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Articolo 2109 Codice Civile

(R.D. 16 marzo 1942, n. 262)

[Aggiornato al 26/11/2024]

Periodo di riposo

Dispositivo dell'art. 2109 Codice Civile

Il prestatore di lavoro ha diritto ad un giorno di riposo ogni settimana, di regola in coincidenza con la domenica [Cost. 36].

Ha anche diritto [dopo un anno d'ininterrotto servizio](1) ad un periodo annuale di ferie retribuito [2243], possibilmente continuativo, nel tempo che l'imprenditore stabilisce, tenuto conto delle esigenze dell'impresa e degli interessi del prestatore di lavoro. La durata di tale periodo è stabilita dalla legge, [dalle norme corporative,] dagli usi o secondo equità(2).

L'imprenditore deve preventivamente comunicare al prestatore di lavoro il periodo stabilito per il godimento delle ferie.

Non può essere computato nelle ferie il periodo di preavviso indicato nell'articolo 2118 [2751, n. 4].

Note

(1) La Corte costituzionale con sentenza 07-10 maggio 1963, n. 66 ha dichiarato l'illegittimità dell'art. 2109, secondo comma limitatamente all'inciso "dopo un anno di ininterrotto servizio" in riferimento all'art. 36 Cost., terzo comma.
(2) La Corte costituzionale, con sentenza 16-22 dicembre 1980, n. 189, ha dichiarato l'illegittimità della norma nella parte in cui non prevede il diritto a ferie retribuite anche per il lavoratore assunto in prova in caso di recesso dal contratto durante il suddetto periodo.

Ratio Legis

La funzione delle ferie del lavoratore è volta al recupero delle energie psico-fisiche e di cura delle relazioni affettive e sociali; esse maturano in proporzione alla durata della prestazione lavorativa.

Massime relative all'art. 2109 Codice Civile

Cass. civ. n. 24977/2022

Il potere attribuito all'imprenditore, a norma dell'art. 2109 c.c., di fissare il periodo di godimento delle ferie da parte dei dipendenti implica anche quello di modificarlo, pur in difetto di fatti sopravvenuti, in base soltanto a una riconsiderazione delle esigenze aziendali; tuttavia, sia la fissazione che le eventuali modifiche del periodo stabilito devono essere comunicate ai lavoratori con preavviso, e, a tal fine, la comunicazione inviata alla sola RSU non è equiparabile a quella dovuta singolarmente, completa dell'individuazione del lasso temporale nel quale ciascun lavoratore è collocato in ferie.

Cass. civ. n. 21780/2022

Le ferie annuali retribuite costituiscono un diritto fondamentale ed irrinunciabile del lavoratore - a cui è intrinsecamente collegato il diritto alla indennità finanziaria sostitutiva delle ferie non godute al termine del rapporto di lavoro - e, correlativamente, un obbligo del datore di lavoro, che, pertanto, è tenuto a provare di avere adempiuto al suo obbligo di concederle.

La perdita del diritto alle ferie, ed alla corrispondente indennità sostitutiva alla cessazione del rapporto di lavoro, può verificarsi soltanto nel caso in cui il datore di lavoro offra la prova di avere invitato il lavoratore a godere delle ferie - se necessario formalmente - e di averlo nel contempo avvisato - in modo accurato ed in tempo utile a garantire che le ferie siano ancora idonee ad apportare all'interessato il riposo ed il relax cui esse sono volte a contribuire - che, in caso di mancata fruizione, tali ferie andranno perse al termine del periodo di riferimento o di un periodo di riporto autorizzato.

Cass. civ. n. 20216/2022

Ai fini del calcolo della retribuzione feriale dei lavoratori subordinati, la cui determinazione è rimessa alla contrattazione collettiva in mancanza di apposite previsioni da parte delle fonti legali (art. 36 Cost. e 2109 c.c.), la mancata inclusione di tutte le voci della retribuzione corrisposta durante il periodo di attività non contrasta con i principi dettati dal predetto art. 36 Cost., il quale non risponde al criterio della "onnicomprensività", ma demanda alla fonte contrattuale la garanzia di un trattamento "sufficiente", peraltro sempre controllabile dal giudice riguardo alla sua congruità rispetto ai parametri costituzionali.

Cass. civ. n. 29907/2021

Il diritto soggettivo di astenersi dalla prestazione in occasione delle festività infrasettimanali è disponibile da parte del lavoratore, il quale può rinunciarvi in virtù di un accordo individuale con il datore di lavoro, o di accordi sindacali stipulati da O.O.S.S. cui il lavoratore abbia conferito esplicito mandato, dovendosi ritenere sufficiente l'espresso richiamo nel contratto di assunzione alla disciplina normativa del contratto collettivo di categoria ove le parti sociali - nel prevedere un'articolazione dell'orario di lavoro su tutto l'arco della settimana, giorni festivi compresi - senza negare il diritto al riposo nelle festività infrasettimanali, abbiano già preventivamente valutato le esigenze sottese al contemperamento del diritto individuale nel contesto delle peculiarità del settore di competenza. (Nella specie, la S.C. ha cassato la sentenza di merito che aveva condizionato l'esigibilità della prestazione lavorativa durante le festività infrasettimanali, di un dipendente addetto a servizi di sicurezza e vigilanza presso un'azienda operante nel settore del trasporto aereo, alla prova da parte del datore di lavoro di adeguate ragioni giustificative, oggettive e soggettive, riferibili al servizio pubblico essenziale da espletare). (Cassa e decide nel merito, CORTE D'APPELLO BOLOGNA, 03/08/2017).

Cass. civ. n. 8958/2021

Il diritto soggettivo di astenersi dalla prestazione in occasione delle festività infrasettimanali è disponibile da parte del lavoratore, il quale può rinunciarvi in virtù di un accordo individuale con il datore di lavoro, il cui contenuto deve essere interpretato alla luce della l. n. 260 del 1949, che, pur prevedendo l'indisponibilità del diritto a livello collettivo e dunque la nullità delle clausole della contrattazione collettiva che dovessero prevederlo come obbligatorio, non prevede un divieto assoluto di lavorare nelle predette festività. (Nella specie, la S.C. ha cassato la sentenza di merito che aveva giudicato nulla per indeterminatezza dell'oggetto la clausola di alcuni contratti individuali di lavoro secondo cui, qualora richiesto, il lavoratore poteva essere chiamato "a prestare attività lavorativa nei giorni festivi e domenicali, fermo il diritto al riposo previsto dalla legge", ritenendola interpretabile come manifestazione di una generica disponibilità alla prestazione lavorativa, che necessitava di ulteriore specifico consenso del lavoratore, con riferimento alle singole giornate festive nelle quali il datore avesse richiesto il suo impiego). (Cassa con rinvio, CORTE D'APPELLO TRENTO, 30/01/2017).

Cass. civ. n. 12538/2019

In tema di orario di lavoro, la prestazione lavorativa "eccedente", che supera di gran lunga i limiti previsti dalla legge e dalla contrattazione collettiva e si protrae per diversi anni, cagiona al lavoratore un danno da usura psico-fisica, dovendo escludersi che la mera disponibilità alla prestazione lavorativa straordinaria possa integrare un "concorso colposo", poiché, a fronte di un obbligo ex art. 2087 c.c. per il datore di lavoro di tutelare l'integrità psico-fisica e la personalità morale del lavoratore, la volontarietà di quest'ultimo, ravvisabile nella predetta disponibilità, non può connettersi causalmente all'evento, rappresentando una esposizione a rischio non idonea a determinare un concorso giuridicamente rilevante. (Rigetta, CORTE D'APPELLO TORINO, 28/10/2014).

Cass. civ. n. 2496/2018

Dal mancato godimento delle ferie deriva - una volta divenuto impossibile per l'imprenditore, anche senza sua colpa, adempiere l'obbligazione di consentire la loro fruizione - il diritto del lavoratore al pagamento dell'indennità sostitutiva, che ha natura retributiva, in quanto rappresenta la corresponsione, a norma degli artt. 1463 e 2037 c.c., del valore di prestazioni non dovute e non restituibili in forma specifica; l'assenza di un'espressa previsione contrattuale non esclude l'esistenza del diritto a detta indennità sostitutiva, che peraltro non sussiste se il datore di lavoro dimostra di avere offerto un adeguato tempo per il godimento delle ferie, di cui il lavoratore non abbia usufruito,venendo ad incorrere, così, nella "mora del creditore". Lo stesso diritto, costituendo un riflesso contrattuale del diritto alle ferie, non può essere condizionato, nella sua esistenza, alle esigenze aziendali.

Cass. civ. n. 284/2017

In caso di malattia del lavoratore insorta durante il periodo feriale, la trasmissione della relativa certificazione vale come richiesta di modificazione del titolo dell’assenza, pur in assenza di un’espressa comunicazione, scritta od orale, trattandosi di un atto che esprime in modo inequivocabile la volontà del soggetto di determinare l’effetto giuridico della conversione.

Cass. civ. n. 16901/2016

In materia di riposo settimanale, il rinvio contenuto nell'art. 9, comma 4, del d.lgs. n. 66 del 2003 alle deroghe previste dalla l. n 370 del 1934 è da intendersi limitato alle disposizioni che ne consentono la fruizione in un giorno diverso dalla domenica ed a quelle che prevedono particolari modalità di fruizione del riposo stesso, fermo restando il diritto al godimento del riposo settimanale per 24 ore consecutive, da sommarsi a quello giornaliero

Cass. civ. n. 15995/2016

In tema di riposi settimanali, il diritto di fruire di un periodo di riposo di almeno ventiquattro ore consecutive con cadenza settimanale, di regola in coincidenza con la domenica, di cui all'art. 9, comma 1, del d.lgs. n. 66 del 2003, è derogabile - quanto alla cadenza settimanale - nelle ipotesi previste dal successivo comma 2, lett. a), b), c) nonché, ad opera della sola contrattazione collettiva, lett. d), purché ai prestatori di lavoro siano accordati periodi equivalenti di riposo compensativo.

Cass. civ. n. 1757/2016

L'indennità sostitutiva delle ferie non godute ha natura mista, sia risarcitoria che retributiva, sicché mentre ai fini della verifica della prescrizione va ritenuto prevalente il carattere risarcitorio, volto a compensare il danno derivante dalla perdita del diritto al riposo, cui va assicurata la più ampia tutela applicando il termine ordinario decennale, la natura retributiva, quale corrispettivo dell'attività lavorativa resa in un periodo che avrebbe dovuto essere retribuito ma non lavorato, assume invece rilievo quando ne va valutata l'incidenza sul trattamento di fine rapporto, ai fini del calcolo degli accessori o dell'assoggettamento a contribuzione.

Cass. civ. n. 21626/2013

Il lavoro prestato nella giornata di domenica, anche nell'ipotesi di differimento del riposo settimanale in un giorno diverso, deve essere in ogni caso compensato con un "quid pluris" che, ove non previsto dalla contrattazione collettiva, può essere determinato dal giudice e può consistere anche in benefici non necessariamente economici, salva restando l'applicabilità della disciplina contrattuale collettiva più favorevole.

Cass. civ. n. 18166/2013

L'esatta determinazione del periodo feriale, presupponendo una valutazione comparativa di diverse esigenze, spetta unicamente al datore di lavoro, nell'esercizio del generale potere organizzativo e direttivo dell'impresa, dovendosi riconoscere al lavoratore la mera facoltà di indicare il periodo entro il quale intenda fruire del riposo annuale.

Cass. civ. n. 17353/2012

Dal mancato godimento delle ferie - una volta divenuto impossibile per il datore di lavoro, anche senza sua colpa, adempiere l'obbligo di consentirne la fruizione - deriva il diritto del lavoratore al pagamento dell'indennità sostitutiva, che ha natura retributiva, in quanto rappresenta la corresponsione del valore di prestazioni non dovute e non restituibili in forma specifica, in misura pari alla retribuzione. Ne deriva che le clausole del contratto collettivo (nella specie, l'art. 18, comma 9, c.c.n.l. Regioni ed enti locali, triennio 1994-1997), che pur prevedono che le ferie non sono monetizzabili, vanno interpretate - in considerazione dell'irrinunciabilità del diritto alle ferie, ed in applicazione del principio di conservazione del contratto - nel senso che, in caso di mancata fruizione delle ferie per causa non imputabile al lavoratore, non è escluso il diritto di quest'ultimo all'indennità sostitutiva.

