Il Supremo Consesso ha ritenuto il ricorso infondato. Sono stati, anzitutto, ricordati, a tal proposito, i presupposti dell’istituto di cui al suddetto art. 27, la cui sussistenza impone al Giudice del merito di pronunciarsi con sentenza di non luogo a procedere per irrilevanza del fatto: fatto di reato “tenue” sulla base dei parametri ex art. 133 del c.p.; occasionalità del comportamento del minore (in base alle relazioni dei servizi sociali e delle dichiarazioni del minore e delle altre parti); ragionevole presunzione che l’ulteriore prosecuzione del processo sia pregiudizievole per le esigenze educative del minore e quindi considerazione del processo “come una risorsa non utile per il minore a fronte di un percorso di crescita e di responsabilizzazione da questi compiuto”.
Ciò posto, la Corte ha rilevato che la necessaria valutazione di tali elementi sia rimasta, tuttavia, sottaciuta nei pochi precedenti in cui si era prospettata la possibilità di una applicazione congiunta delle due norme. Conseguentemente, data la vacanza di principi di diritto ricavabili dai suddetti arresti giurisprudenziali, nessun orientamento contrastante con l’indirizzo di legittimità apparentemente maggioritario, che giustifichi la rimessione alle sezioni unite, può essere rinvenuto. Si è evidenziato che il sistema normativo processuale minorile sia interamente improntato, data la lettera dell’art. 27 cit., alla specifica valutazione della personalità dell’imputato minorenne.
Il legislatore, infatti, ha previsto tale istituto al fine di elaborare una peculiare tutela del minore “nell’ottica di un recupero condizionato dalle specifiche caratteristiche del soggetto”, predisponendo una generalizzata applicazione per la totalità dei reati commessi dal minore ed indipendentemente dai limiti edittali.
Ciò appalesa la differenza dell’istituto in esame da quello ex art. 131 bis c.p., essendo il primo completamente svincolato dall’obiettivo di “definire quanto più possibile precocemente i procedimenti relativi a condotte la cui minima lesività non giustificherebbe alcun dispendio di risorse processuali”. Ancora, altri elementi cardine dell’istituto di matrice penalistica-sostanziale appaiono in disaccordo rispetto alla “impronta” della normativa processuale penale minorile. Tra questi, a titolo di esempio, la rilevanza del fatto che l’autore possa essere stato dichiarato delinquente abituale, professionale o per tendenza, “situazione questa che rende esplicita l’applicabilità della norma a soggetti la cui personalità abbia raggiunto un sufficiente grado di maturità”.
Alla luce delle differenti impostazioni evidenziate, la Corte ha richiamato l’insegnamento delle Sezioni Unite, ricordando che anche allorquando due istituti differenti sul piano applicativo e dei presupposti siano deputati a disciplinare la medesima fattispecie di irrilevanza penale del fatto per la sua particolare tenuità, non debba in automatico trovare spazio, “come criterio di risoluzione del concorso apparente fra due discipline riguardanti lo stesso oggetto, il principio della necessaria operatività, anche nel procedimento innanzi al giudice specializzato, del precetto introdotto dal legislatore del 2015 con riferimento al processo comune, posto che la individuazione di un nucleo comune presente in entrambe le discipline in questione, con aggiunta di uno o più elementi specializzanti in assenza dei quali la norma speciale torni ad essere integralmente sostituibile dalla norma generale, non risulterebbe essere l’operazione ermeneutica in grado di dare una risposta soddisfacente ed una chiave di lettura utile al rapporto”.
Va, infatti, riconosciuta l’operatività della disposizione ex art. 16 del c.p. con “espansione” delle norme generali agli ambiti regolati da norme di legge speciale, a patto che, queste ultime, “sulle medesima materia abbiano già stabilito altrimenti […]. Dunque, il rapporto da istituire per verificare l’operatività in concreto di tale limite, è quello che riguarda non già singoli precetti che compongono l’intero disegno del procedimento o della legge speciale, bensì quegli stessi istituti nel ruolo e nella funzione che svolgono all’interno del sistema di riferimento” (Sez. Un., n. 53683/2017).
Potendo, allora, richiamare la materia del diritto processuale minorile quale lex specialis per gli effetti dell’art. 16 c.p. di cui sopra, la materia del processo penale minorile e, per quanto in questa sede interessa, dell’irrilevanza penale del fatto, è stata integralmente regolata dalle disposizioni del d.P.R. 488/1988 in modo mirato “rispetto alle finalità del procedimento e tale perciò da precludere, a priori, l’operazione del confronto fra singole leggi o disposizioni sulla stessa materia, espressamente disciplinata dall’art. 15 c.p. con riferimento al rapporto fra più leggi penali, e la possibilità di una applicazione residuale o congiunta dell’art. 131 bis. c.p. nel processo a carico di imputati minori”.