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Articolo 624 Codice Penale

(R.D. 19 ottobre 1930, n. 1398)

[Aggiornato al 02/10/2024]

Furto

Dispositivo dell'art. 624 Codice Penale

Chiunque s'impossessa della cosa mobile altrui(1), sottraendola(2) a chi la detiene, al fine di trarne profitto per sé o per altri(3), è punito con la reclusione da sei mesi a tre anni e con la multa da euro 154 a euro 516 [625, 626, 649].

Agli effetti della legge penale, si considera cosa mobile anche l'energia elettrica e ogni altra energia che abbia un valore economico [c.c. 814](4).

Il delitto è punibile a querela della persona offesa. Si procede, tuttavia, d'ufficio se la persona offesa è incapace, per età o per infermità, ovvero se ricorre taluna delle circostanze di cui all'articolo 625, numeri 7, salvo che il fatto sia commesso su cose esposte alla pubblica fede, e 7-bis)(5).

Note

(1) L'oggetto della condotta è individuato in un'entità materiale suscettibile di esprimere al minimo uno stato di detenzione e che deve essere caratterizzata dall'altruità, aspetto controverso in dottrina. Un orientamento più restrittivo infatti ritiene che esso si riferisca ad una situazione di diritto che si identifica con la proprietà o altro diritto reale, mentre altri propendono per identificare l'altruità con l'esistenza di una situazione possessoria di un soggetto diverso dall'agente.
(2) Controverso è anche il rapporto sottrazione-impossessamento, che secondo la prevalente giurisprudenza sarebbero due concetti sovrapponibili, in quanto designano lo stesso fenomeno, rispettivamente dal punto di vista del soggetto passivo e di quello attivo. La dottrina, invece, li distingue, considerando l'impossessamento un quid pluris rappresentato dal conseguimento di un'autonoma disponibilità della cosa in capo all'agente. Si tratta di una distinzione non di poco conto quando si tratta di verificare il momento consumativo del reato.
(3) Si tratta di un dolo specifico dal quale discende che l'agente deve agire perseguendo un'utilità patrimoniale o comunque per soddisfare un proprio bisogno. Quindi il profitto non ha rilevanza solo economica o patrimoniale, ma può quindi trattarsi di un diverso vantaggio, da parte della dottrina da considerare ingiusto come nel caso di ricettazione ex art. 648.
(4) Tale comma estende la qualificazione di cosa mobile anche alle energie aventi un valore economico, per tali intendendosi quelle capaci di cagionare un depauperamento del soggetto passivo ed un arricchimento di quello attivo. Si tratta dunque dell'energia elettrica, termica, meccanica e dei gas. In particolare, in caso di sottrazione delle energie concesse per contatore, è controverso se si debba considerare la configurabilità del furto ovvero dell'appropriazione indebita (v. 646). L'orientamento dottrinale prevalente ritiene necessario distinguere tra l'ipotesi della sottrazione compiuta prima o dopo il passaggio attraverso il contatore. Di conseguenza si avrà furto nel primo caso, appropriazione indebita nel secondo. Diversamente se si verifica un allacciamento abusivo, mediante manomissione del contatore, si configura un ulteriore delitto quello di truffa (v. 640).
(5) Tale comma è stato aggiunto ex art. 12, della l. 25 giugno 1999, n. 205 e successivamente modificato dal D. Lgs. 10 ottobre 2022 n. 150 (c.d. "Riforma Cartabia").

Ratio Legis

La dottrina non appare concorde in merito al bene-interesse qui tutelato, da alcuni individuato nel possesso o nella detenzione, da altri nello stato giuridico della proprietà e di altri diritti reali di godimento.

Brocardi

Animus furandi
Contrectatio rei
Furtum est contrectatio rei fraudolosa lucri faciendi gratia
Res furtivae

Spiegazione dell'art. 624 Codice Penale

La norma è posta a tutela della relazione di fatto con la cosa, individuata nel possesso e nella detenzione, mentre secondo altri a tutela di una situazione di diritto.

Per quanto riguarda il soggetto passivo, la giurisprudenza richiama sovente il concetto di detentore, affermando che persona offesa dal reato è solamente colui che è stato spossessato.
Perché si determini la sottrazione è infatti richiesta l'uscita del bene dalla signoria di fatto del precedente possessore,e quindi lo spossessamento vero e proprio.

Oggetto materiale del delitto è la cosa mobile altrui, la quale non deve necessariamente avere un valore economico in sé, essendo sufficiente riferirsi alla normale detenzione d'uso ed al profitto che ne ricava il colpevole.

Quest'ultimo deve infatti agire con il dolo specifico di trarre profitto, pur senza doverlo necessariamente conseguire ai fini della configurabilità del delitto.

Per profitto va inteso qualsiasi utilità o vantaggio, anche di natura non patrimoniale.

Per consolidata giurisprudenza, per aversi consumazione è necessario che la cosa esca dalla sfera di vigilanza del legittimo detentore o di chi per lui sia sottoposto alla sorveglianza del bene. Se ciò non avviene, il delitto rimane allo stadio del tentativo ai sensi dell'art. 56.

///SPIEGAZIONE ESTESA
Il furto consiste nella sottrazione illegittima e dolosa della cosa altrui a chi la detiene, al fine di trarne profitto per sé o per altri.
Il delitto di furto si colloca sistematicamente al Titolo XIII “Dei delitti contro il patrimonio” e al Capo I “Dei delitti contro il patrimonio mediante violenza alle cose o alle persone”.
Il bene giuridico tutelato dalla fattispecie è il patrimonio, inteso in senso ampio e quale complesso di beni che una persona “possiede”. La tutela del bene discende direttamente dalla garanzia costituzionale dell’art. 42 della Costituzione.
Soggetto attivo del reato può essere “chiunque”. Il delitto di furto è infatti reato comune.
Soggetto passivo del reato, invece, è colui che intrattiene una “relazione di interesse” giuridicamente rilevante con la cosa sottratta. Il soggetto passivo, pertanto, può sia coincidere col titolare del diritto stesso, sia essere il “semplice detentore della cosa che dalla sua sfera di possesso viene passata nella altrui signoria” (Cassazione Penale n. 7598/1990).
Gli elementi costitutivi del reato di furto sono: la condotta, l’oggetto materiale, l’evento, e l’elemento psicologico.
Il comma 2 della disposizione ex art. 624 c.p., considera “cosa mobile altrui” anche l’energia elettrica e ogni altra energia che abbia valore economico.
La condotta è descritta dal reato con la locuzione “sottraendola [la cosa mobile altrui] a chi la detiene”. Questa espressione, dunque, sta ad indicare quegli atti materiali che si concretizzano attraverso la sottrazione. Per “sottrarre” (lat. subtrahere “trarre di sotto”) si intende l’atto di “togliere via”, “levare”, e può definirsi quale complesso degli atti materiali per i quali la “cosa mobile” è spogliata dalla sfera di disponibilità del soggetto detentore.
Se quanto detto è esatto, non sarà configurabile come furto il mero spostamento della cosa da un luogo ad un altro, dato che tale comportamento non configura la sottrazione. Per aversi furto, infatti, si esigerà che la cosa sia trasportata in un luogo prefissato (atto di ablatio “sottrazione”).
Ogni atto precedente alla sottrazione della cosa dalla sfera di disponibilità di chi la detiene, può dar luogo a tentativo imperfetto, ove ne ricorrono i requisiti (56), per incompletezza della condotta.
Potranno dunque costituire atti di tentativo di furto:
  • porre le mani su cosa altrui;
  • spostare la cosa altrui da un luogo ad un altro;
  • le condotte antecedenti alla sottrazione materiale quali l’effrazione, la scalata, l’utilizzo di chiave falsa per introdursi in casa altrui (624 bis).

La condotta del reato di furto, tuttavia, non è completamente descritta se non con l’aggiunta di un ulteriore rilievo. Invero, poiché l’atto di sottrarre consiste nel “levare di sotto”, la sua descrizione sarà completa soltanto con l’indicazione precipua del soggetto che potrà patire la sottrazione, cosicché togliergli tale cosa costituisca, di fatto, un furto.
Il dispositivo dell’art. 624 c.p. con l’espressione “a chi la detiene” indica la detenzione come requisito del possesso, esigendo dal soggetto passivo la disponibilità della res e l’animo di detenerla (animus detinendi).
Del resto, tale impostazione è confermata dalla stessa fattispecie incriminatrice che disponendo “s’impossessa della cosa mobile altrui, sottraendola a chi la detiene”, esige, affinché si abbia reato di furto, lo spossessamento, non potendo aversi impossessamento senza di questo.
Commetterà furto, ad esempio, la commessa che sottrae un abito dal negozio in cui lavora come dipendente e l’impiegato di banca che sottrae denaro da una cassetta di sicurezza di cui abbia la chiave, poiché chi è spossessato della cosa, nella prima ipotesi, è il proprietario del capo di abbigliamento e, nella seconda, è chi abbia la chiave della cassetta; quest’ultimi, invece, saranno individuati quali soggetti passivi del reato.
Tale disposto normativo, in poche parole, sta a significare che, nel furto, la cosa si sottrae al possessore che, in qualunque modo, ne abbia la disponibilità e l’animo di detenerla.
Gli atti materiali che concretano la sottrazione devono essere “illegittimi” e “dolosi”:
Illegittimi: la sottrazione deve avvenire contro la volontà del proprietario, invito domino, poiché il consenso espresso o tacito dell’avente diritto, o comunque presunto in buona fede, elimina il furto. Inoltre, il soggetto attivo del reato, ai fini della configurazione della fattispecie, non dovrà agire iure proprio;
Dolosi: gli atti dovranno essere dolosi; il furto colposo, infatti, non esiste. La condotta di furto è dolosa quando è determinata a realizzare il fatto tipico previsto dalla legge come reato, con la consapevolezza che la cosa mobile sottratta è di altri.
L’oggetto materiale è costituito dalla cosa mobile altrui.
Per "cosa", nei delitti contro il patrimonio, si intende ogni oggetto che nel mondo esterno abbia un’utilità economica, assoggettabile al potere dell’uomo. Non rileva lo stato di aggregazione della materia, solido, liquido o gassoso che sia, è indifferente. (Es. furto di gas, furto di energia elettrica ex art. 624 comma 2).
L’uomo vivente non è definito “cosa”, ed in quanto tale non potrà essere oggetto di furto (la sottrazione dà luogo ad altri reati, es. sequestro).
Saranno invece cosa, il cadavere, le parti staccate del corpo e le parti artificiali del corpo umano.
Sono cose, e quindi, oggetto di furto, gli animali. Il reato di abigeato, infatti, è compreso nella fattispecie di furto aggravato, all’art. 625 n.8 c.p.
Per "mobile" si intende che la cosa è “movibile” in senso naturale, e quindi, “distaccabile”. Trattasi di un concetto naturalistico e non giuridico.
Per "altrui" si intende una res non appartenente al soggetto attivo del reato, e cioè che non è nella sua proprietà. La cosa dovrà essere detenuta, nel momento del fatto, da altri, che abbia la disponibilità o il godimento.
La cosa è “altrui” nel senso inteso dall’art. 624 c.p., per l’effettiva “relazione di interesse” nella quale si trova, al momento del fatto, con il suo detentore.
Quest’ultimo dovrà essere “altra” persona rispetto al soggetto attivo del reato. Per quanto detto, si comprende perché possa commettere furto anche il proprietario della cosa se la sottrae per trarne profitto a chi, nel momento del fatto, abbia la disponibilità o il godimento. Si pensi all’usufruttuario.
La cosa mobile però, quale oggetto del furto, deve essere nella proprietà e nel possesso di qualcuno, anche se persone diverse. Dovrà far parte, dunque, del patrimonio di una persona, fisica o giuridica.
Potrà aversi furto anche di cose demaniali, e cioè appartenenti allo Stato. Non si avrà furto, invece, nel caso delle res nullius, perché non inserite nel patrimonio di qualcuno, né tanto meno delle res derelictae, in quanto abbandonate e non appartenenti ad alcun patrimonio.
Non sono definite res derelictae le cose gettate da una casa per pericolo di incendio. Per quanto riguarda le cose gettate in mare a causa di naufragio e che il mare riporta a riva, invece, la disciplina si rinviene nel Codice della Navigazione.
L’evento è costituito dalla nuova relazione nella quale la cosa sottratta si trova, in dipendenza della condotta criminosa, con il reo, che se ne impossessa. Questa nuova relazione estingue la precedente nella quale la cosa si trovava con la persona del detentore, ora spossessato della res, per essere uscita dalla sua sfera di disponibilità.
Il dispositivo all’art. 624 c.p. specifica “s’impossessa”: con tale espressione descrive l’evento del reato di furto che per la sua consumazione non esige soltanto la sottrazione ma anche l’impossessamento della cosa mobile altrui da parte del soggetto attivo.
Senza alcun impossessamento non si ha consumazione del furto. E l’impossessamento, così come può essere contemporaneo allo spossessamento, potrà essere anche successivo.
A tal proposito si richiama il caso di scuola della “sottrazione della cosa mobile altrui mediante animale ammaestrato”: se l'animale spossessa il detentore della cosa non appena l’ha trasportata fuori dalla sfera di disponibilità del detentore, non può dirsi per questo che l’agente se ne sia impossessato prima che l’animale l’abbia consegnata a lui.
Anteriormente al momento di consegna si avrà furto tentato e non consumato.
Quanto detto sopra risolve l’annosa questione riguardante il momento consumativo del delitto di furto. Invero, se il furto consiste nell’impossessamento mediante l’atto di sottrazione della cosa mobile altrui, il momento consumativo si rinviene nell’impossessamento e non già nella sottrazione.
Prima di ciò, quindi, potrà aversi solo tentativo di furto.
L’elemento psicologico del delitto è descritto nel disposto dell’art. 624 c.p. stesso, attraverso le parole “al fine di trarne profitto per sé o per altri”. Questa esplicazione sta a significare che per aversi furto non basta che la condotta sia contraddistinta dal dolo, ma che occorre un dolo specifico, che costituisce l’elemento intenzionale indispensabile per questo delitto.
Il dolo specifico consiste nell’animo di procurare a sé stesso o ad altri un qualsiasi vantaggio con l’impossessamento della cosa altrui.
L’animo potrà consistere anche in soddisfazioni diverse rispetto ad illecite locupletazioni, si pensi all’intenzione di donare la cosa sottratta ad altri, rinvenendo il profitto nel piacere di donare, o nell'atto di barattare senza il consenso del proprietario una cosa che piace con un’altra, seppur di maggior valore, con l’intenzione di procurarsi un godimento.
Chi si impossessa mediante sottrazione di una cosa mobile altrui al fine di scherzo, senza alcuna intenzione di nuocere, non darà luogo al reato di furto; né tanto meno chi agisce con l’intenzione di farsi giustizia. In tal caso, infatti, si risponderà del diverso delitto di esercizio arbitrario delle proprie ragioni ex 392.
L’ultimo comma dell’art. 624 c.p.è stato aggiunto dalla legge n. 205/1999, art. 12, che ha stabilito che “Il delitto è punibile a querela della persona offesa, salvo che ricorra una o più delle circostanze di cui agli articoli 61 n.7 e 625”; in questi casi, infatti, la procedibilità sarà di ufficio.
Per le circostanze aggravanti del delitto di furto si veda all’625.
///FINE SPIEGAZIONE ESTESA

Relazione al D.Lgs. 150/2022

(Relazione illustrativa al decreto legislativo 10 ottobre 2022, n. 150: "Attuazione della legge 27 settembre 2021, n. 134, recante delega al Governo per l'efficienza del processo penale, nonché in materia di giustizia riparativa e disposizioni per la celere definizione dei procedimenti giudiziari")

1 
L’intervento mira ad ampliare le ipotesi di procedibilità a querela del furto.
Si tratta di un reato contro il patrimonio che di norma è procedibile a querela e per il quale è oggi prevista la procedibilità d’ufficio in presenza di circostanze aggravanti che sono spesso contestate, precludendo così in molti casi la possibilità di definire il procedimento penale con la remissione della querela o la dichiarazione di estinzione del reato ex art. 162 ter c.p., a seguito di condotte risarcitorie e riparatorie dell’offesa patrimoniale.