Cass. civ. n. 11462/2012

In relazione al carattere irrinunciabile del diritto alle ferie, garantito anche dall'art. 36 Cost. e dall'art. 7 della direttiva 2003/88/CE, ove in concreto le ferie non siano effettivamente fruite, anche senza responsabilità del datore di lavoro, spetta al lavoratore l'indennità sostitutiva che ha, per un verso, carattere risarcitorio, in quanto idonea a compensare il danno costituito dalla perdita di un bene (il riposo con recupero delle energie psicofisiche, la possibilità di meglio dedicarsi a relazioni familiari e sociali, l'opportunità di svolgere attività ricreative e simili) al cui soddisfacimento l'istituto delle ferie è destinato e, per altro verso, costituisce erogazione di indubbia natura retributiva, perché non solo è connessa al sinallagma caratterizzante il rapporto di lavoro, quale rapporto a prestazioni corrispettive, ma più specificamente rappresenta il corrispettivo dell'attività lavorativa resa in periodo che, pur essendo di per sé retribuito, avrebbe invece dovuto essere non lavorato perché destinato al godimento delle ferie annuali, restando indifferente l'eventuale responsabilità del datore di lavoro per il mancato godimento delle stesse. Ne consegue l'illegittimità, per contrasto con norme imperative, delle disposizioni dei contratti collettivi che escludano il diritto del lavoratore all'equivalente economico di periodi di ferie non goduti al momento della risoluzione del rapporto, salva l'ipotesi del lavoratore che abbia disattesa la specifica offerta della fruizione del periodo di ferie da parte del datore di lavoro. (Nella specie, relativa ad impossibilità del lavoratore di fruire delle ferie in ragione del suo stato di malattia cui è seguita la risoluzione del rapporto, la S.C., nell'affermare il principi su esteso, ha cassato la sentenza impugnata, che aveva escluso il diritto del lavoratore sulla base dell'art. 19, commi 8 e 15, del c.c.n.l. scuola per il quadriennio normativo 1994-1997, che subordina il diritto all'indennità sostitutiva alla mancata fruizione per esigenze di servizio).

Cass. civ. n. 7987/2012

Ai fini del riconoscimento del diritto del lavoratore subordinato al computo nella base di calcolo della retribuzione per il periodo feriale della maggiorazione per lavoro notturno non è sufficiente, non esistendo nel nostro ordinamento il principio dell'onnicomprensività della retribuzione feriale, l'accertamento della sistematicità e non occasionalità delle prestazioni notturne, ma occorre verificare se la contrattazione collettiva faccia riferimento ad esse, mediante il rinvio alla retribuzione normale, ordinaria, di fatto o globale di fatto, stabilendone così la computabilità nel calcolo della retribuzione spettante durante le ferie.

Cass. civ. n. 17543/2011

In tema di compenso per le festività infrasettimanali, ai sensi dell'art. 5, comma terzo, ultima parte, legge 27 maggio 1949 n. 260, come modificato dalla legge 31 marzo 1954 n. 90, il compenso aggiuntivo previsto per il caso in cui le festività nazionali coincidano con la domenica, spetta al lavoratore retribuito in misura fissa che, in tali giorni, riposi; tale compenso trova giustificazione nel fatto che, ove le suddette festività non coincidessero con la domenica, il dipendente fruirebbe di un giorno in più di riposo e la misura fissa della sua retribuzione lo priverebbe, in mancanza di siffatta previsione normativa, di un corrispondente compenso.

Cass. civ. n. 12318/2011

La prestazione effettuata nel settimo giorno consecutivo di lavoro esige, per la sua particolare onerosità, uno specifico compenso, che, trovando causa nello stesso rapporto di lavoro, ha natura retributiva e non risarcitoria o di indennizzo; alla sua determinazione - in mancanza di una espressa previsione del contratto collettivo - provvede il giudice sulla base di una motivata valutazione che tenga conto dell'onerosità della prestazione lavorativa. (Nella specie, relativa a personale ospedaliero impiegato in turni di sette giorni continuativi, la S.C. ha confermato la sentenza impugnata che, alla stregua delle previsioni del c.c.n.l. 16 settembre 1995 applicabile, aveva escluso la previsione di ogni remunerazione per la gravosità dei turni, atteso che gli stessi giorni di riposo compensativo erano funzionali solo a riequilibrare, nell'arco del mese, il rapporto di lavoro rispetto alle pause e non ad attribuire riposi ulteriori, ed aveva, pertanto, riconosciuto una maggiorazione della retribuzione per l'attività svolta oltre il sesto giorno).

Cass. civ. n. 10341/2011

L'indennità sostitutiva delle ferie e dei riposi settimanali non goduti ha natura non retributiva ma risarcitoria e, pertanto, è soggetta alla prescrizione ordinaria decennale, decorrente anche in pendenza del rapporto di lavoro. *

Cass. civ. n. 30/2011

In tema di compenso per le festività infrasettimanali, il compenso aggiuntivo, previsto dall'art. 5, terzo comma (ultima parte), della legge 27 maggio 1949, n. 260, come modificato dalla legge 31 marzo 1954, n. 90 (corrispondente all'aliquota giornaliera), spetta al lavoratore retribuito in misura fissa senza distinzione nell'ambito delle categorie previste dall'art. 2095 c.c. e si riferisce alle giornate di festività nazionali cadenti di domenica non lavorate e anche alle altre festività indicate dalla legge, in ragione del fatto che l'art. 3 della legge 31 marzo 1954, n. 90 prevede la suddetta estensione unicamente in favore dei lavoratori, dipendenti da privati, retribuiti in misura non fissa. Ne consegue che, per il trattamento retributivo riguardante le festività diverse da quelle nazionali, in assenza di una disciplina legale, occorre riferirsi a quella della contrattazione collettiva, la quale - per i dipendenti dell'AMA - prevede (artt. 12 e 30, quinto comma, del CCNL Federambiente del 1° ottobre 1991) una nozione (retribuzione globale), il cui significato viene nel medesimo contratto individuato nella somma della retribuzione individuale e delle indennità aventi carattere fisso e continuativo, che non comprende i ratei delle mensilità aggiuntive, gli EDR e la c.d. indennità di anzianità pregressa.

Cass. civ. n. 17725/2010

Il diritto dei lavoratori turnisti ad essere compensati per lo svolgimento dell'attività lavorativa nella giornata di domenica (ancorché con differimento del riposo settimanale in un giorno diverso) può essere soddisfatto, oltre che con supplementi di paga o con specifiche indennità, con l'attribuzione di vantaggi e benefici economici contrattuali di diversa natura (quale la concessione di un maggior numero di riposi), atteso che, da un lato, la penosità del lavoro domenicale - a seconda delle circostanze di fatto e delle particolari esigenze del lavoratore, da valutare peraltro nell'attuale contesto socio - economico - può anche essere eliminata o comunque ridotta mediante un sistema di riposi settimanali che, permettendone il recupero in forma continua e concentrata nel tempo, risulti suscettibile di reintegrare compiutamente le energie psicofisiche del lavoratore e che, dall'altro, l'attribuzione alla contrattazione collettiva di margini di flessibilità nella regolamentazione dei regimi dell'orario e dei riposi lavorativi discende da ripetuti riconoscimenti legislativi intesi, nel rispetto delle direttive comunitarie, alla modernizzazione della materia. (Nella specie, la S.C., in applicazione dell'anzidetto principio, ha ritenuto adeguatamente compensata la prestazione domenicale atteso che i lavoratori turnisti, oltre ad usufruire di una specifica indennità, lavoravano per quattro giorni e riposavano per due, mentre gli altri lavoratori svolgevano la loro prestazione per cinque giorni di seguito prima di godere del periodo di riposo).

Cass. civ. n. 13674/2010

Il diritto dei lavoratori turnisti ad essere compensati per la particolare penosità del lavoro svolto in relazione a prestazioni lavorative comportanti turni di sette giorni consecutivi può essere soddisfatto, oltre che con supplementi di paga o con specifiche indennità, con l'attribuzione di vantaggi e benefici economici contrattuali di diversa natura. Ne consegue che con riferimento al regime, applicabile nella specie, anteriore al d.l.vo n. 66 del 2003, quando il lavoratore chieda compensi maggiori rispetto a quelli già corrisposti facendo valere specificamente la maggiore gravosità della prestazione per lo spostamento del riposo settimanale, il giudice deve accertare se secondo i meccanismi compensativi previsti dalla contrattazione collettiva sia assicurato un trattamento complessivo adeguato, ai sensi dell'art. 36 Cost., in relazione al disagio di dovere aspettare più di sei giorni l'interruzione del lavoro e con correttivi per impedire l'eccessiva frequenza e lunghezza del periodo di lavoro non interrotto. (Nella specie, la S.C. ha confermato la sentenza di merito che, con riferimento all'attività prestata dai tecnici di palcoscenico turnisti della Fondazione Teatro alla Scala aveva ritenuto che fin dal contratto integrativo aziendale del 1989, per compensare il particolare atteggiarsi della prestazione lavorativa legata alle rappresentazioni teatrali, era stato previsto un particolare trattamento tendente a riequilibrare il disagio di dovere continuare l'attività lavorativa oltre il sesto giorno, con il vantaggio di una giornata in più di riposo al mese e di due giorni liberi consecutivi, stimando il trattamento stesso in valutazione globale con gli altri benefici economici, e ritenendo che essi garantissero un trattamento complessivo adeguato in relazione all'art. 36 Cost.).

Cass. civ. n. 13953/2009

In tema di rapporto di lavoro dirigenziale, non spetta a tutti i dirigenti, in quanto tali, la piena autonomia decisionale nella determinazione del se e quando godere delle ferie, non potendo presumersi il contrario in forza del principio per cui il dirigente che, pur avendo il potere di attribuirsi il periodo di ferie senza alcuna ingerenza del datore di lavoro, non eserciti il potere medesimo e non usufruisca quindi del periodo di riposo annuale, non ha il diritto all'indennità sostitutiva delle ferie non godute, a meno che non provi la ricorrenza di necessità aziendali assolutamente eccezionali ed obiettive ostative alla suddetta fruizione.

Cass. civ. n. 6228/2009

In tema di pubblico impiego privatizzato, il principio generale di settore, secondo il quale le ferie si fruiscono nell'anno o, al più tardi, per esigenze di servizio, entro il primo semestre dell'anno successivo e, in caso di forza maggiore, anche nel successivo semestre, restandone invece esclusa la fruizione in periodo diverso, si applica anche ai dirigenti, con la conseguenza che il potere di attribuirsi le ferie senza ingerenze del datore di lavoro deve essere esercitato, dai dirigenti stessi, entro i suddetti limiti temporali. (Nella specie, la S.C., enunciando l'anzidetto principio, ha confermato la sentenza di merito che aveva riconosciuto la legittimità del provvedimento con cui una Amministrazione locale aveva forzosamente collocato in ferie un proprio dirigente, il quale pretendeva di procrastinare il momento di godimento delle ferie in epoca di molto successiva a quella dell'anno di riferimento).

Cass. civ. n. 5710/2009

In consonanza con il precetto generale inderogabile degli artt. 2109 c.c. e 36 Cost. (che impone di considerare festivo un solo giorno della settimana anche allorquando l'orario di lavoro sia distribuito su 5 giorni), le disposizioni speciali di cui alla legge 13 agosto 1969, n. 591, al D.P.R. 9 novembre 1971, n. 1372, alla legge 16 settembre 1977, n. 1188 ed al D.P.R. 23 giugno 1982, n. 374, evidenziano che ai lavoratori turnisti dev'essere attribuito un solo giorno di riposo settimanale e che da esso si devono distinguere i giorni di riposo compensativo, accordati a recupero delle maggiori prestazioni da essi settimanalmente rese per effetto, da un lato, della concentrazione in 5 giornate dell'orario settimanale (di 36 ore) e, dall'altro, del superamento del limite di durata della prestazione giornaliera (in dipendenza del-l'organizzazione del servizio in turni di lavoro di 8 ore per un totale di 40 ore settimanali), sicché i giorni suddetti non possono considerarsi festivi od assimilarsi al giorno di riposo settimanale. (La S.C., applicando ai rapporti di lavoro disciplinati dal c.c.n.l. per il comparto della sanità pubblica il principio, di portata generale, già affermato, per il personale ferroviario, ha confermato la decisione della corte territoriale che aveva riconosciuto l'indennità di effettiva presenza al lavoro anche nei giorni di riposo compensativo, sul presupposto che esse costituissero, per definizione, l'equivalente di una giornata lavorativa).

