Premessa
Si interviene sul primo e sul secondo comma dell’art. 131
bis c.p. in una triplice direzione:
1) generale estensione dell’ambito di applicabilità dell’istituto ai reati per i quali è prevista la pena detentiva non superiore nel minimo a due anni (primo comma);
2) attribuzione di rilievo alla
condotta susseguente al reato ai fini della valutazione del carattere di particolare tenuità dell’offesa (primo comma);
3) esclusione del carattere di particolare tenuità dell’offesa – e, pertanto, dell’applicazione dell’istituto – in relazione ai reati riconducibili alla Convenzione del Consiglio d'Europa sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica, fatta a Istanbul l'11 maggio 2011, e ad ulteriori reati di particolare gravità (secondo comma).
1. Estensione generale dell’ambito di applicabilità dell’istituto
Il primo intervento è realizzato sostituendo nel primo comma dell’art. 131
bis c.p. le parole “
pena detentiva non superiore nel massimo a cinque anni” con le parole “
pena detentiva non superiore nel minimo a due anni”.
Per effetto dell’intervento di riforma, la
causa di non punibilità vedrà esteso il proprio ambito di applicazione, con positivi effetti deflativi sul sistema processuale e sulla sua complessiva efficienza, in linea con gli obiettivi del P.N.R.R. e con l’attesa riduzione dei tempi medi del
processo penale (del 25% in ciascuno dei tre gradi di giudizio, entro il 2026).
Oggi la causa di non punibilità riguarda i reati per i quali è prevista una pena detentiva non superiore nel massimo a cinque anni, nonché, per effetto di una recente sentenza della Corte costituzionale (n. 156/2020), i reati per i quali non è previsto un minimo edittale di pena detentiva, anche quando il massimo edittale di quella pena è superiore a cinque anni (è ad esempio il caso della ricettazione di particolare tenuità, ex art.
648, co. 2 c.p., oggetto del giudizio di legittimità costituzionale che ha dato luogo alla citata sentenza, in un caso relativo alla ricettazione di alcune confezioni di rasoi e lamette da barba).
Con la modifica normativa, la causa di non punibilità potrà applicarsi in relazione ai reati puniti con pena detentiva edittale determinata nel minimo in misura non superiore a due anni, indipendentemente dall’entità del massimo edittale della stessa pena detentiva.
L’ampliamento riguarda cioè reati puniti con pena detentiva superiore nel massimo a cinque anni e non superiore, nel minimo, a due anni, oggi esclusi dall’ambito di applicazione dell’art. 131
bis c.p.: è ad esempio il caso del furto aggravato ex art.
625 c.p., co. 1 c.p., punito con la
reclusione da due a sei anni, della ricettazione ex art. 648, co. 1 c.p., punita con la reclusione da due a otto anni, o della falsità materiale del
pubblico ufficiale in atti pubblici, ex art.
476 c.p., punita con la reclusione da uno a sei anni.
Si tratta, in questi e in altri casi, di reati oggetto di procedimenti penali con elevata incidenza statistica nei ruoli d’udienza, che non di rado hanno ad oggetto fatti di particolare tenuità e per i quali – non essendo possibile disporre nel corso delle indagini l’
archiviazione per particolare tenuità del fatto, ovvero il proscioglimento in primo grado, possono addirittura essere celebrati tre gradi di giudizio, impegnando complessivamente nove giudici (uno in primo grado, tre in appello e cinque in cassazione). Basti pensare ad esempio, nella vasta casistica giurisprudenziale in tema di delitti contro il patrimonio, a casi emblematici nei quali – all’esito del giudizio – è oggi applicabile l’attenuante del
danno patrimoniale di speciale tenuità (art.
62, n. 4 c.p.), ma, per il limite edittale di pena, non la causa di esclusione della punibilità di cui all’art. 131
bis c.p.
