Stando a quanto stabilito dalla Corte di Cassazione, nella sentenza n. 40827 del 7 settembre 2017, sembrerebbe di no.
Nel caso esaminato dalla Cassazione, la Corte d’appello, in parziale riforma della sentenza di primo grado, aveva condannato un imputato per il reato di “violazione di domicilio” (art. 614 c.p.), in quanto quest’ultimo si sarebbe introdotto nell’abitazione di un altro soggetto.
L’imputato, ritenendo la decisione ingiusta, aveva deciso di rivolgersi alla Corte di Cassazione, nella speranza di ottenere l’annullamento della sentenza sfavorevole.
Osservava il ricorrente, in particolare, di trovarsi in “particolari condizioni di emarginazione”, dal momento che egli era un soggetto “senza fissa dimora”, alla ricerca di un alloggio notturno.
Di conseguenza, secondo il ricorrente, la Corte d’appello avrebbe dovuto assolverlo dal reato di “violazione di domicilio”, per “irrilevanza del fatto”, ai sensi dell’art. 131 bis c.p.
Secondo il ricorrente, inoltre, la Corte d’appello avrebbe dovuto applicare la causa di giustificazione dello “stato di necessità”, rappresentato dall’esigenza dell’imputato di ripararsi dal freddo dell’inverno.
La Corte di Cassazione riteneva, in effetti, di dover dar ragione al ricorrente, accogliendo il relativo ricorso, i in quanto fondato.
Evidenziava la Cassazione, in proposito, che, nel caso di specie, avrebbe dovuto applicarsi la causa di non punibilità della “irrilevanza del fatto” (art. 131 bis c.p.), in considerazione delle “particolari condizioni dell'imputato, descritte nella sentenza impugnata, quali particolari circostanze di miseria e di emarginazione”, nonché “dei motivi a delinquere strettamente attinenti al reperimento di un alloggio notturno”.
Secondo la Cassazione, dunque, i sopra citati elementi escludevano “una spiccata capacità a delinquere” dell’imputato e giustificavano ampiamente “la valutazione di particolare tenuità del fatto (…) e l'applicazione alla fattispecie dell'art. 131 bis c.p.”.
Alla luce di tali considerazioni, la Corte di Cassazione accoglieva il ricorso proposto dall’imputato, annullando la sentenza impugnata “perchè il fatto non è punibile ai sensi di cui all'art. 131 bis c.p.”.