Cass. civ. n. 9816/2008

Il lavoratore non può scegliere arbitrariamente il periodo di godimento delle ferie, né imputare a ferie le assenze per malattia, trattandosi di evento che va coordinato con le esigenze di un ordinato svolgimento dell'attività dell'impresa e la cui concessione costituisce una prerogativa riconducibile al potere organizzativo del datore di lavoro (nella specie, la S.C. ha confermato la sentenza impugnata che aveva ritenuto la legittimità del licenziamento del dipendente che, autoassegnandosi delle giornate di ferie, non si era recato al lavoro per più di tre giorni in violazione dell'art. 70 n. 2 del C.C.N.L. per l'industria alimentare).

Cass. civ. n. 9521/2004

Il lavoratore turnista che presti la propria opera per sette o più giorni consecutivi, pur godendo complessivamente di riposi in ragione di uno per settimana, ha diritto, oltre che ad un compenso per la penosità del lavoro domenicale, ad un distinto compenso per l'ulteriore penosità connessa al fatto di lavorare per più di sei giorni consecutivi, compenso che non può essere determinato con riferimento alle maggiorazioni previste per il lavoro straordinario, in quanto, essendo mediamente rispettata la cadenza di un giorno di riposo per ogni settimana di lavoro, il lavoro prestato nel settimo giorno consecutivo non è lavoro prestato in più rispetto a quello contrattualmente dovuto e non può pertanto essere qualificato come lavoro straordinario ; i suddetti compensi possono cumularsi alla stregua di previsioni pattizie che fissino globalmente un trattamento economico-normativo differenziato in considerazione delle caratteristiche della prestazione, trattamento rispetto al quale il giudice del merito deve accertare la congruità o meno dei compensi previsti in contratto e l'idoneità degli stessi a compensare anche la penosità del lavoro nel settimo giorno consecutivo.

Cass. civ. n. 4772/2004

In tema di compenso per le festività infrasettimanali, l'art. 5, comma terzo, ultima parte, della legge 27 maggio 1949, n. 260, come modificato dalla legge 31 marzo 1954, n. 90, prevede che il compenso aggiuntivo (corrispondente all'aliquota giornaliera) ivi previsto per il caso in cui le festività coincidano con la domenica, spetta al lavoratore retribuito in misura fissa facendo specifico riferimento alle festività nazionali (25 aprile e 1 maggio), restando esclusa l'estensione di tale trattamento (non contemplata neppure dalla disciplina contrattuale) in relazione alle ricorrenze festive e semifestive ulteriori, istituite contestualmente, atteso che l'applicabilità del trattamento suddetto — in forza degli artt. 2, lettera e), e 3 della legge n. 90 del 1954 — ad ogni giorno festivo considerato tale dai contratti collettivi, compresa la celebrazione del Santo Patrono del luogo in cui si svolge il lavoro, è prevista limitatamente ai lavoratori dipendenti da privati datori di lavoro retribuiti non in misura fissa ma in relazione alle ore di lavoro compiute. Né è ravvisabile violazione degli artt. 3 e 36 Cost., in quanto la diversità di posizione dei lavoratori — a seconda che siano retribuiti o meno in misura fissa — giustifica il diverso trattamento.

Cass. civ. n. 4435/2004

Premesso che, di regola, al lavoratore è riconosciuto il diritto soggettivo di astenersi dal lavoro in occasione delle festività infrasettimanali celebrative di ricorrenze civili o religiose, e che la giornata del 15 agosto, celebrativa dell'Assunzione della Beata Vergine Maria, è considerata festiva ai sensi dell'art. 1 del D.P.R. 28 dicembre 1985, n. 792, allorquando la contrattazione collettiva applicabile preveda, come eccezione alla regola legale, che l'attività lavorativa possa essere svolta anche nei giorni festivi, subordinando la fruizione della festività alle esigenze aziendali, la sussistenza di tali esigenze costituisce il presupposto per l'applicazione del regime di eccezione (contrattuale) in luogo della regola (legale), sicché il datore di lavoro, che invochi l'applicazione della norma contrattuale, deve provare la sussistenza del presupposto di fatto, e cioè delle esigenze aziendali. (Nella specie, la sentenza impugnata, cassata dalla S.C., aveva ritenuto, in relazione all'attività di un pubblico esercizio, che fosse onere del lavoratore, al quale era stata contestata l'assenza ingiustificata nella giornata del 15 agosto, provare che in tale giornata non fosse prevista la sua presenza in servizio).

Cass. civ. n. 12635/2003

funzione delle ferie del lavoratore, di recupero delle energie psico-fisiche e di cura delle relazioni affettive e sociali, da cui consegue che le stesse maturino in proporzione alla durata della prestazione lavorativa, non esclude che gli accordi collettivi delle parti sociali concordino validamene, non solo un periodo di ferie più lungo di quello che risulterebbe dalla indicata proporzione, ma anche, nel caso in cui le ferie non possano essere godute in tale maggiore misura per l'intervenuta risoluzione del rapporto di lavoro, una misura dell'indennità sostitutiva ragguagliata alle ferie dovute per l'intero anno, così derogando — anche per l'indennità — al principio di proporzionalità (fattispecie relativa all'interpretazione dell'art. 4, comma quattordicesimo del Ccnl 1993/1995, in collegamento con l'art. 52 del Ccnl 1990/1992 dei dipendenti delle Ferrovie dello Stato).

Cass. civ. n. 12580/2003

L'indennità sostitutiva delle ferie non godute ha natura risarcitoria, e non retributiva, e pertanto rimane esclusa dall'obbligo della contribuzione, in quanto essa è correlata ad un inadempimento del datore di lavoro rispetto alla obbligazione contrattuale di consentire il godimento del riposo feriale, ed è finalizzata ad indennizzare il lavoratore del danno subito a seguito del mancato ristoro delle energie psicofisiche

Cass. civ. n. 12250/2003

La trattenuta da operare sulla retribuzione dei lavoratori scioperanti in giorno festivo deve essere limitata alla perdita della retribuzione stabilita per la giornata festiva lavorata e non già estendersi alla retribuzione del giorno di riposo compensativo fissato dal datore di lavoro in altro giorno non festivo della settimana.

Cass. civ. n. 10973/2002

Il corrispettivo per le ferie non godute, che ha di solito natura risarcitoria, assume natura retributiva ogni qual volta il godimento delle ferie diventi impossibile per causa non imputabile ad alcuna delle parti del rapporto di lavoro, in quanto, pur non essendo configurabile in questi casi alcuna responsabilità per inadempimento in capo al datore di lavoro, spetta al lavoratore il diritto al pagamento della quantità di lavoro prestato in eccedenza rispetto all'impegno normale derivante dal contratto.

Cass. civ. n. 10324/2002

La legittimità, a norma dell'art. 5 della legge 22 febbraio 1934 n. 370, dello spostamento del riposo settimanale in un giorno diverso dalla domenica, anche con una cadenza variabile per cui detto riposo intervenga oltre il sesto giorno lavorativo, non esclude che al lavoratore sia dovuto, in relazione all'attività lavorativa del settimo giorno consecutivo e nonostante il godimento di un riposo compensativo oltre tale giorno, un compenso, determinabile anche equitativamente, a titolo non di risarcimento ma di indennizzo per la privazione, pur legittima, della pausa destinata al recupero delle energie psicofisiche. Il diritto a tale prestazione indennitaria — che è satisfattiva di un pregiudizio diverso da quello della particolare penosità del lavoro prestato di domenica con fruizione del riposo compensativo in un giorno diverso ma nell'arco della settimana — non è escluso dalla circostanza che la disciplina collettiva preveda un particolare trattamento retributivo per la prestazione lavorativa domenicale, salvo che tale trattamento risulti destinato a compensare, oltre la penosità del lavoro festivo, anche l'usura dell'attività lavorativa prestata nel (od anche oltre il) settimo giorno consecutivo. Ne consegue che, nella determinazione dell'indennizzo in via equitativa deve farsi riferimento, più che alla retribuzione in senso proprio, quale prevista dall'art. 36, primo comma, Cost., alla specificità dell'indennizzo di un peculiare sacrificio.

Cass. civ. n. 14020/2001

Il diritto del lavoratore alle ferie annuali, tutelato dall'art. 36 Costituzione, è ricollegabile non solo ad una funzione di corrispettivo dell'attività lavorativa, ma altresì – come riconosciuto dalla Corte costituzionale nelle sentenze n. 616 del 1987 e n. 158 del 2001 – al soddisfacimento di esigenze psicologiche fondamentali del lavoratore, il quale – a prescindere dalla effettività della prestazione – mediante le ferie può partecipare più incisivamente alla vita familiare e sociale e può vedersi tutelato il proprio diritto alla salute nell'interesse dello stesso datore di lavoro; da ciò consegue che la maturazione di tale diritto non può essere impedita dalla sospensione del rapporto per malattia del lavoratore e che la stessa autonomia privata, nella determinazione della durata delle ferie ex art. 2109 cpv. c.c., trova un limite insuperabile nella necessità di parificare ai periodi di servizio quelli di assenza del lavoratore per malattia.

Cass. civ. n. 12683/2001

In materia di base di calcolo della retribuzione dovuta al lavoratore durante le ferie annuali, la mancanza di precise indicazioni nelle disposizioni dell'art. 2109 c.c. e della Convenzione OIL 24 giugno 1970, n. 157, ratificata con legge 10 aprile 1981, n. 157, non comporta l'inesistenza anche di qualsiasi vincolo desumibile dall'art. 36 Cost., che garantisce di diritto del lavoratore a ferie retribuite, e tuttavia la norma costituzionale non impegna la contrattazione collettiva a riferirsi alla nozione omnicomprensiva di retribuzione dettata dalla legge ai fini della misura del trattamento di fine rapporto e, in particolare, non comporta l'illegittimità di una norma contrattuale che faccia riferimento ad una nozione di retribuzione mensile di fatto non comprensiva di componenti retributive, come la maggiorazione per lavoro notturno, collegate a modalità contingenti della prestazione e non garantite, sotto il profilo della continuità dell'erogazione, dall'art. 2103 c.c.

Cass. civ. n. 9009/2001

La maggiore remunerazione del lavoro prestato oltre il sesto giorno consecutivo, spettante in misura proporzionalmente ridotta anche nel caso in cui la penosità risulti compensata dalla fruizione di riposi in giorni successivi, consegue all'applicazione dei principi stabiliti dall'art. 36 Cost., che tutelano, specificamente, inderogabili e indisponibili diritti dei lavoratori subordinati, derivanti dal contratto di lavoro ed aventi natura economica, pur se posti a tutela anche di interessi non strettamente patrimoniali; pertanto, ove il lavoratore richieda, in relazione alle indicate modalità della prestazione, in aggiunta a tale maggiorazione economica, anche il risarcimento del danno non patrimoniale, per la lesione del diritto alla salute o del diritto alla libera esplicazione delle attività realizzatrici della persona umana, è tenuto ad allegare e provare il pregiudizio del suo diritto fondamentale, nei suoi caratteri naturalistici e nella sua dipendenza causale dalla violazione dei diritti patrimoniali di cui all'art. 36 Cost., potendo anche assumere adeguata rilevanza, nell'ambito specifico di detta prova, il consenso dello stesso lavoratore a rendere la prestazione nel giorno di riposo.

Cass. civ. n. 8820/2001

In relazione a prestazioni lavorative comportanti turni di lavoro di sette o — entro limiti di ragionevolezza — più giorni consecutivi con riposo compensativo, ove il lavoratore chieda maggiori compensi di quelli già corrisposti in conformità al contratto collettivo, il giudice deve accertare se i compensi, in forma di indennità odi altro tipo di emolumento, previsti dal detto contratto in ragione di una siffatta distribuzione temporale abbiano anche la funzione di compensare tutti gli aspetti per cui la prestazione del turnista, ancorché non sia «ontologicamente» straordinaria e non comporti propriamente un pregiudizio indennizzabile di diritti personali, si manifesti comunque maggiormente gravosa rispetto a quella degli altri, per essere svolta di domenica, dopo sei giorni lavorati e con il conseguente superamento — pur entro il limite delle otto ore giornaliere e delle quarantotto ore settimanali di cui all'art. 1 R.D.L. 15 marzo 1923, n. 692 — dell'orario settimanale considerato normale per la generalità dei lavoratori; nell'ambito di tale verifica, l'interpretazione delle clausole contrattuali operata dal giudice di merito non è suscettibile di censura in sede di legittimità, se condotta nel rispetto dei canoni ermeneutici di cui agli artt. 1362 c.c. e se sorretta da congrua motivazione. (Fattispecie relativa al lavoro prestato dagli operai turnisti per l'edizione a stampa dei giornali quotidiani).

