In particolare, se il contratto impone all’infermiere di vestirsi/svestirsi prima e dopo l’ingresso in reparto e non direttamente a casa, questi ha diritto di essere retribuito per il tempo impiegato in tale attività?
Nel caso esaminato dalla Cassazione, la Corte d’appello di L’Aquila aveva confermato la sentenza con cui il Tribunale di Pescara aveva dichiarato il diritto di un infermiere a “percepire la retribuzione maturata per il tempo utilizzato per la vestizione/svestizione della divisa aziendale e per dare/ricevere le consegne all’uscita e all’entrata dal proprio turno di lavoro, trattandosi di adempimenti connessi a un’effettiva e diligente prestazione, meritevoli pertanto di compenso economico”.
Ritenendo tale decisione ingiusta, l’AUSL di Pescara (presso cui lavorava l’infermiere), decideva di rivolgersi alla Corte di Cassazione, nella speranza di ottenere l’annullamento della sentenza sfavorevole.
Secondo l’AUSL, in particolare, la Corte d’appello non avrebbe dato corretta applicazione all’art. 1 del d. lgs. n. 66 del 2003 e al contratto collettivo nazionale di categoria.
Secondo la ricorrente, inoltre, apparivano violati gli artt. 2104 e 2697 c.c.
Precisava l’AUSL, nello specifico, che, l’attività di vestizione/vestizione rientrava “nella diligenza preparatoria” e non doveva essere retribuita.
Evidenziava la ricorrente, inoltre, che non era stato provato che il lavoratore fosse obbligato a indossare la divisa prima della timbratura del cartellino, in quanto le norme contrattuali si limitavano a stabilire, “per evidenti motivi d’igiene e sanità pubblica”, che il lavoratore indossasse, “non già da casa (…) ma prima e dopo l’uscita dai relativi reparti, camice e mascherina protettiva”.
Tale attività, dunque, secondo la ricorrente, “potrebbe tutt’al più configurarsi quale adempimento di un obbligo di diligenza preparatoria”.
La Corte di Cassazione, tuttavia, non riteneva di poter dar ragione all’AUSL, rigettando il relativo ricorso, in quanto infondato.
Precisava la Cassazione, in proposito, che l’attività di vestizione/vestizione prima e dopo l’uscita dai reparti era imposta, non nell’interesse dell’azienda, bensì a tutela dell’igiene pubblica, con la conseguenza che la stessa doveva ritenersi “implicitamente autorizzata da parte dell’AUSL”.
Pertanto, nel caso di specie, secondo la Cassazione, la Corte d’appello aveva, del tutto correttamente, ritenuto che l’infermiere dovesse essere retribuito anche per il tempo impiegato in tale attività, dal momento che tale incombente, “ancorché correlato alla fase preparatoria, non è rimesso alla libertà del lavoratore, tanto che il datore può rifiutarne la prestazione senza di esso”.
Alla luce di tali considerazioni, la Corte di Cassazione rigettava il ricorso proposto dall’AUSL, confermando integralmente la sentenza impugnata e condannando la ricorrente anche al pagamento delle spese processuali.