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Operazioni bancarie on-line senza autorizzazione: la banca è responsabile?

Operazioni bancarie on-line senza autorizzazione: la banca è responsabile?
La possibilità di sottrazione fraudolenta dei codici identificativi del correntista rientra nel rischio d'impresa dell'istituto di credito, che deve fronteggiarla mediante l'adozione di adeguate misure di sicurezza.
La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 2950 del 3 febbraio 2017, si è occupata di alcune interessanti questioni in materia bancaria.

Il caso sottoposto all’esame della Cassazione ha visto come protagonista un soggetto, che aveva agito in giudizio nei confronti delle Poste, al fine di ottenere la condanna delle stesse a [risarcirgli il danno derivante da due operazioni on-line (un bonifico e un giroconto), che erano state eseguite a sua insaputa.

La domanda era stata rigettata sia in primo che in secondo grado, con la conseguenza che il soggetto in questione aveva deciso di rivolgersi alla Corte di Cassazione.

La Corte d’appello di Trento, in particolare, aveva ritenuto che le misure di sicurezza on line predisposte dalle Poste, “caratterizzate dall'utilizzo di un sistema di crittografia dei dati di riconoscimento del cliente, erano tali da escludere che l'accesso alle funzioni fosse consentito a chi non era conoscenza delle chiavi di accesso”.

Di conseguenza, la Corte era giunta alla conclusione secondo cui “le operazioni in questione erano state rese possibili dalla mancata custodia o comunque da un incauto comportamento del correntista, tale da consentire la sottrazione dei codici mediante tecniche fraudolente”.

Ritenendo la decisione ingiusta, il correntista aveva deciso di rivolgersi alla Corte di Cassazione, lamentando la violazione degli artt. 1218 e 2697 c.c.

La Corte di Cassazione riteneva, in effetti, di dover aderire alle considerazioni svolte dal correntista, accogliendo il relativo ricorso, in quanto fondato.

Osservava la Cassazione, in proposito, che il creditore che agisca per il risarcimento del danno deve provare la fonte del proprio diritto ma può, poi, limitarsi ad “allegare la circostanza dell'inadempimento della controparte”, la quale dovrà, a sua volta, fornire la “prova del fatto estintivo dell'altrui pretesa, costituito dall'avvenuto adempimento (…) ovvero dell'impossibilità della prestazione derivante da causa a lui non imputabile”.

Ebbene, nel caso di specie, la Cassazione evidenziava come la Corte d’appello avesse erroneamente attribuito rilievo, per una delle due operazioni oggetto di contestazione, “all'assenza di prova certa dell'estraneità del ricorrente”, quando, invece, la stessa avrebbe dovuto “accertare in positivo la riconducibilità dell'operazione a quest'ultimo”.

Inoltre – proseguiva la Corte - il giudice d’appello avrebbe dovuto tenere in considerazione il fatto che “la possibilità della sottrazione dei codici del correntista, attraverso tecniche fraudolente, rientra nell'area del rischio di impresa, destinato ad essere fronteggiato attraverso l'adozione di misure che consentano di verificare, prima di dare corso all'operazione, se essa sia effettivamente attribuibile al cliente”.

Secondo la Cassazione, dunque, “ai fini del rigetto della domanda risarcitoria”, la Corte d’appello non avrebbe dovuto limitarsi a dar rilievo al presunto “incauto comportamento” del correntista.

Alla luce di tali considerazioni, la Corte di Cassazione accoglieva il ricorso proposto dal correntista, annullando la sentenza impugnata e rinviando la causa alla Corte d’appello di Trento, affinchè la medesima procedesse ad un nuovo esame della questione.


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