Cass. civ. n. 7951/2001

L'esatta determinazione del periodo feriale, presupponendo una valutazione comparativa di diverse esigenze, spetta unicamente all'imprenditore quale estrinsecazione del generale potere organizzativo e direttivo dell'impresa; al lavoratore compete soltanto la mera facoltà di indicare il periodo entro il quale intenda fruire del riposo settimanale, anche nell'ipotesi in cui un accordo sindacale o una prassi aziendale stabilisca — al solo fine di una corretta distribuzione dei periodi feriali — i tempi e le modalità di godimento delle ferie tra il personale di una determinata azienda. Peraltro, allorché il lavoratore non goda delle ferie nel periodo stabilito dal turno aziendale e non chieda di goderne in altro periodo dell'anno non può desumersi alcuna rinuncia — che, comunque, sarebbe nulla per contrasto con norme imperative (art. 36 Cost. e art. 2109 Cost.) — e quindi il datore di lavoro è tenuto a corrispondergli la relativa indennità sostitutiva delle ferie non godute.

Cass. civ. n. 2569/2001

Il diritto alla fruizione effettiva del periodo feriale — non goduto nell'anno di riferimento per fatto imputabile al datore di lavoro — trova il suo fondamento nell'art. 2058 c.c. (dettato per la responsabilità aquiliana ma che in materia risarcitoria ha valore di principio generale) aggiungendosi che in materia di diritti attinenti alla integrità psico-fisica — e più in generale agli interessi esistenziali — del lavoratore il datore di lavoro risponde per responsabilità extracontrattuale oltre che contrattuale. Ne consegue che devono considerarsi nulle le clausole, anche collettive, che a fronte della suddetta evenienza prevedano, in via esclusiva, l'indennità sostitutiva del periodo feriale. Il lavoratore che abbia subito l'evento ha, infatti, in primo luogo diritto al risarcimento in forma specifica che può tramutarsi in diritto al risarcimento del danno per equivalente (indennità sostitutiva) ove il primo risulti eccessivamente oneroso per il datore di lavoro, secondo quanto dispone il secondo comma dell'art. 2058 c.c. citato.

Cass. civ. n. 258/2001

Poiché la norma dell'art. 5 della legge n. 260 del 1949, come sostituito dall'art. 1 della legge n. 90 del 1954, sul trattamento economico che deve essere corrisposto al lavoratore in occasione delle ricorrenze festive ivi previste, si riferisce ai soli lavoratori retribuiti «non in misura fissa», ai lavoratori invece retribuiti in misura fissa (che nella festività non abbiano prestato attività lavorativa) non spettano emolumenti suppletivi rispetto alla retribuzione corrisposta riguardante il periodo nel cui ambito cade la ricorrenza festiva, e quindi per gli stessi lavoratori non si pone neanche un problema di individuazione della base di computo del trattamento per le festività infrasettimanali, in difetto di specifiche disposizioni contrattuali di miglior favore rispetto alla disciplina legale.

Cass. civ. n. 96/2001

I contratti collettivi, nel riconoscere in talune situazioni il diritto al godimento delle ferie in una misura superiore a quella giustificata dal principio della proporzionalità delle stesse alla durata della prestazione lavorativa, possono assoggettare il diritto stesso a determinate condizioni, quali in particolare la possibilità della effettiva fruizione prima della risoluzione del rapporto. (Fattispecie coinvolgente l'applicazione dell'art. 52 del C.C.N.L. peri dipendenti delle Ferrovie dello Stato, che, in caso di risoluzione del rapporto, riconosce il diritto a fruire del completo periodo di ferie annuale alla condizione che esse possano essere godute prima della data di cessazione del rapporto).

Cass. civ. n. 89/2001

L'esigenza del riposo settimanale del lavoratore, volta ad evitare a quest'ultimo il pregiudizio di un accumulo di fatica fisica e psichica, viene rispettata allorché la contrattazione collettiva, introducendo nella regolamentazione dell'orario normale massimo di lavoro e dello straordinario una disciplina convenzionale per il lavoratore più favorevole di quella legale, faccia riferimento per il calcolo dello straordinario ad una media da rispettarsi entro un arco temporale più lungo di una settimana, senza però mai superare, con riferimento alla durata di sette giorni continuativi, i limiti di orario massimo e di straordinario legislativamente indicati al fine di tutelare la salute del lavoratore; pertanto, ove la prestazione lavorativa si svolga su turni di giorni lavorativi consecutivi seguiti da giorni di riposo all'interno di un ciclo di più settimane, il superamento dell'orario normale massimo indicato dalla contrattazione collettiva, ai fini del riconoscimento dello straordinario e delle relative maggiorazioni, deve essere accertato con riferimento alla media del lavoro nelle settimane di calendario comprese entro il più lungo arco temporale, corrispondente ai diversi cicli dei turni lavorativi avvicendati. (Fattispecie relativa all'accordo aziendale 12 dicembre 1986 per i dipendenti dell'Azienda Municipalizzata dell'Acquedotto di Napoli, cui non era applicabile ratione temporis la nuova disciplina ex art. 13 legge 24 giugno 1997, n. 196).

Cass. civ. n. 15768/2000

Il principio della sospensione delle ferie per malattia insorta durante il relativo periodo, stabilito dalla Corte costituzionale con sentenza n. 616 del 1987, opera ogni qualvolta la fruizione delle ferie risulti pregiudicata in concreto dalla malattia (spettando al datore di lavoro, una volta che la malattia sia stata certificata, l'onere di provare l'inesistenza di tale pregiudizio); pertanto, deve ritenersi in contrasto con tale principio la regolamentazione collettiva (nella specie, art. 24 C.C.N.L. «industria vetro» 1990) che aggancia l'effetto sospensivo o meno della malattia alla sua durata, in quanto, pur non esistendo nel nostro ordinamento una definizione unitaria di malattia, sicuramente la durata superiore o inferiore ad un determinato numero di giorni non vale a costituire un corretto criterio per stabilire se la malattia denunciata sia o meno compatibile con il godimento delle ferie.

Cass. civ. n. 14490/2000

Il lavoratore assente per malattia e ulteriormente impossibilitato a riprendere servizio non ha l'incondizionata facoltà di sostituire alla malattia il godimento di ferie maturate quale titolo della sua assenza, allo scopo di bloccare il decorso del periodo di comporto, ma il datore di lavoro, nell'esercizio del suo diritto alla determinazione del tempo delle ferie, dovendo attenersi alla direttiva dell'armonizzazione delle esigenze aziendali e degli interessi del datore di lavoro (art. 2109 c.c.), è tenuto, in presenza di una richiesta del lavoratore di imputare a ferie un'assenza per malattia, a prendere in debita considerazione il fondamentale interesse del richiedente ad evitare la perdita del posto di lavoro a seguito della scadenza del periodo di comporto (con l'onere, in caso di mancato accoglimento della richiesta, di dimostrarne i motivi); tuttavia tale obbligo del datore di lavoro non è configurabile allorquando il lavoratore possa usufruire di altre regolamentazioni legali o contrattuali che gli consentano di evitare la risoluzione del rapporto per superamento del periodo di comporto, e in particolare del collocamento in aspettativa, ancorché non retribuita.

Cass. civ. n. 13980/2000

In relazione alla funzione di recupero delle energie fisiche e psichiche da parte del lavoratore, le ferie annuali devono essere godute entro l'anno di lavoro e non successivamente; una volta decorso l'anno di competenza, il datore di lavoro non può imporre al lavoratore di godere effettivamente delle ferie né può stabilire il periodo nel quale deve goderle ma è tenuto al risarcimento del danno.

Cass. civ. n. 13899/2000

Il riposo compensativo (sia esso conseguente all'introduzione della cosiddetta settimana corta, ovvero alla riduzione dell'orario settimanale normale) costituisce solo uno strumento per articolare su di un minor numero di giorni l'orario di lavoro settimanale o per bilanciare il superamento del limite di durata della prestazione giornaliera a causa dell'organizzazione del servizio in turni di lavoro di otto ore (nonostante la riduzione dell'orario normale settimanale); tale riposo, pertanto, essendo qualificabile come una giornata lavorativa a zero ore, non è assimilabile alla giornata di riposo settimanale e non dà quindi diritto, salvo diverse disposizioni di legge o contrattuali, ad alcuna erogazione retributiva aggiuntiva nell'ipotesi in cui esso venga a coincidere con una festività infrasettimanale, ferma restando la possibilità di un risarcimento nell'ipotesi in cui il suddetto riposo compensativo coincidente con la festività non sia stato trasferito ad altra data. (Nella specie, con riguardo ai dipendenti delle Ferrovie dello Stato, la S.C. ha escluso che, per le ipotesi di riposo compensativo coincidente con una festività, la contrattazione collettiva o la legislazione in materia prevedevano una retribuzione aggiuntiva).

Cass. civ. n. 13860/2000

Dal mancato godimento delle ferie deriva — una volta divenuto impossibile per l'imprenditore, anche senza sua colpa, adempiere l'obbligazione di consentire la loro fruizione — il diritto del lavoratore al pagamento dell'indennità sostitutiva, che ha natura retributiva, in quanto rappresenta la corresponsione, a norma degli artt. 1463 e 2037 c.c., del valore di prestazioni non dovute e non restituibili in forma specifica; l'assenza di un'espressa previsione contrattuale non esclude l'esistenza del diritto a detta indennità sostitutiva, che peraltro non sussiste se il datore di lavoro dimostra di avere offerto un adeguato tempo per il godimento delle ferie, di cui il lavoratore non abbia usufruito (venendo ad incorrere così nella «mora del creditore»). Lo stesso diritto, costituendo un riflesso contrattuale del diritto alle ferie, non può essere condizionato, nella sua esistenza, alle esigenze aziendali. (Nella specie la Suprema Corte ha annullato con rinvio la sentenza impugnata, con cui si era escluso il diritto all'indennità sostitutiva, in relazione a ferie che non erano state godute a causa della risoluzione del rapporto ad iniziativa del lavoratore in esodo anticipato in base ad una legge speciale, e alle previsioni dell'art. 52 del C.C.N.L. del 1990 per i dipendenti delle Ferrovie dello Stato, il quale non prevede l'indennità sostitutiva delle ferie e, in caso di risoluzione del rapporto, subordina il godimento del «periodo completo annuale di ferie» alla possibilità di fruirne prima della risoluzione).

Cass. civ. n. 13391/2000

Alla contrattazione collettiva (e, nel suo ambito, a quella individuale) compete di determinare i precisi criteri di computo della retribuzione spettante al lavoratore durante il periodo feriale, poiché né l'art. 36, terzo comma, Cost., né l'art. 2109 c.c. contengono previsioni al riguardo e la stessa Convenzione dell'O.I.L. 24 giugno 1970 n. 132 (ratificata e resa esecutiva con la legge n. 157 del 1981), nel garantire al lavoratore in ferie «almeno la normale o media retribuzione», non impone una nozione di retribuzione omnicomprensiva o comunque inderogabile, ma rinvia, per la determinazione della retribuzione garantita, agli ordinamenti nazionali. Tuttavia, poiché l'art. 36 Cost. pone non solo il principio della irrinunciabilità delle ferie, ma anche quello della loro effettiva fruizione, la facoltà della contrattazione collettiva di fissare la retribuzione per il periodo feriale trova un limite, sindacabile dal giudice del lavoro ai sensi dell'art. 36, primo e terzo comma, Cost., nella necessità che il livello di tale retribuzione sia adeguato ad assicurare l'indifferenza del lavoratore circa l'effettiva fruizione delle ferie stesse. (Nella specie la S.C. ha annullato, per violazione di legge e vizio di motivazione, la sentenza impugnata che, in riferimento al rapporto di lavoro degli autoferrotranvieri, aveva affermato la computabilità nella retribuzione feriale della tredicesima e della quattordicesima mensilità).

