Nel caso esaminato dalla Cassazione, il Tribunale di Napoli aveva rigettato la domanda risarcitoria proposta nei confronti di due medici, per gli errori professionali che i medesimi avrebbero commesso in esecuzione di due interventi chirurgici.
La sentenza veniva confermata in secondo grado, con la conseguenza che i danneggiati decidevano di rivolgersi alla Corte di Cassazione.
In particolare, la Corte d’appello aveva rigettato la domanda poichè non riteneva provata la sussistenza di un nesso causale tra gli interventi chirurgici e il danno lamentato, stante l’incompletezza della cartella clinica (art. 2697 del c.c.).
Secondo i ricorrenti, i pazienti avrebbero dovuto solamente allegare “il contratto o contatto sociale” con i medici, “l’aggravamento o l’insorgenza della patologia” e “l’inadempimento del debitore”, mentre sarebbe spettato ai medici stessi “dimostrare l’assenza del nesso causale, cioè che l’evento è derivato da un fatto a sé non imputabile”.
Inoltre, aggiungevano che il giudice di secondo grado non avrebbe tenuto in adeguata considerazione le modalità di tenuta della cartella clinica “che, in quanto incompleta, avrebbe dovuto appunto essere valorizzata” in senso opposto a quanto risultante dalla sentenza.
La Corte di Cassazione riteneva, in effetti, di dover accogliere il ricorso presentato dai due pazienti, in quanto fondato.
Evidenziava la Corte, in particolare, che la Corte d’appello aveva erroneamente fatto gravare sui pazienti la responsabilità dell’incompletezza della cartella clinica, deducendo dalla medesima l’assenza del nesso causale tra intervento chirurgico e danno.
Al contrario, secondo la Cassazione, proprio dall’incompletezza della cartella clinica doveva rinvenirsi “il presupposto perché scatti la prova presuntiva del nesso causale a sfavore del medico”, in capo al quale c'è specifico obbligo di tenere in modo adeguato la cartella clinica stessa.
La stessa Corte di Cassazione, infatti, con la sentenza n. 10060 del 27 aprile 2010, aveva già sostenuto che “la difettosa tenuta della cartella clinica non vale ad escludere la sussistenza del nesso eziologico tra la colposa condotta del medico e le conseguenze dannose sofferte dal paziente, ove risulti provata la idoneità di tale condotta a provocare il danno”.
In senso conforme si veda, altresì, la sentenza della Cassazione n. 12273 del 5 luglio 2004, ove si affermava che “le omissioni nella tenuta della cartella clinica” imputabili al medico “rilevano sia ai fini della figura sintomatica dell’inesatto adempimento, per difetto di diligenza, in relazione alla previsione generale dell’art. 1176 del c.c., secondo comma, sia come possibilità di fare ricorso alla prova presuntiva, poiché l’imperfetta compilazione della cartella non può, in linea di principio, tradursi in un danno nei confronti di colui il quale abbia diritto alla prestazione sanitaria”.
Di conseguenza, secondo la Corte, il giudice di secondo grado, aveva “pienamente invertito il contenuto dell’insegnamento della giurisprudenza di legittimità”.
Alla luce di tali considerazioni, dunque, la Cassazione accoglieva il ricorso proposto dai pazienti, annullando la sentenza di secondo grado e rinviando la causa alla Corte d’appello, affinchè la medesima decidesse nuovamente sulla questione, in base ai principi sopra espressi.