La questione sottoposta all’esame degli Ermellini era nata dalla vicenda che aveva visto come protagonista un uomo, il quale, all’esito del giudizio d’appello, si era visto confermare, seppur con una rideterminazione della pena, la condanna inflittagli in primo grado per alcuni reati in materia edilizia ed urbanistica.
Di fronte a tale decisione, l’imputato ricorreva dinanzi alla Corte di Cassazione deducendo, innanzitutto, una violazione di legge e un difetto di motivazione in ordine al rigetto della propria istanza di differimento dell’udienza perché legittimamente impedito a causa di gravi problemi di salute dovuti al morbo di Parkinson, di cui era affetto. A suo avviso, dunque, la sentenza impugnata doveva essere considerata nulla per difetto del contraddittorio e per l’avvenuta lesione del proprio diritto di difesa. L’uomo evidenziava, infatti, come la propria difesa avesse prodotto in udienza un certificato medico, risalente a soli tre giorni prima, relativo al suo impedimento a comparire, ma, nonostante ciò, la Corte territoriale avesse, comunque, deciso sulla base di una perizia risalente ad alcuni mesi prima.
Si deduceva, poi, una violazione ed un vizio di motivazione anche in relazione alla mancata applicazione, da parte dei giudici di merito, della causa di esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto, ex art. 131 bis del c.p., considerato che, in ragione della natura modesta dell’opera edilizia realizzata dall’imputato, erano anche state concesse le circostanze attenuanti generiche.
L’imputato eccepiva, infine, una violazione di norme processuali ed un vizio di motivazione, stante la precarietà dell’opera da lui realizzata, emersa anche in seguito all’istruttoria.
La Suprema Corte ha accolto il ricorso sulla base del primo motivo di doglianza presentato, risultando, così, sollevata dall’esame delle altre questioni.
Gli Ermellini hanno, infatti, evidenziato come, dal certificato medico prodotto in udienza dalla difesa dell’imputato, risultasse effettivamente il fatto che quest’ultimo fosse affetto dal morbo di Parkinson in fase avanzata, il quale gli causava svariati problemi di salute, tra cui una notevole limitazione nei movimenti ed un deficit mnemonico, i quali avevano portato il medico a concludere che l’uomo non si potesse spostare dal proprio domicilio.
Considerato che il morbo di Parkinson è una patologia non remissiva ma, anzi, ingravescente, i giudici di merito hanno chiaramente errato nel dichiarare l’assenza dell’imputato, con conseguente definizione del processo, basandosi su una perizia medica risalente ad alcuni mesi prima, senza, peraltro, argomentare idoneamente la propria scelta di ritenere affidabile quest’ultima invece che il certificato medico redatto soltanto tre giorni prima dell’udienza, non avendo essi né contestato la sua attendibilità, né disposto un aggiornamento della perizia.
I giudici di legittimità hanno, quindi, ritenuto opportuno ribadire il loro consolidato orientamento per cui “l'impedimento a comparire dell'imputato, che concerne non solo la capacità di recarsi fisicamente in udienza, ma anche quella di parteciparvi attivamente per l'esercizio del diritto costituzionale di difesa, può essere integrato anche da una malattia a carattere cronico, purché determinante un impedimento effettivo, legittimo e di carattere assoluto, riferibile ad una situazione non dominabile dall'imputato e a lui non ascrivibile” (cfr. Cass. Pen., n. 6357/2018).
Nel caso di specie, dunque, il rinvio dell'udienza sarebbe risultato assolutamente giustificato dal fatto che il sanitario, nel redigere il certificato medico, avesse attestato l’impossibilità dell’imputato di allontanarsi dal proprio domicilio, in ragione delle patologie di cui era affetto.