Cass. civ. n. 13258/2000

Spetta al datore di lavoro, nei limiti indicati dalla Costituzione, dalle leggi ordinarie e dalla contrattazione collettiva, definire l'anno di riferimento e le modalità di fruizione, nell'arco temporale dello stesso anno, delle ferie annuali che possono essere, in tutto o in parte, anticipate, differite o concesse contestualmente alla maturazione del relativo diritto. Non ha, infatti, valore normativo il criterio del godimento posticipato delle ferie sebbene esso possa costituire un valido canone ermeneutico nella ricostruzione della volontà delle parti diretta ad assicurare al lavoratore il rigoroso rispetto del riposo annuale.

Cass. civ. n. 12518/2000

La regola della normale coincidenza del riposo settimanale con la domenica e della sua decorrenza da una mezzanotte all'altra può subire deroghe in considerazione delle particolari esigenze di determinate attività produttive, purché non sia alterata la cadenza di un giorno di riposo dopo sei giorni lavorativi e purché il riposo settimanale venga goduto senza compromissione dello autonomo godimento di quello giornaliero: in particolare detta decorrenza, per il lavoro a squadre (art. 3, comma terzo, legge 22 febbraio 1934 n. 370) può aver inizio dall'ora di sostituzione di ciascuna squadra, a condizione che venga nel contempo mantenuta integra la durata del riposo giornaliero sia nel giorno immediatamente precedente e in quello immediatamente successivo a quello di riposo settimanale sia, nell'arco dell'intera settimana, nel cui ambito il risultato dell'autonomo godimento di entrambe le forme di riposo può ritenersi conseguito quando non solo il totale complessivo delle ore di pausa dalla prestazione coincida con la somma di quelle destinate all'una e all'altra, ma possa anche escludersi che siffatto risultato complessivo sia stato ottenuto suddividendo in più frazioni il riposo settimanale, che invece deve essere interamente goduto.

Cass. civ. n. 11419/2000

Se di norma il riposo settimanale deve essere goduto dal lavoratore dopo sei giorni di espletamento dell'attività lavorativa, tale regola — come precisato dalla giurisprudenza costituzionale — non assume un valore assolutamente cogente, e non solo la legge ma anche i contratti collettivi o individuali possono prevedere una disciplina difforme, alla condizione che sussistano situazioni che la rendono necessaria a tutela di interessi apprezzabili, ed inoltre che non venga snaturato o eluso il rapporto — nel complesso — di un giorno di riposo e sei di lavoro, e che non vengano superati i limiti di ragionevolezza, sia rispetto alle esigenze particolari della specialità del lavoro, sia rispetto agli interessi del lavoratore, con particolare riguardo alla tutela della salute. (Nella specie la Suprema Corte ha confermato la sentenza impugnata che aveva ritenuto la sussistenza dei presupposti per una deroga contrattuale alla cadenza rigorosamente settimanale del riposo in relazione al lavoro prestato da lavoratori addetti alla stampa di giornali quotidiani, settore incluso dal D.M. 8 agosto 1972 tra le attività per cui il funzionamento domenicale risponde a esigenze tecniche o a ragioni di pubblica utilità).

Cass. civ. n. 11403/2000

Non può considerarsi legittima espressione del potere attribuito al datore di lavoro di determinare il periodo di godimento delle ferie, tenendo conto delle esigenze dell'impresa e degli interessi dei lavoratori, il provvedimento con cui i dipendenti siano collocati per alcuni giorni in ferie (con anticipazione delle stesse), in conseguenza dell'interruzione dell'attività produttiva, resa necessaria dall'emanazione di un provvedimento amministrativo imputabile alla violazione, da parte dell'impresa, di norme di interesse pubblico.

Cass. civ. n. 9992/2000

Al fine di liquidare al lavoratore il danno presunto da usura per il mancato recupero delle energie psico-fisiche mediante riposo usufruito dopo sei giorni consecutivi di lavoro, il giudice di merito — mediante una valutazione incensurabile in Cassazione se eseguita in ottemperanza ai criteri ermeneutici previsti dagli artt. 1362 e seguenti c.c. e con congrua motivazione — può trarre criteri di quantificazione del danno da clausole del contratto collettivo che, se pure da considerare nulle (attesa la natura risarcitoria e non retributiva del credito), possono tuttavia costituire un'adeguata misura di valutazione ai fini della quantificazione. (Nella specie, la S.C. ha cassato con rinvio la sentenza di merito che, pur utilizzando la specifica clausola di cui all'art. 13 del Ceni per i dipendenti da istituti di vigilanza, ne aveva modificato la relativa quantificazione, prevista nella misura del 25% della retribuzione normale, aumentandola sino al 150%).

Cass. civ. n. 9764/2000

Il criterio di onnicomprensività della retribuzione adottato in tema di festività infrasettimanali dall'art. 5 della legge 27 maggio 1949 n. 260, modificato dall'art. 1 della legge 31 marzo 1954 n. 90, si riferisce al compenso stabilito per il solo fatto della ricorrenza della festività (primo comma del citato art. 5) e non riguarda il compenso spettante (ai sensi del secondo comma dello stesso art. 5) «per le ore di lavoro effettivamente prestate», il quale, essendo istituto contrattuale rimesso all'autonomia delle parti, salvo il limite dell'art. 36 della Costituzione, va determinato alla stregua della disciplina collettiva, cui perciò occorre far riferimento anche per accertare se determinati emolumenti siano computabili ai fini della maggiorazione per il lavoro festivo. (Fattispecie in materia di trattamento economico del personale del Comune di Roma addetto al servizio della nettezza urbana assunto dall'azienda municipalizzata Amnu - ora Ama - dopo la sua istituzione).

Cass. civ. n. 9760/2000

Il diritto del lavoratore subordinato al riposo settimanale ed alle ferie annuali costituisce un diritto indisponibile, non suscettibile di rinuncia da parte dello stesso lavoratore, dovendosi pertanto considerare nulla anche una rinuncia preventiva a tale diritto formulata tacitamente, mediante precostituzione di una maggiore retribuzione, che compensi, oltre all'ordinario lavoro, il danno determinato dalla ininterrotta protrazione della prestazione oltre il limite settimanale ed annuale.

Cass. civ. n. 9289/2000

L'azione di accertamento non può avere ad oggetto una mera situazione di fatto (salvi i casi espressamente previsti dalla legge), ma deve tendere all'accertamento di un diritto che possa in astratto competere all'attore, sempre che sussista un pregiudizio attuale, e non meramente potenziale, che non possa essere eliminato senza una pronunzia giudiziale; pertanto, non sussiste l'interesse a veder accertata la retribuzione spettante per le prestazioni lavorative effettuate nelle festività infrasettimanali, ove il lavoratore non abbia dedotto né provato lo svolgimento di tali prestazioni e sussista invece una semplice contrapposizione con il datore di lavoro in ordine all'interpretazione di una clausola contrattuale circa le modalità di determinazione della detta retribuzione.

Cass. civ. n. 6904/2000

Nell'ipotesi in cui il lavoro si protrae per più di sei giorni consecutivi con godimento del giorno di riposo compensativo con periodicità differente rispetto a quella ordinaria, va corrisposto, in aggiunta al compenso destinato a retribuire la qualità del lavoro prestato nella giornata della domenica, un compenso ulteriore come indennizzo per danno da usura. I suddetti compensi possono cumularsi alla stregua delle previsioni pattizie che fissino globalmente un trattamento economico-normativo differenziato in considerazione delle caratteristiche della prestazione, trattamento rispetto al quale il giudice di merito deve accertare quanta parte di esso sia da imputare alla maggiore gravosità del lavoro domenicale in sè e quanta parte sia, invece, destinata ad indennizzare in tutto o in parte l'usura psico-fisica per il mancato riposo dopo sei giorni di lavoro, tenendo conto che, ai fini del suddetto accertamento, il giudice, in mancanza in concreto di diverse e specifiche ragioni di particolari attribuzioni patrimoniali, deve ritenere che esse siano dirette a compensare la prestazione così come imposta dal turno di lavoro. (Fattispecie relativa ad un dipendente dell'azienda editrice del quotidiano Il Tempo).

Cass. civ. n. 5202/2000

Nel caso di adozione della cosiddetta settimana corta, con conseguente concentrazione dell'orario normale di lavoro in meno di sei giornate lavorative, rientra nella disponibilità dell'autonomia contrattuale, individuale o collettiva, la regolamentazione dei riposi aggiuntivi rispetto a quello settimanale, assicurato, come diritto costituzionalmente protetto, dall'art. 36, comma terzo, Cost.

Cass. civ. n. 2455/2000

In relazione al lavoro prestato oltre il sesto giorno consecutivo, va tenuto distinto il danno da «usura psico-fisica», conseguente alla mancata fruizione del riposo dopo sei giorni di lavoro, dall'ulteriore danno alla salute o danno biologico, che si concretizza, invece, in una «infermità» del lavoratore determinata dall'attività lavorativa usurante svolta in conseguenza di una continua attività lavorativa non seguita dai riposi settimanali. Nella prima ipotesi, il danno sull'an deve ritenersi presunto e il risarcimento può essere determinato spontaneamente, in via transattiva, dal datore di lavoro con il consenso del lavoratore, mediante ricorso a maggiorazioni o compensi previsti dal contratto collettivo o individuale per altre voci retributive; nella seconda ipotesi, invece, il danno alla salute o biologico, concretizzandosi in una infermità del lavoratore, non può essere ritenuto presuntivamente sussistente ma deve essere dimostrato sia nella sua sussistenza e sia nel suo nesso eziologico, a prescindere dalla presunzione di colpa insita nella responsabilità nascente dall'illecito contrattuale. (Nella specie, la sentenza di merito, confermata dalla S.C., interpretando la domanda dei lavoratori — che avevano ammesso di avere ricevuto il risarcimento del danno da usura mediante maggiorazioni retributive previste per istituti contrattuali affini — come richiesta dall'ulteriore danno alla salute, l'aveva rigettata per mancanza di prova in ordine alla sussistenza di tale danno aggiuntivo).

Cass. civ. n. 1769/2000

Anche nel caso in cui il mancato godimento del riposo settimanale dopo sei giorni consecutivi di lavoro dipenda da una legittima deroga alla regola generale e sia seguito — come in ogni caso è imposto dai principi costituzionali in materia — dal successivo godimento del riposo, con il mantenimento quindi del rapporto di sei giorni di lavoro ed uno di riposo (o di un rapporto più favorevole), deve escludersi che tale recupero elimini completamente la maggiore onerosità della prosecuzione della prestazione dell'attività lavorativa oltre il sesto giorno e quindi lo stesso, se vale a diminuire l'onere indennitario a carico del datore di lavoro per la mancata fruizione da parte del lavoratore del riposo nel settimo giorno, non elimina completamente il corrispondente diritto, che peraltro è distinto dall'eventuale ulteriore diritto al compenso per la prestazione di attività nel giorno domenicale.

Cass. civ. n. 1557/2000

Il potere attribuito all'imprenditore, a norma dell'art. 2109 c.c., di fissare il periodo di godimento delle ferie da parte dei dipendenti implica anche quello di modificarlo pur in difetto di fatti sopravvenuti, in base soltanto a una riconsiderazione delle esigenze aziendali, senza che in senso contrario rilevi la prescrizione relativa alla comunicazione preventiva ai lavoratori del periodo stabilito, dalla quale tuttavia si desume, da un lato, che anche le modifiche debbono essere comunicate con preavviso e, dall'altro, che gli eventuali rilievi del lavoratore, che ritenga l'indicazione del datore di lavoro in contrasto con i propri interessi, devono intervenire senza dilazione.

Cass. civ. n. 7432/1999

Ancorché nel nostro ordinamento la retribuzione durante il periodo feriale sia garantita da norma costituzionale (art. 36, comma 3, Cost.) oltre che da norma codicistica (art. 2109 c.c.), poiché queste fonti legali non contengono alcuna previsione sulla determinazione e sui criteri di computo della retribuzione stessa, tale determinazione deve essere rimessa alla contrattazione collettiva — e, nel rispetto di questa, al patto individuale — ad essa competendo l'individuazione, fra quelle di natura retributiva, delle singole voci che concorrono a formarla. Tale conclusione non contrasta con la Convenzione O.I.L. n. 132 del 24 giugno 1970 (ratificata e resa esecutiva con L. 10 aprile 1981, n. 157) la quale, nel garantire al lavoratore in ferie «almeno la normale o media retribuzione», non ne impone una nozione onnicomprensiva (o comunque inderogabile), ma rinvia, per la determinazione della retribuzione garantita, agli ordinamenti nazionali).

