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Non è punibile la condotta di colui che detiene una quantità di cannabis di poco superiore al tetto dell’uso personale

Non è punibile la condotta di colui che detiene una quantità di cannabis di poco superiore al tetto dell’uso personale
Non è necessario, ai fini dell’applicazione dell’istituto di cui all’art. 131 bis c.p., che vengano esaminati tutti i criteri di valutazione della gravità del reato agli effetti della pena.
Con la sentenza n. 36447 del 28 maggio 2019, la Corte di Cassazione ha respinto il ricorso del Pubblico ministero che si era opposto all’archiviazione dell’indagine nei confronti di un imputato per illecita detenzione di 10,19 grammi di cannabis. Nello specifico, il magistrato inquirente riteneva che non fosse applicabile l’istituto della particolare tenuità del fatto di cui all’art. 131 bis.
La motivazione, in particolare, sarebbe stata eccessivamente carente sul punto.
I giudici della Cassazione, tuttavia, hanno sostenuto a tal riguardo che l’analisi da svolgere in merito all’applicabilità o meno dell’istituto di cui all’art. 131 bis c.p. viene condotta affidandosi ai parametri di cui all’art. art. 133 del c.p.. Questi ultimi, infatti, permettono di operare una considerazione complessiva della condotta tenuta dall’imputato, alla luce di diversi ed eterogenei indici, tra cui la gravità del reato e la capacità a delinquere del colpevole.
Non occorre, tuttavia, che tali indici, diversi per natura e per finalità, siano tutti ugualmente presenti nel caso concreto ai fini dell’applicazione dell’istituto della particolare tenuità del fatto.
In particolare, nella fattispecie analizzata, l'occasionalità della condotta e l'esigua quantità di cannabis che superava di poco il limite “concesso” per l'uso personale connotavano l’offesa nei termini di lievità e di scarsa offensività. In tal modo, quindi, era stata integrata la ratio della disposizione di cui all’art. 131 bis c.p., anche senza che fossero tutti contemporaneamente presenti i criteri di cui all’art. 133 c.p.
La qualificazione della condotta dell’imputato nei termini del reato di cui all’art. 73 comma 5 del d.P.R. n. 309/1990 non osterebbe poi, ad avviso della Cassazione, all’applicazione della causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto.
La fattispecie di lieve entità di cui al comma quinto del citato articolo 73, infatti, e la causa di non punibilità, sono “fattispecie strutturalmente e teleologicamente non coincidenti, atteso che, mentre ai fini della concedibilità della prima il giudice è tenuto a valutare i mezzi, le modalità e le circostanze dell’azione nonché la quantità e la qualità della sostanze stupefacenti oggetto della condotta criminosa, ai fini del riconoscimento della clausola di non punibilità devono essere considerate le modalità della condotta, il grado di colpevolezza da esse desumibile e l’entità del danno o del pericolo, ed altresì il carattere non abituale della condotta”.
Il fatto poi, affermano correttamente gli ermellini, che il dato della quantità della sostanza stupefacente fosse già stato preso in considerazione ai fini della qualificazione del reato, nulla toglie alla possibilità di considerarlo anche nell’ambito dell’applicazione della causa di non punibilità de quo. Il giudice, infatti, può tenere conto di uno stesso elemento che, per sua natura, sia idoneo ad incidere su diversi aspetti della punibilità.


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