Sul tema delle clausole di non punibilità, la convinzione del cittadino extraeuropeo di essere sottoposto ad un provvedimento di espulsione illegittimo, anche se non del tutto idonea ad escludere l'elemento soggettivo del reato di resistenza a pubblico ufficiale, può di certo essere presa in considerazione ai fini della valutazione dell'intensità del dolo manifestato dal reo, spinto ad agire quale unica via di reagire - sia pure commettendo il reato - ad una situazione percepita come ingiusta.
La Corte d'Appello aveva confermato la sentenza di condanna nei confronti di un cittadino extracomunitario per il reato di resistenza a pubblico ufficiale ex art. 337 del c.p. a seguito di episodi di violenza contro un membro della Polizia di Stato italiano a reazione del provvedimento di espulsione dallo Stato Italiano.
In sede di ricorso in Cassazione era stato rilevato come i giudici avessero errato nel mancato riconoscimento dell'art. 131 bis del c.p., pur essendo il reato commesso in un'unica azione, con modalità non particolarmente violente e che non avevano effettivamente provocato alcuna lesione al pubblico ufficiale e puramente legato a motivi di autotutela e attuato da un soggetto incensurato.
I Supremi Giudici hanno accolto la tesi della difesa. Nella motivazione della Corte d'Appello si era esclusa la dedotta tenuità del fatto valorizzando esclusivamente le modalità di condotta e la particolare intensità del dolo, desunta dalla ripetizione dei colpi. Proprio nella esaltazione della reiterazione delle condotte la Corte territoriale aveva osteggiato l'accesso all'istituto dell'art. 131 bis del c.p., figurando la presenza di comportamenti abituali e nella connotazione come abituali anche i reati che abbiano ad oggetto condotte plurime, abituali e reiterate.
Tale ricostruzione è stata rivista precisando che fra i reati necessariamente abituali e quelli eventualmente abituali caratterizzati dalla reiterazione della condotta non possono iscriversi i casi in cui la condotta tipica si articoli in una pluralità di atti commessi nel medesimo contesto spazio-temporale e sorretti dalla stessa finalità, quale la condotta di resistenza, che è da ritenere unica, seppure attuata divincolandosi e poi infliggendo una pluralità di calci.
Partendo da queste considerazioni, la Suprema Corte ha ritenuto che la causa di non punibilità ex art. 131 bis del c.p. potesse essere riconosciuta direttamente in sede di legittimità in considerazione che non valeva la preclusione all'applicazione della causa di non punibilità di cui all'art. 337 del c.p., introdotta con il D.L. 14 giugno 2019, n. 53, convertito con modificazioni con L. 8 agosto 2019, n. 77.
Sotto il profilo oggettivo, inoltre, la condotta di resistenza a pubblico ufficiale non si realizzava con un particolare grado di gravità, essendosi concretizzata in uno strattonamento e qualche calcio funzionale alla fuga, e soprattutto non risultava connotata da abitualità, poiché è del tutto pacifico che la fattispecie si sia sviluppata in un unico contesto di tempo, di luogo e di azione.
Il giudizio sulla tenuità richiede infatti una valutazione complessa e congiunta di tutte le peculiarità della fattispecie concreta che tenga conto delle modalità della condotta, del grado di colpevolezza e dell'entità del danno o del pericolo.
In considerazione poi che la convinzione di essere sottoposto ad un provvedimento di espulsione ingiusto non era del tutto fuori luogo, vista la revoca avvenuta il medesimo giorno, possono essere ammesse, ai fini dell'apprezzamento del dolo, le specifiche ragioni proposte e fondanti la coscienza e volontà dell'agire stesso.
In conclusione, la Corte di Cassazione, con la pronuncia 1 luglio 2021, n. 25309, ha censurato la mancanza di considerazione della percezione della situazione come ingiusta, non presa in considerazione dalle Corti territoriali e confermato la tenuità del fatto, con applicazione della clausola di non punibilità ex art. 131 bis del c.p..
I Supremi Giudici hanno accolto la tesi della difesa. Nella motivazione della Corte d'Appello si era esclusa la dedotta tenuità del fatto valorizzando esclusivamente le modalità di condotta e la particolare intensità del dolo, desunta dalla ripetizione dei colpi. Proprio nella esaltazione della reiterazione delle condotte la Corte territoriale aveva osteggiato l'accesso all'istituto dell'art. 131 bis del c.p., figurando la presenza di comportamenti abituali e nella connotazione come abituali anche i reati che abbiano ad oggetto condotte plurime, abituali e reiterate.
Tale ricostruzione è stata rivista precisando che fra i reati necessariamente abituali e quelli eventualmente abituali caratterizzati dalla reiterazione della condotta non possono iscriversi i casi in cui la condotta tipica si articoli in una pluralità di atti commessi nel medesimo contesto spazio-temporale e sorretti dalla stessa finalità, quale la condotta di resistenza, che è da ritenere unica, seppure attuata divincolandosi e poi infliggendo una pluralità di calci.
Partendo da queste considerazioni, la Suprema Corte ha ritenuto che la causa di non punibilità ex art. 131 bis del c.p. potesse essere riconosciuta direttamente in sede di legittimità in considerazione che non valeva la preclusione all'applicazione della causa di non punibilità di cui all'art. 337 del c.p., introdotta con il D.L. 14 giugno 2019, n. 53, convertito con modificazioni con L. 8 agosto 2019, n. 77.
Sotto il profilo oggettivo, inoltre, la condotta di resistenza a pubblico ufficiale non si realizzava con un particolare grado di gravità, essendosi concretizzata in uno strattonamento e qualche calcio funzionale alla fuga, e soprattutto non risultava connotata da abitualità, poiché è del tutto pacifico che la fattispecie si sia sviluppata in un unico contesto di tempo, di luogo e di azione.
Il giudizio sulla tenuità richiede infatti una valutazione complessa e congiunta di tutte le peculiarità della fattispecie concreta che tenga conto delle modalità della condotta, del grado di colpevolezza e dell'entità del danno o del pericolo.
In considerazione poi che la convinzione di essere sottoposto ad un provvedimento di espulsione ingiusto non era del tutto fuori luogo, vista la revoca avvenuta il medesimo giorno, possono essere ammesse, ai fini dell'apprezzamento del dolo, le specifiche ragioni proposte e fondanti la coscienza e volontà dell'agire stesso.
In conclusione, la Corte di Cassazione, con la pronuncia 1 luglio 2021, n. 25309, ha censurato la mancanza di considerazione della percezione della situazione come ingiusta, non presa in considerazione dalle Corti territoriali e confermato la tenuità del fatto, con applicazione della clausola di non punibilità ex art. 131 bis del c.p..