Cass. civ. n. 3233/1999

L'ipotesi di totale assenza del riposo settimanale e quella dell'illegittimo (alla stregua della sentenza della Corte costituzionale. n. 23 del 1982) frazionamento dello stesso non sono tra loro equiparabili perché nella seconda non si ha inadempimento ma inesatto adempimento della prestazione dovuta; la diversità, sul piano concettuale, delle due suddette situazioni giuridiche non può non riflettersi sulle conseguenze da essa prodotte in termini di lesione del diritto (al riposo) costituzionalmente protetto. Il frazionamento del riposo settimanale - a differenza della sua mancata fruizione senza recupero - non comporta, infatti, una prestazione aggiuntiva ed eccedente rispetto a quella già compensata con la retribuzione mensile e perciò non può determinare l'insorgenza per il lavoratore del diritto a un compenso di natura retributiva analogo a quello riconosciuto per il caso di mancata fruizione (salva l'eventuale maggiorazione per la penosità del lavoro domenicale, ove a causa del frazionamento del riposo la prestazione lavorativa debba essere eseguita in questa giornata), ma fa sorgere esclusivamente il diritto a un'attribuzione patrimoniale di natura risarcitoria - suscettibile di predeterminazione in sede negoziale - destinata non già a compensare una prestazione di lavoro eccedente rispetto agli obblighi contrattuali, ma a indennizzare il lavoratore medesimo per il titolo (autonomo e diverso) rappresentato dal godimento irregolare del riposo e dalla conseguente usura psicofisica.

Cass. civ. n. 1947/1998

Con riguardo alla malattia del lavoratore subordinato insorta durante il periodo di godimento delle ferie, il principio dell'effetto sospensivo di detto periodo, enunciato dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 616 del 1987 e chiarito dalla stessa Corte con la sentenza n. 297 del 1990, non ha valore assoluto, ma tollera eccezioni, per l'individuazione delle quali occorre aver riguardo alla specificità degli stati morbosi denunciati e alla loro incompatibilità con l'essenziale funzione di riposo, recupero delle energie psicofisiche e ricreazione, propria delle ferie. Consegue che l'avviso, comunicato dal lavoratore, del suo stato di malattia, sul presupposto della sua incompatibilità con le finalità delle ferie, determina – dalla data della conoscenza di esso da parte del datore di lavoro – la conversione dell'assenza per ferie in assenza per malattia, salvo che il datore medesimo non provi l'infondatezza di detto presupposto allegando la compatibilità della malattia con il godimento delle ferie; sicché in tal caso il giudice del merito deve valutare il sostanziale ed apprezzabile pregiudizio anche temporale che la malattia arrechi alle ferie ed al beneficio che ne deve derivare in riferimento alla natura e all'entità dello stato morboso.

Cass. civ. n. 9895/1998

Dal complesso degli orientamenti giurisprudenziali sui temi del trattamento economico dovuto per il lavoro prestato nel giorno destinato al riposo settimanale e del sindacato del giudice di merito in materia di interpretazione dei contratti collettivi di diritto comune si desume che all'autonomia collettiva va riconosciuta la possibilità di introdurre deroghe al limite di sei giorni consecutivi di lavoro, però — dovendo attribuirsi natura di diritto soggettivo di carattere costituzionale al diritto del lavoratore alla tutela della propria persona ed essendo tale diritto inviolabile, bene unitario e indivisibile dell'«uomo» che si afferma anche nelle formazioni sociali (art. 2 Cost.) — qualsiasi atto violativo di esso deve considerarsi illegittimo e quindi invalido. Anche l'autonomia collettiva, infatti, deve rispettare il suddetto diritto del lavoratore e sottostare al relativo sindacato del giudice di merito, la cui ammissibilità deriva mutatis mutandis dalle sentenze della Corte costituzionale n. 105 del 1972, n. 103 del 1989 e n. 268 del 1994. Ne consegue che, nell'ipotesi in cui il lavoro si protrae per più di sei giorni consecutivi con godimento del giorno di riposo compensativo con una periodicità differente rispetto a quella ordinaria, il giudice di merito, cui compete l'interpretazione dei contratti collettivi di diritto comune, se accerta che nel contratto considerato non è stato indicato un apposito compenso in relazione alla penosità del lavoro prestato nei giorni successivi al sesto consecutivo — il quale, qualora sia comunque rispettata la cadenza di un giorno di riposo ogni sei di lavoro, non può, ontologicamente, essere qualificato come lavoro straordinario perché non si aggiunge a quello contrattualmente previsto — può determinare l'ammontare del suddetto compenso (che va considerato come indennizzo per danno da usura e che è ulteriore ed aggiuntivo rispetto al compenso destinato a retribuire la «qualità» del lavoro prestato nella giornata della domenica) applicando, per la relativa liquidazione, un metodo analogo a quello proprio del lavoro domenicale, «con il quale è evidente l'affinità». (Fattispecie relativa agli operai chiamati impegnati di domenica per le edizioni del lunedì dei quotidiani e all'interpretazione dell'art. 4 del Ccnl).

Cass. civ. n. 2303/1998

Quando, in relazione a prestazioni lavorative comportanti turni di lavoro di sette giorni consecutivi con riposo compensativo, il lavoratore chieda compensi maggiori di quelli già corrisposti in conformità al contratto collettivo, facendo valere specificamente la maggiore gravosità della prestazione per lo spostamento del riposo settimanale, il giudice deve accertare se i compensi previsti dal contratto collettivo, in relazione ad una siffatta distribuzione temporale, abbiano anche la funzione di compensare tale tipo di gravosità, inerendo tale verifica alla fattispecie costitutiva della pretesa azionata. Il medesimo principio vale anche per il caso di richiesta di compenso da parte del lavoratore (nella specie dipendente delle ferrovie dello Stato, addetto alla manutenzione degli impianti fissi) che abbia prestato. a seguito di turni, servizio di domenica per giustificate esigenze attinenti al tipo di attività del datore di lavoro, perché anche in tal caso la maggiore penosità della prestazione pub trovare un riconoscimento nella disciplina contrattuale attraverso una specifica maggiorazione in considerazione di detto disagio.

Cass. civ. n. 1741/1998

Il principio fissato dall'art. 2109 c.c., così come inciso dalla sentenza n. 616 del 1987 della Corte costituzionale, secondo cui la malattia insorta durante le ferie ne sospende il decorso, è destinato ad operare ogni volta che le funzioni tipiche delle ferie risultino in concreto pregiudicate dall'insorgenza della infermità, indipendentemente dall'esistenza o meno di una disciplina che colleghi l'interruzione delle ferie a specifiche ipotesi di evento morboso. In assenza di ulteriori disposizioni di legge in materia, possono intervenire norme integrative di fonte negoziale, le quali però (analogamente all'eventuale normativa legale di dettaglio) non possono precludere o limitare l'esercizio del diritto, rendendolo difficoltoso nell'attuazione, così come non può ritenersi il lavoratore, che abbia regolarmente comunicato il suo stato di malattia e quindi messo in grado il datore di lavoro di conseguire gli opportuni accertamenti a riguardo, gravato dall'onere di provare che la malattia abbia realmente impedito il godimento delle ferie. (Omissis).

Cass. civ. n. 867/1998

Il danno per usura psicofisica derivante dalla prestazione dell'attività lavorativa nel giorno destinato al riposo settimanale senza recupero in un altro giorno non va quantificato necessariamente in una somma pari ad una retribuzione giornaliera, ma deve essere liquidato dal giudice di merito, eventualmente in via equitativa, secondo una motivata valutazione che tenga conto delle varie prestazioni lavorative e di eventuali strumenti ed istituti affini della disciplina collettiva, nonché di clausole collettive che — a differenza di quelle (nulle e perciò inutilizzabili) direttamente regolatrici dell'ipotesi vietata della prestazione di lavoro nel settimo giorno con definitiva perdita del riposo — si limitino a disciplinare il risarcimento riconosciuto al lavoratore nell'ipotesi anzidetta. (Nella specie la S.C. ha confermato la sentenza impugnata, che, escluso che i compensi attribuiti ai lavoratori turnisti dagli artt. 16 e 17 del Ceni del 1976 per gli autoferrotranvieri avessero carattere risarcitorio, aveva liquidato equitativamente il danno in questione nella misura del 30 per cento della paga normale).

Cass. civ. n. 12334/1997

Ove sia stata prestata attività lavorativa in giornate festive destinate al riposo, senza recupero in un'altra giornata, dalla violazione degli artt. 36 Cost. e 1218 c.c. discende automaticamente (cioè senza bisogno della relativa prova) una distinta e separata ragione di danno, relativa all'usura psicofisica dipendente dalla mancata fruizione del riposo, anche nel caso in cui sia stata corrisposta la maggiorazione per lavoro festivo. Né tale diritto — derivante da un inadempimento contrattuale e quindi soggetto alla prescrizione ordinaria decennale — è precluso dall'adesione spontaneamente prestata dai lavoratori al lavoro festivo, data l'irrinunciabilità del diritto al riposo, costituzionalmente tutelato in quanto coinvolgente l'interesse fondamentale della tutela della salute.

Cass. civ. n. 6327/1996

La mancata concessione del riposo settimanale con definitiva perdita dello stesso da parte del lavoratore è illecita, contrastando (oltre che con l'art. 2109, primo comma, c.c.) con l'art. 36, terzo comma, Cost., e, in quanto tale, non può essere validamente disciplinata né da clausole di contratto collettivo, che sarebbero nulle ai sensi dell'art. 1418 c.c., né dalla legge, che sarebbe fondatamente sospettabile d'illegittimità costituzionale. L'attribuzione patrimoniale spettante al lavoratore (che abbia prestato la sua opera nel settimo giorno consecutivo) per la definitiva perdita del riposo ha natura non retributiva ma risarcitoria di un danno (usura psicofisica) correlato a un'inadempienza del datore di lavoro; e tale danno — che è oggetto (quanto all'an) di presunzione assoluta — non corrisponde necessariamente all'importo di una retribuzione giornaliera, ma deve essere determinato in concreto (eventualmente in via equitativa) dal giudice del merito, secondo una motivata valutazione che tenga conto della gravosità delle varie prestazioni lavorative e di eventuali strumenti ed istituti affini della disciplina collettiva, nonché di sue eventuali clausole che — a differenza di quelle (nulle e perciò inutilizzabili) direttamente regolamentatrici dell'ipotesi illecita suindicata — disciplinino solo gli aspetti risarcitori della (illecita) prestazione di lavoro nel settimo giorno con definitiva perdita del riposo. (Nella specie, la S.C., enunciando il principio, suesposto, ha cassato, anche per vizi di motivazione e violazione di canoni di ermeneutica, la sentenza la quale aveva ritenuto che gli art. 16 e 17 del C.C.N.L. degli autoferrotranvieri del 1976 regolamentassero validamente l'ipotesi della prestazione lavorativa nel settimo giorno consecutivo senza recupero del riposo).

Cass. civ. n. 1793/1996

Il lavoratore con qualifica di dirigente ha il potere di decidere autonomamente, senza alcuna ingerenza da parte del datore di lavoro, circa il periodo nel quale godere delle ferie, sicché ove non abbia fruito delle stesse non ha diritto ad alcun indennizzo, in quanto se il diritto alle ferie è irrinunciabile, il mancato godimento imputabile esclusivamente al dipendente esclude l'insorgenza del diritto all'indennità sostitutiva, salvo che il lavoratore non dimostri la ricorrenza di eccezionali ed obiettive esigenze aziendali ostative a quel godimento.

Cass. civ. n. 5486/1995

La mancata funzionalità di fatto del rapporto di lavoro nel periodo intercorrente tra il licenziamento illegittimo e la reintegrazione nel posto di lavoro impedisce la maturazione del diritto all'indennità sostitutiva delle ferie e dei riposi — sebbene la ricostituzione de iure del rapporto ai sensi dell'art. 18 della legge n. 300 del 1970 comporti l'equiparazione all'effettiva utilizzazione delle energie lavorative della loro mera utilizzabilità — perché tali compensi presuppongono necessariamente l'espletamento del lavoro in un periodo in cui il lavoratore non ha l'obbligo di lavorare.