Obiettivi di maggiore efficienza del processo penale rendono opportuno consentire una definizione alternativa e anticipata – con riduzione del carico giudiziario ed effetti positivi sulla durata complessiva dei procedimenti – in tutti i non pochi casi in cui offese patrimoniali siano state riparate.
Il furto è, tradizionalmente, un reato ad alto tasso di denuncia. Lo confermano i dati ISTAT: i furti denunciati dalle forze di polizia all’autorità giudiziaria sono stati 1.346.630 nel 2016, 1.265.678 nel 2017, 1.192.592 nel 2018, 1.071.776 nel 2019 e 721.680 nel 2020 (dato, quest’ultimo, verosimilmente influenzato al ribasso dalla pandemia e dei provvedimenti che hanno limitato la circolazione delle persone, con conseguente riduzione dei reati comuni e “da strada”, come il furto).


Ciò significa che in cinque anni, tra il 2016 e il 2020, sono stati avviati 5.598.356 procedimenti penali per furto, nella gran parte dei casi procedibili d’ufficio, stante l’ampia sfera della procedibilità d’ufficio prevista oggi dal codice penale.
Un significativo effetto deflativo può pertanto prodursi riducendo i casi di procedibilità d’ufficio, attraverso una riformulazione dell’ultimo comma dell’art. 624, introdotto con la l’art. 12 l. 25 giugno 1999, n. 205.
L’intervento proposto mira, in primo luogo, a escludere la procedibilità d’ufficio in presenza dell’aggravante comune di cui all’art. 61, n. 7 c.p., relativa al danno patrimoniale di rilevante gravità.


La rilevante gravità del danno non rende inopportuno, di per sé, il regime di procedibilità a querela. Nulla impedisce infatti che anche tale danno possa essere risarcito o riparato, con conseguente remissione della querela ed estinzione del reato, anche ai sensi dell’articolo 162 ter c.p.
In secondo luogo, la modifica limita la procedibilità d’ufficio – oggi prevista in tutti i casi in cui ricorre una o più delle circostanze aggravanti speciali di cui all’art. 625 c.p., alle sole circostanze aggravanti previste dai numeri 7 (esclusa l’ipotesi dell’esposizione della res alla fede pubblica) e 7 bis.


Si è ritenuto opportuno conservare la procedibilità d’ufficio, rispetto all’ampio catalogo di circostanze previsto dall’art. 625 c.p., solo in relazione a quelle che connettono il maggior disvalore penale del fatto all’offesa al patrimonio pubblico e, comunque, a una dimensione pubblicistica dell’oggetto materiale della condotta.
Il furto resta procedibile d’ufficio, pertanto, se il fatto è commesso su cose esistenti in uffici o stabilimenti pubblici, o sottoposte a sequestro o a pignoramento o destinate a pubblico servizio o a pubblica utilità, difesa o reverenza (art. 625, n. 7 c.p.); ovvero se il fatto è commesso su componenti metalliche o altro materiale sottratto ad infrastrutture destinate all'erogazione di energia, di servizi di trasporto, di telecomunicazioni o di altri servizi pubblici e gestite da soggetti pubblici o da privati in regime di concessione pubblica (art. 625, n. 7 bis).


Una dimensione pubblicistica dell’oggetto materiale della condotta e dell’offesa patrimoniale non è necessariamente propria della mera esposizione della res alla pubblica fede – situazione per la quale si prevede la procedibilità a querela: basti pensare al caso da manuale, ricorrente nella prassi, del furto di una bicicletta lasciata nella pubblica via.

Massime relative all'art. 624 Codice Penale

Cass. pen. n. 41570/2023

Nel delitto di furto, il fine di profitto che integra il dolo specifico del reato va inteso come qualunque vantaggio anche di natura non patrimoniale perseguito dall'autore.

Cass. pen. n. 19949/2023

Integra il delitto di furto, e non quello di appropriazione indebita, la condotta di asportazione delle porte, degli infissi e di altri complementi architettonici posta in essere dal proprietario di un immobile oggetto di provvedimento definitivo di confisca, non avendo il predetto il potere di fruire e di disporre del bene in modo autonomo, al di fuori dei poteri di vigilanza e controllo dell'ente che vi esercita la signoria.

Cass. pen. n. 9963/2022

In tema di furto di energia elettrica in utenza domestica, la circostanza attenuante del danno di speciale tenuità non può, di regola, essere concessa, poiché l'illecita appropriazione avviene con flusso continuo e la consumazione del reato deve ritenersi protratta per tutto il periodo in cui la casa è abitata.

Cass. pen. n. 2236/2022

In tema di furto, sussiste la circostanza aggravante della destrezza nel caso in cui l'agente abbia posto in essere accorgimenti ulteriori rispetto a quanto essenziale al compimento dell'azione predatoria e idonei a sorprendere la vigilanza della persona offesa.

Cass. pen. n. 4144/2021

In tema di furto, il fine di profitto, che integra il dolo specifico del reato, non ha necessario riferimento alla volontà di trarre un'utilità patrimoniale dal bene sottratto, ma può anche consistere nel soddisfacimento di un bisogno psichico e rispondere, quindi, a una finalità di dispetto, ritorsione o vendetta.

Cass. pen. n. 37795/2021

In caso di furto di un portafogli contenente bancomat e documenti di identità non è applicabile la circostanza attenuante del danno di speciale tenuità, in considerazione del valore non determinabile, o comunque di non speciale tenuità, del documento, che non si esaurisce nello stampato, nonché degli ulteriori effetti pregiudizievoli subiti dalla persona offesa, quali le pratiche relative alla duplicazione dei documenti sottratti.

Cass. pen. n. 37419/2021

Integra il delitto di furto - e non quello di appropriazione indebita - la condotta del dipendente di una società di trasporti che si impossessi del carburante eccedente quello necessario per il viaggio prelevandolo dall'automezzo affidatogli, non avendo questi alcun autonomo potere dispositivo o di gestione dei beni in dotazione nell'ambito del rapporto di lavoro subordinato.

Cass. pen. n. 27086/2021

Integra il reato di furto aggravato l'impossessamento di materiale inerte estratto dall'alveo di un fiume, non sussistendo alcun rapporto di specialità con l'illecito amministrativo previsto dall'art. 97, lett. m), del r.d. 25 luglio 1904, n. 523, che vieta l'estrazione di tali materiali in assenza di speciale autorizzazione, perché diversi le modalità dell'azione e l'oggetto giuridico.

Cass. pen. n. 2147/2021

In tema di furto, è rilevante, ai fini dell'esclusione dell'elemento soggettivo del reato, potendo integrare un errore sul fatto, l'erronea interpretazione di un provvedimento cautelare del giudice amministrativo, di contenuto equivoco e relativo all'autorizzazione all'impossessamento, non potendo tale atto equipararsi ad una legge diversa da quella penale. (In applicazione di tale principio la Corte ha annullato con rinvio, per vizio di motivazione, l'ordinanza del tribunale per il riesame che aveva confermato la misura cautelare personale applicata all'indagato in relazione al reato di furto, per l'impossessamento, dopo la scadenza del titolo abilitativo, di materiale estratto da una cava, nonostante l'equivocità in ordine all'autorizzazione o meno al prelievo di tale materiale di cui a un'ordinanza del Consiglio di Stato).

Cass. pen. n. 3910/2020

In tema di reati contro il patrimonio, affinché una cosa possa considerarsi abbandonata dal proprietario è necessario che, per le condizioni o per il luogo in cui essa si trovi, risulti chiaramente la volontà dell'avente diritto di disfarsene definitivamente. (In applicazione di tale principio la Corte ha ritenuto immune da censure la decisione con cui il giudice di merito, condannando gli imputati per il reato di furto aggravato, aveva escluso che costituissero "res derelicta", ovvero cosa abbandonata con l'intenzione di disfarsene, quattro condotti ondulati in acciaio, del valore complessivo di euro cinquantamila, ordinatamente collocati su un terreno privato, non recintato e ben tenuto).

Cass. pen. n. 37818/2020

Non integra il reato di furto la condotta del proprietario di un bene dato in comodato che lo sottragga al comodatario contro la volontà di quest'ultimo, non sussistendo il necessario requisito dell'altruità della cosa.

Cass. pen. n. 40438/2019

In tema di furto, rientrano tra le cose mobili su cui può cadere la condotta appropriativa gli animali da compagnia o d'affezione, trattandosi di beni tutelati dalla legge 14 agosto 1991, n. 281 e dalla Convenzione Europea sul randagismo, stipulata a Strasburgo il 13 novembre 1987 e ratificata dalla legge 4 novembre 2010, n. 201, e suscettibili di costituire oggetto di diritti reali e di rapporti negoziali.

Cass. pen. n. 25821/2019

In tema di furto, il fine di profitto che integra il dolo specifico del reato va interpretato in senso restrittivo, e cioè come finalità di ricavare dalla cosa sottratta un'utilità apprezzabile in termini economico-patrimoniali. (In applicazione del principio, la Corte ha ritenuto insussistente l'elemento soggettivo del reato in un caso nel quale l'imputato aveva asportato due fusibili dalla scatola di derivazione elettrica di una saracinesca del magazzino dell'azienda dove lavorava e svolgeva attività di rappresentante sindacale, al fine di consentire ai colleghi di uscir fuori per porre in essere atti di protesta contro il datore di lavoro).

Cass. pen. n. 48880/2018

Integra il reato di furto nella forma consumata la condotta di colui che, subito dopo essersi impossessato di 85 litri di gasolio, sottratti con un tubo dal serbatoio di una scuola materna, venga bloccato dalla polizia giudiziaria che lo aveva osservato a distanza, in quanto il criterio distintivo tra consumazione e tentativo risiede nella circostanza che l'imputato consegua, anche se per breve tempo, la piena, autonoma ed effettiva disponibilità della refurtiva.

Cass. pen. n. 2726/2017

Risponde del delitto di furto consumato e non tentato colui che, pur non essendosi allontanato dal luogo di commissione del reato, abbia ivi occultato la refurtiva, così sottraendola al controllo della persona offesa e acquisendone il possesso. (Fattispecie in cui l'imputato, dopo aver commesso il furto di alcuni beni all'interno di un ospedale privo d'impianto di videosorveglianza, aveva nascosto la refurtiva in locali della struttura stessa, all'interno della quale era stato poi bloccato dalla polizia).

Cass. pen. n. 1710/2017

Integra il reato di furto - e non quello di appropriazione di cosa smarrita, depenalizzato dal D.Lgs. 15 gennaio 2016, n. 7 - la condotta di chi si impossessi di un telefono cellulare altrui oggetto di smarrimento, trattandosi di bene che conserva anche in tal caso chiari segni del legittimo possessore altrui e, in particolare, il codice IMEI stampato nel vano batteria dell'apparecchio.

Cass. pen. n. 26749/2016

Integra il reato di furto con destrezza nella forma consumata la condotta di colui che, subito dopo essersi impossessato di una borsa, approfittando della disattenzione della persona offesa, venga inseguito e bloccato dalla polizia giudiziaria che lo aveva osservato a distanza, in quanto il criterio distintivo tra consumazione e tentativo risiede nella circostanza che l'imputato consegua, anche se per breve tempo, la piena, autonoma ed effettiva disponibilità della refurtiva. (In motivazione la S.C. ha precisato che l'osservazione a distanza da parte degli agenti non aveva rilevanza ai fini della configurabilità del reato nella forma tentata, in quanto tale "studio" non solo non era avvenuto ad opera della persona offesa - che di nulla si era accorta, allontanandosi dal posto - ma, neppure, gli aveva impedito di far sua la borsa della vittima, prima di essere arrestato).

Cass. pen. n. 21586/2016

L'impossessamento abusivo dell'acqua convogliata nelle condutture dell'acquedotto municipale integra il reato di furto aggravato e non la violazione amministrativa prevista dall'art. 23 del D.Lgs. 11 maggio 1999, n. 152, che si riferisce alle sole acque pubbliche, ossia ai flussi non ancora convogliati in invasi o cisterne.

Cass. pen. n. 52117/2014

In caso di furto in supermercato, il monitoraggio della azione furtiva in essere, esercitato mediante appositi apparati di rilevazione automatica del movimento della merce ovvero attraverso la diretta osservazione da parte della persona offesa o dei dipendenti addetti alla sorveglianza ovvero delle forze dell'ordine presenti nel locale ed il conseguente intervento difensivo "in continenti", impediscono la consumazione del delitto di furto che resta allo stadio del tentativo, non avendo l'agente conseguito, neppure momentaneamente, l'autonoma ed effettiva disponibilità della refurtiva, non ancora uscita dalla sfera di vigilanza e di controllo del soggetto passivo.

Cass. pen. n. 32937/2014

Ai fini del riconoscimento della circostanza attenuante prevista dall'art. 625 bis c.p., è rimessa al discrezionale apprezzamento del giudice, censurabile in sede di legittimità nei limiti consentiti dall'art. 606, comma primo, lett. e), c.p.p., la valutazione relativa ad utilità e concretezza del contributo collaborativo fornito dal colpevole per individuare i complici del reato (Fattispecie in cui si è escluso in tema di furto che la mera indicazione di un nominativo costituisca una condotta sufficiente a consentire la individuazione dei correi nel senso richiesto dalla norma).

Cass. pen. n. 584/2014

Costituisce furto consumato e non tentato quello che si commette all'atto del superamento della barriera delle casse di un supermercato con merce prelevata dai banchi e sottratta al pagamento, a nulla rilevando che il fatto sia avvenuto sotto il costante controllo del personale del supermercato, incaricato della sorveglianza.

