Il caso sottoposto all’esame della Corte di Cassazione ha avuto come protagonista una donna notaio, la quale era stata coinvolta, quale terza trasportata, “in un incidente stradale con vettura priva di copertura assicurativa”, riportando lo scoppio di una vertebra.
La donna aveva, dunque, agito in giudizio nei confronti del conducente della vettura in cui la stessa si trovava, nonché nei confronti del conducente dell’altra vettura non assicurata e dell’impresa designata dal Fondo Vittime della Strada.
La domanda risarcitoria era stata parzialmente accolta in primo grado e, in secondo grado, la Corte d’appello di Milano, pur riconoscendo alla donna una ulteriore somma a titolo di risarcimento del mancato guadagno per il periodo di invalidità temporanea, aveva confermato il rigetto della domanda relativa al risarcimento del mancato guadagno subito a causa dell’invalidità permanente subita.
Secondo la Corte d’appello, infatti, non risultava provato il pregiudizio economico collegato alle conseguenze permanenti dell’incidente.
Ritenendo tale decisione ingiusta, la danneggiata aveva deciso di rivolgersi alla Corte di Cassazione, nella speranza di ottenere l’annullamento della sentenza che aveva accolto solo in parte le sue domande.
Secondo la ricorrente, in particolare, la Corte d’appello, nel negarle il diritto al risarcimento dei danni derivanti dall’invalidità permanente subita, avrebbe sottovalutato “le conseguenze anche in termini di pregiudizio patrimoniale della lesione dell’integrità fisica riportata”, che si era tradotta principalmente “in una maggiore faticosità del lavoro, nelle difficoltà di conservare per lungo tempo sia la stazione seduta, che la stazione eretta, nella difficoltà di effettuare spostamenti, ed in una necessità di interruzioni consistenti e del rispetto di tempi più lunghi di recupero fisico rispetto a quelli ordinari di una persona che si trovi nelle stesse condizioni di età e di salute complessiva senza la predetta alterazione fisica”.
La Corte di Cassazione, tuttavia, riteneva di dover aderire alle considerazioni svolte dalla Corte d’appello, rigettando il ricorso proposto dalla danneggiata, in quanto infondato.
Osservava la Cassazione, in proposito, che la Corte d’appello aveva dato corretta applicazioni ai principi dettati dal codice civile in tema di ripartizione dell’onere della prova (art. 2697 c.c.).
Evidenziava la Cassazione, infatti, che la Corte d’appello aveva, del tutto correttamente, rilevato che “la contrazione della capacità di guadagno, pur in presenza del verificarsi di una invalidità permanente di incidenza non trascurabile, non può essere presunta, ma deve essere allegata e provata” e che, nel caso di specie, tale prova non era stata fornita.
Dalle dichiarazioni dei redditi della donna, in particolare, non emergevano “elementi univoci nel senso di un decremento progressivo dei guadagni negli anni successivi all’incidente”.
Osservava la Cassazione, inoltre, che la ricorrente non aveva provato nemmeno la sussistenza di un nesso di causalità tra “la contrazione di reddito verificatasi (…) negli anni successivi al fatto illecito o la mancanza di incremento e la impossibilità fisica (…) di mantenere i ritmi lavorativi precedenti, e tanto meno di incrementarli”.
Alla luce di tali considerazioni, la Corte di Cassazione rigettava il ricorso proposto dalla donna, confermando integralmente la sentenza impugnata.