Cass. civ. n. 6446/1994

Il lavoratore turnista che presti la propria opera per sette o più giorni consecutivi, pur godendo complessivamente di riposi in ragione di uno per settimana, ha diritto, oltre che ad un compenso per la penosità del lavoro domenicale, ad un distinto compenso per l'ulteriore penosità connessa al fatto di lavorare per più di sei giorni consecutivi, compenso che non può essere determinato con riferimento alle maggiorazioni previste per il lavoro straordinario in quanto, essendo mediamente rispettata la cadenza di un giorno di riposo per ogni settimana di lavoro, il lavoro prestato nel settimo giorno consecutivo non è lavoro prestato in più rispetto a quello contrattualmente dovuto e non può pertanto essere qualificato come lavoro straordinario. I suddetti compensi possono cumularsi alla stregua di previsioni pattizie che fissino globalmente un trattamento economico-normativo differenziato in considerazione delle caratteristiche della prestazione, trattamento rispetto al quale il giudice del merito deve accertare quanta parte di esso sia da imputare alla maggiore gravosità del lavoro domenicale in sé e quanta parte sia invece destinata a indennizzare in tutto o in parte l'usura psico-fisica per il mancato riposo dopo sei giorni di lavoro; ai fini di tale accertamento il giudice deve tener conto del principio secondo il quale in mancanza in concreto di diverse e specifiche ragioni di particolari attribuzioni patrimoniali si deve ritenere che esse siano dirette a compensare la prestazione così come imposta dal turno di lavoro. (Nella specie, concernente un dipendente di azienda editrice e stampatrice di giornali, la sentenza impugnata, confermata dalla S.C., aveva ritenuto che fosse stato corrisposto un compenso adeguato per la suddetta causale in quanto le erogazioni contrattualmente previste per i lavoratori turnisti — e cioè, oltre ad una maggiorazione dell ottanta per cento per il lavoro domenicale, un'indennità pari a tre ore di retribuzione, una ulteriore indennità ad personam per coloro che già godevano di un miglior trattamento economico alla data del 25 giugno 1972 per il lavoro domenicale, una gratifica annuale pari alla retribuzione di complessivi sessanta giorni — tenevano conto dei tratti caratteristici della prestazione ed in particolare del fatto che il lavoratore è chiamato a lavorare di domenica per l'edizione del lunedì, necessariamente doveva ritardare il riposo).

Cass. civ. n. 4509/1993

Il diritto dei lavoratori turnisti ad essere compensati per la particolare penosità del lavoro domenicale (ancorché con differimento del riposo settimanale in un giorno diverso) può essere soddisfatto, alla stregua della disciplina collettiva del rapporto, non solo mediante l'erogazione di un supplemento di paga specificamente riferito a tale prestazione, ma anche con l'attribuzione di un trattamento economico-normativo differenziato (rispetto a quello dei lavoratori che usufruiscono del riposo domenicale) e complessivamente più favorevole, sempreché, secondo un'indagine riservata al giudice del merito, il relativo vantaggio (non irrazionale o manifestamente irrisorio) risulti sinallagmaticamente collegabile — anche solo per la mancanza, in concreto, di ogni diversa possibile ragione giustificativa — alle prestazioni domenicali imposte dai turni. (Nella specie, l'impugnata sentenza, confermata dalla Suprema Corte, aveva ritenuto che, alla stregua dei contratti collettivi 1 settembre 1979 e 25 febbraio 1983 per i dipendenti dell'Enel, la penosità del lavoro domenicale, fosse compensata da una frazione — pari all'1,6 per cento — dell'indennità di turno nonché da un permesso retribuito annuo di otto giorni e che tale beneficio e la predetta indennità, pari all'8 per cento del minimo di paga, fossero idonei a compensare anche la prestazione aggiuntiva dei dieci minuti supplementari di lavoro quotidiano connessi allo svolgimento dei turni).

Cass. civ. n. 5393/1992

Il lavoratore (subordinato) non può, contro l'espresso diniego dell'imprenditore, assentarsi unilateralmente, a titolo di ferie o di permessi, in un periodo, da lui scelto arbitrariamente, che non coincida con quello stabilito dall'imprenditore medesimo o concordato con le rappresentanze aziendali oppure preventivamente stabilito all'inizio dell'anno, ciò contrastando con le esigenze di un ordinato svolgimento dell'attività tecnico-produttiva dell'impresa.

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Consulenze legali
relative all'articolo 2109 Codice Civile

Seguono tutti i quesiti posti dagli utenti del sito che hanno ricevuto una risposta da parte della redazione giuridica di Brocardi.it usufruendo del servizio di consulenza legale. Si precisa che l'elenco non è completo, poiché non risultano pubblicati i pareri legali resi a tutti quei clienti che, per varie ragioni, hanno espressamente richiesto la riservatezza.

M. M. chiede
venerdì 12/01/2024
“Pongo il seguente quesito:
Un ragazzo nato nel 1989 è stato assunto con i seguenti parametri:
Settore 49.41.00 Trasporto di merci su strada
Comunicazione effettuata al Ministero del Lavoro e delle Politiche sociali
Data inizio 25/07/2023
Tipologia contrattuale: A.03.09 Apprendistato professionalizzante o contratto di mestiere
Data fine periodo formativo: 24/07/2027
CCNL: 7390 –Trasporto merci Ind. (App. Ass 1/2011)
Livello Inquadramento: 000008-F2
Tipo orario F- Tempo pieno
Qualifica professionale: 7.4.2.3.0.13 – trasportatore (camionista)
Contratto di apprendistato professionalizzante (Art. 47, comma 4 D.Lgs. 81/2015-soggetto percettore NASPI)
Ora il datore di lavoro comunica la mattina alle 5,30 che la suddetta giornata non deve andare al lavoro e che tale deve essere considerata FERIE.
È CORRETTA TALE MODALITÀ? Ovvero ogniqualvolta che si riceva tale chiamata si va a scalare il monte ferie? Fin quanto è possibile anche a tutte le ferie disponibili?
Grazie”
Consulenza legale i 22/01/2024
La normativa di riferimento è contenuta, oltre che nella Costituzione, anche nell’art. 2109 del codice civile.
Secondo tale ultimo articolo, il dipendente ha diritto ad un periodo annuale di ferie retribuito, possibilmente continuativo, nel tempo che l'imprenditore stabilisce, tenuto conto delle esigenze dell'impresa e degli interessi del prestatore di lavoro.
La durata di tale periodo è stabilita dalla legge e dalla contrattazione collettiva.
Il comma 3 dell’art. 2109 c.c. stabilisce, inoltre, che l'imprenditore debba preventivamente comunicare al prestatore di lavoro il periodo stabilito per il godimento delle ferie.

Secondo l’art. 10 del D.lgs n. 66 /2003, infine, il periodo minimo annuale legale di ferie retribuite deve essere goduto:
a) per almeno due settimane nel corso del periodo di maturazione e cioè entro il 31 dicembre;
b) per le restanti due settimane, o il diverso periodo residuo, entro i diciotto mesi successivi al termine dell’anno di maturazione.

La contrattazione collettiva può ridurre il limite delle due settimane di ferie, ad esempio di una settimana, come periodo minimo da far godere al lavoratore nell’anno di maturazione sempreché la riduzione non vanifichi la funzione delle ferie di cui all’art. 36 della Costituzione e sia giustificata da eccezionali esigenze aziendali o di servizio.

L’art. 24 del CCNL Trasporto merci, al comma 6, prevede che “l'epoca delle ferie sarà fissata dall'azienda tenuto conto, compatibilmente con le esigenze del servizio, degli eventuali desideri del lavoratore e previa consultazione, al fine di una auspicabile soluzione di comune soddisfazione, con le RSA/RSU”.
Inoltre, al comma 7, si precisa che “Le ferie devono normalmente essere godute continuativamente, salvo per i periodi superiori a 2 settimane che mediante accordo fra le parti potranno essere divisi in più periodi, tenuto conto delle rispettive esigenze”.

La durata e la collocazione temporale delle ferie di norma sono stabilite mediante la predisposizione di un piano ferie approvato dal datore di lavoro. La determinazione del periodo feriale spetta al datore di lavoro mentre il lavoratore ha solo la facoltà di indicare il periodo entro il quale intende fruirne.
Deve precisarsi però che la fissazione di ferie individuali non può e non deve essere operata dal datore di lavoro in modo arbitrario, quest’ultimo deve essere in grado di mediare tra le esigenze dell’impresa e gli interessi del lavoratore.
Dopo aver fissato e comunicato il periodo di godimento delle ferie ai propri dipendenti, il datore di lavoro può modificarlo, anche in assenza di fatti sopravvenuti, solo sulla base di una riconsiderazione delle esigenze aziendali.
In ogni caso tali modifiche devono essere comunicate con un congruo preavviso e in ogni caso prima dell’inizio del periodo di ferie.
Tali principi sono stati più volte affermati dalla Cassazione da ultimo nell’ordinanza 19 agosto 2022, n. 24977.

Alla luce di quanto sopra esposto, nel caso di specie, il modus operandi dell’azienda non risulta essere corretto.
Infatti, anche se la determinazione del periodo di ferie spetta comunque al datore di lavoro, quest’ultimo non può comunicarne la fruizione la mattina stessa.
La mancanza di preavviso impedisce al dipendente di beneficiare del ristoro che costituisce lo scopo stesso delle ferie.
Inoltre, almeno due settimane delle ferie accumulate dovranno essere fruiti continuativamente, salvo che intervenga un accordo tra le parti e comunque tenuto conto delle rispettive esigenze.
Pertanto, l’azienda non potrà erodere l’intero monte ferie assegnando giornate singole di ferie - peraltro senza preavviso - a meno che non intervenga un accordo in tal senso.


Massimo P. chiede
mercoledì 27/06/2018 - Sicilia
“Salve, la questione é molto semplice.

Un dipendente pubblico che svolge un'attività amministrativa esterna per conto della propria amministrazione, si può mandare a fare detta attività fuori sede di servizio, mettendola in conto ferie del dipendente?
Non mi pare proprio. In quanto il 53 del 165/2001, recita chiaramente la differenza tra attività "autorizzata" e conferita".

Ergo, se un dipendente si reca fuori sede servizio per svolgere un compito d'istituto previsto dalla legge, é il proprio datore di lavoro che conferisce l'incarico, e, a prescindere se é retribuito (gettoni di presenza) o no, non può svolgerlo in orario fuori servizio.
Per mille motivazioni, ma soprattutto perché se é fuori servizio, non é coperto da assicurazione INAL: o mi sbaglio?”
Consulenza legale i 15/07/2018
L’istituto delle ferie e le relative modalità di fruizione sono oggi disciplinati dall’art. 10, D.Lgs. n. 66/2003, il quale dispone:Fermo restando quanto previsto dall'articolo 2109 del Codice civile, il prestatore di lavoro ha diritto a un periodo annuale di ferie retribuite non inferiore a quattro settimane. Tale periodo, salvo quanto previsto dalla contrattazione collettiva o dalla specifica disciplina riferita alle categorie di cui all'articolo 2, comma 2, va goduto per almeno due settimane, consecutive in caso di richiesta del lavoratore, nel corso dell'anno di maturazione e, per le restanti due settimane, nei 18 mesi successivi al termine dell'anno di maturazione (comma 1). Il predetto periodo minimo di quattro settimane non può essere sostituito dalla relativa indennità per ferie non godute, salvo il caso di risoluzione del rapporto di lavoro (comma 2)”.
Pertanto, il diritto del lavoratore dipendente (pubblico o privato) alla fruizione delle ferie è imposto da norme imperative, anche di rilievo costituzionale, che sono finalizzate alla tutela della persona, della personalità e della dignità del lavoratore, che si concretizza attraverso il recupero delle energie psico–fisiche; la piena estrinsecazione della personalità del lavoratore durante il godimento del tempo libero; la tutela della salute, minacciata dallo svolgimento continuativo della prestazione lavorativa.

L’ordinamento giuridico prevede all’uopo ed a carico del datore di lavoro l’esistenza di un’obbligazione, per la quale esso è tenuto a consentire la fruizione delle ferie, nel rispetto delle prescrizioni contenute nell’art. 10, D.Lgs. n. 66/2003 sopra riportato, tenuto conto delle esigenze del lavoratore.
Il datore di lavoro, in buona sostanza, è tenuto a consentire la fruizione del periodo ferie ai lavoratori, in quanto “debitore” dell’obbligo di sicurezza e di tutela della personalità e della salute psico fisica dei propri dipendenti, giusti il disposto dell’art. 2087 c.c.