Cass. pen. n. 40354/2013

Il bene giuridico protetto dal delitto di furto è individuabile non solo nella proprietà o nei diritti reali personali o di godimento, ma anche nel possesso - inteso come relazione di fatto che non richiede la diretta fisica disponibilità - che si configura anche in assenza di un titolo giuridico e persino quando esso si costituisce in modo clandestino o illecito, con la conseguenza che anche al titolare di tale posizione di fatto spetta la qualifica di persona offesa e, di conseguenza, la legittimazione a proporre querela. (In applicazione del principio, la Corte ha riconosciuto al responsabile di un supermercato la legittimazione a proporre querela).

Cass. pen. n. 13451/2011

Integra il reato di furto la condotta del dipendente che usi indebitamente l'utenza telefonica della società, presso cui presti la propria attività, per chiamare utenze mobili altrui al fine di consentirne la ricarica.

Cass. pen. n. 38534/2010

Integra un tentativo di furto la condotta di prelevamento della merce dai banchi di vendita di un grande magazzino a sistema "self service" e di allontanamento, con la merce occultata, senza pagare, allorché l'avente diritto o persona da lui incaricata sorvegli l'azione furtiva, sì da poterla interrompere in ogni momento, perché la cosa non è ancora uscita dalla sfera di vigilanza e di controllo diretto dell'offeso.

Cass. pen. n. 31660/2010

È configurabile il delitto di furto in caso di appropriazione di molluschi messi a dimora da un privato sul fondale di un'area lagunare, appartenente al demanio dello Stato e già oggetto di concessione d'uso per acquacoltura scaduta, in quanto la scadenza del termine determina solo la reviviscenza dell'uso civico di pesca dei cittadini, con esclusione di qualsiasi condotta appropriativa dei beni altrui. (In motivazione la Corte ha precisato che in tal caso, ad esempio, è lecito per il cittadino pescare con lenza ed amo).

Cass. pen. n. 27631/2010

Si ha furto consumato, e non tentato, se con la merce prelevata dai banchi di un supermercato e sottratta al pagamento si supera la barriera delle casse, a nulla rilevando che il fatto sia avvenuto sotto il costante controllo del personale del supermercato incaricato della sorveglianza.

Cass. pen. n. 12478/2010

L'esercizio di violenza sulla cosa, che integra la circostanza aggravante speciale del delitto di furto e connota specificamente le modalità dell'azione sottrattiva, non è indice che il delitto sia stato consumato, dal momento che afferisce alla condotta di sottrazione e resta estranea all'evento dell'impossessamento.

Cass. pen. n. 1537/2010

Il furto di energia elettrica rientra tra i delitti a consumazione prolungata (o a condotta frazionata), perché l'evento continua a prodursi nel tempo, sebbene con soluzione di continuità, sicché le plurime captazioni di energia che si susseguono nel tempo costituiscono singoli atti di un'unica azione furtiva, e spostano in avanti la cessazione della consumazione fino all'ultimo prelievo. (In applicazione del principio, la Corte ha ritenuto che il delitto è flagrante se all'atto dell'intervento della P.G. la captazione di energia elettrica è ancora in atto).

Cass. pen. n. 49670/2009

Integra il delitto di tentato furto la condotta dei due soggetti che, precludendo la vista dei movimenti delle proprie mani attraverso la particolare giubba indossata, si siano avvicinati alla spalle della vittima, iniziando a spingerla con movimenti veloci e leggeri delle mani e a muovere freneticamente le due braccia e le due mani poste tra loro, con il chiaro intento di frugare nelle tasche posteriori della vittima stessa (In motivazione, la S.C. ha affermato che il codice vigente non pone, ai fini della configurabilità del tentativo punibile, la distinzione tra atti preparatori e atti esecutivi e che, comunque, la condotta degli imputati aveva oltrepassato la soglia della preparazione del delitto).

Cass. pen. n. 18485/2009

Lo stato di flagranza nella commissione del delitto di furto di energia elettrica si protrae sino al momento in cui l'utenza, su cui sono operate le plurime captazioni, è attiva. (La Corte ha chiarito che il delitto è a condotta frazionata, o a consumazione prolungata, sicché le captazioni successive alla prima non costituiscono "post factum" penalmente irrilevante, né singole ed autonome azioni costituenti altrettanti furti, ma atti di un'unica azione furtiva).

Cass. pen. n. 17036/2009

Il termine di prescrizione del delitto di furto di energia elettrica decorre dall'ultima delle plurime captazioni di energia, che costituiscono i singoli atti di un'unica azione furtiva a consumazione prolungata.

Cass. pen. n. 36919/2008

L'integrazione della desistenza volontaria, ex art. 56, comma terzo, c.p. richiede che il soggetto attivo arresti, per volontaria iniziativa, la propria condotta delittuosa prima del completamento dell'azione esecutiva, impedendo l'evento. Sussiste pertanto il tentativo di furto - e non l'ipotesi della desistenza volontaria - nel caso in cui la condotta si sia arrestata per cause indipendenti dalla determinazione dell'agente. (In applicazione di questo principio la S.C. ha ritenuto immune da censure la decisione con cui il giudice d'appello ha ritenuto integrato il delitto di cui agli art. 56 e 624 c.p. nella condotta dell'imputato che, salito su un furgone parcheggiato sulla pubblica via, aveva rovistato all'interno di esso ed era, quindi, ridisceso senza asportare alcunché, per non avere trovato beni d'interesse ).

Cass. pen. n. 23020/2008

Costituisce furto consumato e non tentato quello che si commette all'atto del superamento della barriera delle casse di un supermercato con della merce prelevata dai banchi e sottratta al pagamento, nulla rilevando che il fatto sia avvenuto sotto il costante controllo del personale del supermercato incaricato della sorveglianza.

Cass. pen. n. 46308/2007

Difetta il requisito dell'altruità della cosa, richiesto per la configurabilità del reato di furto, qualora l'agente, proprietario di prodotti semilavorati consegnati per l'ulteriore lavorazione ad altro soggetto, li sottragga a quest'ultimo dopo che la detta lavorazione sia stata effettuata.

Cass. pen. n. 25548/2007

L'art. 23 del D.L.vo 152/1999, che vieta di derivare o utilizzare acque pubbliche senza un provvedimento autorizzativo o di concessione dell'autorità competente, costituisce norma speciale rispetto all'art. 624 c.p. e come tale prevale su di essa. (Mass. redaz.).

Cass. pen. n. 23754/2007

Risponde del reato di furto, e non di quello previsto dall'art. 388, comma terzo c.p., colui che, estraneo ad una procedura di espropriazione, asporti dall'immobile sottoposto a pignoramento beni mobili di sua proprietà, costituenti, ai sensi dell'art. 2912 c.c., parte integrante dell'unità pignorata.

Cass. pen. n. 15791/2007

Nel delitto di furto è ravvisabile il dolo eventuale quando sia rimasta accertata la accettazione, da parte dell'agente, del rischio che la cosa di cui si impossessa possa legittimamente appartenere ad altri. (Fattispecie nella quale il ricorrente, accusato del furto di ottone e rame, aveva sostenuto di avere agito in buona fede, nell'adempimento dell'incarico, conferitogli dal datore di lavoro, di trasportare il materiale. La Corte ha ritenuto che l'accertamento, compiuto dal giudice di merito, sulle modalità di confezionamento e custodia del materiale, diverse da quelle indicate nelle presunte direttive impartite, giustificasse la configurazione di una consapevole accettazione del rischio che la cosa appresa appartenesse legittimamente a soggetto diverso dal datore di lavoro).

Cass. pen. n. 34339/2005

In tema di reati contro il patrimonio, deve ritenersi integrato il reato di furto nel caso di sottrazione da parte del convivente di beni che per loro natura, come gli oggetti preziosi, non possono essere oggetto di detenzione comune, in quanto la convivenza more uxorio non fa venir meno il loro carattere personale e il connotato di disponibilità autonoma da parte dell'originario detentore.

Cass. pen. n. 24330/2005

In tema di reati contro il patrimonio, integra il delitto di furto (art. 624 c.p.) la sottrazione di beni già rubati dal terzo, in quanto la cosa rubata e successivamente abbandonata dal ladro non costituisce res derelicta appropriabile, in quanto tale, da chiunque, posto che non vi è abbandono senza una volontà in tal senso dell'avente diritto e tale non può essere considerato il ladro; ne deriva che la cosa rubata, una volta abbandonata dal ladro, deve considerarsi nuovamente in possesso del proprietario.

Cass. pen. n. 15431/2005

I corsi d'acqua, per legge beni immobili, per poter essere oggetto di furto devono essere smobilizzati, cioè distolti, almeno in parte, dal loro normale corso a beneficio di un soggetto che in tal modo si impossessa del bene divenuto mobile.

Cass. pen. n. 12618/2005

Il possesso di oggetti di interesse artistico storico o archeologico si deve ritenere illegittimo a meno che il detentore non dimostri di averli legittimamente acquistati. Tali oggetti, invero, sono di proprietà dello stato sin dalla loro scoperta e il loro impossessamento, sia che provenga da scavo sia da rinvenimento fortuito è previsto dalla legge n. 1089 del 1939 come delitto punito con la stessa pena comminata per il furto.

Cass. pen. n. 2349/2005

La sottrazione di energia elettrica attuata mediante l'allacciamento con alcuni morsetti della base del «cordless» al «box» di ripartizione della linea telefonica gestita dalla Telecom, integra il reato di furto e non quello di truffa; attraverso l'utilizzazione di questo sistema fraudolento infatti si è alterato il sistema di misurazione dei consumi, che ha la funzione di individuare l'esatto numero degli scatti corrispondenti all'energia trasferita all'utente e quindi di specificare il consenso dell'ente erogatore in termini corrispondenti; da ciò deriva che la condotta dell'agente prescinde dall'induzione in errore del somministrante ed è immediatamente diretta all'impossessamento della cosa per superare la contraria volontà del proprietario.

Cass. pen. n. 26877/2004

Il prelievo abusivo di acque dal sottosuolo — in virtù dell'art. 23 del D.L.vo n. 152 del 1999, che ha sostituito l'art. 17 del R.D. n. 1775 del 1933, disponendo che la derivazione o l'utilizzazione dell'acqua pubblica per uso industriale, senza provvedimento autorizzativo o concessivo dell'autorità competente, è punito con la sanzione amministrativa pecuniaria da 5 a 50 milioni — integra esclusivamente un illecito amministrativo ed è attualmente punito solo con la sanzione amministrativa di cui al predetto art. 23 e non anche a titolo di furto, ex art. 624 c.p.; tra le norme in considerazione (artt. 23 D.L.vo n. 152 del 1999 e 624 c.p. citati) sussiste, infatti, un'ipotesi di concorso apparente — nel quale, a fronte dell'omogeneità della materia regolata (sottrazione e impossessamento di un bene altrui per proprio vantaggio), il predetto art. 23 presenta carattere speciale rispetto alla disposizione codicistica — disciplinata dall'art. 9 della legge n. 689 del 1981, che afferma anche nell'ipotesi di concorso tra norme penali ed amministrative il principio per il quale la norma speciale prevale su quella generale.

Cass. pen. n. 21757/2004

Ai fini della consumazione del delitto di furto è sufficiente che la cosa sottratta sia passata, anche per breve tempo, sotto l'autonoma disponibilità dell'agente. Ne consegue che risponde di furto consumato e non tentato colui che, introdottosi in un autoveicolo, si allontani sia pure per breve tempo, non rilevando che l'agente venga intercettato e bloccato da una pattuglia dei carabinieri occasionalmente incrociata.

Cass. pen. n. 19119/2004

In tema di furto di energia elettrica, ai fini della sussistenza dello stato di flagranza, non si richiede che l'agente sia sorpreso nell'atto di manomettere il contatore dei consumi, assumendo invece rilievo l'effettivo utilizzo dell'energia, integrante il fatto della sottrazione.

Cass. pen. n. 7235/2004

Costituisce furto consumato e non tentato il sottrarre merce dai banchi di esposizione di un supermercato ove si pratichi il sistema del cosiddetto self service evitando il pagamento alla cassa. Il momento consumativo del reato, in tal caso, è ravvisabile nel momento dell'apprensione della merce, che si realizza certamente quando l'agente abbia superato la barriera delle casse senza pagare il prezzo, ma anche prima, allorché la merce venga dall'agente nascosta in tasca o nella borsa, sì da predisporre le condizioni per passare dalla cassa senza pagare; salvo che, in quest'ultima evenienza, l'avente diritto o persona da lui incaricata abbia sorvegliato tutte le fasi dell'azione furtiva, sì da poterla interrompere in ogni momento, ravvisandosi allora solo la fattispecie tentata.

Cass. pen. n. 3449/2004

È da escludere la configurabilità del reato di furto nel caso di semplice copiatura non autorizzata di «files» contenuti in un supporto informatico altrui, non comportando tale attività la perdita del possesso della res da parte del legittimo detentore.

Cass. pen. n. 22860/2003

Il direttore ed il commesso di un centro commerciale sono legittimati in proprio a proporre querela per il furto, in quanto persone offese dal reato, poiché, in tale ipotesi delittuosa, detta qualità spetta non solo al titolare di diritti reali, ma anche ai soggetti responsabili dei beni posti in vendita.

Cass. pen. n. 4824/2003

In tema di furto, il reato può dirsi consumato anche se oggetto della sottrazione è un'autovettura munita di sistema di antifurto satellitare, in quanto tale strumento non esclude che il soggetto passivo perda, almeno fino al momento di attivazione del sistema di rilevazione satellitare, il controllo materiale e giuridico sulla cosa sottrattagli. (La Corte ha escluso la configurabilità del tentativo in considerazione del fatto che il sistema satellitare non assicura una costante vigilanza durante l'intera fase dell'azione illecita, ma la possibilità di rilevare e seguire gli spostamenti dell'autovettura è collegata ad una richiesta dell'interessato al centro operativo, cosicché il successivo rilevamento ha soltanto una funzione recuperatoria di un bene ormai uscito definitivamente dalla sfera di controllo del possessore).

Cass. pen. n. 4266/2003

Il possesso di oggetti di interesse artistico, storico o archeologico, che deve ritenersi illegittimo in quanto tali beni appartengono al patrimonio indisponibile dello Stato fin dalla loro scoperta, integra il reato di cui all'art. 67 della legge n. 1089 del 1939 in relazione all'art. 624 c.p.

Cass. pen. n. 30176/2002

La sussistenza del delitto di furto di acque sotterranee da parte del proprietario del fondo, che sia privo dell'autorizzazione prevista dall'art. 73 R.D. 11 dicembre 1933, n. 1775, può escludersi solo se l'utilizzo dell'acqua è funzionale ad un uso domestico, quale l'innaffiamento del giardino o dell'orto oppure l'abbeveraggio del bestiame (nel caso di specie, la Corte ha ritenuto configurabile il reato di furto, in quanto il prelievo dell'acqua serviva per impastare il calcestruzzo per la costruzione di una abitazione sul fondo del proprietario).