È, ad esempio, il caso del furto in supermercato (spesso commesso per bisogno) di generi alimentari del valore di pochi euro, aggravato per essere commesso su cose esposte alla pubblica fede, o con destrezza o con mezzo fraudolento; del furto (aggravato per l’esposizione alla pubblica fede) di un cartello stradale arrugginito e in disuso (Cass. Sez. IV, 2 febbraio 2017, n. 23093, rv. 269998); del furto (aggravato per le stesse ragioni) di una melanzana prelevata da un campo (Cass. Sez. V, 2 novembre 2017, n. 12823).
Le potenzialità dell’ampliamento dell’ambito di applicazione dell’istituto, introdotto nel 2015 in un sistema caratterizzato dal principio di obbligatorietà dell’
azione penale e, pertanto, particolarmente bisognoso di temperamenti, anche e proprio per ragioni di efficienza del sistema processuale, sono testimoniate dai dati statistici forniti dal Ministero della Giustizia, Dipartimento per gli Affari di Giustizia, attraverso il
Casellario giudiziale. Dal 2015 l’istituto è stato applicato in oltre 150.000 procedimenti penali, con una media di oltre 25.000 applicazioni per anno, tra il 2019 e il 2021. Nel 55% dei casi, tra il 2015 e il 2022, la causa di non punibilità è stata applicata dal
giudice per le indagini preliminari e ha portato a oltre 84.000 provvedimenti di archiviazione per particolare tenuità del fatto (16.885 nel 2021), evitando la celebrazione di altrettanti processi penali, magari fino al terzo grado di giudizio. Nel 38% dei casi l’applicazione è avvenuta invece da parte del tribunale (oltre 50.000 provvedimenti di proscioglimento per assoluzione e 9.000 per non doversi procedere); nel 5% dei casi da parte della corte d’appello (oltre 6.000 sentenze di proscioglimento per assoluzione e oltre 1.000 sentenze di proscioglimento per non doversi procedere). Questi dati promettono di crescere sensibilmente, per effetto della riforma, in conseguenza dell’ampliamento dell’ambito di applicazione dell’istituto e, in particolare, della possibilità di escludere la punibilità di furti aggravati ai sensi dell’art. 625, co. 1 c.p.
Basti infatti considerare come il furto semplice (art.
624 c.p.) rappresenti oggi di gran lunga il primo reato tra quelli per i quali, secondo i dati del Casellario giudiziale, trova applicazione l’art. 131
bis c.p.: oltre 31.000 provvedimenti dal 2015 ad oggi (pari al 17% delle applicazioni complessive dell’istituto, dalla sua introduzione).
Oltre a quelli processuali, non trascurabili sono d’altra parte gli effetti di deflazione sul sistema dell’
esecuzione penale, conseguenti alla riforma dell’art. 131
bis c.p. Il maggior numero di procedimenti definiti con l’applicazione della causa di esclusione della punibilità contribuirà alla riduzione del numero delle condanne a pena detentiva di breve durata (tale è, in un significativo numero di casi, la pena irrogata in presenza di fatti di particolare tenuità, ai quali l’art. 131
bis c.p. non è oggi applicabile in ragione dei limiti edittali di pena prevista per il reato per cui si procede).
Ciò promette anche un positivo impatto sulle riformate pene sostitutive delle pene detentive brevi e sull’attività di giudici e magistrati di sorveglianza in sede di esecuzione, nonché dell’Ufficio per l’Esecuzione Penale Esterna.
2. Il rilievo della condotta “susseguente al reato”
Il secondo intervento è realizzato inserendo la “
condotta susseguente al reato” tra i criteri di valutazione della particolare tenuità dell’offesa.