Sulla scorta di quanto detto, si rileva anche l’indirizzo della Suprema Corte di Cassazione che, in merito, ha ritenuto che il lavoro prestato nel periodo destinato alla fruizione delle ferie costituisce “lavoro prestato con violazione di norme a tutela del lavoratore”, rispetto al quale trova applicazione la tutela di cui all’art. 2126, comma 2, c.c., ai sensi del quale: Se il lavoro è stato prestato con violazione di norme poste a tutela del prestatore di lavoro, questi ha in ogni caso diritto alla retribuzione” (Cass. civ., sez. lav., 21-08-2003, n. 12311, in Not. giur. lav., 2004, 61). Pertanto, può affermarsi che l’omessa fruizione delle ferie costituisca un inadempimento degli obblighi del datore di lavoro, la cui condotta vìola le disposizioni poste a tutela della salute e della sicurezza del lavoratore.

È importante ricordare anche la potenziale responsabilità in cui incorre il datore di lavoro inadempiente a detto obbligo, la cui violazione può ingenerare negative conseguenze sulla salute del lavoratore, da cui discende il seguente principio:Va risarcito, secondo le regole della responsabilità contrattuale, il danno alla salute (nella specie, infarto cardiaco) derivante al lavoratore dall’eccessivo impegno lavorativo dovuto alla sostituzione di un collega protrattasi per lungo tempo, allo svolgimento di lavoro straordinario e festivo ed alla rinuncia al godimento delle ferie” (Cass. civ., sez. lav., 05-02-2000, n. 1307).

Nel caso di specie, risulta evidente che l’attività richiesta al dipendente pubblico sia un'attività amministrativa esterna per conto della propria amministrazione di appartenenza che può essere correttamente e previa autorizzazione (non quella prevista ex art. 53 del D.lgs. 165/2001 che disciplina le incompatibilità, il cumulo di impieghi e incarichi) svolta in luogo diverso dalla sede di assegnazione del servizio.
L’attività svolta, invece, ai sensi di quanto sopra considerato non può essere svolta durante la fruizione del periodo di ferie, essendo la prestazione di lavoro sospesa, durante tale periodo; e, pertanto, il lavoratore potrebbe rimanere scoperto dalle coperture assicurative che trovano il loro presupposto nello svolgimento della prestazione lavorativa.


Antonio E. chiede
giovedì 11/03/2021 - Campania
“CONTESTAZIONE 18 -19 FEBBRAIO 2021

Sono un insegnante di una scuola superiore.
Il giorno 18 febbraio verso le 3.00 am alzandomi per andare in bagno ho avuto forti brividi di
freddo con battito accelerato a 90 bpm che sono durati quasi un ora e mi hanno fatto pensare al Covid, dato che vivo da solo, la cosa era preoccupatissima.
Alle 7.20 mando un messaggio al vice preside (vp) dicendo testualmente:
Stanotte ho avuto brividi di freddo e battito accelerato, la temperatura sotto i 37 e nessuno altro sintomo influenzale.Se mi fai sostituire alle 9.00 in 1Ae potrei procedere da casa con la 3Bi e la 4Bi
(2+2 ore) che ruotano (cioè sono tutti a casa propria).
Stesso messaggio copiato e inviato a B.,altro collaboratore del dirigente (ds), incaricato alle sostituzioni, alle 7.24.
Poi alle 8.04 telefonavo alla segreteria a cui spiegavo il problema e mi chiedeva di inviare Email che ho intitolato così:
Lieve malessere prof xxxx yyy con il solito testo copiato e incollato.
Alle 9.03 scrivo nel gruppo della 1Ae dove dovevo essere in presenza alle 9.00 le seguenti parole:
Non verrò alle 9.00 per lieve malore ... la classe è scoperta ...se potete sollecitare una sostituzione ..ho fatto già 4 avvisi allo staff.
Alle 9.05 una collega con un vocale dice di scriverlo nel gruppo istituzionale (tutto il personale dirigente e insegnanti) e alle 9.07 con un altro vocale mi dice: comunque già lo sanno non ti preoccupare tutto a posto.Alle 9.10 la supplente mi scrive: Ti sto sostituendo ... spero niente di grave.
Alle 18.49, sempre del 18 febbraio scrivo un altro messaggio al vp: XXX buonasera, sto meglio ma non vorrei prendere freddo...potrei fare ( per domani ) le prime 4 ore da casa dato che 1Ae e 3Di ruotano (cioè sono a casa)-
Anche qui non ricevo risposta, come si può vedere e neanche la notifica di letto, cioè i baffi blue sono disattivati. Il vp però risponde a chi vuole lui.
Questo appare strano perché Whatsapp è diventato de facto e de jure una mezzo idoneo alle comunicazione assenze
Epperò scopro un metodo per sapere se è stato letto quindi posso dire con certezza che alle 18.49 era arrivato il secondo msg e il primo, quello delle 7.20, è arrivato con un IMPREVEDIBILE ritardo (device spento??) alle 17.57.
Il giorno 19 alle ore 8.00 inizio a fare lezione e alle 9.25 chiamo la scuola e mando e mail copiando e incollando il nuovo messaggio.
Alle 12.42 mi telefona il vp gridando e dicendo che la 1C è scoperta.
È da premettere che il ds con una circolare diceva che solo se in un giorno tutte le classi erano a distanza il docente poteva non venire a scuola, ma in un clima di flessibilità dovuta al Covid, lo scrivente anche se fortemente preoccupato per il malore acuto per cui continuamente telefono in farmacia per tampone e chiamo al medico,mi preoccupava anche del buon andamento per salvare 4 ore di lezione perdendone una in presenza e quindi chiedevo un permesso atipico ma non contrario alla circolare (contra jure), perché c'era l'elemento nuovo del malore. Il silenzio e la vocale che diceva “tutto a posto lo sanno” mi ha fatto pensare ad un tacito assenso, funzionale sia alla buon andamento sia alla organizzazione e quindi alle 11.00 incominciavo le mie 4 ore.
Lo stesso per il giorno 19.
Inoltre il 19 parlavo con il mio medico del malore, preoccupato che fosse covid, che mi diceva di cautelarmi dal freddo per alcuni giorni e mi chiedeva se necessitavo di un certificato a cui rispondevo: no! ho il permesso di procedere da casa.
Poi dopo 15 gg circa mi arriva la contestazione scritta, delle assenze ingiustificate a scuola del 18 e del 19 da me interpretati come permessi accordati e da recuperare.
Non solo ma diceva che le mie due email erano incomprensibili, ma per il principio della CORRETTEZZA e della COLLABORAZIONE nelle relazioni impersonali e della IMPARZIALITA' me lo doveva dire subito!! no??
Chiedo quindi quale potrebbe essere la miglior difesa.
A me sembra inosservata il principio di buona fede oggettiva sia nella forma extra contrattuale, in quanto con dolo e anche negligenza (baffi disabilitati) tentano un ingiusto danno a me,sia nella forma contrattuale che richiede di non recare danni all'altra parte fino al costo di un apprezzabile sacrificio personale ma senza ledere gli interessi dell 'ufficio.(non quelli personali credo !!)
A questo punto devo dire che c'erano delle tensioni con la direzione ma tutte per la giustizia e la salute dei studenti che ciò dava fastidi personali sfociati in tentativi di abuso di diritto e di ufficio
Inoltre il vp più volte ha usato gesti minacciosi, spinte e minacce volgari vocali (ti farei il c. tanto!) con me e altri colleghi -
È anche da tenere presente che lo scrivente l'anno scorso ha fatto solo 2 assenze,per andare in tribunale come parte lesa e che questo anno non ne ha fatto nessuno.
Chiedo soprattutto: il vp e il ds erano obbligati a rispondere subito?
A me pare di si in questo caso il silenzio, se si vuole parlare di mio illecito, sarebbe una concausa, fatta con dolo e potrebbe configurare un concorso morale, con me e la direzione responsabili, o meglio ancora un inganno in questo caso il vp e la ds sarebbero gli unici responsabili.
In definitiva: interpretavo questo illegittimo silenzio come un consenso putativo, ma anche se fosse stato solo presunto portava benefici e comunque bisognava prendere una decisione TEMPESTIVA per le 9.00 e questa mi è sembrata diligente e proporzionata.
Mi viene anche contestato di aver firmato le ore fatte sul registro di classe perché doveva essere
fatto in presenza e nell'ora stabilita associata all'attività effettuata.
Ma questa è una conseguenza naturale del consenso putativo o presunto!!
Attendo vostri consigli
Grazie”
Consulenza legale i 19/03/2021
Il permesso può essere fruito solo previo consenso del datore di lavoro.
Tale consenso deve essere esplicito e non presunto.

Nel caso di specie, il permesso non è mai stato esplicitamente accordato. Infatti, il dipendente ha ricevuto soltanto una rassicurazione dalla collega (priva di qualsiasi valenza).
Inoltre, soprattutto per la giornata del 19 febbraio la motivazione addotta dal dipendente è alquanto debole (“non vorrei prendere freddo”).

Pur tralasciando la non ufficialità della richiesta inviata tramite Whatsapp, non è sufficiente che il datore di lavoro abbia avuto conoscenza della richiesta di permesso, ma è necessario che si sia espresso in merito.

Per quanto riguarda le conseguenze, la giurisprudenza ritiene legittimo addirittura il licenziamento del lavoratore nel caso in cui lo stesso fruisca ripetutamente di permessi retribuiti non autorizzati preventivamente dall’azienda (Cass. 2803/2015).

Tuttavia, è stato anche affermato che il dipendente che si assenta in malafede dal lavoro è suscettibile di licenziamento, mentre chi chiede un permesso confidando nel fatto che, secondo gli usi, il permesso gli verrà certamente accordato, mentre invece non avviene così, compie certamente un comportamento negligente, ma non per questo è causa di licenziamento. (Tribunale di Milano, sent. del 23.12.2015).
Ciò significa che, pur dimostrando la totale buona fede del dipendente, si tratterà comunque di un’assenza ingiustificata dal posto di lavoro, la quale potrebbe comportare una sanzione disciplinare anche se non la più grave del licenziamento.

Nel caso di specie, peraltro, il dipendente ha violato sia le disposizioni organizzative contenute nella circolare citata, sia le disposizioni riguardanti la tenuta del registro elettronico.
Pur convenendo sulla bontà delle intenzioni del dipendente, è pur vero che lo stesso si è arrogato il diritto di interpretare ed adattare alla situazione le normative richiamate senza avere il permesso del datore di lavoro e, oltretutto, per quanto risulta, senza neppure averne chiesto il permesso.

Per tutto quanto sopra esposto, la situazione appare particolarmente delicata, soprattutto in quanto non è stato chiesto un certificato medico, pertanto le motivazioni alla base della richiesta di permesso risultano di difficile prova.
In caso di malessere, infatti, sarebbe stato opportuno porsi in malattia. Diversamente, si sarebbe dovuto chiedere un permesso orario che tuttavia non è stato accordato.

Uno spiraglio potrebbe derivare dalla situazione contingente legata al COVID -19. Infatti, la sintomatologia riportata è vagamente riconducibile al COVID (anche se nell’e-mail, paradossalmente, il dipendente tenta di sminuire).
Con sintomatologia riconducibile al Covid l’insegnante avrebbe avuto in ogni caso il dovere di rimanere a casa.

Pertanto, in quanto alla strategia da attuare si consiglia di sottolineare tale ultimo punto, adducendo che il dipendente è rimasto a casa proprio in osservanza delle disposizioni che vietano di lasciare il proprio domicilio con sintomatologia riconducibile al Covid.
In secondo luogo, si dovrà sottolineare la totale buona fede del dipendente (tenendo conto, tuttavia, che come sopra esposto, la buona fede non esclude, ma al limite attenua, le conseguenze dell’illecito disciplinare). Si potrà quindi sostenere che il comportamento del dipendente è stato dettato proprio dall’intento di garantire la copertura delle classi per le quali era possibile impartire lezione da casa.

Per quanto riguarda l’assenza di risposta da parte del vicepreside e del dirigente scolastico, seppure tale aspetto debba essere ricordato nell’esposizione dei fatti a sostegno della buona fede del dipendente, si sconsiglia di fare riferimento, almeno in sede di giustificazioni, alla malafede degli stessi, in quanto potrebbe inasprire la situazione.

Infine, sarebbe opportuno farsi assistere da un legale o da un rappresentante sindacale sia per la redazione delle giustificazioni scritte, sia, a maggior ragione, in caso di scelta della forma orale.