La vicenda traeva origine dalla decisione della Corte distrettuale di Napoli che rigettava l’appello principale di un lavoratore attraverso cui quest’ultimo aveva domandato la condanna del Banco di Napoli alla immediata reintegra nel ruolo di direttore della filiale di Giugliano in Campania Ag 1 ovvero in altra mansione equivalente, oltre al risarcimento dei danni da lucro cessante sia diretti che indiretti, dei danni morali, nonché di una penale di almeno € 200,00 per ciascun giorno di ritardo nell'attuazione del provvedimento del tribunale.
La vicenda giungeva così in Cassazione, davanti alla quale il lavoratore sollevava i seguenti motivi:
- con la prima censura il ricorrente lamentava la violazione e la falsa applicazione dell'art. 115 del c.p.c., dell'art. 431 del c.p.c., dell'art. 12 delle preleggi, nonché dell'art. 1175 del c.c., dell'art. 1375 del c.c., dell'art. 1460 del c.c., dell'art. 2103 del c.c. e dell'art. 2697 del c.c., considerando la sentenza impugnata illegittima nella parte in cui non aveva riconosciuto l'inottemperanza della società al comando giudiziale espresso nella sentenza di accertamento dell’illegittimità del trasferimento;
- con la seconda censura contestava la violazione e la falsa applicazione dell'art. 12 delle preleggi, dell'art. 2103 del c.c. e dell'art. 33 della legge 104, sostenendo che nel giudizio di gravame era stato espressamente impugnato il capo della sentenza di prime cure in cui era stabilito che non poteva essere inteso trasferimento quello che intervenisse fra unità produttive site nello stesso comune;
- con la terza censura il lavoratore eccepiva invece la violazione e la falsa applicazione dell'art. 12 delle preleggi, dell'art. 115 del c.p.c., dell'art. 116 del c.p.c., dell'art. 1226 del c.c., dell'art. 2087 del c.c., dell'art. 2697 del c.c. e dell'art. 2729 del c.c., mettendo in risalto l'erroneità della sentenza nella parte in cui non aveva riconosciuto i danni patrimoniali e non patrimoniali intesi quali danni alla professionalità e perdita di chance;
- con la quarta censura lamentava la violazione e la falsa applicazione dell'art. 12 delle preleggi, dell'art. 115 del c.p.c., dell'art. 116 del c.p.c., dell'art. 2103 del c.c., dell'art. 2697 del c.c. e dell'art 82 c.c.n.l. per non aver la sentenza impugnata riconosciuto le indennità previste per diaria e pendolarismo, ugualmente richieste;
- infine, con la quinta censura il ricorrente eccepiva l’omesso esame su un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti, dal momento che la sentenza non aveva considerato il fatto che il dipendente avesse autocertificato la sua residenza.
Il tribunale Supremo rigettava il ricorso e, soffermandosi sul terzo motivo, affermava che “deve escludersi che ogni modificazione delle mansioni in senso riduttivo comporti una automatica perdita di chance ovvero di ulteriori potenzialità occupazionali o di ulteriori possibilità di guadagno, a ciò conseguendo che grava sul lavoratore l'onere di fornire la prova, anche attraverso presunzioni, dell'ulteriore danno risarcibile, mentre resta affidato al giudice del merito - le cui valutazioni, se sorrette da congrua motivazione, sono incensurabili in sede di legittimità – il compito di verificare di volta in volta se, in concreto, il suddetto danno sussista, individuandone la specie e determinandone l'ammontare, eventualmente con liquidazione in via equitativa”.
Secondo i Giudici di legittimità, la perdita di una "chance” prospetta un danno attuale e risarcibile, a condizione che ne venga provata la sussistenza, anche secondo un calcolo di probabilità o per presunzioni; nel caso in cui manchi una tale prova non è possibile farvi fronte con una valutazione equitativa ai sensi dell'art. 1226 del c.c., considerato il fatto che l'applicazione di questa norma richiede che risulti provata ovvero incontestata l'esistenza di un danno risarcibile, di cui è impossibile provare il preciso ammontare.