Cass. pen. n. 21580/2001

In tema di impossessamento di beni archeologici o artistici, il reato previsto dall'art. 67 della legge 1 giugno 1939, n. 1089 è fattispecie autonoma e distinta dal reato di furto, richiamato solo per la determinazione della pena; pertanto, non si applica la norma sulla perseguibilità a querela di parte aggiunta all'art. 624 c.p. dalla legge 25 giugno 1999, n. 205. Tale principio resta valido anche dopo l'emanazione del D.L.vo 29 ottobre 1999, n. 490, abrogativo della legge n. 1089 del 1939, il cui art. 125 tuttora sanziona il reato di impossessamento illecito di beni culturali appartenenti allo Stato.

Cass. pen. n. 17045/2001

Risponde di furto consumato e non semplicemente tentato colui che abbia nascosto sulla sua persona la cosa sottratta, anche se non si sia allontanato dal luogo della sottrazione ed abbia esercitato un potere del tutto temporaneo sulla refurtiva, essendo poi stato costretto ad abbandonarla subito dopo il fatto, in conseguenza dell'altrui pronto intervento.

Cass. pen. n. 5414/2000

In tema di furto, la perdita di disponibilità della cosa sottratta non è esclusa dalla conoscenza del luogo in cui essa è stata collocata dagli autori del furto e dal fatto di poterla seguire con lo sguardo, allorché in tale luogo il derubato non possa liberamente accedere in quanto appartenente agli autori del furto o a terzi.

Cass. pen. n. 14705/1999

È configurabile il reato di furto, sussistendo anche il requisito dell'altruità della cosa, qualora un soggetto al quale sia stato fiduciariamente intestato un libretto di deposito bancario, rimasto però in possesso dell'effettivo titolare del diritto a disporre delle somme depositate, lo sottragga a quest'ultimo.

Integra il delitto di furto il comportamento di colui che, essendo solo formale intestatario di un libretto di risparmio bancario, se ne impossessi, sottraendolo al reale proprietario, che lo custodiva presso di sé. Invero, la semplice intestazione del titolo non ha natura costitutiva del diritto in esso rappresentato, ma ha, viceversa, mera funzione strumentale in ordine all'espletamento delle operazioni bancarie che con esso possono essere compiute, sulla base di un negozio fiduciario, intercorso tra il predetto intestatario ed il reale proprietario del libretto; tale negozio, del quale può essere fornita prova, tra le parti, con qualsiasi mezzo, non produce, per sua stessa natura e per le finalità che lo hanno determinato, l'effetto di trasferire la proprietà o il possesso del deposito bancario, né del documento rappresentativo dello stesso.

Cass. pen. n. 2877/1999

Chi si sia impossessato, mediante furto, di una carta di credito o analogo documento, non può rispondere, per il solo fatto dell'acquisito possesso, anche del reato di cui all'art. 12 del D.L. 3 maggio 1991, n. 143, conv. con modif. in legge 5 luglio 1991, n. 197, fermo restando che il furto può invece concorrere con il detto reato qualora questo venga realizzato nelle diverse forme dell'utilizzazione o dell'alterazione.

Cass. pen. n. 1985/1997

In tema di furto, qualora la condotta dell'agente riguardi una pluralità di cose di pertinenza dello stesso possessore e il ladro operi in un medesimo contesto temporale e spaziale, impossessandosi di una parte di esse e non riuscendo, per cause indipendenti dalla sua volontà, ad impossessarsi di altre esistenti nello stesso luogo, l'azione complessa, essendo progressiva, deve essere considerata unica, in quanto la parte più rilevante già posta in essere assorbe quella in itinere. Essa realizza quindi un solo reato consumato delle cose sottratte, non vertendosi né nell'ipotesi di tentativo di furto né in quella di furto consumato in concorso con il tentativo. (Nella specie, l'agente si era impossessato di alcune cose all'interno di una autovettura nella quale era penetrato, ed era stato colto sul fatto mentre tentava di impossessarsi di altri oggetti ivi esistenti).

Cass. pen. n. 84/1997

In tema di reato impossibile il giudizio sull'insussistenza dell'oggetto idoneo ad escludere la punibilità ai sensi dell'art. 49 cpv. c.p. deve essere effettuato con valutazione ex ante. Costituisce pertanto tentativo punibile e non reato impossibile il comportamento di chi si introduce in una vettura per commettere furto di cose nella stessa contenute posto che, con valutazione ex ante, nella vettura sono normalmente contenute cose che possono essere oggetto di furto.

Cass. pen. n. 1798/1996

Il cassiere di un'agenzia bancaria non ha la disponibilità neanche provvisoria della provvista dei conti correnti dei clienti dell'istituto. Egli, nel momento in cui effettua il pagamento degli assegni, non esercita un libero atto di disponibilità ma si limita a compiere una mera attività di esecuzione di precise disposizioni del correntista, il quale rimane, in ogni momento, possessore e dominus della gestione del conto. Pertanto, risponde del reato di furto e non del delitto di appropriazione indebita, il cassiere che, con movimentazioni fittizie, effettui spostamenti o prelievi dai conti correnti dei clienti, sottraendo denaro alla disponibilità di costoro, nonché quello che, dopo avere richiesto alla sede centrale fondi maggiori di quelli necessari, gonfiando il fabbisogno giornaliero, s'impossessi del denaro contante che transiti nella cassa per fare fronte alle esigenze correnti, posto che egli di tali somme ha la mera, momentanea detenzione senza alcun autonomo potere di disposizione.

Cass. pen. n. 4320/1996

Il danno patrimoniale derivante da furto, rapina o ricettazione di carte di credito in considerazione del valore strumentale di queste, che consentono al titolare di effettuare molteplici atti di acquisto a pagamento differito, non deve essere rapportato al semplice valore venale del documento e non può, pertanto, essere ritenuto modesto.

Cass. pen. n. 1855/1996

Sussiste il reato di furto consumato di benzina, e non già tentato, nell'ipotesi di sorpresa di un soggetto all'interno di un garage il quale abbia già raccolto in un secchio il carburante asportato da alcuni veicoli custoditi nell'autorimessa.

Cass. pen. n. 12680/1995

L'ipotesi contravvenzionale p. e p. dagli artt. 11, comma 3, lettere a), f), e 30, comma 1, della L. 6 dicembre 1991, n. 394, che vieta la cattura nei parchi delle specie animali, senza distinzione alcuna, è da ritenersi speciale rispetto a quella delittuosa di cui all'art. 624 c.p. Gli elementi tipici, specializzati, sono rappresentati dalla particolarità del luogo (aree protette) in cui si deve attuare il comportamento volto alla realizzazione di atti diretti alla cattura e dalla natura della res che deve oggetto di questa (specie animale). (Nella specie, trattavasi di pesca di trote all'interno del Parco Nazionale del Gran Paradiso).

Cass. pen. n. 5901/1995

Quando, per le caratteristiche della situazione concreta, le forze dell'ordine non siano libere di intervenire in ogni momento dell'azione criminosa ma debbano attendere il compimento di questa, è da escludere che le stesse abbiano continuativamente mantenuto il controllo e la vigilanza sulla refurtiva che, sia pure temporaneamente, deve considerarsi nella piena disponibilità degli autori del furto i quali, a causa delle condizioni sfavorevoli alle forze dell'ordine, ben potrebbero allontanarsi impunemente con essa. In tal caso, il furto deve ritenersi consumato, e non già tentato, a nulla rilevando che per l'intervento delle forze dell'ordine i colpevoli non abbiano conseguito il profitto in via definitiva, in quanto hanno avuto, sia pure per breve tempo, l'autonoma ed esclusiva disponibilità della cosa. (Nella fattispecie i carabinieri erano stati costretti ad intervenire all'ultimo momento per le particolari circostanze di tempo e luogo, di notte ed in aperta campagna).

Cass. pen. n. 4743/1995

Poiché il momento consumativo del furto è costituito dalla sottrazione della cosa, passata, anche se per breve tempo e nello stesso luogo in cui è stata sottratta, sotto il dominio esclusivo dell'agente, sono irrilevanti, ai fini della consumazione del delitto, sia il fatto che la res furtiva rimanga nella sfera di vigilanza della persona offesa, con la possibilità di un pronto recupero della stessa, sia il criterio temporale, relativo alla durata del possesso del responsabile, sia le modalità di custodia e di trasporto della refurtiva. (Nella fattispecie l'imputato ha dedotto che i giudici avrebbero dovuto ritenere l'ipotesi di furto tentato, e non già consumato, in quanto non vi era stata autonoma disponibilità della refurtiva, in difetto di un lasso di tempo apprezzabile del possesso).

Cass. pen. n. 229/1995

Il requisito dell'altruità di cui all'art. 624 c.p. è ravvisabile ogni volta che vi sia almeno un soggetto, diverso dall'agente, il quale, al momento del fatto, sia legato alla cosa stessa da un'effettiva relazione di interesse. (Fattispecie relativa a rigetto di ricorso avverso provvedimento di conferma di convalida del sequestro probatorio di un furgone consegnato a un creditore, in garanzia del pagamento di pregressi debiti e, quindi, a titolo di pegno, secondo la qualificazione giuridica data al rapporto dai giudici di merito. Il conferente ha successivamente sottratto il veicolo e, procedutosi nei suoi confronti per il reato di furto, ha sostenuto sia con la richiesta di riesame avverso il provvedimento di convalida del sequestro probatorio sia con il ricorso per cassazione che non era ravvisabile il delitto di furto perché non poteva ritenersi l'altruità della cosa di cui era rimasto proprietario).

Cass. pen. n. 377/1995

Per la ravvisabilità del delitto di tentato furto non è necessaria l'esistenza della res furtiva, dovendosi avere riguardo alla situazione che l'agente si era prospettato al momento dell'azione criminosa. Pertanto, non ricorre l'ipotesi del reato impossibile quando la mancanza dell'oggetto cui tende l'agente sia soltanto temporanea ed accidentale.

Cass. pen. n. 4853/1994

Ai fini della delimitazione dei confini tra il reato di furto e quello di appropriazione indebita, possono rientrare nella nozione di possesso vari casi di detenzione, ma deve comunque trattarsi di detenzione nomine proprio e non in nomine alieno, come in tutti i casi di persone che abbiano la disponibilità materiale della cosa ad altri appartenente in virtù del rapporto di dipendenza che le lega al titolare del diritto: deve pertanto escludersi possesso in senso penalistico in capo ad un dipendente di una Cassa di risparmio con riferimento a titoli di clienti di cui il medesimo abbia la detenzione materiale e meramente precaria al limitato fine di determinate operazioni, non potendo portarli all'esterno se non per le esigenze connesse a dette operazioni. (In relazione all'impossessamento di siffatti titoli i giudici di merito avevano ritenuto il dipendente in questione responsabile di furto e la Corte di cassazione nell'affermare il principio di cui sopra ha respinto il ricorso dell'imputato secondo cui il fatto ascrittogli avrebbe dovuto essere qualificato come appropriazione indebita).

Cass. pen. n. 10132/1993

Nei procedimenti per il reato di furto è ammissibile la costituzione di parte civile di chi del bene sottratto ha soltanto la locazione e, comunque, il possesso e la disponibilità di esso, in virtù di contratto di leasing mobiliare, in cui la proprietà della cosa locata rimane all'impresa di leasing mentre il possesso e il godimento sono dell'utilizzatore.

Cass. pen. n. 9381/1993

In materia di acque demaniali destinate a pubblica utilità, l'illecito amministrativo previsto dall'art. 103 del T.U. n. 1775 dell'11 dicembre 1933 riguarda il rinvenimento e la denuncia di rinvenimento di acque sotterranee, mentre l'attingimento senza titolo delle acque sotterranee realizza la diversa condotta della sottrazione al legittimo proprietario (nel caso il demanio regionale) dell'acqua sotterranea. E poiché l'acqua ha natura di bene economico suscettibile di scambi e di diritti patrimoniali, essa può ben formare oggetto del delitto di furto.

Cass. pen. n. 7704/1993

Risponde di furto consumato e non semplicemente tentato chi, dopo essersi impossessato della refurtiva, non si sia ancora allontanato dal luogo della sottrazione e abbia esercitato sulla cosa un potere del tutto momentaneo, essendo stato costretto ad abbandonarla subito dopo il fatto per il pronto intervento dell'avente diritto o della polizia.

Cass. pen. n. 7171/1993

Venuta meno — a seguito dell'entrata in vigore della L. 11 febbraio 1992, n. 157 — la punibilità a titolo di furto della condotta di cattura di animali di specie non protetta, nell'esercizio della caccia in tempo in cui la stessa era vietata, l'agente, che abbia commesso il fatto prima della vigenza della suddetta normativa, è assoggettabile soltanto alla sanzione amministrativa prima stabilita dall'art. 31, lettera c), L. 27 dicembre 1977, n. 968. (Nella specie trattavasi di imputazione di furto di tre conigli).

Cass. pen. n. 1745/1993

L'art. 33 cpv., R.D. 8 ottobre 1931, n. 1604, secondo il quale incorre nel delitto di furto ai sensi degli art. 624 c.p. chiunque peschi in acque che, per disposizioni naturali o per opere manufatte, si trovino racchiuse in modo da impedire l'uscita del pesce tenutovi in allevamento, non trova applicazione nel caso in cui le acque stesse comunichino liberamente col mare senza sbarramenti e non ospitino alcun allevamento, che giustifica la particolare protezione accordata dalla legge. La concessione di pesca conferisce solo il diritto esclusivo di catturare gli organismi acquatici, che restano pertanto una res nullius, fuori della proprietà e del possesso del titolare. Il predetto diritto non è tutelato dalle norme sul furto, bensì da quelle contravvenzionali, come quella (depenalizzata) di cui al primo comma dell'art. 33, R.D. 8 ottobre 1931, n. 1604, contenente il testo unico delle leggi sulla pesca, o quella di cui all'art. 15, lett. e) e 24, terzo comma della L. 14 luglio 1965, n. 963 sulla pesca marittima. (Fattispecie relativa al sequestro preventivo di imbarcazione con la quale si esercitava la pesca nella «sacca» di Scardovari).

Cass. pen. n. 5119/1993

Integra il delitto di furto aggravato, ai sensi degli artt. 624 e 625, n. 2, c.p., il ripristino dell'allacciamento dell'utenza distaccata per morosità, attuato mediante la rimozione dei sigilli a suo tempo apposti alla fornitura elettrica, pur senza manomettere i meccanismi del contatore. Il profitto ingiusto, in siffatta ipotesi, consiste nell'illegittima utilizzazione dell'utenza, malgrado la persistenza della morosità, che ne aveva determinato il distacco.

Cass. pen. n. 5087/1993

Presupposto per l'applicazione dell'art. 48, L. 1 giugno 1939, n. 1089 sulla tutela delle cose di interesse artistico e storico, che dà facoltà allo scopritore di rimuovere e conservare fino all'arrivo dell'autorità competente le cose mobili, è che il rinvenimento sia fortuito. (Fattispecie di furto di reperti archeologici, trovati nell'auto degli imputati, sorpresi ad effettuare scavi in zona archeologica).

