte dei terzi, non attribuibile al dolo del titolare o a comportamenti talmente incauti da non poter essere fronteggiati in anticipo. Ne consegue che, anche prima dell'entrata in vigore del d.lgs. n. 11 del 2010, attuativo della direttiva n. 2007/64/CE relativa ai servizi di pagamento nel mercato interno, la banca, cui è richiesta una diligenza di natura tecnica, da valutarsi con il parametro dell'accorto banchiere, è tenuta a fornire la prova della riconducibilità dell'operazione al cliente” (Cass. Civ., n. 2950/2017).
La regola per cui spetta alla banca fornire la prova della riconducibilità dell’operazione al cliente trova, infatti, conferma anche nel d.lgs. n. 11/2010, secondo cui l’onere di dimostrare che l’operazione posta in essere illecitamente dal terzo, sia stata comunque effettuata correttamente e che non vi stata alcuna anomalia che abbia consentito l’operazione fraudolenta, grava sulla banca.
La stessa Cassazione ha, inoltre, osservato che “la responsabilità della banca per operazioni effettuate a mezzo di strumenti elettronici, con particolare riguardo alla verifica della loro riconducibilità alla volontà del cliente mediante il controllo dell’utilizzazione illecita dei relativi codici da parte di terzi, ha natura contrattuale e, quindi, va esclusa se ricorre una situazione di colpa grave dell’utente, configurabile nel caso di protratta mancata attivazione di una qualsiasi forma di controllo sugli estratti conto” (Cass. Civ., n. 18045/2019).
In sostanza, quindi, grava sulla banca sia l’onere di diligenza di impedire prelievi abusivi, sia quello di dimostrare che il prelievo non è opera di terzi, ma è comunque riconducibile alla volontà del cliente. Quest’ultimo, tuttavia, dovrà subire le conseguenze del prelievo abusivo nel caso in cui, per colpa grave, abbia permesso o, comunque, aggravato il prelievo stesso.