Anche tale modifica normativa consente di ulteriormente ampliare l’ambito di applicazione della causa di non punibilità, superando in particolare l’orientamento della giurisprudenza che, sulla base del diritto vigente, ha dovuto necessariamente affermare che “
ai fini della configurabilità della causa di esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto, non rileva il comportamento tenuto dall'agente “post delictum”, atteso che la norma di cui all'art. 131-bis c.p. correla l’esiguità del disvalore ad una valutazione congiunta delle modalità della condotta, del grado di colpevolezza da esse desumibile, dell’entità del danno o del pericolo, da apprezzare in relazione ai soli profili di cui all’art. 133, co. 1 c.p., e non invece con riguardo a quelli, indicativi di capacità a delinquere, di cui al secondo comma, includenti la condotta susseguente al reato” (Cass. Sez. V, 2 dicembre 2019, n. 660, rv. 278555-01).
In piena adesione alla legge delega, si è dato rilievo, con formula generale, alla “condotta susseguente al reato”, senza specificare tipologie di condotte riconducibili a quella formula (es., restituzioni, risarcimento del danno, condotte riparatorie, accesso a programmi di giustizia riparativa, ecc.).
Si è così inteso non limitare la discrezionalità del giudice che, nel valorizzare le condotte post delictum, potrà d’altra parte fare affidamento su una locuzione elastica – “
condotta susseguente al reato” – ben nota alla prassi giurisprudenziale, figurando tra i criteri di commisurazione della pena di cui all’art. 133, co. 2, n. 3 c.p.
Si è peraltro intenzionalmente omesso di operare un rinvio a tale disposizione codicistica perché nel contesto della disciplina sulla commisurazione della pena la condotta susseguente al reato – come ha sottolineato la
Corte di cassazione nella citata sentenza – è uno degli indici da cui desumere la capacità a delinquere del colpevole.
Nel diverso contesto della causa di esclusione della punibilità di cui all’art. 131
bis c.p., la condotta susseguente al reato non viene in considerazione come indice della capacità a delinquere dell’agente, bensì, secondo l’intenzione della legge delega, quale criterio che, nell’ambito di una valutazione complessiva, può incidere sulla valutazione del grado dell’offesa al bene giuridico tutelato, concorrendo a delineare un’offesa di particolare tenuità.
Ciò comporta, tra l’altro, che la condotta susseguente al reato è apprezzabile, rispetto all’art. 131
bis c.p., solo quando concorre alla tenuità dell’offesa e non anche quando, al contrario, aggrava l’offesa stessa. Anche per questa ragione è apparso opportuno evitare un espresso richiamo all’art. 133, co. 2, n. 3 c.p.
Va poi precisato che la condotta susseguente al reato acquista rilievo, nella disciplina dell’art. 131
bis c.p., non come autonomo (autosufficiente) indice-requisito di tenuità dell’offesa, bensì come ulteriore criterio, accanto a quelli di cui all’art. 133, co. 1 c.p. (natura, specie, mezzi, oggetto, tempo, luogo e ogni altra modalità dell’azione; gravità del danno o del pericolo; intensità del dolo o della colpa), da impiegare, nell’ambito di un complessivo giudizio, per valutare le modalità della condotta (contemporanea al reato) e l’esiguità del danno o del pericolo. In altri termini, la congiunzione “anche”, che apre l’inciso immediatamente successivo al rinvio all’art. 133, co. 1 c.p., sottolinea come la condotta susseguente al reato rilevi, al pari e in aggiunta ai criteri di cui alla citata disposizione codicistica, come criterio di valutazione dell’esiguità del danno o del pericolo e delle modalità della condotta, cioè degli indici o requisiti dai quali, congiuntamente, continua a dipendere la tenuità dell’offesa.
Ciò significa che condotte
post delictum, come quelle riparatorie o ripristinatorie, non potranno di per sé sole rendere l’offesa di particolare tenuità – dando luogo a una esiguità sopravvenuta di un’offesa in precedenza non tenue – ma potranno essere valorizzate nel complessivo giudizio di tenuità dell’offesa, che, dovendo tener conto delle modalità della condotta (contemporanea al reato), ha come necessario e fondamentale termine di relazione il momento della commissione del fatto: la condotta contemporanea al reato e il danno o il pericolo con essa posto in essere.