Cass. pen. n. 3707/1993

L'art. 67 della L. 1 giugno 1939, n. 1089, recante disposizioni a tutela delle cose d'interesse artistico e storico, prevede una figura criminosa specifica e distinta dal reato di furto, per cui il richiamo ivi contenuto all'art. 624 c.p. deve intendersi ai soli fini dell'applicazione della pena, con conseguente esclusione del sistema di aggravanti previsto dall'art. 625 c.p.

Cass. pen. n. 2622/1993

In tema di furto sono irrilevanti sia il criterio spaziale e quello temporale, sia la durata del possesso dell'agente. Ai fini della determinazione dell'impossessamento, che segna il momento consumativo del reato è sufficiente, infatti, che l'agente consegua la disponibilità materiale della cosa. (Fattispecie nella quale è stata ravvisata la consumazione poiché l'agente è stato colto all'interno dell'abitazione con alcuni oggetti riposti in tasca).

Cass. pen. n. 1592/1993

In tema di caccia, a seguito dell'entrata in vigore della L. 11 febbraio 1992, n. 157, è stata abolita (art. 30) l'ipotesi di furto di selvaggina e sono state introdotti taluni reati, prima costituenti semplici illeciti amministrativi. Nel caso di imputato, tratto a giudizio per rispondere di furto (nella specie di volatili protetti), va pronunziata sentenza di assoluzione, poiché non è possibile derubricare detto delitto in una delle fattispecie penali nuove, previste nell'ultima normativa, ma non esistenti all'epoca del fatto.

Cass. pen. n. 398/1993

Ai fini della distinzione tra furto consumato e furto tentato, non hanno rilevanza né il criterio spaziale, né il criterio temporale. Perché il reato possa dirsi consumato, dunque, è sufficiente la sottrazione della cosa alla disponibilità del detentore ed il correlativo impossessamento (conseguimento della fisica ed autonoma disponibilità) di essa da parte dell'agente, anche per breve lasso di tempo. Né la consumazione è esclusa dalla circostanza che l'agente sia stato costretto ad abbandonare la refurtiva subito dopo la sottrazione, a causa del pronto intervento dell'avente diritto o della forza pubblica. Solo ove vi sia stata la vigilanza di costoro, all'insaputa dell'agente e nel corso dell'azione delittuosa, sicché questa avrebbe potuto essere bloccata, il furto non può considerarsi consumato. Ciò perché in tali condizioni, anche se l'agente si fosse impossessato della cosa, non si sarebbe potuto realizzare l'autonoma ed effettiva disponibilità della refurtiva, rimasta sempre nella sfera di diretto controllo e vigilanza dell'offeso. (Fattispecie di furto in abitazione).

Cass. pen. n. 11947/1992

In tema di furto, quando l'avente diritto o persona da lui incaricata sorvegli le fasi dell'azione furtiva, sì da poterla interrompere in ogni momento, il delitto non è consumato neanche con l'occultamento della cosa sulla persona del colpevole. Ciò perché la cosa non è ancora uscita dalla sfera di vigilanza e di controllo diretto dell'offeso. (Fattispecie di furto in supermercato: il ladro si è impossessato d'una pelliccia prelevata dal banco di vendita, staccando il rilevatore metallico. La S.C. ha escluso la consumazione, considerando che condotta dell'agente era stata sorvegliata, a sua insaputa, ancor prima della sottrazione).

Cass. pen. n. 9930/1992

La L. 11 febbraio 1992, n. 157, che detta norme per la protezione della fauna, nello stabilire, all'art. 30, le sanzioni penali, ha anche disposto al comma terzo che nei casi di cui al comma primo non si applicano gli artt. 624, 625 e 626 c.p. (Nella specie, relativa ad annullamento senza rinvio di sentenza di condanna, perché il fatto non è preveduto dalla legge come reato, per tentato furto — per avere gli imputati compiuto, predisponendo le reti, atti idonei diretti in modo non equivoco ad impossessarsi di uccelli sottraendoli all'Amministrazione dello Stato —, la S.C. ha osservato inoltre che, trattandosi di fatto contestato come tentativo, non sono neppure applicabili le ipotesi contravvenzionali configurate dalla nuova legge).

Cass. pen. n. 7855/1992

L'abbattimento e l'impossessamento di un fringuello non integra il reato di furto in base a quanto disposto dall'art. 30, comma primo, lett. b), e comma terzo, L. 11 febbraio 1992, n. 157, il quale punisce con l'ammenda solo chi abbatte o cattura, tra l'altro, fringillidi in numero superiore a cinque, dal che si deduce che l'abbattimento di un solo fringuello non costituisce più reato.

Cass. pen. n. 7251/1992

Il furto d'uso, come quello comune, consiste nell'ingiusto impossessamento di una cosa, con la correlativa lesione dell'interesse del precedente possessore. Ne consegue che quando l'azione del soggetto sia rivolta all'uso temporaneo di una cosa, è necessario che l'impossessamento incida sul preesistente rapporto di detenzione, nel senso di interromperne la continuità e che, quindi, la cosa venga rimossa per un certo tempo e per un'apprezzabile distanza dal luogo in cui si trovava. Pertanto il reato non è ravvisabile nel fatto di chi apprenda temporaneamente la cosa altrui all'unico scopo di usarla, sia pure arbitrariamente, nel luogo in cui si trova.

Cass. pen. n. 6231/1992

In tema di caccia, l'esclusione, prevista in base ad insindacabili scelte di politica legislativa dall'art. 30, terzo comma, L. 11 febbraio 1992, n. 157 (Norma per la protezione della fauna selvatica omeoterma e per il prelievo venatorio), dell'applicabilità delle norme relative al furto a condotte (soggettivamente ed oggettivamente), tali da comportare, prima dell'entrata in vigore della citata legge, l'applicazione di dette norme, non esercita effetto alcuno su diverse norme penali, con speciale riferimento all'art. 628 c.p., non potendo dubitarsi dell'intenzione del legislatore di escludere l'inapplicabilità delle norme penali configuranti ipotesi di particolare gravità, quali, appunto, la rapina. Tale ipotesi appare configurabile non soltanto allorché la minaccia e o la violenza siano esercitate subito dopo la cattura (sottrazione) del capo protetto, bensì anche (rapina propria) allorché siano esercitate per catturare il capo protetto.

Cass. pen. n. 5548/1992

L'impossessamento della fauna selvatica — parte integrante del patrimonio dello Stato — pur quando sia stato realizzato in violazione alle disposizioni che regolano l'esercizio dell'attività venatoria, ovvero quando abbia avuto a oggetto esemplari sottratti, in via definitiva o provvisoria, alla caccia, non può essere più punito a titolo di furto, in base a quanto disposto dal terzo comma dell'art. 30 della L. 11 febbraio 1992, n. 157, ma può solo integrare una delle ipotesi contravvenzionali espressamente previste dall'art. 30 della stessa legge. Viceversa, il tentativo di impossessamento della fauna selvatica, pur se compiuto in violazione delle medesime prescrizioni, non solo non può configurare il delitto di tentato furto, essendo, ex lege, interdetta l'applicazione degli artt. 624, 625 e 626 c.p., ma neppure può essere sussumibile in alcuna delle ipotesi contravvenzionali indicate nell'art. 30 della citata legge, prevedendo queste soltanto l'effettivo abbattimento ovvero l'avvenuta cattura di alcuni esemplari protetti in mancanza di un'espressa deroga all'art. 56 c.p., la disciplina normativa del tentativo non è estensibile alle contravvenzioni, ancorché queste siano realizzabili con condotte complesse e frazionabili.

Cass. pen. n. 2002/1992

Il corpus del possesso della fauna selvatica — di proprietà dello Stato giusto il disposto dell'art. 1 della legge quadro sulla caccia — è costituito dalla presenza della stessa sul territorio nazionale (art. 2 della predetta legge), mentre l'animus possidendi, invece, è individuabile nel complesso di attività legislative ed amministrative che lo Stato esercita, anche tramite enti ausiliari, in materia di tutela e protezione della selvaggina tutta e di disciplinamento della caccia. Ne consegue che l'impossessamento illegittimo della selvaggina da parte del cacciatore o, comunque, di privati, può dare luogo alla sottrazione della stessa al detentore ed integrare l'ipotesi del furto ovvero, ricorrendone gli estremi, la fattispecie della ricettazione. (La Cassazione ha altresì sostenuto che la detenzione non esige l'immediata presenza di un soggetto nella cui sfera materiale di disponibilità la cosa si trova ed ha osservato che le cose che non sono né nullius né abbandonate, continuano ad essere possedute anche da colui che non le detiene materialmente, potendo il possessore detenere pure simbolicamente le cose custodite senza la presenza di alcun soggetto sul posto ove esse si trovano).

Cass. pen. n. 11027/1991

La sottrazione di un oggetto fatta con l'intento puramente scherzoso non può integrare l'ipotesi di furto, in quanto l'intento ioci causa essendo incompatibile con il fine di trarre profitto, esclude il dolo specifico di detto reato. (Nella fattispecie l'imputato, nell'euforia dell'ultima notte dell'anno, impossessatosi di un estintore, prelevato dai locali di un condominio, si era portato davanti ad un bar dove, dopo aver scaricato l'intero carico in direzione di un gruppo di giovani, lo aveva abbandonato).

Cass. pen. n. 10932/1991

Integra il reato di furto aggravato ex artt. 624 e 61, n. 7, c.p., la sottrazione di acque pubbliche derivate da pozzi — escavati nei propri terreni senza preventiva autorizzazione ex art. 95, R.D. 11 dicembre 1933, n. 1775 — e distribuite a terzi dietro corrispettivo, in assenza di concessione, tramite i propri impianti acquedottistici, a nulla rilevando il fatto che l'imputato non abbia agito in «clandestinità» evitando, cioè, di occultare le modalità o l'entità dello sfruttamento delle acque alle competenti autorità, in quanto «la clandestinità» della condotta di sottrazione di un bene sfugge alla nozione del dolo del reato di furto.

Cass. pen. n. 7310/1991

In tema di caccia, l'affermazione ex lege della proprietà dello Stato su tutta la fauna selvatica esistente sul territorio nazionale ha determinato l'attribuzione allo stesso di una signoria sui singoli capi di selvaggina, che si esprime in una disponibilità virtuale, sufficiente a rendere concreto il suo possesso, anche se gli animali selvatici vivono allo stato di libertà e in zone non recintate e non sottoposte a specifica vigilanza. Ne consegue che l'uccisione di un capo di selvaggina, fuori dei casi di specifica autorizzazione o di quelli in cui lo Stato, rinunziando temporaneamente ai suoi poteri, consente la caccia, viola due diversi interessi: quello di carattere socio-politico, ricollegato al mantenimento del patrimonio ambientale, appartenente all'intera collettività, e quello di carattere strettamente giuridico, tutelato dalle norme che, nel campo del diritto civile o di quello penale, sono predisposte alla tutela della proprietà e del possesso.

Cass. pen. n. 5519/1991

L'assicurazione a fare vendere le cose che saranno rubate integra una forma di istigazione a commettere il furto, che si differenzia dal favoreggiamento, in cui l'attività del complice è un fatto successivo alla consumazione del furto. (Nella specie è stato ritenuto il concorso nel delitto di furto, sotto il profilo della partecipazione morale per avere l'imputato assicurato l'interessamento nella vendita delle armi rubate, nonché il concorso materiale in quanto il ricorrente, in base allo stesso concorso preventivo, aveva guidato l'automobile su cui le armi erano state trasportate).

Cass. pen. n. 9446/1990

In tema di furto, ai fini dell'impossessamento e della sottrazione è sufficiente che la cosa sottratta sia passata — anche per breve tempo e nello stesso luogo in cui la sottrazione si è verificata — sotto il dominio esclusivo dell'agente. Il reato è quindi consumato anche se in un secondo momento altri abbia impedito al suo autore di assicurarsi il possesso della cosa sottratta e non hanno rilevanza né il criterio spaziale né il criterio temporale quando sia avvenuta l'asportazione delle cose dal loro sito e la loro introduzione nelle borse.

Cass. pen. n. 7598/1990

Posto che nel delitto di furto titolare del bene giuridico offeso è il detentore della cosa che dalla sua sfera di possesso viene fatta passare nell'altrui signoria, nel caso di furto di oggetti contenuti in cassette di sicurezza la qualità di parte offesa è assunta dalla banca. Infatti, con il contratto di utenza di cassette di sicurezza questa si obbliga ad eseguire non solo una prestazione assimilabile alla locazione ma anche e principalmente quella di custodia delle cassette mediante applicazione di vigilanza sul forziere e per esso sul suo contenuto, mentre gli affidanti, per essersi serviti di siffatto contratto e quindi di una complessa struttura materiale, tecnica ed organizzativa che realizza condizioni di sicurezza superiori a quelle raggiungibili dagli stessi nella propria abitazione, devono necessariamente dismettere il possesso dei rispettivi beni entrati in rapporto di fatto con la banca presso cui vengono depositati; beni dei quali — ai fini della loro custodia — la banca (che ne risponde ex art. 1829 c.c.) dovrà necessariamente avere, nell'ambito della vigilanza ritenuta necessaria, la disponibilità.

Cass. pen. n. 17420/1989

Il momento consumativo del furto coincide con l'acquisita disponibilità, anche se per un breve periodo, dell'oggetto conseguente allo spossessamento del detentore, non essendo concepibile il possesso del bene da parte di un altro soggetto senza il consenso del detentore medesimo. Nessuna influenza esercita sull'avvenuta consumazione del reato il fatto che il derubato abbia potuto seguire l'operato dell'agente nell'iter criminoso e recuperare la refurtiva.

Cass. pen. n. 12158/1989

La circostanza attenuante del danno patrimoniale di speciale tenuità non è applicabile al furto di autovettura regolarmente abilitata alla circolazione ed effettivamente marciante, atteso il non trascurabile valore del bene in relazione alla funzione espletata.

Cass. pen. n. 6923/1989

In tema di furto, rientra nell'ampio concetto (del dolo specifico) di trarre profitto anche il caso in cui l'agente si impossessi della cosa mobile altrui al fine di consegnarla ad una terza persona.

Cass. pen. n. 876/1989

In tema di applicazione dell'attenuante di cui all'art. 62, n. 4, c.p. al tentativo di furto, la valutazione del danno patrimoniale va fatta con riferimento al valore della cosa che avrebbe formato oggetto della sottrazione se l'evento si fosse realizzato e, nel caso di autovettura, qualunque ne sia lo stato di vetustà (ma pur sempre funzionante), non può ravvisarsi quella speciale tenuità del danno alla quale la legge ricollega l'attenuazione della pena.

