È altrettanto noto che l’erede risponde con tutti i suoi beni oppure solo nei limiti del patrimonio relitto a seconda che l’eredità sia accettata puramente e semplicemente o con beneficio di inventario.
Tutto ciò brevemente premesso, occorre però chiedersi su chi gravi l’onere di provare la qualità di erede del soggetto contro cui il creditore agisce giudizialmente per ottenere la soddisfazione dei propri crediti. Ebbene, la Corte di Cassazione, con ordinanza n. 13550 del 29 aprile 2022, ha fornito una chiara risposta proprio a tale quesito, ribadendo il consolidato orientamento giurisprudenziale sul punto: l’onere della prova spetta al creditore.
Con il citato provvedimento, infatti, la Suprema Corte ha
- ricordato alcuni illustri precedenti (cfr. Cass., n. 13639/2018 e Cass., n. 8053/2017) secondo i quali la delazione che segue l’apertura della successione, pur rappresentandone un presupposto, non è di per sé sola sufficiente all’acquisto della qualità di erede, perché a tale effetto è necessaria anche, da parte del chiamato, l’accettazione mediante “aditio” oppure per effetto di “pro herede gestio” oppure per la presenza delle condizioni di cui all’art. 485 c.c.;
- evidenziato che, in considerazione di ciò, “spetta a colui che agisca in giudizio nei confronti del preteso erede per debiti del de cuius l’onere di provare, in applicazione del principio generale contenuto nell’art. 2697 c.c., l’assunzione da parte del convenuto della qualità di erede”;
- precisato che, infatti, vale anche in materia tributaria il principio per cui l’accettazione espressa o tacita dell’eredità da parte del chiamato rappresenta un elemento costitutivo del diritto azionato nei confronti del soggetto evocato in giudizio nella qualità di erede;
- chiarito infine che, a tali riguardi, non operano presunzioni, non potendo desumersi l’assunzione della qualità di erede dalla denuncia di successione, che ha natura di atto meramente fiscale.
La Commissione Tributaria, Provinciale prima e Regionale poi, allora, aveva dato ragione ai ricorrenti ritenendo che l’onere di provare la qualità di erede, gravante in capo al creditore, non fosse stato soddisfatto dall’Agenzia delle Entrate.
Il provvedimento del Giudice tributario di secondo grado, allora, era stato impugnato dall’Ufficio: nel ritenere il ricorso infondato, la Corte di Cassazione ha dunque ribadito i principi sopra richiamati.