Potrà ad esempio essere senz’altro valorizzata una condotta riparatoria realizzata nell’immediatezza o comunque in prossimità del fatto, come nel caso – tratto dalla citata sentenza della Corte di cassazione – di chi, dopo aver cagionato delle lesioni personali dolose, si preoccupi di accompagnare la persona offesa al pronto soccorso.
Una simile condotta post delittuosa non potrà di per sé rendere tenue un’offesa che tale non è – in ragione della gravità delle lesioni (ad es. la frattura dello zigomo e della mascella, come nel caso tratto dalla citata sentenza) – ma potrà essere valorizzata per valutare/confermare la tenuità di un’offesa che già appare tale – ad es., in ragione del carattere lieve o lievissimo delle lesioni.
3. Ampliamento del catalogo dei reati per i quali non è applicabile la causa di non punibilità
Il terzo intervento di riforma limita l’ampliamento generale dell’ambito di applicazione della causa di esclusione della punibilità, conseguente alla modifica del limite edittale di pena detentiva di cui al primo comma dell’art. 131
bis c.p.
La citata disposizione della legge delega contempla due diverse direttive. Una prima direttiva, specifica, mira a evitare che l’ampliamento dell’ambito di applicazione della causa di non punibilità interessi i reati riconducibili alla Convenzione del Consiglio d'Europa sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica, fatta a Istanbul l'11 maggio 2011, ratificata ai sensi della legge 27 giugno 2013, n. 77.
Una seconda direttiva, generica, rimette poi al legislatore delegato la valutazione circa l’opportunità di “
ampliare conseguentemente, se ritenuto opportuno sulla base di evidenze empirico-criminologiche o per ragioni di coerenza sistematica, il novero delle ipotesi in cui, ai sensi del secondo comma dell'articolo 131 bis del codice penale, l'offesa non può essere ritenuta di particolare tenuità”.
Per attuare entrambe le direttive della legge delega si è ritenuto opportuno intervenire sul secondo comma dell’art. 131
bis c.p. che, riferendosi in modo generico a determinate modalità della condotta e, in modo specifico, ad alcune figure di reato, delimita l’applicazione della causa di non punibilità elencando una serie di ipotesi in cui, nella valutazione del legislatore, “
l’offesa non può essere ritenuta di particolare tenuità”.
Si tratta, pertanto, di ampliare il novero di quelle ipotesi, secondo le indicazioni della legge delega. Lo stratificarsi di interventi normativi sul secondo comma dell’art. 131
bis c.p. rende opportuno, per maggior chiarezza, introdurre in un nuovo terzo comma una elencazione ordinata delle figure di reato escluse dall’applicazione della causa di non punibilità: quelle inserite in attuazione della legge delega e quelle già precedentemente escluse.
3.1 Inapplicabilità nei procedimenti per reati riconducibili alla Convenzione di Istanbul sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica
Quanto ai reati riconducibili alla Convenzione di Istanbul, in materia di violenza contro le donne e di violenza domestica, si è ritenuto opportuno, per esigenze di rispetto dei principi di legalità e di precisione che devono informare la legislazione in materia penale (art.
25, co. 2 Cost.), non fare generico riferimento alla Convenzione, richiamata dalla legge delega – dando luogo a possibili incertezze interpretative – bensì individuare le singole figure di reato previste nell’ordinamento italiano che sono, appunto, riconducibili alla predetta convenzione internazionale.
Tale soluzione, oltre che più aderente alla legge delega e ai principi del sistema, è parsa preferibile anche rispetto alla generica indicazione di modalità della condotta di violenza contro le donne, o domestica, che avrebbe potuto comportare irragionevoli disparità di trattamento (si pensi, ad esempio, all’esclusione dell’applicabilità dell’art. 131
bis c.p. quando la vittima di una violenza sessuale è una donna e alla possibile applicazione della causa di non punibilità quando la vittima dello stesso reato è un uomo).