Cass. pen. n. 55/1989

In tema di tentativo di furto, l'attenuante del valore lieve può essere accordata solo ove sussista la certezza che il danno, che sarebbe derivato dal reato consumato, sarebbe stato di speciale tenuità. (Fattispecie di diniego, condiviso dalla corte di legittimità, dell'attenuante da parte del giudice del merito sul rilievo che nell'ambiente ove la condotta furtiva fu posta in essere si trovavano oggetti di cospicuo valore).

Cass. pen. n. 12242/1988

Commette furto il detenuto che evade indossando indumenti della amministrazione penitenziaria, poiché egli ha la mera detenzione e non il possesso degli indumenti che indossa e di cui gli è consentito l'uso nell'ambito dell'istituto carcerario o anche altrove in caso di ammissione al regime di semilibertà sotto la sorveglianza degli organi all'uopo preposti.

Cass. pen. n. 12215/1988

Non sussiste alcuna violazione del principio di correlazione tra la sentenza e l'accusa contestata ove l'imputato di furto sia ritenuto colpevole invece del delitto di ricettazione in quanto il contenuto essenziale di questa seconda imputazione deve ritenersi compreso nella più ampia previsione dell'originaria contestazione di furto.

Cass. pen. n. 10991/1988

Quando più soggetti partecipano ad un furto e uno di essi riesce ad impossessarsi di alcune cose soltanto, mentre gli altri compartecipi non riescono ad impossessarsi di altre, alla cui sottrazione era diretta la consumazione criminosa, ricorre l'ipotesi di un unico reato di furto consumato, e non già di furto in parte consumato, in parte tentato, dovendosi in tal caso considerare unica la risoluzione e unico l'evento realizzato, costituito dalle cose già sottratte.

Cass. pen. n. 10989/1988

Il possesso della refurtiva o di una parte di essa, nell'immediatezza del commesso reato, può essere assunto, in difetto di giustificazioni circa la causa di quel possesso, come prova idonea della sottrazione, se gli altri elementi sul piano logico conducono ad escludere che il possesso medesimo tragga origine diversa.

Cass. pen. n. 10473/1988

In tema di furto non hanno alcuna rilevanza, perché il reato possa qualificarsi consumato e non tentato, l'elemento spaziale e quello temporale: se la cosa sottratta è passata nel dominio dell'agente anche per breve tempo ed anche nello stesso luogo in cui si è verificata la sottrazione della cosa alla disponibilità del detentore, si è in presenza di un reato consumato. Né l'evento può essere configurato diversamente nell'ipotesi in cui la parte offesa o terze persone per lei, siano intervenute dopo che l'agente abbia conseguito la fisica ed autonoma disponibilità sulla cosa, in quanto l'attività successiva non può più qualificarsi come manifestazione del precedente potere di fatto sulla cosa, ma come il risultato di una nuova ed autonoma determinazione diretta al recupero del possesso ormai perduto.

Cass. pen. n. 10227/1988

Deve considerarsi sufficiente, perché un furto possa qualificarsi consumato e non tentato (non avendo rilevanza alcuna l'elemento spaziale e quello temporale ai fini della distinzione) che la cosa sottratta sia passata nell'esclusivo dominio dell'agente anche per breve tempo ed anche nello stesso luogo in cui si è verificata la sottrazione della cosa alla disponibilità del detentore; tale evento non può essere configurato diversamente nell'ipotesi in cui un intervento successivo alla sottrazione, pur nell'immediatezza di essa, abbia impedito al ladro di assicurarsi il profitto.

Cass. pen. n. 3989/1988

Ai fini della configurabilità del delitto di furto non è richiesto dalla legge né l'amotio o abductio de loco ad locum né la protrazione nel tempo della detenzione. Ne consegue che se la refurtiva sia già passata nella piena disponibilità dei ladri allorché sia insorta la necessità di far fronte alla sorpresa di essi con la fuga, attuata non senza aver nascosto la stessa, si versa in tema di furto e non già di tentativo dello stesso.

Cass. pen. n. 11965/1987

Commette furto semplice e non già furto aggravato ai sensi dell'art. 625, n. 2, c.p. colui il quale si impossessi di gettoni telefonici e monete metalliche da un apparecchio installato in una cabina della Sip adoperando un coltello, con il quale agevoli la caduta degli oggetti sopra indicati attraverso la fessura esistente nell'alloggiamento, senza danneggiare o deteriorare o alterare l'apparecchio telefonico.

Cass. pen. n. 10172/1987

Ai fini dell'applicazione della circostanza attenuante del danno patrimoniale di speciale tenuità, di cui all'art. 62 n. 4 c.p., è giuridicamente irrilevante la circostanza che parte della refurtiva sia stata restituita al derubato, giacché l'attenuante in questione ha riferimento alla entità della diminuzione patrimoniale cagionata direttamente dall'azione del colpevole nel momento della consumazione del reato, con esclusione di ogni altro elemento o circostanza successivi al reato medesimo.

Cass. pen. n. 3705/1987

La distinzione tra l'ipotesi delittuosa di deviazione di acque, di cui all'art. 632 c.p. e quella di furto di acqua va individuato nel fatto che forma oggetto della prima ipotesi consistente nella deviazione dell'intero complesso delle acque, mentre si ha furto nel caso in cui il prelievo concerne una sola porzione o quantità dell'acqua mobilizzata mediante il parziale distacco dalla massa complessiva, senza una sostanziale variazione dello stato dell'intero corpo idrico da quello preesistente.

Cass. pen. n. 2439/1987

Non sussiste concorso della contravvenzione prevista dall'art. 707 c.p. con il reato di tentato furto, anche se non viene contestata l'aggravante della violenza sulle cose per mancanza di segni di effrazione.

Cass. pen. n. 283/1987

Colui che asporti materiale inerte dal fondo di un torrente è responsabile del delitto di furto anche se sia intervenuta precedentemente una autorizzazione del sindaco, incompetente a disporre in materia perché si tratta di «cosa» non facente parte del demanio né del patrimonio comunale; in specie quando della illegittimità dell'autorizzazione (per incompetenza) l'agente sia consapevole.

Cass. pen. n. 13324/1986

Il momento consumativo del furto coincide con l'impossessamento della cosa da parte dell'agente e con lo spossessamento del derubato, a nulla rilevando il criterio spaziale, con riferimento al luogo al quale si estende la sfera di dominio del derubato, né quello temporale concernente la durata del possesso da parte del ladro. Pertanto, risponde di furto consumato e non tentato colui che, introdottosi in un autoveicolo, si allontani sia pure per breve spazio, essendo irrilevante la durata del possesso da parte del ladro.

Cass. pen. n. 13218/1986

Non sussiste violazione del principio di correlazione tra sentenza e accusa contestata ove l'imputato di furto sia condannato per ricettazione.

Cass. pen. n. 10230/1986

Il possesso della refurtiva può costituire prova della sottrazione della cosa da parte del possessore quando, oltre al nesso di contiguità cronologica tra sottrazione e possesso altri elementi conducono ad escludere, sul piano logico, che il possesso medesimo tragga origine da altra parte.

Cass. pen. n. 9594/1986

Nell'ipotesi di sottrazione di una cosa già appartenuta a persona uccisa si configura il delitto di rapina e non quello di furto, qualora l'idea della sottrazione sorge e si formi prima della attuazione della violenza omicida, sempre che sussista un nesso di causalità apparente tra violenza e ripensamento nel senso che il secondo sia la conseguenza della prima. Si configura, invece, il delitto di furto qualora l'idea della sottrazione sorga soltanto dopo la consumazione dell'omicidio. (Nella specie, l'impossessamento delle cose mobili altrui era avvenuto contemporaneamente all'omicidio).

Cass. pen. n. 5454/1986

La cosa rubata e poi abbandonata dal ladro non costituisce res derelicta, la cui appropriazione sia consentita a chiunque, poiché non vi è abbandono senza la volontà dell'avente diritto e tale non può certamente ritenersi quella del ladro e poiché la cosa, una volta abbandonata dal ladro, deve considerarsi nuovamente in possesso del proprietario con la necessaria conseguenza che integra furto in danno di quest'ultimo l'ulteriore sottrazione di beni già rubati da terzi. (Fattispecie in tema di furto di autovettura che da parte dell'imputato si assumeva semplicemente abbandonata da terzi).

Cass. pen. n. 6609/1985

Colui che detiene materialmente una cosa per ragioni di custodia, senza poterne disporre in alcun modo, come si verifica nel caso di un impiegato di Istituto di credito, che è semplice detentore dei moduli e dei libretti di assegni, a lui affidati a titolo di semplice custodia, deve considerarsi semplice detentore rispetto al soggetto che ha la disponibilità della cosa stessa e la possiede per mezzo di esso custode, con l'effetto che, ove il detentore si impossessi della cosa a danno dell'altro, tale impossessamento deve configurarsi come furto e non come appropriazione indebita.

Cass. pen. n. 4471/1985

Il reato di furto è reato contro il patrimonio, e non a vantaggio del patrimonio dell'agente, sicché rientrano nella previsione dell'art. 624 c.p. le illegittime aggressioni al patrimonio altrui, anche se, per autonoma decisione del soggetto attivo, non si risolvono in un corrispondente arricchimento del patrimonio dell'agente. (Fattispecie relativa a furto di bustine di eroina per ragioni di studio).

Nel reato di furto il profitto può consistere in una qualsiasi utilità a vantaggio, anche di natura non patrimoniale, ed è sufficiente che il soggetto attivo (a nulla giuridicamente rilevando la destinazione che egli dà alla cosa sottratta) abbia operato per il soddisfacimento di un qualsiasi interesse anche psichico, e quindi anche per ragioni di interesse di studio.

Cass. pen. n. 3635/1985

Ai fini della determinazione dell'impossessamento — che segna il momento consumativo tanto del delitto di rapina che di quello di furto — sono del tutto irrilevanti sia il criterio temporale, sia quello spaziale, sia infine, l'uscita della cosa stessa dalla sfera del possesso e della sorveglianza del derubato o di altri per lui o della possibilità d'intervento della polizia. È sufficiente, infatti, che della cosa il soggetto agente si sia impossessato anche solo temporaneamente o momentaneamente, poiché anche in tal caso la persona offesa, avendo perduto la signoria sulla cosa, sarebbe costretta alla violenza o ad altra pressione, contrapponendo ex post la propria legittima reazione all'azione delittuosa già esplicata nella sua materialità obiettiva.

Cass. pen. n. 9802/1984

Ai fini del reato di furto la «cosa mobile» va intesa in senso realistico, dovendosi considerare tali non solo tutte le cose di per sé mobili, cioè quelle che hanno l'attitudine a muoversi da sé medesime o ad essere trasportate da luogo a luogo, ma anche le cose che possono essere mobilizzate ad opera dello stesso ladro mediante la loro avulsione od enucleazione, o ricorrendo ad analoghe attività materiali. (Nella fattispecie la Suprema Corte di cassazione ha ravvisato la sussistenza del reato di furto in un caso di sottrazione di protesi dentaria a un cadavere).

Cass. pen. n. 8125/1984

Ai fini dell'elemento soggettivo del reato di furto non è richiesta l'intenzione dell'agente diretta ad un'appropriazione definitiva della cosa altrui. Tale delitto, invero, consiste nell'impossessamento della cosa altrui a scopo di profitto, a nulla rilevando che la sottrazione avvenga per farne un'utilizzazione temporanea o al fine di un'appropriazione definitiva.

Cass. pen. n. 6063/1984

I dipendenti del vettore, o del proprietario della merce, hanno soltanto la detenzione nomine alieno delle cose trasportate, sulle quali non vengono quindi ad avere una disponibilità autonoma. Qualora se ne impossessino commettono pertanto il reato di furto.

Cass. pen. n. 3269/1984

Quando l'accordo sulla compravendita degli oggetti da trafugare sia avvenuto prima della sottrazione degli stessi non sussiste il delitto di ricettazione, ma quello di furto, in quanto con l'offerta di acquistare la refurtiva, quanto meno si rafforza l'altrui proposito delittuoso.

Cass. pen. n. 1854/1984

Nella configurazione del reato di furto, ciò che contraddistingue il possesso è la disponibilità fisica della cosa e l'autonomia del potere di disporne, indipendentemente dal diritto dominicale sulla cosa stessa. (Nella specie, si è ritenuto l'Ente autonomo del parco nazionale di Abruzzo abilitato a chiedere, quale parte civile, il risarcimento del danno per il furto di un albero abbattuto in un bosco di proprietà comunale, e quindi non appartenente dominicalmente al detto ente, ma sottoposto a vincolo di controllo e di gestione in favore dell'ente stesso).

Cass. pen. n. 10978/1983

Nel delitto di furto il dolo specifico, che si identifica nel fine di trarre profitto dall'impossessamento della cosa rubata, non è necessariamente rivolto alla realizzazione di un vantaggio economico, ben potendo dirigersi soltanto ad una semplice soddisfazione morale o di qualsiasi altra natura. (Nella specie il ricorrente sosteneva di aver agito non per finalità di lucro ma per rappresaglia).

Cass. pen. n. 10951/1983

Il furto commesso in un edificio è già consumato quando il ladro ne sia uscito portando con sé le cose trafugate; né ha rilevanza il successivo intervento della polizia, che serve solo a consentire l'immediato recupero, ma non incide sulla consumazione del reato. (Nella specie, il ladro era stato sorpreso dalla polizia nel prato antistante l'abitazione del derubato).

Cass. pen. n. 958/1982

Nell'ipotesi in cui all'estrazione di sabbia o di ghiaia da una zona demaniale segua l'asportazione del materiale estratto, concorrono il reato di furto e la contravvenzione, secondo i casi, punita dagli artt. 51 e 1162 del c.n. (per l'asportazione di sabbia da lido marino) ovvero dagli artt. 97 lett. m) R.D. 25 luglio 1904, n. 523, 374 L. 20 marzo 1865, n. 2248, come modificato dall'art. 1 n. 3 R.D. 28 maggio 1931, n. 601.

Cass. pen. n. 5818/1981

Ai fini penalistici, nella nozione di patrimonio sono comprese anche quelle cose che, pur prive di reale valore di scambio, rivestano interesse per il soggetto che le possiede.

Cass. pen. n. 11673/1980

L'asportazione di ghiaia o di sabbia dall'alveo di un fiume configura il reato di furto semplice e non già quello di furto aggravato, secondo l'ipotesi di cui all'art. 625 n. 7 c.p., in quanto l'alveo di un fiume può considerarsi destinato a pubblica utilità solo nel suo complesso e non anche in quelle parti che eventualmente vengano separate ad opera dell'uomo e che contestualmente alla loro mobilità cessano di far parte del bene avente detta destinazione. (Fattispecie in tema di applicazione di amnistia).

Cass. pen. n. 25/1974

Nei supermercati e nei grandi magazzini, dove vige il sistema del cosiddetto self-service (cioè il prelievo diretto degli oggetti esposti sui banchi di vendita), il cliente acquista la disponibilità degli oggetti direttamente prelevati soltanto dopo averli pagati alla cassa. Mentre, prima del pagamento, ne è soltanto un detentore materiale. Pertanto, chi occulta gli oggetti prelevati sulla propria persona, in tal modo realizzandone la signoria autonoma, cioè impossessandosene, commette il delitto di furto, e non già quello di appropriazione indebita o di insolvenza fraudolenta.

Cass. pen. n. 481/1971

Per cosa mobile, ai sensi e per gli effetti dell'art. 624 c.p., si intende qualsiasi oggetto corporeo, qualsiasi entità materiale, suscettibile di detenzione, sottrazione ed impossessamento, facente parte del patrimonio altrui, inteso in senso ampio e non soltanto sotto il profilo strettamente economico, che rivesta un apprezzabile interesse e la cui appropriazione determini un detrimento patrimoniale (in senso ampio) per il soggetto passivo ed arrechi una qualsiasi utilità o vantaggio (economicamente valutabile o meno) per l'agente. Ai fini del delitto di furto, non sono da considerare come mobili le entità immateriali ed, in particolare, i prodotti immateriali del pensiero, dell'ingegno e dell'attività umana, in quanto tali ed in sé considerati. Ma, quando queste entità o prodotti immateriali vengono trasfusi in una cosa materiale, corporea, quest'ultima perde (in tutto od in parte) la sua rilevanza per il suo valore intrinseco ed acquista quella inerente all'interesse relativo al prodotto intellettuale in essa incorporato, il quale, pertanto, viene in considerazione come oggetto primario della sottrazione e dell'impossessamento, unitamente alla cosa mobile in cui si è materializzato. (Fattispecie in cui è stata ritenuta cosa mobile il materiale costituito da elaborati tecnici, grafici e disegni inerenti a modelli, progetti e studi, di una impresa, relativi alla modellistica di camiceria ed alla lavorazione successiva).

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Consulenze legali
relative all'articolo 624 Codice Penale

Seguono tutti i quesiti posti dagli utenti del sito che hanno ricevuto una risposta da parte della redazione giuridica di Brocardi.it usufruendo del servizio di consulenza legale. Si precisa che l'elenco non è completo, poiché non risultano pubblicati i pareri legali resi a tutti quei clienti che, per varie ragioni, hanno espressamente richiesto la riservatezza.

F. T. chiede
lunedì 12/09/2022 - Campania
“Gent.le staff Brocardi,
Cerco di spiegare in breve il mio accaduto. Nel 2014 io e mia madre siamo entrati in possesso (per successione in seguito al decesso di mio padre) dell'immobile in cui abbiamo sempre avuto residenza. Di recente abbiamo deciso di vendere il suddetto immobile e, tra i vari controlli che abbiamo dovuto fare, abbiamo scoperto, per nostro rammarico, che mio padre aveva installato una fontana (ben occultata) prima del contatore dell'acqua usandola (presumiamo) per l'irrigazione del suo orto (all'interno della nostra proprietà ma distante dall'abitazione). Purtroppo noi non eravamo minimamente a conoscenza di tale fontana e quindi mai usufruita. La vicenda ci ha molto scosso e stiamo vivendo male ciò che é successo consapevoli del reato commesso. Abbiamo consultato un idraulico di fiducia che ci ha spiegato che per il punto in cui é stata installata, é molto difficile poterla disinstallare. Rimane solo la possibilità di cementarla. I miei dubbi sono quindi i seguenti: Siamo responsabili anche noi di tale reato anche se totalmente ignari? Potremmo semplicemente cementare la fontana dato che non l'abbiamo mai usata ? Come dovremmo comportarci?
Giusto come correzione al mio messaggio precedente: ho avuto modo di visionare meglio ciò che ha manomesso mio padre. Ció che si vede NON è una vera e propria fontana ma semplicemente un tubo che intercetta la conduttura comunale con un tappo finale che sigilla lo stesso senza possibilità di poter usufruire dell’acqua. Supponiamo sia stato usato PRESUMIBILMENTE in passato per irrigare il suo orto.
Il mio quesito è non essendo minimamente a conoscenza di tutto ciò ne tanto meno ne abbiamo mai usufruito, cosa rischiamo?
Posso cementare il tutto considerando ciò una soluzione al problema?
Consulenza legale i 22/09/2022
Dato che sulla base della descrizione dei fatti illustrata nel quesito non è possibile rendersi conto della reale consistenza del manufatto (non viene ad esempio specificato se sia interrato o meno, né se sia completamente all’interno della proprietà), è abbastanza complicato dare una risposta dal punto di vista edilizio.
In via generale, comunque, va tenuto presente che - se si tratta di un’opera di non trascurabile impatto sull’ambiente circostante - vi è il rischio che il Comune possa riconoscere la presenza di un abuso ed emettere le relative sanzioni anche nei confronti degli eredi.
Infatti, la repressione degli illeciti edilizi assolve alla funzione ripristinatoria del bene leso e di tutela del territorio, con la conseguenza che ben può essere disposta nei confronti del proprietario attuale dell'immobile interessato dall'intervento abusivo, anche se non responsabile del medesimo, trattandosi di illecito permanente (ex multis, T.A.R. Napoli, sez. VIII, 07 gennaio 2022, n. 110).
Pertanto, la soluzione più prudente e più corretta rimane quella di eliminare del tutto l’opera (magari chiedendo anche il parere di un tecnico con una maggiore esperienza in materia edilizia, come ad esempio un geometra), evitando di aggravare - con l’aggiunta di altri elementi stabili in cemento - una situazione che già allo stato comunque appare irregolare.
Per quanto riguarda il prelievo non autorizzato di acqua, invece, viene in rilievo l’art. 17, R.D. n. 1775/1933, che punisce il trasgressore con la sanzione amministrativa pecuniaria (peraltro senza la possibilità di pagamento in misura ridotta) da 4.000 euro a 40.000 euro, che scende - per il caso di particolare tenuità - da 400 euro a 2.000 euro.
Lo stesso articolo prevede che sia in ogni caso dovuta una somma pari ai canoni non corrisposti.
Bisogna, però, tenere conto che del principio fissato dall’art. 7, L. n. 689/1981 di non trasmissibilità agli eredi delle sanzioni pecuniarie, che dovrebbe scongiurare eventuali contestazioni tardive.
L’obbligazione di pagamento dei canoni, invece, non pare costituire una vera e propria sanzione, ma semplicemente il corrispettivo dovuto e non versato per l’uso di acqua pubblica, che dunque potrebbe essere per ipotesi ancora preteso, salva la possibilità di invocare eventualmente la prescrizione.
Per quanto attiene al fronte strettamente penale, valga quanto segue.
In merito ad allacci idrici occulti, la Cassazione, con orientamento costante, afferma che tale condotta integra il reato di furto aggravato.
Sul punto si è pronunciata da ultimo Cass. pen. Sez. V Sent., 20/05/2019, n. 38098 secondo cui “Il prelievo delle acque realizzato con la creazione di un'utenza clandestina mediante allaccio abusivo alle condutture, integra il delitto di furto aggravato ai sensi dell' art. 625 del c.p., n. 2 cod. pen., in quanto determina un mutamento di destinazione della risorsa idrica rispetto agli usi previsti e mira al conseguimento di un profitto, consistente nel mancato versamento del corrispettivo previsto”.
Stante ciò, e sebbene, dunque, la condotta posta in essere dal genitore abbia rilevanza penale, di tale condotta non possono, di certo, rispondere gli eredi.
Va infatti detto che la responsabilità penale è personale e, pertanto, di eventuali fatti delittuosi può rispondere solo colui al quale tali fatti sono attribuibili. Va escluso, quindi, il coinvolgimento di coloro i quali non hanno in alcun modo contribuito alla commissione del reato, come gli eredi nel caso di specie.
Questi ultimi, invero, potrebbero rispondere del fatto solo allorché, consapevoli di quanto posto in essere dal genitore, ne approfittino, continuando la perpetrazione del crimine originario.
Pertanto, si consiglia di adottare ogni cautela al fine di evitare qualsivoglia ulteriore prelievo di acqua e di interrompere l’allaccio abusivo quanto prima.

Dario chiede
mercoledì 01/12/2021 - Sicilia
“Buongiorno, nel mese di giugno 2021 abbiamo effettuato per ristrutturazione casa un trasloco portando le cose mobili da casa in un garage poco distante. Mia moglie siccome dovevano smontare l'armadio della camera da letto ha preso un salvadanaio e lo ha messo sul tavolo della cucina dicendo al collaboratore della ditta traslochi di non toccare nulla sul tavolo della cucina dove si trovava il salvadanaio. La sera accorgendosi che il salvadanaio non si trovava in cucina chiama il proprietario della ditta traslochi e lui conferma l'esistenza del salvadanaio di latta che era stato messo in uno scatolo e conservato in garage (box). Mia moglie si era tranquillizzata ma non siamo riusciti a recuperarlo in quanto il garage era pieno di scatoli fino alla chiusura del garage. ieri giorno 30/11/2021 portando le cose dal garage a casa dopo un po' abbiamo recuperato il salvadanaio di latta conservata in uno scaffale aperta e dal contenuto svuotato. Mia moglie raccoglieva soldi a moneta e in carta da quando i miei figli erano neonati. Ci potevano essere, visto che mia moglie inseriva anche banconote di 20 e 50, più di 3.000. Ora volevo sapere se posso procedere penalmente e denunciare il fatto e se si può parlare di furto aggravato.”
Consulenza legale i 03/12/2021
La risposta è positiva.

L’art. 624 c.p., come noto, punisce il reato di furto che si ha nel momento in cui taluno si impossessa del denaro altrui sottraendolo a chi lo detiene.

Prescindendo dai dettagli giuridici della fattispecie, nel caso di specie l’ipotesi di reato è chiaramente sussistente proprio in considerazione della dinamica degli eventi che, quasi in modo incontrovertibile, danno conto della ipotetica responsabilità del collaboratore della ditta dei traslochi.
Responsabilità di cui costituiscono chiari indizi non solo il fatto che il soggetto in questione era al corrente nel contenuto del salvadanaio e abbia avuto tutto il tempo di impossessarsene, ma anche il fatto che il salvadanaio sia stato trovato vuoto proprio dopo l’intervento del traslocatore medesimo.

Quanto alle aggravanti, è possibile supporne diverse.

Sicuramente sussiste quella di cui all’art. 61 n. 11 c.p., che censura la condotta del soggetto che commette il fatto nell’esecuzione di un’attività di prestazione d’opera o, comunque, in senso lato, allorché il reato venga commesso anche grazie ad un pregresso rapporto “lavorativo” tra le parti.

Qualche dubbio, invece, sussiste in relazione alla configurabilità delle aggravanti di cui all’art. 61, n. 7 c.p. e di quelle di cui all’art. 625 c.p.

Si noti che queste sono le uniche aggravanti che sono in grado di far scattare la procedibilità d’ufficio in luogo di quella a querela.
Nel caso di procedibilità d’ufficio, la querela può essere sporta anche una volta decorso il termine di tre mesi dalla conoscenza del fatto reato; nel caso di procedibilità a querela, invece, se la stessa viene depositata dopo tre mesi, l’ azione penale non potrà essere proseguita (nel caso di specie i tre mesi decorrerebbero a partire dal 30 novembre 2021, data in cui è stato scoperto il salvadanaio “vuoto”).

Per tale ragione, onde evitare di incorrere in ipotetici problemi, si consiglia di:

- denunciare il fatto alle autorità entro tre mesi a partire dal 30 novembre 2021;
- prima ancora di farlo, però, parlare del fatto col titolare della ditta dei traslochi e della propria intenzione di denunciare il fatto

Tale ultimo consiglio discende dalle seguenti considerazioni.
Il procedimento penale impone dei tempi lunghi ed è sempre dall’esito incerto, e le possibilità di recuperare la somma rubata sono dubbie e, comunque, di lungo termine.

Parlare con il titolare della ditta potrebbe essere un modo utile per, magari, ottenere una confessione da parte del colpevole, evitando il deposito della querela laddove questi consegni quanto sottratto. In tal modo si riuscirebbe ad ottenere il quantum rubato senza incorrere nelle lungaggini burocratiche.
Insomma, meglio prima minacciare la denuncia.
Chiaro che bisogna avere la ragionevole certezza che l'effettivo responsabile dell'ammanco sia la ditta di traslochi.

Purtroppo, in mancanza di testimoni, si tratta della parola di un soggetto contro quella di un altro.

Rosalba A. chiede
venerdì 30/07/2021 - Piemonte
“Buongiorno,
vorrei avere un vostro parere legale per quanto sotto meglio descritto:
un'azienda ha venduto una porzione di un più ampio capannone ad una ditta individuale che ha fatto un leasing immobiliare, la proprietà ormai da molti anni è della società di leasing in quanto la ditta individuale ha chiuso ed è irreperibile il titolare.
La banca però , nonostante i solleciti, non si è mai staccata dalla rete idrica dell'intero immobile, non si è mai dotata di un proprio contatore pertanto fino ad oggi ha sempre utilizzato l'acqua altrui e non ha mai pagato nè i consumi nè tutti gli accessori relativi ( quota fissa, antincendio , fognatura ecc....) .
E' possibile denunciare la società di leasing per furto d'acqua?

In attesa di un vostro riscontro, porgo distinti saluti.”
Consulenza legale i 24/08/2021
Il quesito non è di facile risoluzione in considerazione del fatto che andrebbero meglio definite le dinamiche fattuali sottostanti al caso concreto.

In via generale, comunque, possiamo affermare che, stando alla giurisprudenza maggioritaria, la sottrazione di “beni” particolari, quali energia elettrica, gas e acqua, da parte di un determinato soggetto a danno di altro, può essere sussumibile nel reato di furto, di cui all’art. 624 c.p.

Tuttavia, va specificato quanto segue.

Il reato di furto presuppone che l’agente sottragga la cosa mobile altrui e se ne impossessi, con ciò denotando una condotta attiva particolarmente pregnante che si estrinseca in ben due comportamenti differenti: la sottrazione, appunto, ai danni del proprietario e l’impossessamento col fine di trarne profitto.

Non a caso, nella stragrande maggioranza dei precedenti giurisprudenziali, la condotta del soggetto attivo è caratterizzata dal fatto che, ai fini della commissione del furto, vengono posti in essere mezzi “fraudolenti” molto articolati, proprio col fine specifico di sottrarre ad altri il bene in questione (ad esempio il cd. “cavo volante” che viene utilizzato da Caio per agganciarsi alla rete elettrica di Tizio).

Nel caso di specie, non sembra ascrivibile tale condotta alla società di leasing che, stando a quanto detto, si è limitata a rientrare nel possesso dell’immobile nelle medesime condizioni in cui lo ha trovato (e, dunque, con annessa sistemazione delle utenze “a carico” dell’azienda titolare del capannone).

Stando così e cose, sembra veramente difficile ascrivere alla società di leasing una condotta costituente reato senza che la società predetta abbia posto in essere alcuna delle condotte che, nel caso di specie, costituirebbero il reato di furto e che sarebbero prodromiche a sottrarre l’acqua.