Va sottolineato che le figure di reato espressamente escluse, secondo l’indicazione della legge delega, sono quelle che, in assenza di un’esclusione espressa, sarebbero rientrate nell’ampliato ambito di applicazione dell’art. 131
bis c.p.
È il caso dei reati, riconducibili alla Convenzione di Istanbul, che, nella forma consumata, anche per effetto dell’applicazione di
circostanze attenuanti autonome o ad effetto speciale (cfr. art. 131
bis, co. 4 c.p.), ovvero nella forma tentata (cfr. art.
56, co. 2 c.p.), sono puniti con pena detentiva non superiore nel minimo a due anni.
I reati riconducibili alla Convenzione che, invece, sono puniti con pena detentiva superiore a due anni, nella forma consumata, circostanziata o tentata (come nel caso dell’omicidio doloso, di cui all’art.
575 c.p., o della deformazione dell’aspetto della persona mediante lesioni permanenti al viso, di cui all’art.
583 quinquies c.p., o della riduzione o mantenimento in schiavitù, di cui all’art.
600 c.p., o, ancora, della violenza sessuale di gruppo, di cui all’art.
609 octies c.p.), non sono richiamati nel terzo comma dell’art. 131
bis c.p. perché già esclusi dall’ambito di applicazione dell’istituto in ragione del limite di pena edittale.
Ciò detto, le disposizioni della Convenzione di Istanbul che vengono in rilievo, ai fini dell’individuazione delle figure di reato ad essa riconducibili, previste nell’ordinamento italiano, sono quelle di cui agli artt. 33-41, previste nel Capitolo V (“Diritto sostanziale”). Se ne ha conferma dal Baseline Evaluation Report sull’attuazione della Convenzione da parte dell’Italia, adottato nel novembre del 2019 dal GREVIO (Group of Experts on Action against Violence against Women and Domestic Violence, istituito presso il Consiglio d’Europa), che riserva le considerazioni in tema di diritto penale sostanziale (Criminal law) alla parte del rapporto relativa al Capitolo V della Convenzione. Considerato poi che l’art. 41 della Convenzione dà rilievo anche alla realizzazione in forma tentata dei reati di cui si tratta, nell’individuazione dei medesimi, ai fini dell’attuazione del criterio di delega, occorre tenere presente il limite di pena detentiva minima per le forme consumate e anche tentate (cfr., in giurisprudenza, Cass. Sez V, 9.1.2019, n. 17348, rv. 276629-01: “
l'esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto, essendo prevista dall’art. 131 bis c.p. con riferimento generico ai ‘reati’, non ulteriormente qualificati, sanzionati con pena non superiore nel massimo a cinque anni di reclusione, si applica anche ai delitti tentati, quando la loro autonoma cornice edittale, determinata alla stregua del massimo previsto per il reato consumato ridotto di un terzo ai sensi dell’art. 56 c.p., risulti ricompresa entro la soglia di legge”).
Inoltre, in considerazione di quanto previsto dall’art. 131
bis, co. 4 c.p., per l’attuazione del criterio di delega occorre tenere presente altresì eventuali circostanze autonome o ad effetto speciale che possano comportare l’applicazione di una pena detentiva non superiore nel minimo a due anni.
Tanto premesso, la Convenzione di Istanbul menziona tipologie di reato o di condotte che trovano corrispondenza in fattispecie delittuose presenti nell’ordinamento italiano e che, essendo punite con pena non superiore nel minimo a due anni, nella forma consumata o tentata, in assenza di un’espressa esclusione sarebbero riconducibili alla previsione dell’art. 131
bis c.p.
Tali figure di reato, in attuazione del criterio di delega, vengono incluse nel catalogo di cui all’art. 131
bis, co. 2 c.p. e, pertanto, espressamente escluse dall’ambito di applicazione della causa di non punibilità.
Si tratta delle seguenti fattispecie.