Ciò nonostante, va indubbiamente detto che la condotta sopra emarginata è tutt’altro che legale e se, nelle diffide trasmesse alla banca, il tema è stato correttamente evidenziato, allora si potrebbe ipotizzare il deposito di una denuncia - querela nella quale, correttamente ricostruiti i rapporti tra le parti, si sottolinei l’inerzia della società di leasing nella variazione del contatore provando, al contempo, che un’effettiva sottrazione idrica ci sia stata.

Antonino A. chiede
venerdì 01/04/2016 - Sardegna
“Il 7 dicembre 2014, rientrando da New York, ho trovato la mia valigia aperta e rovinata e rubati alcuni contenuti. Compreso il borsello ivi contenuto, contenente le carte di credito Visa e American express. Mentre facevo la denuncia ho immediatamente telefonato a banca F., per la VISA e ad American express per chiedere il blocco delle carte rubate. Non risultava prelevato nulla al momento. Ho fatto la denuncia in aeroporto per i danni del furto. Alitalia ha rimborsato inadeguatamente e assoturista.it mi assiste con un ricorso. Il giorno dopo vengo a sapere che sulla carta american express c'è stato a Fiumicino (dove avevo fatto scalo) un prelievo di euro 300,00 e sulla VISA di euro 500,00. Era il tetto massimo giornaliero fissato da me in caso di furto. Nessun acquisto di merci. American express mi ha annullato l'addebito senza alcun problema. F. ha negato il rimborso perché asserisce che senza il PIN non si sarebbe potuto prelevare contanti e io avevo l'obbligo di custodirlo altrove che la carta di credito. Non c'è stato verso di fargli cambiare opinione. Ho interessato assoturista.it anche di questo problema. Un amico ingegnere elettronico mi ha detto che a lui, senza il PIN gli avevano rubato soldi cash e anche utilizzato la carta per acquistare merci. Perché con un apposito programma un hacker può leggere in un lettore di carte anche il PIN. Ora gli avvocati di assoturista mi informano che per ottenere il rimborso del prelievo su VISA si dovrebbe andare al giudice di pace, perché F. non ha risposto alla loro richiesta. Prima occorre fare il tentativo di conciliazione e mi hanno chiesto di farlo, poi si rivolgeranno loro al giudice di pace. assoturista.it è un associazione gratuita, si fanno pagare dai vettori e in questo caso da F. se avremo ragione, oppure non devo nulla. Ma il servizio di conciliazione ha il suo costo e vorrei sapere che probabilità avrei di avere rimborsati i 500 euro del furto. Tutto è ben provato dalle denunce ad Alitalia e alla polizia dell'aeroporto di destinazione. Grazie”
Consulenza legale i 05/04/2016
Il caso di specie riguarda un’ipotesi, purtroppo frequente, di utilizzo indebito e non autorizzato di uno strumento di pagamento elettronico (carta di credito) a seguito di furto subìto dal titolare.
In materia trova applicazione una disciplina specifica, contenuta nel Decreto Legislativo n. 11 del 27 gennaio 2010, intitolato “Attuazione della direttiva 2007/64/CE, relativa ai servizi di pagamento nel mercato interno, recante modifica delle direttive 97/7/CE, 2002/65/CE, 2005/60/CE, 2006/48/CE, e che abroga la direttiva 97/5/CE”, la quale definisce in maniera precisa sia gli obblighi di diligenza che deve osservare l’utilizzatore della carta al fine di poter esercitare i diritti connessi, appunto, al suo utilizzo, sia quelli cui è tenuto l’ente emittente della stessa (la Banca) al fine di fornire un servizio adeguato e conforme alle norme di tutela del cliente/consumatore.
L’articolo 7 riguarda gli “Obblighi a carico dell'utilizzatore dei servizi di pagamento in relazione agli strumenti di pagamento” e così recita: “1. L'utilizzatore abilitato all'utilizzo di uno strumento di pagamento ha l'obbligo di:
a) utilizzare lo strumento di pagamento in conformità con i termini, esplicitati nel contratto quadro, che ne regolano l'emissione e l'uso;
b) comunicare senza indugio, secondo le modalità previste nel contratto quadro, al prestatore di servizi di pagamento o al soggetto da questo indicato lo smarrimento, il furto, l’appropriazione indebita o l'uso non autorizzato dello strumento non appena ne viene a conoscenza 2. Ai fini di cui al comma 1, lettera a), l'utilizzatore, non appena riceve uno strumento di pagamento, adotta le misure idonee a garantire la sicurezza dei dispositivi personalizzati che ne consentono l'utilizzo”.
L’art. 12 della stessa legge invece, relativo alla “Responsabilità del pagatore per l’utilizzo non autorizzato di strumenti o servizi di pagamento”, stabilisce che: “1. Salvo il caso in cui abbia agito in modo fraudolento, l'utilizzatore non sopporta alcuna perdita derivante dall'utilizzo di uno strumento di pagamento smarrito, sottratto o utilizzato indebitamente intervenuto dopo la comunicazione eseguita ai sensi dell'articolo 7, comma 1, lettera b).
2. Salvo il caso in cui abbia agito in modo fraudolento, l'utilizzatore non è responsabile delle perdite derivanti dall'utilizzo dello strumento di pagamento smarrito, sottratto o utilizzato indebitamente quando il prestatore di servizi di pagamento non ha adempiuto all'obbligo di cui all'articolo 8, comma 1, lettera c).
3. Salvo il caso in cui l'utilizzatore abbia agito con dolo o colpa grave ovvero non abbia adottato le misure idonee a garantire la sicurezza dei dispositivi personalizzati che consentono l'utilizzo dello strumento di pagamento, prima della comunicazione eseguita ai sensi dell'articolo 7, comma 1, lettera b), l'utilizzatore medesimo può sopportare per un importo comunque non superiore complessivamente a 150 euro la perdita derivante dall'utilizzo indebito dello strumento di pagamento conseguente al suo furto o smarrimento.
4. Qualora abbia agito in modo fraudolento o non abbia adempiuto ad uno o più obblighi di cui all'articolo 7 con dolo o colpa grave, l'utilizzatore sopporta tutte le perdite derivanti da operazioni di pagamento non autorizzate e non si applica il limite di 150 euro di cui al comma 3
”.

La norma pone, quindi, a carico del titolare della carta, in primo luogo l’onere di conservarla con cura ed adottare ogni utile ed opportuna precauzione per proteggere i dispositivi di sicurezza che ne consentono l’utilizzo; in secondo luogo, nel momento in ciò si verifichi, l’onere di denunciarne tempestivamente lo smarrimento o il furto.

Qualora l’utilizzatore sia stato diligente in tal senso, la Banca non potrà, quindi, esimersi dall’assumersi integralmente nei suoi confronti la responsabilità per l’addebito delle somme corrispondenti alle spese effettuate con la carta di credito successivamente alla denuncia.

La norma detta, tuttavia, una distinzione tra il caso in cui lo smarrimento o il furto della carta non siano imputabili all’utilizzatore o lo siano a titolo di colpa “scusabile” ed il caso in cui quest’ultimo abbia invece subìto il danno connesso allo smarrimento o furto per propri dolo o colpa grave.
Infatti, nel primo caso egli non potrà subire alcun pregiudizio a causa di che gli è accaduto e la Banca dovrà tenerlo indenne di ogni esborso e/o conseguenza dannosa con il solo limite di una franchigia massima di € 150,00 (vale a dire che, per legge, egli potrà essere rimborsato solo per l’eccedenza rispetto a quest’ultima somma). Nel secondo caso, invece, egli sopporterà per intero ogni danno e la Banca non sarà tenuta ad alcunché nei suoi confronti.

Altra importante norma contenuta nel citato decreto legislativo è l’articolo 10, “Prova di autenticazione ed esecuzione delle operazioni di pagamento”, per il quale: “1. Qualora l'utilizzatore di servizi di pagamento neghi di aver autorizzato un'operazione di pagamento già eseguita o sostenga che questa non sia stata correttamente eseguita, è onere del prestatore di servizi di pagamento provare che l'operazione di pagamento è stata autenticata, correttamente registrata e contabilizzata e che non ha subito le conseguenze del malfunzionamento delle procedure necessarie per la sua esecuzione o di altri inconvenienti. 2. Quando l'utilizzatore di servizi di pagamento neghi di aver autorizzato un'operazione di pagamento eseguita, l'utilizzo di uno strumento di pagamento registrato dal prestatore di servizi di pagamento non è di per sé necessariamente sufficiente a dimostrare che l'operazione sia stata autorizzata dall'utilizzatore medesimo, né che questi abbia agito in modo fraudolento o non abbia adempiuto con dolo o colpa grave a uno o più degli obblighi di cui all'articolo 7”. Si stabilisce, in buona sostanza, che in caso di contenzioso, qualora l’utilizzatore anche solo semplicemente neghi di aver autorizzato l’operazione di pagamento che risulta essere stata eseguita con la carta, l’onere di provare il contrario – onere particolarmente gravoso - ricadrà sull’ente emittente.

Il motivo di tale ultima disposizione sta nella circostanza per cui, secondo il legislatore, essendo l’emittente – a differenza dell’utilizzatore - soggetto che agisce nell’abito di un’attività imprenditoriale, nella sua veste professionale può senz’altro operare una valutazione preventiva del rischio derivante dall’uso indebito delle carte e può assicurarsi rispetto a quest’ultimo; inoltre, l’onere economico derivante dall’uso indebito della carta non può che gravare sul soggetto che trae, sostanzialmente in via esclusiva, i vantaggi economici legati alla sua gestione.

Di utilizzo indebito degli strumenti di pagamento elettronici si è occupata in parte la giurisprudenza ma soprattutto, in misura maggiore, quei soggetti che si occupano della risoluzione alternativa e stragiudiziale delle controversie in materia, specialmente l’Arbitro Bancario Finanziario (“ABF”), ovvero l'organismo, operativo dall’ottobre 2009, attraverso il quale la Banca d’Italia ha inteso fornire ai clienti delle banche un servizio per la rapida risoluzione delle controversie che tipicamente nascono nel settore bancario e finanziario, ulteriore rispetto alla via giudiziale.

Le pronunce dei giudici e di quest’ultimo organismo sono conformi e concordi nel ritenere che in un caso come quello in esame il cliente della Banca vada da quest’ultima rimborsato – pur con il limite della franchigia di € 150,00 stabilita per legge – di quanto un terzo gli abbia illegittimamente sottratto attraverso il pagamento non autorizzato; inoltre, per quel che riguarda gli oneri di diligenza dell’utilizzatore della carta, si è precisato che il semplice smarrimento del PIN non può considerarsi quale “colpa grave” ai sensi dell’art. 12 del D.Lgs n. 11/2010.

Da pochissimo (19 gennaio 2016) è intervenuto sul punto il Tribunale di Firenze in un caso analogo a quello in esame: con atto di citazione venivano convenute in giudizio una banca e una spa (ente emittente la carta di credito), al fine di sentirle condannare in solido a titolo di rimborso di somme addebitate in conseguenza di illecito utilizzo, da parte di un soggetto terzo ignoto, della carta di credito di cui l’attore era titolare.
L’attore, in questo caso specifico, aveva riferito di non essersi immediatamente accorto del furto/smarrimento della carta di credito e di aver, quindi, denunciato quest’ultimo non nell’immediatezza dei fatti.

Ripercorrendo precedenti orientamenti sul tema, i giudici del Tribunale hanno così statuito: “(…) il D.Lgs n.11/2010 introduce una ripartizione del rischio connesso all’utilizzo di strumenti elettronici di pagamento tale da fare ricadere sull’intermediario il rischio stesso, a meno che non risulti una colpa grave dell’utilizzatore-cliente, sul quale resta comunque una partecipazione al rischio nella misura di Euro 150,00 (c.d. franchigia), da applicarsi salvo diversa pattuizione contrattuale migliorativa per il cliente stesso. Con riferimento all’onere della prova, la disciplina legislativa prevede che, “quando l’utilizzatore di servizi di pagamento neghi di aver autorizzato un’operazione di pagamento eseguita, l’utilizzo di uno strumento di pagamento registrato dal prestatore di servizi di pagamento non è di per sé necessariamente sufficiente a dimostrare che l’operazione sia stata autorizzata dall’utilizzatore medesimo, né che questi abbia agito in modo fraudolento o non abbia adempiuto con dolo o colpa grave a uno o più degli obblighi di cui all’articolo 7” (art. 10 comma 2 d.lgs. n. 11/2010).

Circa la nozione di colpa grave, va poi richiamata quella giurisprudenza di legittimità secondo cui la stessa consiste in “un comportamento consapevole dell’agente che, senza volontà di arrecare danno agli altri, operi con straordinaria e inescusabile imprudenza o negligenza, omettendo di osservare non solo la diligenza media del buon padre di famiglia, ma anche quel grado minimo ed elementare di diligenza generalmente osservato da tutti” (sulla scorta di Cass. 19 novembre 2001, n. 14456, cui si può aggiungere, più di recente Cass. 13 ottobre 2009, n. 21679)”.

Ciò detto, per rispondere al quesito che ci occupa, è evidente che a fronte delle circostanze concrete relative al furto delle due carte di credito, è assolutamente legittimo escludere – oltre che, evidentemente, il comportamento fraudolento dell’utilizzatore - il dolo o la colpa grave nello smarrimento delle stesse: l’utilizzatore ha, infatti, correttamente e diligentemente affidato i propri bagagli al servizio aereoportuale, che avrebbe dovuto restituirglieli integri presso lo scalo di destinazione. Egli non ha posto, cioè, in essere alcun comportamento negligente e quindi colpevole, ma ha purtroppo solo potuto constatare il fatto quando il furto era già avvenuto.

Non essendovi alcuna frode, né dolo né tantomeno colpa – grave o lieve – ma trattandosi, di fatto, di caso fortuito, il titolare delle carte di credito rubate avrà pieno diritto al rimborso da parte della Banca delle somme indebitamente uscite dalla sua disponibilità, fatta salva la menzionata franchigia.

E neppure la Banca potrà eccepire l’esistenza di patti contrattuali in deroga alla sopra richiamata disciplina del 2010 per due motivi: il primo, perché l’utilizzatore delle carte di credito è considerato “consumatore” e, come tale, parte contrattualmente debole, sicché le disposizioni normative sopra citate non possono essere derogate a suo sfavore; secondo, perché anche le condizioni generali di contratto di Banca F. (pubblicate sul sito internet di quest’ultima) riproducono nel contenuto le norme del D.Lgs n. 11/2010 senza alcuna particolare deroga, per cui anche tale istituto di credito è tenuto all’osservanza di questa legge.

Si tenga, infine, presente che la violazione delle norme di cui al menzionato decreto da parte della banca emittente non solo legittima pienamente il tentativo di conciliazione e l’eventuale successiva azione giudiziale nei confronti di quest’ultima ma attribuisce altresì all’utilizzatore nonché alle associazioni rappresentative di categoria il diritto di presentare un esposto alla Banca d’Italia.

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